LETTERA La Sampdoria a Kipengere

Spettabile redazione,
a seguito dell’articolo di padre Francesco Beardi (Missioni Consolata, febbraio 2004) e del colloquio telefonico intercorso tra me e l’articolista, ho il piacere di inviarvi una copia di una pagina della rivista Sampdoria Club, uscita in questi giorni.
Resto con la speranza che il seme gettato possa far nascere qualcosa di bello… Complimenti sentiti per la vostra opera e la vostra rivista.

Il signor Vittorio allude ad alcune foto di Missioni Consolata, che ritraggono dei bimbi sieropositivi nella missione di Kipengere (Tanzania), vestiti con le maglie della Sampdoria. Una vicenda (in questo caso) «simpatica» del calcio.

Vittorio Benvenuti




LETTERAPremiato il vescovo Mongiano

Il 6 aprile 2004 Aldo Mongiano, vescovo emerito di Roraima (Brasile) e missionario della Consolata, fu premiato dal governo brasiliano con la medaglia del «merito indigenista». Il premio fu ritirato a Brasilia da mons. Franco Masserdotti, presidente del Consiglio indigenista missionario del Brasile (organo della Conferenza episcopale), che lo consegnò all’interessato a Torino l’8 maggio scorso (nella foto).
Oltre a vari missionari e missionarie della Consolata, era presente pure qualche esponente della Campagna internazionale «Nós existimos» (in favore degli indios, contadini poveri ed emarginati urbani di Roraima).

Il vescovo Mongiano, dopo aver ringraziato mons. Masserdotti, ha dichiarato: «Questa onorificenza viene consegnata a chi fu vescovo di Roraima; ma in realtà riguarda non tanto una persona, quanto tutti gli indios e i missionari di Roraima. I missionari non si aspettano onorificenze dai popoli che servono; essi lavorano mossi solo da carità evangelica. Tuttavia questa medaglia ci rallegra per due motivi.
L’onorificenza è concessa dalla Funai (Fondazione nazionale dell’indio), che per lunghi anni ha avversato la chiesa di Roraima. Però, grazie a Dio, da qualche tempo ne riconosce il valore, fino a premiare quelli che prima aveva osteggiato.
Il secondo motivo di gioia è legato ai popoli indigeni. Essi stanno vincendo non la battaglia per la difesa dei loro diritti sulla terra dove sono nati, ma hanno già acquisito una coscienza e forza morale, ispirate dalla fede cristiana, che costituiscono una delle vittorie più belle che si poteva sperare.
I missionari sapevano quanto, nella storia del Brasile, si diceva degli indios: questi, di fronte alle invasioni dei dominatori venuti da lontano, si sarebbero piegati o sopraffatti dalla forza o allettati (questo è umiliante) da futili regali materiali.
Invece gli indios, a partire dagli anni ’70, hanno capito il messaggio evangelico, la grandezza della loro vocazione umana e cristiana, il significato di libertà e dignità, nonché l’importanza di vivere i valori della loro cultura. Così hanno deciso di impegnarsi, con sforzo, sacrificio e rischio, per cambiare la loro situazione. L’hanno fatto senza violenza, offrendo a tutto il Brasile un esempio di coraggio e fermezza cristiana. Hanno saputo organizzarsi e mobilitarsi per difendere, pacificamente, i loro diritti sanciti dalla Costituzione brasiliana, ma mai rispettati.
Gli indios, soprattutto, meritano questa medaglia.
Una sola cosa mi rammarica: se i popoli indigeni sono cambiati positivamente, non sono cambiati, invece, alcuni settori ostianti della società di Roraima…».

