Brasile: gioia con… Lula

Cari amici,
la frase di san Paolo «ho
combattuto la buona battaglia
e ho conservato la
fede» è importante e sintomatica
per chi, come me
(da 30 anni in Brasile),
sente la necessità di fare
delle verifiche sulla propria
esistenza…
Tuttavia la vittoria di
Lula, nelle elezioni presidenziali,
mi ha procurato
momenti di gioia quasi adolescenziale.
Mi sono
commosso varie volte, alla
televisione e nelle conversazioni
con la gente, nel
vedere e rivedere alcune
immagini, nel ricordare e
progettare qualcosa che
sembrava ormai scomparso
dall’orizzonte collettivo.
Valeu a espera! (è valsa
la pena sperare).
Non saranno le solidali
e realistiche battute, quali
«speriamo che lo lascino
governare e non solo regnare
», a toglierci la gioia
profonda, come pure la
consapevolezza dei limiti
del nuovo presidente del
Brasile…

In «Tocca a Lula!» (editoriale
di gennaio) anche
noi abbiamo salutato con
piacere la vittoria di Lula,
dopo tre tentativi andati a
vuoto. Tra i primi atti del
nuovo presidente: i soldi
per i nuovi caccia militari
«dirottati» sul cibo . Chi
ben inizia…

p. Luciano Beardi




«Ho smesso di fumare» e…

Cari missionari,
mi presento: ho 65 anni e
qualche acciacco (colpa
della «gioventù»). Però la
vita va vissuta e… «perché
– mi sono detta – non adotti
un bambino?».
Così, senza pensarci
molto, ho smesso di fumare
e… ho raccolto la somma
di 104,00 euro, che vi
ho spedito. Scrivo queste
righe non pretendendo
nulla, ma semplicemente
perché conosciate un pochino
anche me.
Sono vedova e pensionata.
Sono stata accanto a
mio marito finché Dio
non ha deciso di riprenderselo
e posso dire di essere
stata con una persona
stupenda. Abbiamo avuto
due belle e brave figlie e adesso
faccio la nonna a
tempo pieno a tre nipoti.
Il desiderio di curare la
crescita culturale di un
bambino, in qualche paese
povero, spero che venga
accolto, anche se ho
un’età avanzata. Se Dio
mi dà una mano, perché
non provare?
Se me lo permettete, vi
abbraccio tutti con affetto,
specialmente padre
Stefano Camerlengo, missionario
in Congo e mio
conterraneo.

Ecco una lettera (ne riceviamo
tante!) che rinfranca
il cuore. Grazie.

Lettera firmata




«Sono malato di Aids…»

Quante volte mi sorprende
il constatare che,
nel mio andare in missione,
«Uno» è già passato:
questo Dio che ci ama tutti
in uguale maniera, e che
solo la gioia di testimoniare
questa realtà ci fa diventare
contagiosi…
È sera in questo lembo
di Kenya. Il sole sta scomparendo,
in un breve tramonto
senza crepuscolo, e
illumina con i suoi raggi
gli alti alberi di eucaliptus
che circondano la missione,
facendo capolino tra i
rami… Un uomo, esile e
mingherlino, con occhi
grandi e lucidi, è seduto
sul muricciolo, vicino alla
nostra casa, e chiede di
parlare con una sister.
«Sorella – mi dice -, sono
un malato di Aids: come
vedi, ho già le piaghe
che sanguinano. Ho 35
anni; mia moglie è morta
tre anni fa; ho quattro figli
tutti sieropositivi e vivono
a Kitale con la nonna. Io
sono dovuto venire a Nairobi,
per essere più vicino
all’ospedale Kenyatta e
sono stato ospitato da amici
nella baraccopoli di
Karinde, qui vicino a Karen.
Oggi l’ospedale mi ha
congedato: non c’è più
nulla da fare. Ho dovuto
dirlo agli amici che mi
hanno ospitato, i quali mi
hanno risposto che è meglio
che ritorni dai miei figli
a Kitale, anche perché,
se muoio qui, è molto costoso
trasportare il mio
corpo a Kitale, dove c’è la
mia terra e dove è già sepolta
mia moglie…
Sorella, le chiedo un bicchiere
d’acqua e i soldi
per il biglietto del pullman;
partirò stasera stessa
da Karen alle ore 20 e
arriverò a Kitale domani
mattina verso le 6. Vado a
morire a casa mia…».
Le lacrime mi scendono
silenziose e, senza volerlo,
osservo le mie mani se
hanno una qualche (anche
minima) ferita, per poi
mettergliele sulla spalla e
di cuore dirgli: «Non aver
paura, fratello mio!».
Una tale sofferenza esige
solo rispetto, presenza
silenziosa, un gesto di appoggio
e di accoglienza…
«Sono cristiano – continua
l’uomo -. Pensi, sorella,
che andrò in paradiso?
». «Non avere il minimo
dubbio!» rispondo
con un nodo che mi stringe
la gola. E lui: «Quando
sarò là, pregherò per te,
sorella». Si rimane ammutoliti
di fronte a simili esperienze,
che incidono
profondamente il cuore e
che fanno meditare seriamente.
Chi accoglie il Signore
sono proprio questi
umili crocifissi della storia,
che accettano il Suo
intervento nella loro vita.
Sono proprio questi coloro
che, per misericordia
divina, possono chiamare
Dio «padre» e ti insegnano
a fare altrettanto.

