Don Antonio, ricorda quel panino?

Cari missionari,
«pace e gioia» è il mio augurio,
accompagnato dalla
preghiera perché diventi
realtà in tutto il mondo.
Questa mattina vi ho
mandato un’offerta per le
vostre missioni in Kenya,
perché oggi nel paese, e
precisamente a Nyahururu,
viene consacrato il primo
vescovo, Luigi Paiaro,
missionario fidei donum
di Padova, che da 40 anni
opera in Kenya. Penso
che molti di voi, specialmente
anziani, l’abbiano
conosciuto.
Qualcuno avrà forse
sentito parlare anche del
sottoscritto, che è stato un
po’ il fondatore della missione
padovana in Kenya,
perché ha provveduto all’erezione
delle prime
missioni in anni difficili.
Adesso, a 94 anni, sono
il decano dei sacerdoti e
devo accontentarmi, mentre
a Nyahururu si fa festa,
di seguirla con la preghiera
nella cappella di
Maria Immacolata.
Mi preme soprattutto
dirvi che noi, preti padovani,
siamo molto debitori
ad alcuni vostri missionari,
ormai in paradiso. Il
mio pensiero va a monsignor
Carlo Cavallera, che
ci ha invitato a collaborare
con voi, ai padri Mauro
Andrione, Camisassi, Cagnolo,
Sestero, Condotta,
Toselli, senza dimenticare
i «fratelli» e le suore. Tutti
ci hanno sempre dato un
buon consiglio, un’accoglienza
fratea, un esempio
di fede; ci hanno aiutato
a seguirli nelle vie del
Signore. Dal paradiso anch’essi
oggi giorniranno con
noi e continueranno a intercedere
presso il trono
di Dio.

Antonio Moletta è
«don», ma anche «monsignore». Lo precisiamo
per evidenziare la sua
semplicità.
A proposito: don Antonio,
ricorda un giorno
di giugno del 1968? Toavamo
da un convegno
missionario a Roma: lei era
direttore del Centro
missionario diocesano di
Padova e chi ora le risponde
era uno studente
di teologia. Allo studente
(squattrinato) lei offrì un
passaggio in auto fino a
Treviso, nonché un panino
e un’aranciata… Bei
tempi, don Antonio!

don Antonio Moletta




«Quello»… non si tocca!

Egregio direttore,
mi riferisco all’editoriale,
«Tre domande» (Missioni
Consolata, marzo 2003).
Il vangelo di Giovanni
presenta un Dio che si incarna
per amore dell’uomo.
Nei sinottici questo
concetto non sembra contraddetto.
Non appare evidente,
cioè, la diversa
impostazione dei vangeli
espressa nell’editoriale e
che, se ben considerata,
conduce a due concezioni
antitetiche, delle quali
quella privilegiata dall’editoriale
porta ad una
conclusione inquietante.
Secondo l’articolista, infatti,
la seconda persona
della Santissima Trinità
non si identifica con il Gesù
di Nazaret, perché questi
sarebbe entrato a far
parte di essa secondariamente,
per assunzione
(innalzamento da uomo a
Dio), e non sarebbe stato
sempre coevo con le altre
due persone della Trinità.
Qui compare una contraddizione,
perché, dicendo
che confondiamo la
preesistenza del Verbo
con quella di Gesù, dissociamo
Gesù dalla seconda
persona della Trinità e,
ammettendo che Gesù di
Nazaret è entrato in seguito
nella Trinità, sembra
che ne aumentiamo il numero
delle persone.
Nell’incarnazione non è
l’uomo Gesù che è entrato
in Dio e ha cambiato il
volto di Dio. L’uomo, imperfetto,
non può cambiare
Dio, perfetto. È Dio
che cambia l’uomo, perché
si abbassa a lui per amore,
entrando nella storia
e innalzandolo a Sé col
farlo Suo figlio.
Facciamo attenzione a
non cedere all’antica tentazione
di rovesciare i
concetti, assolutizzando la
vita terrena rispetto a
quella celeste e lasciando
riaffacciarsi un materialismo
che, cacciato dalla
porta, sembra rientrare
dalla finestra.
Se non ho ben capito,
mi si potrà correggere.

