Spirito di famiglia

Caro direttore,
ricordi ancora il sottoscritto?
Sono stato allievo dei
missionari della Consolata
a Bevera (1961-1966)…
Non ho smesso mai di leggere
con interesse Missioni
Consolata (insieme ad
Amico e Da Casa Madre).
La mia formazione è merito
esclusivo dei missionari
e, pertanto, mi considero
parte della vostra famiglia,
cui rimarrò sempre riconoscente.
Desidero, caro direttore,
esprimerti un augurio
per l’importante incarico
che hai assunto come responsabile
della rivista.
Essa continui a rimanere
un faro acceso sull’attività
dei missionari e sui problemi
che affliggono i popoli
poveri e dimenticati.
Ben venga la pluralità di
voci e opinioni! È importante
l’equità nel riportare
notizie e idee: ecco il tuo
delicato nuovo incarico.
Un grazie vada anche al
direttore precedente per la
sua illuminata guida.

Altri lettori ci hanno
scritto o telefonato per
augurarci buon lavoro e
per ringraziare l’ex direttore.
Ci è piaciuto, soprattutto,
il loro «spirito». È motivo di soddisfazione
constatare come
la nostra sia veramente
«la rivista missionaria
della famiglia».

Giovanni Pirovano




Per evitare incendi, abbatti gli alberi…

Cari missionari,
circa il summit di Johannesburg
e l’antiamericanismo
cui si riferisce Mercedes
Bresso, presidente
della provincia di Torino
(vedi Missioni Consolata,
dicembre 2002, pag. 25),
credo necessarie alcune
puntualizzazioni.
1 – Mentre a Johannesburg
le Ong si davano da
fare per evitare che il vertice
si risolvesse nel solito
fiasco, in Oregon G.W.
Bush, dopo l’ennesima estate
di incendi ed altri disastri
provocati in gran
parte dall’irresponsabilità
umana, proclamava: «Per
diminuire il rischio di incendi
e danni a persone e
cose, facciamo abbattere
più alberi alle compagnie
del legname… così le fiamme
non avranno più combustibile».
Chi sono, dunque, i veri
antiamericani? Come fa il
presidente del paese più
potente del mondo a sorvolare
su tantissimi suoi
concittadini che hanno già
pagato un prezzo altissimo
alla dissennata politica
di deforestazione? Come
può ignorare che gli Usa
hanno già perso oltre il
90% delle loro foreste e
che il taglio di alberi ha innescato
una catena di alterazioni
ecologiche che ha
distrutto habitat preziosi,
provocato l’estinzione o
quasi di specie animali e
vegetali un tempo diffusissime,
compromesso l’integrità
fisica di milioni e milioni
di americani?
2 – Non tutti gli ecologisti
sono antiamericani e
non tutti gli americani sono
antiecologisti. Come
ha dimostrato Julia Butterfly
Hill (con i due anni
passati sulla sequoia
Luna), ci sono negli Usa
persone che compiono
grossi sacrifici, pur di evitare
che la Pacific Lumber
(una compagnia che Bush
ha invitato ad aumentare il
taglio dei boschi per il
«bene dell’economia» e la
«sicurezza» dei cittadini)
aggiunga alla pingue lista
dei suoi scempi anche le
ultime foreste di sequoie
(alberi, tra l’altro, assai resistenti
agli incendi; tant’è
che i fabbricanti di estintori
hanno «copiato» le
molecole presenti nella
corteccia di questi stupendi
giganti). Sono più antiamericani
quelli che si riconoscono
nelle idee di Julia,
espresse nel libro La
ragazza sull’albero, o quelli
che si riconoscono nelle
idee degli uomini della
Timber Pacific e della Casa
Bianca?

Il summit di Johannesburg
(settembre 2002)
ha riguardato lo sviluppo
sostenibile: quindi rispettoso
dell’ambiente.
Ma i risultati sono stati
modesti… Sul tema scottante
«ecologia», forse
possiamo imparare qualcosa
dall’Australia (cfr. il
dossier di questo mese).

