Dopo 30 anni

A Missioni Consolata sono interessata per:
1°, perché mi è molto utile come strumento di informazione e documentazione per le attività di educazione allo sviluppo nella scuola, date le tematiche di carattere globale che affronto;
2°, perché ho conosciuto e apprezzato la rivista durante un’esperienza estiva fatta presso alcuni missionari della Consolata, in Tanzania, una trentina di anni fa.
Oggi ho provveduto a fare il versamento per il 2004. Sono impegnata pure come volontaria in una Ong sarda (Osvic).

E così ci ritroviamo… dopo 30 anni. Che bello

Giulia Polloni




Una garbatissima protesta

Egregio direttore,
fermo restando il giudizio positivo già espresso sul vostro lavoro, mi spiace dover segnalare il mio disappunto per come è avvenuta la pubblicazione di una mia lettera.
A parte le modifiche del testo originario (che comunque non incidono sul contenuto), mi sembra spiacevole l’effetto complessivo. A distanza di mesi il lettore potrebbe legittimamente non ricordare l’intervento di G. Chiesa e tanto meno le obiezioni del lettore di Perugia. L’impressione, quindi, è che il giornale pubblichi un intervento polemico un po’ gratuito e che prenda le distanze da chi pensa di poter dare dell’idiota ad altri con una certa leggerezza…
In compenso, proprio in seguito a questo episodio, ho scoperto quanti sono i lettori attenti di Missioni Consolata! Scrivo con una certa frequenza anche altrove e non mi era mai capitato che tanta gente insospettabile venisse a chiedermi se sono io «quello che…». E quest’ampia diffusione fa piacere a tutti noi.
Egregio direttore,
fermo restando il giudizio positivo già espresso sul vostro lavoro, mi spiace dover segnalare il mio disappunto per come è avvenuta la pubblicazione di una mia lettera.
A parte le modifiche del testo originario (che comunque non incidono sul contenuto), mi sembra spiacevole l’effetto complessivo. A distanza di mesi il lettore potrebbe legittimamente non ricordare l’intervento di G. Chiesa e tanto meno le obiezioni del lettore di Perugia. L’impressione, quindi, è che il giornale pubblichi un intervento polemico un po’ gratuito e che prenda le distanze da chi pensa di poter dare dell’idiota ad altri con una certa leggerezza…
In compenso, proprio in seguito a questo episodio, ho scoperto quanti sono i lettori attenti di Missioni Consolata! Scrivo con una certa frequenza anche altrove e non mi era mai capitato che tanta gente insospettabile venisse a chiedermi se sono io «quello che…». E quest’ampia diffusione fa piacere a tutti noi.

Signor Claudio, grazie dell’attaccamento a Missioni Consolata, espresso dal finale «tutti noi», che la rende in un certo senso parte della nostra «famiglia». Grazie anche della sua garbatissima protesta. Soprattutto, apprezziamo che lei non dia ad alcuno dell’«idiota» con leggerezza e gratuità.

Claudio Belloni




Perché siamo così

Egregio direttore,
le sarò grato se tenterà di rispondere a questa domanda: perché il Creatore dell’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza e il cui corpo è tempio dello Spirito Santo, lo ha costretto a non assimilare completamente i liquidi e i solidi di cui deve nutrirsi, e, peggio, lo ha costretto alla fastidiosa umiliazione di subire l’ultima fase della digestione e di espellere sostanze repellenti?
Anche Gesù Cristo, risorto col suo corpo (benché trasfigurato), e la Madonna, trasferita col corpo in una condizione esistenziale superiore, hanno avuto bisogno di nutrirsi: quindi hanno subìto la conseguenza dell’ultima fase della digestione?
Gesù, per dimostrare ai discepoli che era veramente risorto col corpo e non era un fantasma, chiese loro qualcosa da mangiare e mangiò realisticamente uno o più pesci. Pertanto si sottopose, pur avendo un corpo trasfigurato, alla dura legge del metabolismo chimico, fisiologico e alle fasi finali della digestione.
O è tutto un mistero? Così come la forma e l’essenza della risurrezione del nostro corpo?

Lettera anomala, sotto alcuni aspetti… La risurrezione dai morti è «soprattutto» un mistero, un mistero da credere, ma anche da «aspettare», secondo il nostro credo.
Perché Dio ci abbia creati «così» è pure un mistero, anche oscuro. Forse, per renderlo più «chiaro», il filosofo-teologo Karl Barth ha suggerito di mutare il famoso cogito ergo sum di René Descartes in «cogitor» ergo sum. Cioè: esisto, perché sono pensato, sono amato (da Dio).