Redazione




La testimonianza di Carlo Urbani

È morto un medico: Carlo Urbani.
Non l’ho conosciuto, ma ci univa un sottile filo. E,
quando ho appreso la notizia della sua morte, ho riconosciuto
quel leggero filo e l’ho riconosciuto nello stesso
momento in cui si è spezzato. Il tenue filo non è solo
la nostra professione di medico, ma il fatto di averla
svolta anche in paesi lontani, quelli che siamo
abituati a chiamare «terzo mondo».
La sua morte è avvenuta in un periodo di guerra, in
uno di quei periodi in cui ci si dimentica del terzo mondo,
allorché l’umanità viene distrutta e si perde il senso
della grandezza della persona umana. Le bombe cadono
su Baghdad, i marines attaccano l’Iraq dal cielo e
dalla terra, ed un medico muore lontano nell’Estremo
Oriente.
Poche settimane fa sono arrivati nel mio ospedale i
protocolli da seguire per quella anomala polmonite virale
che sta colpendo popolazioni tanto lontane, quella
polmonite che il medico Carlo Urbani stava combattendo
con passione, così come ha combattuto la tubercolosi,
l’AIDS ed altri temibili virus e batteri nei
paesi del terzo mondo. Inoltre Urbani scriveva per Missioni
Consolata, cercando di raccontare quei lontani
mondi, la loro sofferenza e la loro forza. Anche questo
filo ci univa.
La professione di medico è molto cambiata; in parte
è diventata come ogni altra professione, estremamente
tecnica, specializzata, e forse si è anche allontanata
dall’antico cammino che riusciva ad incrociare
la capacità professionale con la vicinanza alle sofferenze
umane.
Mi sono venuti subito alla mente tanti nomi di medici,
conosciuti nei miei quasi 20 anni di professione,
5 dei quali (i più belli) spesi in Perù; ho pensato al dottor
Iginio, che ho visto piangere per la rabbia di fronte
alla sofferenza; alla dottoressa Charo, che a volte si
portava i bambini a casa per dar loro anche un po’ di
affetto e cibo; al dottor Lucio, che spendeva parte del
suo stipendio in medicine per i suoi pazienti; a quel
cardiochirurgo che ha operato un bambino peruviano,
portato di nascosto in Italia, e che non ha voluto neanche
i miei ringraziamenti. Ho pensato a quei medici
che, in Perù, lavorano quotidianamente con la tubercolosi,
con l’AIDS, e che non sono neanche protetti da
un’assicurazione.
Ho pensato alla mia vita di
medico del primo mondo, con 38
ore lavorative e il cartellino da
timbrare, con il sindacato che mi
protegge, con strutture, finanziamenti,
apparecchiature e medicine
a disposizione. Ho pensato agli
scandali della nostra sanità, ai
mille interessi economici che
l’attraversano snaturandola, ai
congressi in giro per il mondo…
e mi sono sentito un piccolo medico
che vive di ricordi. E ho sentito
il tenue filo con Carlo Urbani
che si spezzava.
È morto un medico che credeva alla sua professione
e all’umanità. E si è spezzato un tenue filo anche in me.

No, il filo non si è spezzato. Come è noto ai lettori,
Guido Sattin cura la rubrica «COME STA FATOU?» (anche a
pagina 64 di questo numero), che illustra la sanità e non
sanità nel Sud del mondo. La rubrica fu iniziata nel gennaio
1999 proprio da Carlo Urbani, al quale M.C. dedicherà
un Premio.

Guido Sattin




Gino Strada e don Mariano

Spettabile rivista,
poche righe per i cappellani militari, dopo aver letto «Quelle pesantissime stellette» (Missioni Consolata, marzo 2004).
«Se mi soffermassi nel ricordarvi che il vostro stipendio (voto di povertà!) grida vendetta al cospetto di Dio», al cospetto dei poveri, dei diseredati, farei un discorso semplicistico.
Perciò continuo con una frase non mia, rivolgendomi a lei, don Mariano, ai cappellani militari, a tutti quelli che amano le armi e le guerre: «Io credo di avere il diritto di dire che non vi rispetto, non vi rispetto come cristiani, non vi rispetto come uomini»; anzi, ritengo che il vostro agire sia un insulto alle parole del papa, al pensiero della chiesa, alle affermazioni di Cristo.
Chissà se qualcuno di coloro, che stanno all’apice della piramide di quella tanto criticata e biasimata gerarchia ecclesiale, ha il coraggio di schiarirvi le idee: «O preti senza stellette o stellette senza essere preti». Il vostro esaltato fanatismo porta all’allontanamento di tante persone di buona volontà da quella chiesa che voi, volgarmente, dite di rappresentare.
Mi sento cittadino del mondo. I miti della patria e dell’eroe, li ho abbandonati ormai da tempo. Mi auguro che un giorno non lontano siano abbandonati anche da voi.
Giuliano
via e-mail