Mario Pace




Incalzati dal corano

Egregio direttore,
scrivo a proposito della
lettera anonima, inserita
nell’articolo «da musulmani
a cattolici» (Missioni
Consolata, dicembre
2002). Io sono d’accordo
con la lettera, e non rimango
certo anonimo.
Finché in Arabia Saudita
e Yemen non verrà legalizzata
la costruzione di
chiese o di altre espressioni,
come si può parlare di
democrazia e libertà?
La dichiarazione dei diritti
dell’uomo sulla parità
di opportunità fra uomini
e donne non è stata firmata
dall’Arabia Saudita.
Tutti gli stati arabi sono
retti da sistemi non democratici.
Egitto, Tunisia e
Marocco, che si dicono
«tolleranti» (?), sono governati da anni dagli stessi
politici; nei matrimoni misti
o nel rispetto di altre
fedi sono ben lungi dall’essere
liberali.
L’islam è strutturalmente
contro una società aperta
(vedi Popper) e liberale:
quindi nei fatti
contro la carta dei diritti
dell’uomo. Il serafico
dott. Scialoja le sa queste
cose o continua a far finta
di nulla? Anche la chiesa
cattolica è stata, per secoli,
non liberale e totalitaria.
Dobbiamo attendere
ancora tre secoli per vedere
un islam rispettoso dei
diversi?

Il rispetto dei diritti umani
può essere accelerato
dal confronto fra tutti.
Fra cristiani e musulmani,
il confronto deve riguardare
l’organizzazione
della vita civile, le leggi
dello stato e i diritti di
libertà, uguaglianza, reciprocità.
I musulmani possono
essere incalzati dal loro
stesso corano; per esempio
con: «Gareggiate nelle
opere buone, ché a
Dio tutti toerete. Allora
egli vi informerà di
quelle cose per le quali ora
siete in discordia» (sura
V, 48).

Alfio Tassinari




Natale a Mogadiscio

Cari amici,
il natale 2002 è stato davvero
speciale. L’ho trascorso
nel «Villaggio Sos»
di Mogadiscio, con alcune
missionarie della Consolata.
È un’oasi di pace nella
lotta, un piccolo paradiso
circondato dall’inferno.
Qui hanno trovato rifugio
anche orfani di guerra e,
nel vicino ospedale, vengono
curati malati che
non saprebbero dove andare
altrove.
La mattina di natale,
mentre la vita in città procedeva
come sempre (il
paese è musulmano), le
suore hanno avuto una visita
inattesa. Alle porte
della comunità cattolica
(l’unica in Somalia) è
comparso Abdiqasim Salad
Hasan, presidente incaricato
del governo di
transizione.
Il presidente ha detto di
aver scelto il natale di Gesù,
un profeta tenuto in
grande considerazione dai
musulmani, per rendere
omaggio alle missionarie
della Consolata che hanno
lavorato nel paese per tutti
questi anni, senza interruzione,
neanche nei momenti
più duri della guerra
civile. Un impegno di
dedizione alla gente, che
ha attirato su queste donne
l’affetto di tutta la popolazione,
anche islamica.
Per esempio, quando fu
rapita suor Marzia, tutti
gli abitanti di Mogadiscio
si riversarono sulle strade
per chiedere che venisse
immediatamente liberata,
come poi accadde. Nella
capitale tutti ricordano
l’episodio, e lo stesso Abdiqasim
l’ha citato.
Davanti alla gente che si
accalcava di fronte alla casa
delle missionarie, il
presidente ha detto che,
nella nuova Somalia, ci
sarà sempre posto per la
chiesa cattolica. Un bel
dono natalizio alla comunità
della Consolata.
Il discorso del presidente,
trasmesso per radio e
televisione, è stato diffuso
in tutta Mogadiscio e in
gran parte dei territori vicini.
È stato un discorso
che sollecita il dialogo e la
collaborazione per il bene
comune tra persone di religioni
diverse.
Le missionarie in Somalia
continuano a pregare e
lavorare, affinché il paese
sia ricostruito, per il bene
di tutti, sulle fondamenta
della riconciliazione e della
pace.

