Il compito in classe di Federico

Ho letto «Il compito in classe di Federico», terza media (Missioni Consolata, marzo 2004). Avete fatto bene a pubblicarlo. Così ci si rende conto del complesso quadro culturale entro cui un ragazzo è costretto a navigare.
Se le cose scritte da Federico le ha imparate a scuola, è un dramma. Spero di no. È più probabile che abbia assimilato ciò che ha sentito in televisione o al bar. Niente di nuovo: l’America cattiva, Berlusconi mafioso (non sono un elettore del centrodestra)… La sintesi, cioè, delle prediche dei Caruso, Agnoletto, Pecoraro Scanio, Bertinotti, ecc. Anche il nome di Giulio Cesare non vorrei che l’avesse sentito in televisione, anziché averlo letto in qualche pagina di storia.
Fossi il genitore di Federico, me ne preoccuperei.
Angelino Deriu – Bussero (MI)

I genitori di Federico sono preoccupati anche e soprattutto dei contenuti della scuola e del giudizio di qualche insegnante.

Q uando sono nata (nel 1925) mia mamma, devota alla Vergine, mi aveva consacrata alla Consolata.
Nella mia vita sono sempre stata anch’io molto devota alla Consolata. Ogni volta che vado a Torino non manco di confessarmi e comunicarmi al Suo santuario e cerco di contribuire al sostegno delle missioni.
Da quando so leggere seguo le vostre pubblicazioni, che da modesto bollettino sono divenute lussuose riviste. Stavo leggendo il numero di marzo, quando sono sobbalzata sulla sedia: avevo letto le prime righe di «Il compito in classe di Federico».
Ho sfogliato indietro la rivista sino alla prima pagina, credendo di aver preso, per sbaglio, il Manifesto. No, era proprio Missioni Consolata! Ma è possibile – mi son detta – che la redazione di una rivista, che dovrebbe occuparsi di missioni cattoliche, possa cadere nella trappola di un povero studente di terza media?… Ma la rivista era tanto conscia di ciò che stava per pubblicare che ha dato al pezzo adeguata visibilità tipografica.
Ho finito di leggere il bel compitino, con i giudizi (tutto considerato) positivi sia dell’insegnante che della redazione. Ho poi letto la lettera sottostante, di un sedicente dott. Torre, su quel sant’uomo di Fidel Castro. E non mi occorre altro per capire tutto…
Certo: voi siete liberi di pubblicare quello che vi pare ed io sono libera di sospendere il mio contributo alle missioni… Ma il mio pensiero va ai tanti vostri missionari che, nel mondo, diffondono la parola di Dio. Mentre alcuni (pochi) confratelli, nel comodo rifugio di Torino, diffondono la parola di Agnoletto e Cesarini.
Nella mia preghiera d’ogni sera pregherò la Madonna Consolata di illuminare le menti di questi poveretti, che usano il Suo nome per scopi molto terreni e che, con le missioni, non hanno molto a che fare.
Pace e bene.
Mirella Carle – Genova

Signora Mirella, grazie delle preghiere. Abbiamo bisogno estremo dell’illuminazione dello Spirito Santo per intellegere, ossia «leggere dentro», superare i pregiudizi, andare al di là dei luoghi comuni.
Missioni Consolata pubblica tutte le lettere, alle quali risponde con «sì», «no», «distinguo», invitando al dialogo, alla moderazione e riproponendo il quesito evangelico «che ve ne pare?» (cfr. Mt 21, 28). Così per il «compito» di Federico e l’intervento del dottor Giuseppe Torre. La rivista ha pubblicato anche lettere anonime, velenose e ricattatorie, che ci fanno il processo alle intenzioni appellandosi alla… Consolata.
Ci viene in mente un certo Vittorio De Beardi, che nel marzo 1990 scrisse: «La rivista mi interessa quasi unicamente per verificare la profonda degenerazione di tante istituzioni della chiesa, gestite da incoscienti o da perversi come voi».