Dante Alighieri, al termine
de La Divina Commedia,
immerso nei misteri
dell’incarnazione
del Verbo e della Trinità,
esclama: «All’alta fantasia
[quella del grande
poeta] qui mancò possa»
(Paradiso, XXXIII, 142).
E noi che dovremmo
dire? I misteri della fede
non si toccano. E, certamente,
la vita terrena non
è un assoluto.

Luciano Montanari




«Sommo piacere»

Gentile direttore,
porto a conoscenza, quale
figlia del dott./prof. Antonio
Polito, cui è indirizzata
Missioni Consolata, che
mio papà ci ha lasciati per
sempre.
Egli era particolarmente
grato ai missionari della
Consolata, poiché essi riuscirono
a fornire notizie esatte
sul fratello maggiore
(papà era il più piccolo di
sette fratelli), anch’egli
medico durante la guerra
d’Africa: era volontario,
ma presso gli inglesi.
Orbene la mamma del
medico in guerra, non ricevendo
più notizie, si rivolse
al vostro Istituto che
la tranquillizzò, dopo aver
avuto notizie dai missionari
che erano in Africa.
Noi desideriamo, in memoria
di papà e per nostro
sommo piacere, continuare
a ricevere Missioni
Consolata.

Grazie di cuore. Ma il
vostro «sommo piacere»
non è un po’ eccessivo?

Luisa De Meo Polito




Voto di non violenza

Carissimi missionari,
apprezzo molto i vostri
approfondimenti sulla diversità
delle culture nel
mondo. Il tema della pace
e della giustizia diventa ineludibile
nella riflessione
sulle relazioni tra i popoli.
Anche a me sta a cuore la
conoscenza e il rispetto
delle differenti tradizioni
culturali e religiose. È
giunto il tempo di vivere
la frateità nel nome di
Gesù risorto, rifiutando
ogni logica di dominio,
sopraffazione, sfruttamento,
disprezzo o eliminazione
dell’altro.
Perché non proporre a
tutte le congregazioni missionarie
«il voto di nonviolenza»?

«Il voto di non violenza» non rientra nei canoni
del Diritto Canonico.
Tuttavia merita considerazione.

Filippo Gervasi




A scuola di pace

Signor direttore,
le sottoponiamo la lettera
che, quali insegnanti della
scuola elementare di Cutrofiano
(LE), abbiamo
rivolto al presidente della
Repubblica italiana e al
presidente del Consiglio
dei ministri.
«Signor presidente,
le scriviamo nel nostro
ruolo sociale di formatori
e di educatori. Da alcuni
anni, sollecitati anche dal
Ministero della pubblica
istruzione, siamo impegnati
a educare le nuove
generazioni ai valori della
pace, della giustizia, della
salvaguardia dell’ambiente
e della convivenza
pacifica. Cerchiamo con i
nostri alunni di cogliere
l’importanza delle altre
culture e tradizioni religiose,
che nella loro diversità
domandano attenzione,
rispetto e valorizzazione.
Dovendo affrontare gli
inevitabili conflitti interni
o estei alle nostre
classi, ci alleniamo quotidianamente
in uno stile
educativo che privilegia
l’ascolto, il dialogo, l’analisi
delle «ragioni» di ciascuno,
per arrivare ad un
accordo, un’intesa, un
compromesso accettabile
e garante del rispetto di
tutti.
Insegniamo ai nostri
ragazzi il rispetto delle istituzioni
nazionali e inteazionali,
sostenute
esse stesse da leggi che
dovrebbero tutelare il
bene del singolo e della
collettività.
Abbiamo capito la fondamentale
importanza
della conoscenza e del rispetto
dei diritti umani,
che l’Onu è chiamata a
tradurre in scelte politiche
ed economiche da
proporre ai singoli stati,
perché diventino regole
di vita sociale.
Per questi motivi, riteniamo
doveroso manifestare
DISSENSO ad ogni
scelta del nostro paese
che voglia perseguire il
rispetto del diritto attraverso
l’uso della forza e
della violenza delle armi.
Condividiamo l’opinione
di quanti sostengono
che è finito il tempo di
giustificare la forza, mentre
occorre impegnarsi
per rafforzare la giustizia.
Gli insegnanti
della scuola elementare
di Cutrofiano – LE
(seguono 15 nominativi)