Da anni il paese è in
preda all’anarchia, diviso
in tre stati: Somaliland,
Puntland e Somalia. Ma
il 27 ottobre 2002 a Eldoret
(Kenya) «i signori
della guerra» hanno sottoscritto
un fragile accordo
per il «cessate il fuoco». Però è un passo verso
la direzione giusta.

p. Vincenzo Salemi




«Secondo me» e «secondo Dio»

Egregio direttore,
sembra che il solo portare
il nome di Cristo includa
spesso il martirio. Fra tanti
episodi, c’è stata anche
la strage in Nigeria in occasione
del concorso di
bellezza (come se fossero
stati i cristiani a volerlo).
Razionalmente parlando,
diventa assai difficile,
davanti a certe situazioni,
accettare ed aiutare molti
immigrati, quando essi,
nel loro paese, annientano
ogni presenza che non sia
sostenuta dal vessillo della
mezzaluna. L’integralismo
islamico avanza con
disinvoltura, sfruttando la
rabbia di molti, promuovendo
terribili iniziative.
Detto questo, propongo
una riflessione su che cosa
significhi essere cristiano,
oggi come ieri. La riflessione
non parte dal
mio «sentire», altrimenti
non è più il cristiano che
parla. Il «secondo me»,
molto spesso, non corrisponde
al «secondo Dio».
«Noi predichiamo Cristo
crocifisso, scandalo
per i giudei e stoltezza per
i pagani» diceva l’apostolo
Paolo, conscio che l’evento-
Cristo aveva portato
una tale rivoluzione di
sentimenti da lasciare per
lo meno stupiti. Cristo-
Dio, per amore, decide di
farsi piccolo e morituro
come la sua creatura; non
sceglie ricchezze né sfarzi
mondani, ma povertà e umiltà;
vive in prima persona
le cose straordinarie
che predica e sconvolge ogni
nostro ideale di santità
e giustizia.
E noi cristiani, se vogliamo
definirci tali, siamo
chiamati a seguire le
sue orme, anche se può
sembrare impossibile. Egoismi
e pregiudizi ci impediscono
di vedere come
Lui vede. Saremo giudicati
proprio sullo spazio che
abbiamo fatto all’«altro»,
diverso, povero, emarginato,
malato. Il capitolo
25 del vangelo di Matteo
(sublime affresco del giudizio
divino che ci attende
tutti) non lascia dubbi al
riguardo.
Cadono allora tutti i discorsi
di salvaguardia della
fede in modo chiuso ed
arroccato sulle proprie sicurezze
e presunte superiorità,
che non fanno che
generare «cristiani» smarriti
e paurosi, i quali, dietro
lo scudo crociato, difendono
solo i propri interessi
e comodità. Il
Crocifisso non può mai
essere simbolo di arroganza
e prevaricazione…

Grazie delle ricche riflessioni.
La lettera ne
contiene altre, che ci auguriamo
di presentare
nel prossimo numero.

Mario Manescotto




DUE «ACUTI » IN UN QUARTETTO

Manifestiamo apprezzamento per la
collaborazione a Missioni Consolata di
Giulietto Chiesa, giornalista che stimiamo
per la sua documentazione e coraggiosa
denuncia. Lo ha dimostrato anche
con il suo primo articolo «La strega Saddam
e l’inquisizione di Bush», da voi pubblicato
in dicembre.
Sperando che i pressanti appelli del papa
alla pace e alla giustizia possano trovare ascolto
non solo fra chi segue la vostra rivista, noi
continuiamo a leggerla con interesse. Apprezziamo
l’impegno sociale, proprio dei missionari, e le testimonianze dei vostri redattori.
ALDO DA BOIT E TAMARA PREST

Anche il cardinale Camillo Ruini, a nome dei vescovi
italiani, ha condannato la guerra.