Angelino Deriu, Mirella Carle




La guerra in Aceh e noi

L a guerra civile insanguina la provincia di Aceh, nell’isola di Sumatra, Indonesia, (cfr. Missioni Consolata, 10 2003). C’è, inoltre, un altro motivo di preoccupazione: la sciagurata gestione del patrimonio forestale.
Se «Aceh» non fa rima con «pace», è perché, oltre alla Mobil, vi sono vari colossi del mondo imprenditoriale e finanziario, i quali, approfittando dell’instabilità politica e degrado sociale, privano l’Indonesia e il mondo di un tesoro ecologico ed economico di primissimo ordine.
Rispetto alle guerre tradizionali, i «conflitti a bassa intensità» (come quello nell’Aceh da 28 anni), oltre a provocare tante vittime civili, sono l’ideale per chi vuole rubare alla natura il massimo rischiando il minimo.
Con la guerra propriamente detta, la foresta equatoriale fa paura, perché qui si concentra il nemico. Invece nei conflitti a bassa intensità la foresta è solo una ricca torta da spartire. Qui la linea di demarcazione tra amici e nemici, terroristi e soldati, patrioti e invasori, bracconieri e ministri dell’ambiente è molto labile.

L’esistenza del grande parco nazionale Gunung Leuser non deve trarre in inganno, né deve illudere che la regione dell’«Ecosistema del Leuser» goda dello speciale patrocinio delle Nazioni Unite (l’Unesco l’ha inclusa nel programma «L’uomo e la biosfera»).
In realtà il Leuser è solo «parco di carta». Autorevoli studiosi temono che la copertura naturale possa sparire entro il 2005. Il disboscamento, messo in atto dalle compagnie del legname pregiato, dalle società cartarie e da coloro che hanno interesse a trasformare il territorio in un’immensa piantagione di tabacco e marijuana, provoca un danno incalcolabile alla biodiversità.
Il Leuser conta circa 25 mila specie di piante e animali: molte rischiano l’estinzione, come orangutan, rinoceronte, elefante e tigre (che, finora, ha tratto scarsissimo giovamento dalla riproduzione artificiale). Sconvolti sono l’assetto idrogeologico e il clima.
Contrariamente a ciò che la geografia può farci pensare (l’Aceh è all’Equatore), oggi a Sumatra periodi di siccità prolungata, capaci di asciugare fiumi di grande portata, si alternano ad alluvioni disastrose, come quella del novembre 2003, che costò la vita a più di 170 persone (tra cui diversi turisti).

A nche contro questo tipo di guerra occorre una seria mobilitazione. Si tratta di una guerra che miete vittime pure sulle isole limitrofe: gli indigeni dell’arcipelago Mentawai rischiano la cancellazione dalla faccia della terra, perché le loro foreste fanno gola a multinazionali e grossi calibri del mondo politico e militare.
Il nostro «sì» alla guerra lo diciamo pure quando fumiamo sigarette o lasciamo fumare (per una malintesa tolleranza). Lo diciamo quando sprechiamo quintali di fazzoletti e tovaglioli di carta. Possiamo accontentarci dell’assicurazione, da parte di certe aziende, che il 30% di tale carta non proviene dall’abbattimento di foreste naturali? E il restante 70%?
Inoltre beviamo caffè.

T empo fa il Wildlife Conservation Society dell’Indonesia denunciò il mercato irregolare del caffè come un motivo di fondo del degrado ecologico e della crisi sociale a Sumatra. Infatti, mentre nella maggioranza dei paesi consumatori il prezzo della tazzina aumenta, i lavoratori nelle piantagioni e i piccoli proprietari ricevono salari sempre più bassi. All’economia Usa il mercato del caffè frutta ogni anno 70 miliardi di dollari, ai paesi produttori solo 5,5.
A Sumatra guadagni miseri spingono i coltivatori a espandere le piantagioni per aumentare la produzione di bacche. Risultato: tra il 1996 e il 2001 la superficie coltivata è cresciuta del 28% e la maggior parte di questa espansione è avvenuta a spese delle foreste naturali, anche «protette»; oltre il Leuser, in grave difficoltà sono i parchi di Barisan Selatan, Berbak, Kerinci Seblat, Way Kambas.
Se vogliamo ridare pace e ambienti vivibili agli abitanti di Sumatra, se abbiamo a cuore la natura e gli animali, cerchiamo di eliminare il superfluo dalla nostra vita. Trasformiamo il tempo e il denaro risparmiati in qualcosa di valido: un libro, una rivista, una lettera di sensibilizzazione. Senza dimenticare LA PREGHIERA!
Chiara Barbadoro
Fano (PS)

