Cuba fucila i dirottatori

Egregio direttore,
la visita di Lula, presidente del Brasile, a Cuba marca in maniera netta il diverso approccio dei paesi latinoamericani dalle prese di posizione europee. Mi pare il caso di ripensarle: dal punto di vista dell’informazione, innanzitutto, sono state stravolte.
La fucilazione dei tre dirottatori è stata presentata come se Cuba avesse innalzato un nuovo muro di Berlino; invece ha punito, in base alle sue leggi, dei dirottatori la cui azione non violava solo le leggi, ma si poneva contro lo stato, inserendosi nella guerra che gli Stati Uniti conducono da quasi 50 anni. Scandalizzarci di quelle esecuzioni, non mi pare che abbiamo titolo.
C’è un crimine più vasto, la guerra, che abbiamo approvato in Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Afghanistan, ecc.
Chi inizia una guerra sa di condannare a morte migliaia di innocenti e, tuttavia, abbiamo ritenuto percorribile questa strada. Guerra di bombardamento, basata sulla supremazia di chi la scatena, coperta da motivazioni umanitarie, quando si sa che tutte le guerre sono fatte per motivi inconfessabili, con l’aggravante di creare ad arte situazioni di scontro e presunte violazioni dei diritti umani (vedi la falsa strage di Racak o del mercato in Bosnia-Erzegovina). Guerre per espandere il dominio e mantenere l’ingiusta ripartizione dei beni, che condanna alla fame e alla morte milioni di persone.
Toando ai fatti, si è dimenticato che gli Stati Uniti usano affondare le imbarcazioni sottratte a Cuba. Inoltre, pur esistendo una regolamentazione legale degli espatri, essi la violano con la concessione di un lavoro e casa.
Un tempo la sopravvivenza di Cuba fu assicurata dall’Unione Sovietica. Ora la Russia ha ritirato il presidio militare che aveva sull’isola, e gli Stati Uniti attaccano, a suon di bombe, ogni stato che ritengano di porre sotto tiro.
Dunque, il succo vero della nostra meraviglia mi sembra quello di inchinarci ai desideri della superpotenza e di preparare il terreno alle sue future guerre. In fatto di democrazia, dubito che abbiamo il diritto di giudicare quella degli altri; mi parrebbe giusto fare il punto su quella di casa nostra.
Non credo che l’atteggiamento assunto nei confronti di Cuba possa essere d’aiuto, affinché la democrazia si accresca in questo paese. La democrazia esige comprensione e rispetto, non scontro, tantomeno ingerenze estee e collusione con dei lupi rapaci.
Lo sviluppo della democrazia a Cuba presuppone il venir meno dell’assedio degli Stati Uniti, non un rafforzamento o l’attacco finale. Ignorando le ragioni di Cuba, abbiamo anche sacrificato gli interessi delle imprese italiane ed europee. Anche questo sembra una costante della politica italiana ed europea: i nostri veri interessi scompaiono di fronte a quelli degli Usa.

Siamo contro la pena di morte in qualsiasi paese. Sul regime di Cuba abbiamo espresso il nostro parere con l’editoriale di gennaio 2003: parere che ribadiamo.