Ho letto il dossier sull’Iraq di dicembre.
Sono rimasta delusa.
Non mi aspettavo dalla vostra rivista
idee del genere. Certamente,
se i vostri giornalisti
sono Giulietto Chiesa e altri
che non conosco (tipo Cesare
Allara), non ci si può aspettare
qualcosa di diverso.
Criticare totalmente l’operato
degli Stati Uniti, unica vera democrazia,
e quasi assolvere governi dittatoriali (dove
non c’è libertà di voto, di parola, di religione) è
inaccettabile. Attribuire tutte le conseguenze dell’embargo
agli Stati Uniti, senza tener conto delle
colpe di un dittatore quale Saddam, è immorale.
Trovo non giusto, inoltre, l’atteggiamento di don
Fredo Olivero nel trattare con i musulmani in Italia.
Pare che egli dimentichi che Gesù Cristo ci chiede
di predicare il vangelo a tutti i popoli, mentre
sembra che lui voglia nascondere la propria fede,
non so se per paura di ritorsioni o per quieto vivere.
Non è questo l’atteggiamento di un cattolico.
MARIA MONETTI

La «strega» Saddam Hussein non viene assolta. D’altro
canto, ci pare un po’ esagerato definire gli Stati Uniti
«unica vera democrazia».

Complimenti per Missioni Consolata! È l’unico vero
faro nell’editoria non di parte… Mi chiedo: fino
a quando continueremo ad essere schiavi di Washington?
Trovo scandaloso che i paesi civili si considerino
democratici, mentre in realtà sono più incivili
dei cosiddetti «paesi canaglia». Questi sono
«canaglia», perché non amano più i super-eroi Usa,
che decidono tutto su tutti.
Faccio presente al patrono del petrolio, G.W. Bush,
che per sconfiggere il terrorismo non lo si alimenta.
Non è scovando il cattivo Bin Laden o rovesciando
il diavolo Saddam che l’israeliano andrà in
pizzeria tranquillo. Finché si fanno gli interessi solo
di una parte, l’altra inevitabilmente non ha nulla
da perdere… Perché chi dice «no» all’America o
non la comprende è giudicato terrorista?
Io forse, signor direttore, sogno, ma mi lasci sognare.
L’Onu dovrebbe sanzionare gli Usa! Solo così
noi, paesi leccapiedi, capiremmo che l’America è
un paese troppo intrigoso.
Complimenti anche ai vostri collaboratori Francesco
Rondina e a Giulietto Chiesa.
ALESSANDRO

Alessandro, esageri anche tu, specie
quando ritieni Missioni Consolata l’«unico
vero faro nell’editoria non di parte». È
poi necessario distinguere tra la politica
del presidente Bush e il comportamento
del popolo statunitense.
Sbaglia chi colpevolizza l’intera
nazione americana.

Purtroppo mia mamma è deceduta.
Pertanto non inviate più la rivista al
suo recapito, anche perché ho fondate ragioni per
ritenere che alcuni numeri siano stati cestinati da
alcuni condomini maleducati e contrari alla nostra
religione. Della mamma restano i suoi santi insegnamenti.
A fronte di una lettrice che per forza maggiore vi
ha lasciato, eccone uno nuovo: il sottoscritto. A
questo proposito, mi permetto di suggerire una politica
promozionale con uno sconto ai nuovi abbonati
e, magari, un piccolo dono a chi effettua nuovi
abbonamenti a parenti e conoscenti.
Leggo con piacere Missioni Consolata, anche se
ogni tanto non condivido le opinioni espresse in
qualche articolo (vedi il dossier sull’Iraq).
LETTERA FIRMATA

Essendo Missioni Consolata diventata Onlus (Organizzazione
non lucrativa di utilità sociale), non sono
consentiti lanci promozionali di abbonamenti. In compenso
si possono sostenere progetti di solidarietà…
Benvenuto nella grande «famiglia» dei lettori della
rivista e grazie anche del suo cortese rilievo critico.

AAVV




Dopo le «alte sfere»

Caro direttore,
mi sono trasferito definitivamente
a Rosà, dopo 52
anni di missione nel terzo
mondo. Se credete opportuno
inviarmi ancora Missioni
Consolata, fatelo al
nuovo recapito. Ero compagno,
nel seminario di
Padova, del vostro missionario
Domenico Zordan,
con il quale ho poi collaborato
in Kenya ed Etiopia
come delegato della
Santa Sede e dell’Unesco.