Aaldo Simonetta




Nessun ponte di cadaveri

Signor direttore,
ha ragione Giulietto Chiesa (Missioni Consolata, gennaio 2004) quando scrive che «servono ponti non muri»; ma si è dimenticato di dire ciò che dicono Sharon e la maggioranza dei cittadini di Israele: che i ponti non devono essere fatti con i cadaveri degli ebrei.
Nello stesso giorno in cui avveniva lo scambio di 400 prigionieri palestinesi con tre bare di ebrei, una giovane mamma (si fa fotografare con un figlio in braccio che ha in mano una bomba) si è fatta esplodere procurando nuovi «mattoni» per il ponte.
Almeno l’attuale papa condanna anche i terroristi e ritiene gli ebrei «nostri fratelli», anche se è meglio sorvolare sull’atteggiamento assunto nel passato dalla chiesa verso gli ebrei. La parola «deicidio» non l’ha inventata Hitler.
Ha ancora ragione Chiesa quando dice che il terrorismo in Iraq prima non c’era, perché prima i curdi e gli sciiti morivano gasati (le famose armi, che ora non si trovano, sono volate in cielo?). Anche gli iracheni morivano a migliaia, dopo la tortura patita nelle prigioni sotterranee di Saddam Hussein.
Prima, Saddam ha potuto fare la guerra per otto anni all’Iran, occupare il Kuwait, farsi decine di palazzi favolosi e, per ultimo, dopo la cattura, dichiarare di aver 40 miliardi in Svizzera (cfr. Corriere della Sera, 30 dicembre 2003) e così permettere agli ipocriti di dire che, se il popolo era in miseria, la colpa era degli Usa (vedi embargo). Era meglio prima per gli orfani di Saddam!
Tutti questi fatti quando li ha descritti Giulietto Chiesa?

I «ponti» non si fanno con cadaveri, né israeliani, né palestinesi, né…
I «ponti», come le chiese, si costruiscono con «pietre vive» (cfr. 1 Pt 2, 5).

Rinaldo Banti




Scuola di pace

Cari amici,
permettete che mi rivolga a voi in questo modo. Ho già avuto modo di complimentarvi per Missioni Consolata: è una delle poche voci fuori dal coro; riesce a informare con coraggio e coinvolgere nell’umano che ci circonda.
Leggo la vostra rivista da anni (non troverete il mio nome, perché il nome dell’abbonato «storico» è Maria Cometto, che non è più tra noi, ma che mi ha lasciato tra le altre anche questa buona eredità).
Sono tra i cornordinatori della Scuola di Pace della diocesi di Albano Laziale, frequentata da una cinquantina di persone. Ho sempre ricavato dalla vostra rivista notizie e riflessioni per stimolare le mie e altrui ricerche. La monografia su La guerra. Le guerre. Viaggio in un mondo di conflitti. E di menzogne è straordinaria (cfr. Missioni Consolata, ottobre-novembre 2003).
Mi permetto di inviarvi il programma della Scuola di Pace per il 2004. Se potete darci una mano (anche con suggerimenti), saremo felici di accogliere le vostre idee. Grazie per quello che state facendo.

Tenete duro con la Scuola di Pace. Suggeriamo di collegarvi al sito de «La Scuola per l’alternativa» www.
scuolaperalternativa.it
Si veda anche l’articolo sulla nonviolenza nel presente numero.

Gianmarco Machiorlatti




A tutto gas

Caro direttore,
Missioni Consolata di gennaio è più che mai ricca di intuizioni, di punti interrogativi, di frecce puntate in alto! Ho intravvisto fortissimi richiami «a vederci meglio, per non travisare contenuti che, per essere cristiani, non possono con furbizia essere cambiati per oro, che oro non è…». Ho ricompreso come la missione sia a 360°: universale.
Lo dici forte anche tu, direttore, nel «Ritoo al futuro», nella «Sfida infinita» e altrove… Per cui, sempre più, sento la riconoscenza verso di te, verso di voi, per la vostra pacata arditezza; questa non chiede una verità tra compromessi, ma chiede di fare la verità nella carità, a costo anche del martirio. Non è poco.
Auguri, caro direttore, e avanti a tutto gas… Nella gioia di sentirmi, nella nostra Consolata, con voi uno di voi, assicuro preghiere.