Giuseppe Torre




Il compito in classe di Federico

Sul petrolio si basa l’economia del mondo, quasi nulla funziona senza di esso, e non essendocene in tutti i luoghi, molti paesi lo devono comprare da altri o prenderlo in altri modi.
Secondo me, la guerra in Iraq è avvenuta perché il presidente degli Stati Uniti crede di essere una specie di Giulio Cesare. Bush pensa che il mondo sia ai suoi piedi e vuole arricchire il suo «impero» con il petrolio dell’Iraq. L’Iraq dovrebbe essere una potenza economica, possedendo enormi giacimenti di petrolio, invece si arricchisce solamente il governo.
Il presidente degli Usa ha dichiarato guerra all’Iraq con il pretesto del terrorismo e di voler salvare il popolo, ed è entrato in guerra con tutti i suoi aerei militari e carri armati devastando il paese e radendolo al suolo, uccidendo moltissime persone innocenti. Alla fine agli Stati Uniti saranno pagati miliardi di dollari per ricostruire il paese che hanno distrutto.
Molti soldati americani sono dei ragazzi annoiati della propria vita, che non sanno neanche per quale motivo combattono, ma vogliono solo vivere un’avventura alla Rambo, sparando a qualunque cosa si muova o respiri, a volte anche agli alleati. Una delle cose che mi da più fastidio è che ora fanno le campagne pubblicitarie per aiutare l’Iraq, dopo averlo bombardato. Ci sono anche i terroristi, però molti si difendono solo dagli statunitensi con le armi che hanno a disposizione.
In Italia il presidente del consiglio è Silvio Berlusconi, mia mamma dice che è un leccapiedi di Bush e che in Europa sta facendo fare all’Italia una figura da pagliacci, ad esempio quando ha dato del nazista a un deputato tedesco. Questo giudizio vale anche per le sue riforme sulla sanità e sulla scuola; Berlusconi è venuto su e si è fatto i miliardi grazie ai soldi sporchi della mafia e quando è salito al governo li ha ricambiati con cariche pubbliche e favori personali.
Dato che molti di quelli che sono al governo sono mafiosi fatti salire da Berlusconi, non sanno niente di quello che fanno e sono controllati da quest’ultimo. Il governo italiano ha voluto mandare dei soldati ad aiutare gli Stati Uniti; secondo me, i 19 soldati uccisi in Iraq non erano andati lì per liberare un popolo (dopo avergli mandato delle bombe), forse alcuni sì, ma la maggior parte di loro lo ha fatto perché il proprio stipendio veniva quadruplicato; a me, dispiace siano morti, perché erano comunque esseri umani, però hanno scelto di andare e sapevano di correre questo rischio.
Secondo me la televisione sta cercando di drammatizzare troppo questo evento, per esempio chiamandoli tutti «ragazzi», mentre alcuni avevano 50 anni.
Federico, terza media – Torino

E d ecco il giudizio globale dell’insegnante: «Partendo dagli Stati Uniti, hai fatto un utile giro in Italia, esprimendo giudizi non sempre sostenibili storicamente (devi fare attenzione a riportare giudizi ascoltati, se non sei sicuro di quanto affermi). Positiva la forma, a parte qualche incertezza (dovevi dichiarare perché hai scelto questo periodo storico)». Questo è il giudizio sintetico: «Forma: quasi buona. Contenuto: sufficiente».
La rivista missionaria della «famiglia» ha dato spazio ad un componimento scolastico, che coinvolge una mamma, un figlio di 14 anni e una docente. L’argomento è per noi centrale: la guerra.

Federico




I poveri aumentano o diminuiscono?

Caro direttore,
in questi giorni ho avuto modo di assistere ad una interessante conferenza a Pesaro, tenuta dal professor Dominick Salvatore, apprezzato economista italiano che vive ed insegna presso la Fordham University di New York. Tra varie cose interessanti, il prof. Salvatore ha affermato che, anche e soprattutto a causa della globalizzazione economica, i poveri nel mondo erano 1 miliardo e 100 milioni nel 1982, mentre oggi sono calati a circa 600 milioni.
Non ho motivi di dubitare di queste cifre, anche per l’autorevolezza e la stima che nutro nei confronti del professore: tra l’altro noto editorialista anche de Il Sole 24 Ore.
Le chiedo: è possibile approfondire su Missioni Consolata questo argomento, con un dibattito articolato e con l’apporto di relatori competenti?

In attesa di un eventuale approfondimento, riportiamo alcuni dati dal Rapporto della Fao (Fondo delle Nazioni Unite sull’agricoltura e l’alimentazione), dal titolo «Lo stato dell’insicurezza alimentare nel 2003».
Dal citato Rapporto si apprende che, al presente, sono 798 milioni le persone denutrite nei paesi in via di sviluppo; 34 milioni quelle nelle nazioni mediamente sviluppate; 10 milioni coloro che soffrono la fame nelle regioni ricche e industrializzate.
Oggigiorno, rispetto agli anni ’90, le vittime della denutrizione sono circa 18 milioni in più. Pertanto si allontana sempre di più l’obiettivo di ridurre del 50% i morti di fame entro il 2015.