AAVV




SE NON AVESSE DETTO «GUAI A VOI, RICCHI!»…

Caro direttore, da un suo editoriale apprendo che,
ogni anno, 40 milioni di persone muoiono di fame,
mentre tante vacche europee ricevono… un sussidio
giornaliero di 2,20 euro. Che vergogna!
La parola di Dio interpella tutti i credenti. La fede
deve mettere in discussione anche le nostre scelte economiche,
come pure l’uso dei beni personali e comunitari.
Nel vangelo Gesù dichiara: «Chi non rinuncia
a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo»
(Lc 14, 33).
Ho letto un libro che illustra «la chiamata dei cristiani
alla povertà». È il libro di CARLO MIGLIETTA, CONDIVIDERE
PER AMORE, Gribaudi, Milano 2003.
L’autore riporta anche la testimonianza di Arturo
Paoli, «piccolo fratello» per anni fra i poveri dell’America
Latina. Il missionario, riflettendo sull’impatto
che Gesù ebbe nell’uditorio con il suo «guai a voi,
ricchi!», pone un’inquietante domanda: «Chi è stato
messo al bando della società israelita, chi è stato crocifisso:
il Cristo delle beatitudini o il Gesù delle maledizioni?
Se Gesù avesse detto solamente “beati voi
poveri!” e non avesse aggiunto “guai a voi, ricchi!”,
sarebbe stato messo in croce?» (Ivi, pag. 86).
Il libro è in sintonia con gli ideali di Missioni Consolata.
È dedicato a padre Silvano Sabatini, vostro
missionario fra gli indios di Roraima (Brasile).
Caro direttore, «Condividere per amore» merita una
bella presentazione.

Una bella presentazione? Certamente, ed è la sua,
signor Agostino. Noi aggiungiamo che Carlo Miglietta,
medico, padre di famiglia e biblista, ha scritto pure:
«L’evangelo del matrimonio. Le radici bibliche della
spiritualità matrimoniale», «Perché il dolore? La risposta
della Bibbia», «La famiglia secondo la Bibbia.
I fondamenti della vita
matrimoniale». Volumi
tutti editi da Gribaudi.
«Condividere con amore» è
reperibile anche presso la
LIBRERIA «MISSIONI CONSOLATA», Via Cialdini 2/a –
10138 Torino;
tel/fax 011 447 66 95;
e-mail: libmisco@tin.it
Il dottor Miglietta cede i
proventi, derivati dai diritti
di autore, in favore degli
indios di Roraima.

AGOSTINO BERNARDI




Il papa e la «piccola guerra» in Iraq

Spettabile redazione,
spero di ricordarmi ancora
il vostro indirizzo. Non
mi sono più abbonato a
Missioni Consolata, per il
vostro antiamericanismo.
Ora mi vedrei più che mai
in dissenso; DISSENSO anche
verso il papa, che paventa
una piccola guerra
in Iraq, ma si dimentica
dei milioni di cattolici
massacrati nel sud Sudan.
Tuttavia il mio dissenso
non vuole colpire i missionari.
Ho ricevuto oggi una
gradita lettera dall’Etiopia;
desidero contraccambiarla
accludendo alla presente
un’offerta per i missionari
di quella regione.