Sr. Adriana Prevedello




L’OPPIO DEI POPOLI, IERI E OGGI

Sono stato chiamato in causa da SILVIA NOVARESE, che
vuol sapere cosa penso sulla «religione oppio dei
popoli», (cfr. Missioni Consolata, dicembre 2002).
La frase di Karl Marx, invece di creare panico, dovrebbe
stimolare i credenti a disintossicarsi da egoismi
e ipocrisie, che impediscono di essere «dono, buona
notizia, nazione santa, sacerdozio perfetto».
Nelle opere di Marx che ho letto non ho trovato alcuna
affermazione contro Dio, Gesù Cristo, la Vergine
Maria, i vangeli e la chiesa, intesa come comunità di
persone che si riconoscono peccatrici e si impegnano
in una seria conversione.
Tenendo conto del contesto in cui l’affermazione
«religione, oppio dei popoli» è inserita e dell’ambiente
in cui Marx maturò le sue convinzioni, ho l’impressione
che la religione criticata sia soprattutto
quella protestante, non la cattolica. Come credente
in Dio uno e trino e nella chiesa una,
santa, cattolica e apostolica, non mi sento offeso
da Marx. Il cristianesimo è molto di più
di una religione, e sono contento quando mi
imbatto in dichiarazioni di cattolici che sottolineano
tale aspetto.
Uno è il cardinale Giacomo Biffi, il quale in
«Gesù unico salvatore del mondo» scrive: «Il
cristianesimo in sé non è una concezione della
realtà, non è un codice di precetti, non è una
liturgia. Non è neppure uno slancio di solidarietà
umana, né una proposta di frateità
sociale. Il cristianesimo non è neanche una
religione… Oggi si sente dire che tutte le religioni
si equivalgono, perché ognuna ha qualcosa
di buono. Probabilmente è anche vero.
Ma il cristianesimo non è una religione, ma è
Cristo. Cioè una persona…».
Già 2 mila anni fa un «altro Giacomo» invitava
a stare alla larga dalla religione «vana». E, se ammettiamo
che il cristianesimo non è riducibile solo ad
una religione, non possiamo prendercela con Marx. Dovremmo
riconoscere che spesso le religioni (specie se
degenerate in sètte) non solo hanno annebbiato e
frantumato la coscienza di individui e popoli, ma, con
il loro silenzio e pusillanimità e «teologie d’avanguardia
», hanno fatto sì che l’oppio stesso diventasse
religione.
Non dimentichiamolo: mentre in Europa Marx levava
il grido contro la religione-oppio e contro le teorie
antinataliste del reverendo Malthus, in Asia, Inghilterra
e Francia (già la Francia, «figlia prediletta» di
santa romana chiesa, che fino all’ultimo s’oppose all’annessione
dello stato pontificio al regno d’Italia),
scatenavano le guerre dell’oppio contro i cinesi, «rei»
di non potee più degli effetti devastanti della polverina,
«rei» di avere sequestrato ai mercanti stranieri
e bruciato 20 mila casse di oppio proveniente
dall’India e da altri paesi dell’Asia, «rei» di aver leso
il «diritto» degli uomini di sua maestà britannica di
praticare questo turpe commercio «liberamente».
Inglesi e francesi vinsero quelle guerre e sua maestà
britannica (capo della chiesa anglicana) si prese
pure Hong Kong, un’indennità di 21 milioni di dollari
messicani e ottenne il controllo del commercio con
l’estero a Canton, Shanghai, Xiamen, Fuzhou, Ningho.
Oggi oppio, eroina e altri stupefacenti stanno seminando
morte e degrado fra tanti giovani inglesi,
e neppure la casa reale si può considerare immune.
Ma l’Inghilterra continua a credere nella teoria delle
guerre giuste, ed è sempre pronta (con gli Stati
Uniti) a trarre profitto dalla miseria e vulnerabilità in
cui si dibattono tanti popoli.
Ieri era l’oppio a far litigare Londra e Pechino; oggi
sono anche la cocaina, il petrolio, il coltan, l’uranio, i
diamanti, il legno delle ultime foreste tropicali… a innescare
i conflitti più sanguinosi.
Ieri era Malthus a raccomandare il controllo delle
nascite; oggi sono la Banca mondiale, il Fondo monetario
internazionale, la fondazione Rockfeller, l’organizzazione
mondiale della sanità… a imporre, persino
nei paesi che dicevano di ispirarsi a Marx, Proudhon e
ad altri avversari di Malthus, l’aborto, la sterilizzazione
e i contraccettivi, in nome dello sviluppo sostenibile,
della lotta contro l’Aids e contro la povertà.
Fortunatamente c’è anche un movimento che, pur
nella sua eterogeneità, fra difficoltà e contraddizioni,
ha trovato un’alternativa a questo modo criminale
di concepire lo sviluppo economico, le relazioni commerciali
e i rapporti umani.