Giovanni Pirovano




Rimanere giovani

Cari missionari,
«Non fate alcuna cosa che non vi riempia la pancia». Frase fatta, sentita molte volte, durante e subito dopo l’ultima guerra mondiale. Era un insegnamento per la sopravvivenza.
Oggi, dopo anni di ricostruzione e lavoro, le cose sono migliorate, e la fame tra noi è quasi inesistente. A tal punto che gli insegnanti modei raccomandano il rovescio della medaglia: «Mantenete la linea, non mangiate troppo».
Slogan pubblicitari, bombardati continuamente nelle orecchie e nei cervelli da togliere quel po’ di sorriso rimasto sulle labbra dei giovani e la gioia di vivere, riducendo i sentimenti a cose futili. Voi, missionari, potete fare qualcosa? Sì. Grazie a Dio, avete personaggi validi per spiegare valori ben superiori ai suddetti.
Abbiamo bisogno di conoscere, per amare meglio, Colui del quale ci si può veramente fidare. Rimanere in silenzio, in certi momenti, è utile e doveroso. Il dialogo, a volte, si riduce all’essenziale: dono di amore, richiesta di ascolto, compagnia premurosa. Ecco di che cosa ci si può riempire il cuore e la mente (senza proporre sempre la pancia piena o vuota).
Parlare ai giovani di nostro Signore, vero Dio e vero uomo. Lo si può fare anche a puntate, quali:
– Gesù e i maestri della legge;
– le predicazioni alle folle;
– i colloqui sussurrati ad alcuni personaggi;
– le guarigioni e la risurrezione (con la sua commozione e compassione);
– le conversioni e il perdono dei peccati…
È giusto che questi argomenti vengano sviluppati sulle vostre riviste al posto di pettegolezzi e notizie vergognose. Alla maggioranza delle persone vere interessano le verità, dette da persone competenti, in modo comprensivo e rispettoso.
La fantasia, i desideri di sapere dov’è il bello e il buono concorrono a farci rimanere giovani nello spirito, a riempire il cuore di gioia, ad amare ciò che si apprende. Non vale la pena tentare questa sfida?

Per tante persone di buona volontà, la domanda finale è retorica. Ma è anche una provocazione, un incoraggiamento.

Cherubina Lorusso




Detronizziamo la pace

Circa 10 anni or sono Marco Lodoli scrisse un romanzetto anarchico, di cui non ricordo il titolo. I protagonisti erano tre giovani libertari e ingenui che avevano della politica un’idea tutta poetica. La loro prima azione fu quella di rubare Gesù bambino dal grande presepe di San Pietro.
«Secondo le loro menti bizzarre bisognava – a detta dell’autore stesso – simbolicamente interrompere quel ciclo che ogni anno a Natale festeggia la nascita del bambino divino e a Pasqua poi lo crocifigge». E aggiunge: «Bisognava liberare il neonato da un destino feroce, mandarlo a giocare con gli altri bambini».
Prendiamo questa «parabola» come filigrana attraverso la quale contraddistinguere ed individuare la particolarità del discorso cristiano che, con l’incarnazione, si discosta da quello religioso per rivestire i panni della «profanità». Dio, in Gesù Cristo, esce dalla sua solitudine ontocratica per identificarsi con l’uomo, con la sua precarietà, la sua mondanità e, appunto, la sua «pro-fanità», nel senso etimologico del termine. Non l’uomo surrettiziamente imbalsamato dentro il tempio del potere e dell’avere, ma l’uomo nella sua nudità, per il quale «non c’è posto in albergo».
Contro la tendenza, ricorrente e naturale, dell’uomo a consacrare le cose, sottraendole all’uso comune e riservandole alla divinità, il Dio di Gesù Cristo si «sconsacra» diventando uomo comune e compagno di viaggio. La comunione e non la separazione; la condivisione e non l’appropriazione; il darsi e non l’accaparrarsi. «Prendete e mangiate; prendete e bevete; ecco: questo sono io…».
Questo coinvolgimento di Dio nella storia dell’uomo, questo suo frammischiarsi nelle vicende umane è liberante, ma anche molto impegnativo per noi credenti, perché è alla base di una consapevolezza per la quale Gesù Cristo non è solo un nome proprio, ma anche un nome comune; non sta ad indicare solo una persona, ma anche un programma; per cui la sua immanenza non diventa prigionia, così come la sua trascendenza non costituisce evasione.
I nomi comuni di Dio, allora, letti nel versante della nostra contingenza, sono molti: Pace, Amore, Giustizia, Servizio, Condivisione e altri ancora. La loro residenza è là dove l’uomo mette piede; non certamente sui troni: luoghi o-sceni nei quali, per paura e per pigrizia, i potenti amano relegare i sogni degli uomini perché restino tali. I troni creano distanza ed incutono soggezione; è per questo che la deposizione dei potenti dai troni è un atto liberatorio che solo un Dio detronizzato può compiere. Ed è per questo che tutti gli intronizzati tentano di rimettere sul trono i loro idoli: Pace o Libertà che siano.
«Stiano lì, in alto, sul trono delle utopie!» ci dicono. E da quella altitudine sarà difficile che possano cortocircuitare le politiche belliciste o le economie armate. «Stiano lì, lontano, nei sogni delle anime imbelli!» ci ripetono. E in questa lontananza sarà più facile travisare le strategie imperiali e battezzare con nomi capziosi realtà di violenza.
Per i detentori del potere un Dio vicino fa paura ed una pace a portata di mano mette imbarazzo. L’evangelista Matteo narra che alla notizia della nascita del Messia «il re Erode si turbò, e con lui tutta Gerusalemme». Loro, i grandi, amano pregare un Dio lontano e invocare una pace che voli alto.
Ma noi sappiamo che, da quando Dio ha posto la sua tenda tra noi, la vera pace cammina con i piedi dei «Francesco», non vola sulle ali dei Condor.