Certo, don Cipriano,
che le invieremo la rivista,
anche perché lei è rimasto
sulle «alte sfere»
con semplicità e generosità.
Ne è prova l’amicizia
con il compianto padre
Domenico Zordan.

don Cipriano Rossi




«Scusate,non siamo credenti…»

Spettabile rivista,
ho ricevuto il vostro interessantissimo
«speciale»
sul Kenya e sono rimasto
impressionato per le magnifiche
cose che i missionari
e le missionarie fanno
in quel paese (ed anche in
altre nazioni povere ed emarginate).
Vi ho spedito
una modesta offerta e vi
prego di inviarmi per posta
un altro paio di moduli
per versamenti in conto
corrente postale.
Vorrei precisare che io e
mia moglie non siamo credenti
(ci scuserete!), ma
ammiriamo profondamente
tutto quello che voi e altre
organizzazioni fate per
gli emarginati di tutto il
mondo.
Non avete senz’altro bisogno
del nostro incoraggiamento;
ma (per quanto
può contare) vi preghiamo
vivamente di andare avanti
così: noi, anche se non
frequentiamo la vostra
chiesa, vi saremo sempre
vicini e vi ringraziamo per
quanto fate.

Come missionari, riteniamo
che i non credenti
siano rarissimi. Forse non
esistono affatto, perché
Dio (a modo suo!) si rivela
a tutti. E poiché la fede
è un dono del Signore, se
uno ritiene di non averlo,
non si deve scusare con
gli uomini.
Gli amici di Sover sono
non credenti? Non ci
sembra proprio, dato il
loro comportamento.

Lettera firmata




Pace in Sudan?

Cari amici,
grazie per lo «speciale»
sui 100 anni dei missionari
della Consolata in
Kenya. Un numero speciale
anche nel titolo indovinatissimo:
«KENYA, AMORE
NOSTRO». Vivendo in
questo paese da molti anni
e conoscendovi bene, il
mio complimento non è una
pura formalità…
Vi invio pure questa foto
di giornale, che non
parla di… «amore»: riguarda
il Sudan, il più grande
paese dell’Africa. Superfluo
ogni commento, con
la speranza che la foto resti
solo… una foto.

La foto ritrae una donna,
dell’etnia dei dinka,
con un fucile a tracolla e
un figlioletto sulla schiena.
È un’immagine sconvolgente.
Siamo in Sudan,
un paese che da 20
anni è alle prese con una
guerra civile fra il nord arabo-
islamico e il sud tradizionale-
cristiano: una
guerra che ha causato oltre
2 milioni di morti.
Ma il 20 luglio 2002 a
Machakos (Kenya) è stato
sottoscritto un accordo di
pace tra il governo sudanese
e il movimento di liberazione
del Sud-Sudan
(Spla). Funzionerà?

Giorgio Ferro




Ancora su «Kenya, amore nostro»

Cari amici redattori,
questa volta non scrivo
per una delle mie solite
puntualizzazioni, ma per
rallegrarmi con voi per
l’ottima riuscita del numero
speciale, dedicato ai
100 anni dei missionari
della Consolata in Kenya.
È stato chiarificatore di
molte inesattezze nell’immaginare
la realtà della
missione e ha aiutato ad
ammirare il coraggio di
questi uomini e il mistero
della loro vocazione. Senza
una chiamata divina, è
impossibile andare (e restare)
in luoghi così lontani
e inospitali.
Mi ha molto colpita la
pratica di circoncisioni e
delle mutilazioni sessuali.
Dolorosissime! Ma che significato
hanno? Si praticano
ancora? Come può il
missionario indurre il
cambiamento di certi costumi?
Mi piacerebbe saperlo.
Ancora un «bravissimo!
» ai redattori, così documentati
e competenti.

Alle «mutilazioni sessuali» abbiamo dedicato
un dossier (cfr. Missioni
Consolata, maggio 2002).
Ma occorre considerare il
fenomeno presso ogni
popolo e cultura, senza
generalizzare. Di regola
le mutilazioni sono legate
ai riti di «iniziazione», attraverso
i quali si realizza
l’entrata degli e delle adolescenti
nella vita completa
del gruppo di appartenenza.
Le mutilazioni
cui si sottopongono i
ragazzi sono da considerarsi
una prova di coraggio
(cfr. Achille Da Ros,
Popoli e culture, Emi, Bologna
1982).

Giulia Guerci