È un movimento dove trovano spazio anche molti
credenti, i quali (anche senza andare a Seattle, Goteborg
o Genova) ritengono loro dovere ribellarsi ogni
giorno (e non solo nelle settimane dei social forum o
degli anti G8) al capitalismo selvaggio, alla globalizzazione
dei neoliberisti, allo sfruttamento indiscriminato
delle risorse naturali, al massacro di tanti innocenti.

FRANCESCO RONDINA




«PERCHÉ SI FANNO LE GUERRE?» Il «battitore libero» GIUSEPPE TORRE, di Genova, ha fatto discutere.

Lettore di Missioni Consolata da
molti anni, mi sono trovato in
più occasioni in parziale disaccordo
con le posizioni assunte da uno dei
suoi redattori.
Su «Battitore libero» di
ottobre/novembre 2002 mi avete,
però, allibito e scioccato per un lungo
momento. D’accordo che la rubrica
è aperta a tutte le opinioni; ma
non per questo credo che lei, signor
direttore, sarebbe disponibile a pubblicare
un proclama di Bin Laden o il
calendario di una delle bellocce di
tuo.
La lettera del signor Giuseppe Torre,
di Genova, è un tale cumulo di
menzogne e di falsi della realtà storica
che il solo fatto di averla pubblicata
rischia di gettare un’ombra
su tutto l’operato della rivista. Offrire
la possibilità di esprimere libere
opinioni è sicuramente un merito
primario della sua rivista; però la
lettera menzionata non esprime
un’opinione su un problema, ma ne
costruisce un altro sulla base di falsi
ed illazioni, solo per gettare fango
su una parte del mondo al quale sicuramente
il Torre non appartiene e
del quale è sicuramente nemico.
Lettera che, a mio avviso, meritava
di finire in un posto ben preciso.
Neppure il remoto dubbio che la
lettera sia stata pubblicata per mettere
in risalto il metodo di travisare
la realtà, adottato da una certa parte
del mondo ed utilizzato per sostenere
tesi antioccidentali, mi trova
consenziente alla pubblicazione.