Don Aldo opera in una terra che lo scrittore Ignazio Silone portò alla ribalta con il romanzo Fontamara (1930). Gli abitanti di Fontamara (località antica quanto oscura nella regione Abruzzo) sono contadini, chiamati «cafoni». Come in tutti i paesi, anche a Fontamara vigono gerarchie.
Scrive Silone:
«In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo… Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito…».

don Aldo Antonelli




La guerra, le guerre a scuola

Caro direttore,
mi rivolgo a lei, ma i giudizi che esprimo sono da estendersi a tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione del numero monografico di ottobre-novembre 2003 «La guerra. Le guerre».
L’ampiezza, la profondità, la collocazione cronologica di quanto esposto semplicemente come corretta cronaca… fanno sì che il lavoro dovrebbe figurare anche nei testi scolastici; a mio giudizio, sarebbe un’ottima guida per gli insegnanti che volessero educare i giovani ad una ripulsa in assoluto della guerra come mezzo per superare i conflitti.
La presentazione grafica è di qualità decisamente superiore, così come le immagini e l’agilità dei testi. Mi preme sottolineare anche il coraggio dei singoli autori, che, sottoscrivendo i loro articoli, si sono esposti a giudizi malevoli e forse non solo a quelli. In questo modo si è data testimonianza alla verità del tutto coerente alla posizione costantemente espressa da Missioni Consolata.
Secondo mia moglie Paola, il numero monografico è «coraggioso, tosto, ineguagliabile».

«Ineguagliabile» è troppo!… Ricordiamo che «La guerra. Le guerre» descrive, in 132 pagine, tutti i conflitti bellici presenti oggi nel mondo. Il numero della rivista – come ha scritto il signor Andolfi – merita veramente di entrare nelle scuole medie e superiori. Alcuni insegnanti l’hanno già assunto. Altri lo possono fare richiedendolo al nostro indirizzo.

Feando Adolfi




Come padre Luigi

Cari missionari,
Missioni Consolata mi piace molto. È sempre ricca di servizi con temi di varia natura. Apprezzo gli articoli riguardanti i missionari; li ammiro tantissimo, perché danno tutto, compresa la vita.
Io ne so parecchio, essendo anche cugina di padre Luigi Andeni, ancora oggi rimpianto da tutti in Kenya.