Chi scrive è il «senatore» dei missionari della Consolata: lucido, fedele, sereno… a 93 anni!

p. Giuseppe Mina




Caro genitore, caro soldato

L’ articolo di Paola Bizzarri sui bambini-soldato (Missioni Consolata, ottobre/novembre 2003) mi ha suscitato la seguente riflessione.
Anche nei paesi supersviluppati esistono meccanismi molto subdoli. Pertanto succede che, invece di lavorare e guadagnare in conformità alle istanze evangeliche della pace e nonviolenza, alcuni ragazzi (ma anche ragazze), col pieno consenso dei genitori, cedono all’idea che la carriera militare sia il migliore antidoto e la migliore prevenzione contro le malattie chiamate «stress da disoccupazione, precarietà permanente, flessibilità acuta, decontribuzione cronica, postumi da Co.Co.Co., Legge Biagi», ecc.
Ebbene: credo che sia arrivato il momento di dire a questi poco più che bambini (e soprattutto ai loro familiari) che, dicendo sì al servizio militare, si dice sì ad un sistema di ingiustizie, sperequazioni e prevaricazioni. Lungi dal contribuire a creare un’Italia più credibile, un’Europa più forte e un mondo più democratico, si collabora con forze maligne (umane e sovrumane), che vogliono la rovina dell’Italia, la disgregazione dell’Europa, lo sfacelo del pianeta.
Molti genitori si sono amaramente pentiti di essersi lasciati abbindolare dalla propaganda militarista e dalla vergognosa retorica sull’«amore di patria», sul soldato italiano, inglese o americano «costruttore di pace» e sulle guerre giuste.
Non mi riferisco solo ai genitori di giovanissimi militi, morti negli scontri a fuoco con i nemici o vittime di attentati-kamikaze, ma anche ai genitori di ragazzi deceduti dopo avere subito atti di nonnismo nelle caserme, a quelli caduti sotto il cosiddetto «fuoco amico», a quelli di reclute che hanno pagato a carissimo prezzo le disattenzioni e il pressapochismo dei superiori. Mi riferisco ai genitori che i figli li hanno persi per colpa di leucemie e patologie, contratte per esposizione all’uranio contenuto nelle cluster-bombs, nei missili e in altri ordigni usati nelle tanto osannate «missioni di pace».
C aro giovane e caro genitore, la «patria» che ti chiede di legare la storia della tua famiglia a quella delle forze armate è la stessa patria che, poi, ti abbandona quando rimani ferito, menomato, irradiato… oppure quando perdi il figlio, la figlia, il marito, il fidanzato. È la patria «welfare dei nababbi», che tratta i poveri come se fossero ricchi e i ricchi come se fossero poveri (vedi le ultime leggi finanziarie, il progetto di riforma delle pensioni, la legge sul falso in bilancio che crea il terreno ideale per nuovi mostruosi crack, come quello della Parmalat).
È la patria che indennizza con 11 milioni di lire il giovane poliziotto, rimasto paralizzato dopo essere stato colpito a tradimento da malviventi, e con 6,13 miliardi il suo coetaneo dentista, che riporta lesioni a una mano dopo un incidente stradale.
È la patria che applaude e appoggia Bush nella guerra contro l’Iraq, perché Saddam Hussein rifiuta di consegnare il suo arsenale di armi chimiche, ma poi, coi suoi ministri Martino, Marzano, Pisanu, Tremonti e Frattini decide di dotare il suo esercito di materiali d’armamento «atti a determinare danni alle popolazioni o agli animali, a degradare materiali o a danneggiare le colture e l’ambiente…» (Decreto del 13 giugno 2003, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 luglio 2003).
Caro genitore e caro aspirante soldato, per riportare una patria così sulla retta via, è indispensabile una serena ma ferma obiezione di coscienza: obiezione all’uniforme, alle spese militari, all’operato dei piani piramidali ecclesiali (piani alti, indubbiamente; ma non sempre stare in alto tra gli uomini significa essere più vicini a Dio!), che partecipano all’attuazione delle politiche imperialiste e guerrafondaie.
Si pensi alle diocesi militari e ai loro «vescovi-generali», che inviano cappellani militari al seguito dei marines e dei loro alleati…

È un intervento provocatorio, che sottoponiamo al giudizio dei lettori.
Sul tema complesso della nonviolenza, si veda anche l’articolo «Giù il mitra, signore!» in questo stesso numero della rivista.