Chiara Barbadoro




Uniti si vince

Caro direttore,
partendo da Missioni Consolata, ottobre 2003 (contro le guerre) e dal numero di gennaio 2004 (Iraq in guerra), entrambi ottimi, vorrei sottoporle alcuni rilievi.
1. Noi cattolici non crediamo alla pubblicità, al suo «potere». Altrimenti, perché non inviare il numero contro le guerre ai governanti, a cominciare da Berlusconi, che hanno appoggiato moralmente (e stanno appoggiando direttamente) l’azione (mi astengo dal definirla) di Bush e Blair? Perché non inviare quel servizio perfetto ai giornali (e giornalisti), a cominciare da Libero di V. Feltri, che hanno umiliato e offeso i milioni di cattolici e non, i quali hanno manifestato coraggiosamente contro Bush e la guerra?
2. Noi cattolici siamo divisi, dispersi. La rivista La Civiltà Cattolica, 3 gennaio 2004, scrive: «Già nel 1965 Lazzati riconosceva che, quantitativamente, l’editoria giornalistica cattolica era notevole (circa 2.000 testate), ma notava amaramente che incideva ben poco sull’opinione pubblica. Purtroppo la diagnosi è corretta…». L’articolista concludeva: «Se vogliamo ricompattare il laicato, dobbiamo iniziare a superare la frammentazione del giornalismo cattolico».
Noto che Missioni Consolata, Nigrizia e Missione Oggi si equivalgono (sotto molti aspetti) per chiarezza di linguaggio (parresia, secondo san Paolo e «parlar chiaro» secondo Thomas Merton), per coraggio e impostazione di tematiche. Dico solo: uniti si vince (divide et impera, ci insegnano i Romani, cioè vince chi riesce a dividere l’avversario).
Nota bene. C’è anche il problema di costi. Personalmente, per fare un esempio (tratto dalle Edizioni Paoline), dovrei abbonarmi a Famiglia Cristiana, Letture e Jesus. Si tratta di una suddivisione che non sta in piedi, dato che il prodotto è di un unico «proprietario». Non ci vuole un granché per capire che L’Espresso o Panorama incidono di più.
Ambrogio Vismara
Cuggiono (MI)

Il nostro parere «personale» collima con il suo, signor Ambrogio. Il mondo editoriale missionario, tuttavia, sta camminando verso l’unità con qualche buon esito: ad esempio con l’EMI (editrice missionaria italiana) e la MISNA (agenzia di informazione missionaria). EMI e Misna sono della CIMI (conferenza degli istituti missionari in Italia).

Ambrogio Vismara




Annalena Tonelli martire

Caro direttore,
grazie per lo stupendo articolo-testimonianza su Annalena Tonelli (Missioni Consolata, marzo 2004). Da ottobre dello scorso anno, la sua figura (che avevo conosciuto nel febbraio 1984 a causa del massacro di Wajir, in Kenya), mi «perseguita».
A seguito di quel racconto, con alcuni missionari Fidei donum avevo scritto una lettera di protesta a mons. Ndingi, allora presidente della Conferenza episcopale kenyana per il silenzio dei vescovi.
Annalena, che incontravo talvolta a Nairobi, mi dava la carica. Ringrazio Dio di averla conosciuta.
don Piero Gallo
Torino

Missionaria laica in Kenya e Somalia per 33 anni, Annalena Tonelli fu assassinata a Borama (Somaliland) il 5 ottobre 2003. Una martire vera.

don Piero Gallo




Il compito in classe di Federico

Egregio direttore,
chi le scrive fa parte di una numerosa famiglia di abbonati a Missioni Consolata da lungo tempo. Le considerazioni che seguono vengono dal cuore e dalla mente di una persona affezionata alla rivista, dopo sofferta riflessione.
Leggendo il compito in classe di Federico, a pagina 7 del numero di marzo 2004, rimango veramente sorpresa e profondamente colpita da tre cose.
Primo: un ragazzo di terza media che si esprime secondo quanto ascolta in classe e in famiglia, sicuramente da persone adulte, che ben poco sanno educare all’equilibrio di giudizio con cui un ragazzo deve crescere.
Secondo: il giudizio dell’insegnante, che brilla per genericità e incompetenza, poiché, trattandosi di fatti attuali, non si può parlare di giudizi non sempre sostenibili storicamente e di periodo storico; inoltre l’insegnante dà un giudizio sintetico («forma: quasi buona»), che in italiano non si capisce che cosa significhi.
Terzo: la giustificazione da parte della rivista missionaria che, in ragione della famiglia, pubblica un esempio di assoluta irresponsabilità da parte di adulti, che, invece di biasimare un simile compito e di smorzare i toni di polemiche fin troppo accese, dà spazio esemplare a quanto ogni lettore della rivista mai si aspetterebbe: ovvero che l’argomento per voi centrale sia la guerra, anziché la pace.
Gentile direttore, la saluto cordialmente nella speranza che da parte della redazione prevalga la cortesia di pubblicare anche opinioni diverse da quelle di Federico, della sua mamma, dell’insegnante ed eventualmente della rivista.
Anna Riccetti Billi
Roma