Andreina Biondi Ferrari




Grazie, padre Franco

Egregio direttore,
se crede opportuno, la prego di far pervenire a padre Franco Soldati la seguente lettera.
«Carissimo padre Franco, mi hanno detto ciò che ti è capitato. Pertanto hai dovuto cedere e sei tornato in patria, nella nostra civiltà… avanzata, che ti farà vivere più a lungo, finché i medici non ti molleranno. Tu hai detto: fiat.
Tu che in Kenya, insieme al professor Operti, hai compiuto «il miracolo delle stampelle» per tanti poliomielitici (miracolo che il tuo caro fratello, padre Gabriele, ha pure filmato)… tu che hai ridonato la speranza (anche umana) a tante persone, oggi ti ritrovi blocccato per sempre.
Mi dicono che anche la tua mente… vagola.
Così le estremità del corpo (testa e gambe) incominciano odorare di… aldilà.
Volevo venirti a trovare ad Alpignano, dopo 32 anni dal nostro ultimo incontro in Kenya. Ma ho preferito non disturbare i tuoi ricordi. Preferisco ricordarti «in cammino», per aiutare i malati nel corpo e nello spirito. Preferisco rivedere i miei filmati, fatti a Tuuru nel 1971, le foto, le lettere che i miei alunni spedivano ai tuoi bambini…
Grazie di esserti donato a tutti. Grazie ai tuoi confratelli che ti stanno vicino con tanta tenerezza.

A padre Franco Soldati, 83 anni, rientrato dal Kenya per ragioni di salute, sono stati amputati interamente gli arti inferiori. Il 4 gennaio scorso moriva ad Alpignano (TO) nella «casa anziani» dei missionari della Consolata.

Tanina Vitale




Ragazzi peruviani in prigione e…

Egregio direttore,
sono una signora che si tiene in comunicazione con alcuni ragazzi prigionieri in Perù e, tramite loro, ho saputo che hanno letto Missioni Consolata di ottobre-novembre. I ragazzi mi hanno chiesto se riuscivo a reperire loro anche i numeri successivi della rivista. Non essendo abbonata, ho provato a cercarli nelle edicole, ma senza risultato.
Finalmente ho trovato il vostro indirizzo contattando un amico che, gentilmente, mi ha aiutata.
Grazie per la vostra rivista molto interessante.

Straordinario questo rapporto tra la signora Nina e i ragazzi peruviani in carcere.

Nina Loy




La vita è sempre missione

Sono un’animatrice missionaria e non so a chi scrivere. Ma devo contattare, in qualche modo, qualcuno dei missionari della Consolata per dire grazie di aver mandato nella nostra parrocchia i padri Pietro Moretti e James Lengarin.
Mentre facevo una valutazione dell’andamento della nostra comunità parrocchiale (molto complessa, perché numerosa e con tante realtà), mi rendevo conto di quanto lavoro si sia fatto da quando ci sono i padri Pietro e James. Solo se i «pastori del gregge» sono forti e perseveranti nella provvidenza di Dio può avvenire questo.
Si, è vero: stiamo cambiando il nostro modo di vedere la parrocchia, la quale sta diventando un vero e proprio campo di missione. Diciamo: una piccola Africa a portata di mano. È questo che i nostri padri cercano sempre di insegnarci: vivere nella comunità e per la comunità, come una seconda casa, una famiglia, dove ogni componente deve sentire corresponsabilità che diventa «con-passione» per il prossimo.
Io appartengo, in un certo senso, ai missionari della Consolata, soprattutto da quando, tre anni fa, partecipai al pellegrinaggio Torino-Assisi-Roma, in occasione del centenario dell’Istituto Missioni Consolata. Quella meravigliosa esperienza ha dato un senso alla mia esistenza, delle risposte chiare: fare missione ovunque mi trovo. Non importa se non andrò in Africa. Voglio che la mia vita sia sempre missione.
Ma questo ideale svanisce subito se non si hanno testimonianze forti accanto. Queste le ho avute e le abbiamo con i padri Pietro e James, «i padri col grembiule», sempre «al servizio», anche solo per farti «una scrollata di pianto come sfogo».
Ringrazio il beato Giuseppe Allamano per la vocazione di questi missionari; ringrazio la Provvidenza che li ha mandati nella nostra parrocchia.
Grazie a chiunque legga questa lettera.

I padri Pietro Moretti e James Lengarin (il primo già missionario in Kenya e il secondo un samburu dello stesso paese) sono stati rispettivamente parroco e viceparroco di Galatina (LE). Oggi padre Pietro opera a Bedizzole (BS) e padre James a Martin

Maria Luce Bianco