La guerra in Iraq costa
226 euro a ciascuno degli
oltre 6 miliardi di abitanti
del nostro pianeta,
senza contare il valore inestimabile
delle vite annientate.
Davvero una
«piccola guerra»?
Il papa, poi, è uno dei
pochissimi che condanna
tutte le guerre.

dr. Renzo Mattei




NON SERVONO NÉ «CHIERICI» NÉ «LAICI»

Ho letto con sorpresa la lettera di FERRUCCIO GANDOLINI
(Missioni Consolata, gennaio 2003) sull’ospedale di
Wamba (Kenya). Il signor Ferruccio auspica anche un ampio
«servizio» sull’ospedale.
Certamente i 38 anni di ininterrotto lavoro del dottor SILVIO PRANDONI, in questo ospedale, sono il più bell’elogio del laicato missionario. Silvio è un laico missionario che non solo ha rinunciato alla carriera per stare con i poveri, ma ha anche saputo suscitare un giro di amici e volontari che offrono sostegno economico e servizi specializzati all’ospedale.
Tra loro spicca l’amico TIBERIO, da poco in pensione solo
perché le gambe non lo reggono più.
Non va dimenticato che il laicato missionario è stato possibile grazie alla collaborazione (talora sofferta) con le forze «clericali» locali: a cominciare dal vescovo Carlo
Cavallera, fondatore della diocesi
di Marsabit e dell’ospedale,
dal suo successore monsignor
Ambrogio Ravasi e dal
nuovo vescovo di Maralal, Virgilio
Pante. Né si scordino le missionarie
della Consolata, che
nell’ospedale hanno dato il meglio
della loro vita, le suore indiane
dell’Immacolata e i missionari
della Consolata che hanno sostenuto e amato l’ospedale.
D a quando è nata la diocesi di Maralal, opero come amministratore:
quindi sono anche responsabile dell’ospedale
di Wamba, che è una… patata ben cotta, profumata
e appetitosa, ma anche bollente.
I problemi sono tanti: aumento della povertà della gente
(oltre a non avere mutua o assicurazioni mediche, spesso
non ha neppure i soldi per pagare il minimo che l’ospedale
richiede per medicine, cure e degenza); insicurezza,
razzie e scontri tribali; alti costi di gestione (medicine, salari,
manutenzione); trasporto (siamo a quasi 400 Km da
Nairobi, di cui gli ultimi 100 su strada sterrata); mancanza
di elettricità e di un acquedotto pubblico; il complicarsi
delle patologie mediche, la stabilità e la qualificazione
del personale medico e paramedico… Sono elementi che
rendono gravoso il lavoro. La responsabilità di raccogliere,
ogni anno, 450 mila euro per il funzionamento ordinario
dell’ospedale farebbe perdere il sonno a più di uno.
È in gioco il futuro dell’ospedale, e il bene dei poveri.
Nessuno ha le soluzioni in tasca: né i «chierici» (non
per forza clericali) né i «laici» (non necessariamente anticlericali).
Solo una sincera e aperta collaborazione fra tutti
può aiutare ad affrontare con novità, verità e carità i bisogni
e i problemi di una splendida
opera d’amore, qual è
l’ospedale di Wamba: «la rosa
del deserto».
Non c’è bisogno né di clericalismo
né di laicismo, ma di persone
che, come Prandoni, i missionari
e le missionarie, siano
disposte a pagare di persona,
senza paura del confronto o
dissenso, facendo bene il bene,
come voleva il beato Giuseppe
Allamano.
Ben venga qualcuno dalla penna
facile che scriva sull’ospedale! Gli ammalati samburu,
turkana, rendille, borana, gabbra, meru, kikuyu e quanti beneficeranno
dell’ospedale saranno felici se i loro amici aumenteranno,
se ci saranno persone, dall’Europa e dall’Africa,
con il coraggio di dedicare la vita ai poveri come il dottor
Prandoni, che ritiene che la parola «pensione» non
abbia diritto di cittadinanza nel suo vocabolario…
Mi sono fatto aiutare a scrivere questa lettera, perché le
mie mani sono più abituate alla chiave inglese che alla penna.
E non vorrei che, con questa lettera, succedesse ciò che
avviene quando stringo la mano agli amici: data la «morsa», spesso faccio loro fare una smorfia di dolore.