La guerra ci interessa più della pace? Ma scherziamo!?! Crediamo di aver dimostrato il nostro no alla guerra anche con il numero di ottobre 2003, titolato dal lettore precedente «contro le guerre» e da noi «viaggio in un mondo di… menzogne».
Il non aver pubblicato il compito di Federico avrebbe significato l’abbandono al loro destino di due mondi (famiglia e scuola) che, invece, devono incontrarsi, anche scontrandosi… Siamo d’accordo con l’appello all’educazione. Se, talora, non prendiamo subito posizione, è perché lo sanno fare bene i lettori. Lei, signora Anna, ce l’ha confermato.

Anna Riccetti Billi




Nel clamore di sabato notte

Egregio direttore,
le ricordo due piccoli avvenimenti a Torino. Sono pure nascosti. Infatti avvengono di notte, quando il clamore invade la città con le discoteche, i locali di piacere e la tivù assorbe tutti.
In tale contesto un manipolo di persone, «un piccolo resto», si raccoglie in preghiera per sé e per tutti. Questo è iniziato 12 anni fa a S. Maria di Piazza. Poi le veglie sono diventate quattro. È una grazia che Torino abbia una chiesa aperta al sabato notte, per vegliare con buona volontà e sacrificio.
Le chiese sono: 1° sabato, Corpus Domini, via Palazzo di Città 20; 2° sabato, chiesa dell’Immacolata, via Nizza 47; 3° sabato, chiesa N.S. di Lourdes, corso Francia 27; 4° sabato, chiesa S. Maria di Piazza, via Santa Maria 4.
Il secondo piccolo avvenimento (che da 11 anni ha luogo a Torino) è il pellegrinaggio alla basilica di Superga la ii domenica di maggio; si prega la Madonna di Fatima per la pace nel mondo. Partenza alle ore 8,00 dal santuario della Consolata, arrivo a Superga alle 12,00 e conclusione con la messa.
Antonio Strina
(per il gruppo) Torino

Segnaliamo volentieri i due piccoli avvenimenti. Gutta cavat lapidem (la goccia scava la roccia). Cell: 3384736982.

Antonio Strina




“Un personaggio da conoscere”

La FAND, Associazione Italiana Diabetici, è una associazione di volontariato fondata nel 1982 dal dottor Roberto Lombardi, che riunì in una Federazione le numerose associazioni già esistenti, ricche di ideali e di buona volontà, ma divise e senza alcun peso «politico». R. Lombardi introdusse nel mondo del volontariato una strategia dinamica, obiettivi e programmi volti a concretizzare le attese dei diabetici in campo sanitario e sociale.
Una malattia cronica, comune a più del 3% della popolazione e in continua crescita, è divenuta per tanti cittadini ragione di aggregazione, allo scopo di migliorare le proprie conoscenze sulla malattia, curarla meglio e richiedere allo stato (Legge 115/1987) una rete di servizi diabetologici efficiente e diffusa su tutto il territorio.
In Piemonte, la FAND è rappresentata da 15 associazioni, ciascuna con un Consiglio direttivo, un Presidente ed un Coordinatore regionale (il sottoscritto), che fa parte della Commissione diabetologica regionale e del Consiglio nazionale della FAND.
Una volta all’anno il Coordinatore riunisce i Presidenti delle associazioni piemontesi e i loro collaboratori per un aggioamento sui problemi scientifici ed organizzativi dell’assistenza diabetologica. A conclusione di questo annuale appuntamento, viene presentato un «Personaggio da conoscere» per i suoi meriti etici e sociali.