Guido Laurenti




«PERCHÉ SI FANNO LE GUERRE?» Il «battitore libero» GIUSEPPE TORRE, di Genova, ha fatto discutere.

Scrivo in merito alla lettera di
Giuseppe Torre. Sono contento
che qualcuno abbia ancora il coraggio
e l’onestà intellettuale di dire
la verità. I fatti citati sono documentati
e le prove sono sotto gli
occhi di tutti.
Nonostante ciò, chiunque cerchi
di affrontare questi argomenti
«tabù» viene sistematicamente denigrato
e tacciato di sovversione,
collaborazione con i terroristi e di
essere «antiamericano».
Risultato: molte persone sono già
state messe a tacere e, su tutte le
televisioni e sulla maggior parte dei
giornali, si sente esclusivamente una
voce, la «versione ufficiale»,
quasi esistesse un «ufficio di propaganda
» anche in Italia. «La guerra è
umanitaria e preventiva. Libereremo
gli iracheni dalla tirannide».
Ma come è possibile che i più
spietati dittatori si trovino sempre
in luoghi di forte interesse petrolifero
e mai altrove? Come è possibile
che non ci accorgiamo che ci stanno
prendendo in giro?
Spero che Missioni Consolata rimanga
sempre una voce fuori dal
coro, indipendente ed onesta. Non
smettete di dirci la verità. Grazie.

Simone Naretto




«PERCHÉ SI FANNO LE GUERRE?» Il «battitore libero» GIUSEPPE TORRE, di Genova, ha fatto discutere.

Nell’intervento del signor Giuseppe
Torre ci sono affermazioni
false. La verità è che:
1) la Repubblica Jugoslava è collassata
dall’interno, come tutte le altre
dell’Europa dell’Est;
2) le stragi perpetrate dai serbi sono
state terribili e documentate;
3) il regime irakeno è feroce e sanguinario
(stragi di comunisti, di serbi,
ecc.: vedi l’articolo di Cazzullo su
La Stampa);
4) l’attacco alle torri gemelle è stato
rivendicato dall’organizzazione di
Bin Laden e dal mullah Omar;
5) la lotta al terrorismo (che comportava
interventi in Afghanistan) è
stata votata anche da una buona
parte della sinistra che ragiona.
Il signor Torre non ha nulla da dire
sul regime dei talebani? Sulla lapidazione
di adultere in paesi islamici?
Sulle stragi di turisti in Indonesia?
Sulle donne considerate puri
oggetti? Sulle ricchezze enormi di
alcuni paesi arabi, che vengono spese
a finanziare il terrorismo? Sui kamikaze,
giovani fanatizzati che si
uccidono e uccidono adolescenti,
donne e bambini?
Potrei continuare, ma mi pare che
il livore antioccidentale e antiamericano
stia raggiungendo limiti patologici.
Il cristianesimo cosa ha da
guadagnare nel condividere una visione
così travisata della realtà?
Realtà che è complessa, difficile,
non riconducibile a una divisione
manichea tra buoni (i popoli del
Terzo mondo) e cattivissimi (noi
dell’Occidente).
Su La Stampa Spinelli scriveva che
il regime comunista è stato caratterizzato
dall’uso sistematico della
menzogna e che i suoi epigoni, in Italia,
continuano su questa strada. È
curioso che, dopo la caduta del comunismo,
gli epigoni di questa ideologia
si trovino in campo cattolico!

Silvia Novarese




Il team «Mongolia»

Cari missionari,
complimenti per la scelta
del «team Mongolia»: due
uomini e due donne. Siete
in evoluzione, «crescendo
nella consapevolezza della
volontà di Dio».

Nel frattempo i missionari
sono diventati sette:
quattro donne e tre uomini
(4 Italia, 2 Argentina,
1 Colombia).