P. MARIO LACCHIN




Carenza di obiettività?

Caro direttore,
ho letto con molto interesse
il DOSSIER sull’università
cattolica del Mozambico
(Missioni Consolata,
febbraio 2003). Però su alcuni
aspetti l’ho trovato
carente di obiettività circa
coloro che hanno dato un
sostanziale contributo alla
realizzazione dell’università.
Per esempio: non è stato
dato il giusto riconoscimento
a padre Lorenzo Ori
che, lasciato il Kenya, ha
diretto i lavori di ricostruzione
del complesso di
Nampula; non sono stati
menzionati i lavori finanziati
dall’Associazione di
volontariato «Insieme»
(AVI), che con encomiabile
impegno ha raccolto l’equivalente
di un milione
di mattoni (circa 370 mila
euro) e ha finanziato la
scuola pre-universitaria di
Cuamba, dedicata alla memoria
di padre Eugenio
Menegon, composta di
ben 10 fabbricati.
A quel tempo sembrava
che, senza la scuola pre-universitaria,
la facoltà di agraria
di Cuamba incontrasse
difficoltà a nascere!
(Una foto di questo complesso,
al posto del monumento
alla Coca-Cola, sarebbe
stata più opportuna).
Si poteva anche
accennare al Centro nutrizionale
per bambini di
Cuamba, sostenuto da alcuni
anni dalla nostra Associazione
e che quest’anno
sarà ristrutturato con
ben 50 mila euro.
Non voglio ricordare gli
impegni che abbiamo in
Kenya (prossima apertura
di un ospedale), né quelli
in Mozambico… Tutte
queste cose non si potevano
ignorare, perché l’autore
del dossier conosce benissimo
l’attività della nostra
Associazione, che opera
a fianco dei missionari
della Consolata da oltre
17 anni.
Il vero volontariato è discreto
e silenzioso, ma ignorarlo
completamente è
riduttivo del suo grande
apporto. Mi riferisco alle
associazioni che non hanno
finanziamenti pubblici,
ma che quotidianamente
sono impegnate a raccogliere
fondi vendendo torte
e fiori davanti alle chiese
e nei mercati per aiutare
i paesi poveri…
Perché Missioni Consolata
parla così poco del volontariato?

Più che di carenza di obiettività,
si è trattato di
lacune. E siamo grati al
presidente dell’AVI di averle
colmate. Tuttavia
occorre ricordare che le
lodevoli e importanti opere,
realizzate dall’AVI
in Mozambico, sono indipendenti
dall’università
cattolica.
Parliamo poco del volontariato?
L’abbiamo
fatto in marzo con il progetto
«acqua per la vita»
di Matiri (Kenya); lo facciamo
in questo mese (vedi
l’articolo sul Madagascar).
E, se l’AVI scrivesse
un articolo, saremmo
felici di pubblicarlo.

Gino Merlo




Di padre in figlio

Spettabile redazione,
vi informo che mio papà
Floro, abbonato da molti
anni a Missioni Consolata,
ci ha lasciati per il suo
«meritato riposo». Sarei
lieto di ricevere a casa mia
la vostra rivista, che attraverso
lui ho imparato a conoscere
e ad apprezzare.
Grazie del vostro lavoro.

Il messaggio ci fa molto
piacere, perché «la rivista
missionaria della famiglia
» resta in… famiglia.

Giancarlo Telloli