Q uest’anno sono stato particolarmente orgoglioso di presentare un amico, missionario della Consolata: padre Giordano Rigamonti.
La nostra amicizia risale alla fine degli anni Sessanta, quando, lui giovane missionario, ed io, giovane medico, collaborammo con Mani Tese al progetto (realizzato) dall’ospedale di Tosamaganga, diocesi di Iringa, Tanzania. Fummo ancora insieme nel ‘71 per una visita agli ospedali missionari nel nord del Kenya.
Negli anni successivi le nostre strade si divisero, e la sua lo riportò in Kenya, in Tanzania e a tante iniziative missionarie che lo videro protagonista.
Ma un altro evento fece sì che le nostre strade si ritrovassero. A gennaio 2002 terminava l’avventura terrena del dottor Lombardi, e la FAND mise a disposizione 50.000 euro per una iniziativa che lo ricordasse. Tra le proposte avanzate trovò unanime consenso la mia: COSTRUIAMO UNA SCUOLA IN AFRICA.
I padri Mario Valli e Giordano Rigamonti si prodigarono per la definizione del progetto-scuola, che sorgerà a Porò, missione di Morijo, diocesi di Maralal.
Alla nostra riunione annuale padre Giordano è stato accolto con curiosità ed interesse e, man mano che parlava, l’interesse si è trasformato in commozione specialmente quando padre Giordano ha concentrato il suo intervento sull’epidemia di Aids, che sta travolgendo l’Africa sub-sahariana. Trenta milioni di sieropositivi, 3,5 milioni di nuovi casi e 2,5 milioni di morti nel solo 2003!
Saremo capaci, noi occidentali, con la nostra ricchezza e le nostre tecnologie di porre un argine a questo genocidio?
Dice un canto africano: «Quante orecchie occorrono, dunque, ad un uomo per sentire gli altri piangere?».
Grazie, padre Giordano, di averci comunicato così intensamente il tuo personale tormento e di averci aperto orecchie e cuore alla ricerca di un contributo alla soluzione di una difficile sfida.

Gian Maria Ferraris
Coordinatore di FAND in Piemonte

Gian Maria Ferraris




Spudoratamente di sinistra

«Spudoratamente
di sinistra»

Spettabile redazione,
ho letto con molta attenzione gli articoli sulla guerra irachena e ho constatato con amarezza che tutti i commentatori appartengono solo ad un’area politica ben definita (cfr. Missioni Consolata, gennaio 2004).
La pagina di Giulietto Chiesa, poi, mi ha fatto rabbrividire: come può fare tanto il moralista, lui, che prendeva 300 rubli al mese dal Pcus, per raccontarci che in Urss c’era il paradiso e oggi considera venduti i giornalisti di centro-destra?
Un’informazione eticamente corretta doveva dare voce anche ad autori che la pensano in modo diverso, così da dare ai lettori una visione pluralistica del problema, consentendo loro di farsi liberamente una loro idea sul problema, e non solo quella imposta dalla vostra rivista.
Dal prossimo anno non rinnoverò più l’abbonamento (era da parecchi anni che lo facevo) e lo rifarò solo quando sarete informatori super partes, non portavoci soltanto di un’area politica (spudoratamente di sinistra).
Lucia Salvador

Certamente la lista dei commentatori della guerra irachena (tre sacerdoti diocesani, un missionario e un vescovo) poteva essere diversa; e le idee espresse possono essere anche errate. Ma bisogna provarlo con fatti e persone, come i nostri autori hanno argomentato il loro intervento, appellandosi a sant’Ilario di Poitier, a fatti di vita parrocchiale, ecc.
Non basta dire: appartengono tutti solo ad un’area politica. La politica partitica non è garanzia di verità.

Pieve di Soligo (TV)




Signore, benvenute!

Cari missionari,
desidero abbonare anche mia figlia alla bellissima rivista Missioni Consolata. Noi, in famiglia, la riceviamo da anni: è davvero un documento straordinario, da conservare sempre e da meditare.
Pertanto vi prego di mandarmi il conto corrente postale o di comunicarmi il numero per fare il versamento di denaro.
Carla Pavese
Casorzo (AT)

Cara signora Carla, per abbonare sua figlia a Missioni Consolata, può usare il conto corrente postale (ccp), allegato alla rivista stessa, che porta il suo nome; oppure può servirsi del ccp
numero 33.40.51.35
intestato a
Missioni Consolata Onlus
Corso Ferrucci 14
10138 Torino
Speriamo che sua figlia resti soddisfatta, almeno come lei… Così pure la nuova abbonata, signora Angela, appena ritornata dal Kenya.