Sheila Warren




Padre F. J. Couto e Mugabe

Caro direttore,
nel luglio-agosto scorso la
sua rivista ha pubblicato
«Soliloquio africano» di
FILIPE J. COUTO (FJC), riguardante
lo Zimbabwe.
L’autore ringrazia: è dal
1969 che egli scrive, esprimendo
anche pareri non
sempre condivisi dalla redazione…
Però, nel caso
dell’articolo citato, c’è stata
una piccola confusione
che è bene chiarire.
L’articolo di FJC è preceduto
da un’introduzione
dove si legge: «Non
comprendiamo… perché
certi presunti padri della
patria (in Africa) debbano
continuare impunemente
a commettere delitti
e soprusi contro i propri
cittadini, con la complicità
dei politici occidentali».
FJC non ha scritto questo.
Egli suggerisce di
considerare Mugabe, presidente
dello Zimbabwe,
«padre della patria». Afferma
che Mugabe non intende
fare la fine di Kaunda,
presidente dello Zambia:
cioè «non vuole
affrontare rappresaglie,
processi giudiziari o prigione;
perciò non se ne
andrà senza garanzia d’immunità»; si afferma che è
«saggezza democratica accordargliela». L’articolo
prosegue: «La democrazia
reale è fatta di compromessi,
non solo in Africa».
FJC propone una soluzione
politica offrendo una
«garanzia d’immunità»
a Mugabe. Però non dice
che Mugabe debba «continuare
impunemente a
commettere delitti e soprusi
contro i propri cittadini
», come si legge nell’introduzione
all’articolo.
FJC ritiene che sia la redazione
autrice di tale affermazione.
FJC pone alcune domande:
– Perché non si è detto esplicitamente
(come in
passato) che l’affermazione
era della redazione?
– La redazione ha le prove
che Mugabe sta «impunemente
commettendo delitti
e soprusi contro i propri
cittadini, con la complicità
dei politici occidentali»?
– Può la redazione, a beneficio
di dubbio, tollerare la
seguente opinione di FJC:
cioè che su Mugabe, politico
e presidente dello
Zimbabwe, si dicono troppe
cose negative e che,
quindi, non bisogna credere
subito a tutto ciò che
si dice su di lui?…
Ora parlo in prima persona:
tutti vogliamo contribuire
alla soluzione dei
problemi in Africa. La nostra
rivista missionaria
può fare molto, ma sono
necessarie affermazioni
basate su una «sostanza
reale», e non su ciò che
sentiamo dalla radio e dalla
cronaca politica.

1. Da sempre le introduzioni
(o sommari) agli
articoli di Missioni Consolata
sono opera della
redazione.
2. Che alcuni «padri
della patria» siano stati
personaggi negativi è documentato
dalla storia: si
pensi a Mobutu in Zaire,
Bokassa in Centrafrica,
Barre in Somalia… Però
non ignoriamo i «padri
della patria» onesti (pur
con i loro limiti), come
Nyerere in Tanzania o
Senghor in Senegal.
Nel caso di Mugabe, egli
è stato attaccato anche
da Pius Nkube, arcivescovo
di Bulawayo, oltre
che dai mass media (secondo
The Economist
Global Agenda, 13 marzo
2002, la vittoria del presidente
nelle elezioni del
2002 fu un furto).
Le riflessioni di FJC sono
sempre gradite: essendo
anche discutibili, stimolano
la riflessione e il
pluralismo.

Filipe J. Couto




«Aifo» precisa

Gentile direttore,
Missioni Consolata di settembre
2002 cita l’agenzia
Fides, che ricorda gli interventi
in Yunnan (Cina)
per i malati di lebbra.
Precisiamo che tali interventi
sono in parte sostenuti
dalla associazione
Aifo: questa, nell’anno
corrente, ha destinato al
progetto Yunnan, realizzato
con le suore Maria Pia
e Deolinda, 63 mila euro.
Tale somma è da aggiungersi
al budget di 142 mila
euro per interventi che
l’Aifo realizza in collaborazione
col governo della
provincia dello Yunnan.
Ci sembra doverosa la
precisazione, in quanto i
fondi sono tutti relativi a
donazioni private.

«Aifo» sta per «Associazione
Amici di Raoul
Follereau»: organizza anche
la Giornata dei malati
di lebbra (26 gennaio).

Michela Di Gennaro