Lettera firmata




La guerra non piace, ma

Cari missionari,
le guerre sono sempre di più e le violenze sempre più atroci, anche perché troppi uomini sono affascinati dall’idea della guerra e provano un immenso piacere nel far male ad altri uomini o nel vedere, attraverso i mass media, scene reali o simulate di tortura, mutilazione, morte.
Riuscite a spiegare in altro modo il boom del «turismo di guerra», il crescente interesse che riscuotono i «war games della domenica» e le dimensioni assunte dal fenomeno del mercenariato?
Continuiamo pure a dire che guerra e terrorismo sono frutto dell’ingiustizia; ma diciamo anche che persino in Italia (che vari stereotipi vorrebbero abitata da uomini con una specialissima attitudine per la pace) la guerra piace, a tal punto che molti connazionali si arruolano nelle milizie irregolari e negli eserciti privati, quando vedono che non è possibile con le forze armate regolari.
Mario Pace
Fano (PS)
Post scriptum
E che dire della «battaglia delle arance» di Ivrea, dove, con il pretesto della fedeltà a tradizione e folclore, ogni anno decine di persone restano ferite in modo anche grave e oltre 2,5 milioni di arance vengono sprecate?
Come possiamo credere all’italiano amante della pace e alieno per natura da ciò che è violenza, quando si arriva a spendere 100 euro (in Cina è il mensile di un metalmeccanico) per salire sopra un carro del carnevale e partecipare al getto di arance da posizione privilegiata?

La guerra non piace a nessuno, ma… «serve». Almeno lo si spera e lo si fa credere sempre e dovunque.
Prima dell’ultimo conflitto contro l’Iraq, un editoriale rilevava: «Il motivo di fondo [per una guerra preventiva] pare essere la posizione geopolitica che l’Iran occupa nell’area medio-orientale. Il Medio Oriente, in particolare i tre stati maggiori produttori di petrolio e di gas naturale (Iraq, Iran e Arabia Saudita) è un’area vitale per l’economia degli Stati Uniti: potervi accedere liberamente è d’importanza fondamentale per tutto l’Occidente» (La Civiltà Cattolica, 18 gennaio 2003).
Che poi si raggiunga subito lo scopo è un altro discorso, e un altro ancora che si entri in un’«avventura senza ritorno». Giovanni Paolo II lo sta gridando da almeno 13 anni. Ma non è ascoltato.

Mario Pace




Foto scandalose?

Spettabile redazione,
ho ricevuto il calendario 2004. Devo dire, però, che le immagini abbinate ai mesi di maggio e giugno mi hanno rattristato; pertanto non posso appenderlo in casa mia: la foto di giugno mi ricorda gli spettacoli mondani (in casa mia non c’è la televisione); la foto di maggio è un richiamo alla perversione sessuale che domina il mondo occidentale.
Perdonate la mia franchezza. Ma sentivo il dovere di esprimere il disagio che ho provato nello sfogliare il calendario.
Lettera firmata
Roveredo in Piano (PN)

Le immagini del «disagio» ritraggono una famiglia di indios yanomami (Brasile) al lavoro (sono «così» da circa 12 mila anni) e una danza cinese della dinastia Tang (del 700-800 d. C.).
Immagini scandalose? Non lo crediamo.

Lettera firmata




Che famiglia!

Cari missionari,
mi è capitata fra mano Missioni Consolata di luglio. Parlava di Etiopia e, visto che abbiamo un figlio etiope (Daniel, 10 anni), l’ho letta volentieri. In Etiopia abbiamo conosciuto padre Tarcisio Rossi, con cui abbiamo collaborato come famiglia e come associazione Addis Beteseb/Nuova Famiglia (Padova).
Alla fine della rivista, con mia grandissima sorpresa, ho trovato un articolo su Toribio (Colombia). Anche da questo paesino, sperduto sulle Ande, abbiamo una figlia indigena: Maria Elena. E voi siete anche lì!
Mi sento molto vicino ai missionari della Consolata (mia moglie è di Torino). La nostra famiglia è italiana-etiopica-colombiana, simile alla famiglia della Consolata (in piccolo naturalmente).
Continuate così. Dio vi benedica.
Vico Bertoli e famiglia
(via e-mail)

Una famiglia italiana-etiopica-colombiana, vicina alla Consolata. Che famiglia missionaria!

Vico Bertoli