Sono arrivata da pochi giorni dal Kenya, dove sono stata per due mesi nella missione di Wamba. Ho letto anche molti numeri della rivista Missioni Consolata, trovandola stupenda e subito mi sono abbonata. Ho trovato molto giusto quello che scrivete sui missionari. Veramente io non immaginavo che si adoperassero così tanto.
Stando due mesi, ho capito un po’ di cose; prima ero molto scettica e non pensavo (sono reduce da un grave lutto) di trovare nelle suore un amore così grande sia verso di me sia verso la gente locale.
Gli italiani, che magari sono come me (prima), sappiano che ogni soldo ricevuto dai missionari va veramente a buon fine. Sapeste quanta gente non muore di fame proprio perché ci sono i missionari. A Wamba c’è un bellissimo ospedale, e quanta gente si aiuta! Io sono tornata meno egoista e un po’ più serena.
Per favore, pubblicate questa lettera: è anche un ringraziamento. Grazie, zia Giordana Pia, grazie suor Micarnelita! Grazie a tutte le altre missionarie, delle quali non vorrei sbagliare il nome.
Angela Tosco
Bra (CN)

Anna Avanzi, Angela Tosco




Aids in Africa

aro direttore,
ho letto l’articolo di G. Ferro sull’Aids in Africa nell’ambito della rubrica «Come sta Fatou?» (Missioni Consolata, dicembre 2003). Esprimo alcune perplessità al riguardo.
L’approccio tipico dei media, come di gran parte del mondo sanitario «istituzionale», al problema dell’Aids in Africa è concentrato sul comportamento sessuale individuale. Per spiegae l’enorme diffusione, si parla di promiscuità e di eccessiva attività sessuale, con un’implicita condanna morale per abitudini «esotiche».
Questo approccio compare anche nell’articolo di Ferro, per altri aspetti ottimo, con il folcloristico racconto del re dello Swaziland o della diffusione di poligamia e relazioni extraconiugali (certamente non peculiare degli africani). La soluzione è, quindi, una politica di prevenzione, basata solo sulla sfera individuale (sesso sicuro, preservativi, ecc.).
Alcune pubblicazioni (per esempio: A. Katz, «Aids in Africa», in Zmagazine, 9/03) evidenziano i limiti di questo approccio. Infatti, poiché il 25% di africani subsahariani è colpito dall’Aids, contro lo 0,01-0,1% occidentale, significherebbe per i primi un’attività sessuale 250-2.500 volte superiore! Le ragioni per tale abnorme diffusione devono essere anche e, soprattutto, altre.
È noto che malnutrizione e infezioni croniche (malaria, tbc, parassiti, ecc.) incidono sulle funzioni immunitarie. Ciò probabilmente rende le persone «sane» molto più vulnerabili all’infezione e quelle Hiv positive più contagiose. Questo potrebbe spiegare il tasso di trasmissione enormemente più alto di quello delle comunità benestanti occidentali.
Accettare queste considerazioni significherebbe, per le istituzioni coinvolte, intervenire, oltre a quanto già in atto, anche sulla povertà delle popolazioni africane per prevenire l’Aids.
Infatti solo con una migliore disponibilità di cibo, acqua corrente, fognature, alloggi ed assistenza sanitaria si potrebbe avere un netto incremento delle condizioni igienico-sanitarie. E magari le ragazze, per sopravvivere, non sarebbero più costrette a vendersi ai vari «paparini» e non accorrerebbero in 50 mila davanti al re dello Swaziland.
Tutto questo, per un congresso internazionale sull’Aids in hotel a 5 stelle, forse potrebbe sembrare troppo fuori dal coro.

Condividiamo le osservazioni del lettore. Missioni Consolata le ha espresse anche sul numero di febbraio 2004, dove si afferma: «La causa principale di Aids, malaria e tubercolosi è l’impoverimento progressivo delle popolazioni» (p. 15).
Tuttavia anche il comportamento sessuale non deve essere sottovalutato. Spesso è l’ultima goccia che fa traboccare il vaso.

Dario Selvaggi