Egregio direttore,
ho letto «Quelle pesantissime stellette» sui fatti di Nassiriya. Mi sono soffermato sul box «Comandi, don Mariano» e sono rabbrividito. Non condivido le parole di don Mariano, dettate più dall’odio (motivato dal posto in cui si trova) che dalla misericordia divina.
Anch’io sono un pacifista, senza però frequentare cortei. Mi sono limitato ad esporre la bandiera, a dire che la guerra porta solo odio e sangue. Continuo ad affermare che la guerra in Iraq è stata inutile, non per abbattere un brutale dittatore, ma per il modo in cui è stata fatta: tonnellate di piombo su bambini e civili, alla ricerca di armi di distruzioni di massa inesistenti. Per catturare Saddam, bastava corrompere qualcuno e andarlo a prendere in taxi.
Ora ne paghiamo le conseguenze, col terrore di frequentare posti affollati, bersagli di terroristi. Se in Iraq non c’era il petrolio, ma verze, la guerra non ci sarebbe stata.
Da oggi anch’io faccio nausea a don Mariano, e così la commozione suscitatami dai reduci morti di Nassiriya viene ripensata.
Dire poi che Gino Strada sia un assassino è il colmo per un sacerdote. Al di là delle ideologie e simpatie politiche, chi si adopera per salvare le vittime della guerra è da ammirare e ringraziare. Un assassino non salva una vita, ma la toglie. Non mi sembra il caso di Gino Strada, pur con le critiche che gli si possono fare.
Capisco il momento emotivo di don Mariano, ma, proprio perché ministro di Dio, dovrebbe usare più misericordia anche nel linguaggio. Gli ricordo che a tradire Gesù non è stato un medico, ma un apostolo (sacerdote oggi). Pertanto riflettiamo…
Fortunatamente sono un cattolico credente; diversamente, verrebbe voglia, dopo aver letto quel trafiletto, di rispedire al mittente la rivista, ma cadrei nello stesso errore. Non bisogna mai dimenticare il bene che tante persone fanno: e sono la maggioranza!
Grato per l’ospitalità.
Giulio Oggioni
via e-mail

Giuliano, Giulio Oggioni




RICHIESTA RETTIFICA

Con riferimento all’articolo a firma del Sig. Maurizio Pagliassotti pubblicato nella rivista “Missioni Consolata” del marzo 2004, a pag. 62, e titolato “Comandi, Don Mariano” avente ad oggetto un’intervista da me rilasciata al suddetto giornalista, rilevo che mi sono state attribuite frasi mai pronunciate, altre contrarie a verità e pregiudizievoli.
Per quanto attiene il Sig. Gino Strada ho chiaramente detto che “non lo sopportavo” a seguito dell’affermazione di quest’ultimo “I militari italiani in Iraq sono degli assassini” effettuata nel corso di una trasmissione televisiva (Maurizio Costanzo Show). Non ho quindi mai detto che il Sig. Strada fosse un assassino. Quanto alla parte inerente i pacifisti ho sostenuto che le Ong spesso chiedono scorte armate per svolgere gli interventi umanitari andando così in contraddizione quando esprimono concetti esasperati di pacifismo. Nella parte relativa al Santo Natale non ho mai detto che sarebbero stati benedetti i fucili o le armi dei soldati. Auspico la pubblicazione della versione integrale dell’intervista.

Padre Mariano Asunis, cappellano della Brigata Sassari, già cappellano in AN Nassyria (Iraq), richiede anche la pubblicazione integrale dell’intervista rilasciata a Maurizio Pagliassotti. Non possiamo aderire alla richiesta perché non esiste altro testo se non quello da noi pubblicato su MC di marzo 2004 (pagina 62). Esistono soltanto appunti scritti a mano dal nostro intervistatore, in base ad accordi intervenuti con lo stesso padre Asunis, che confermano il contenuto dell’intervista.

Don Mariano Angius




Per non essere pazzi

Cari missionari,
leggo da anni Missioni Consolata, che per me è la stella cometa dell’editoria. Quello che vi distingue è che non siete di parte: non vi lasciate abbindolare dai potentati, ovvero da quelli che decidono per gli altri e credono sempre di avere ragione.
Pensiamo alla Spagna, al suo «11 febbraio». Ancora orrore e morti innocenti per colpa di terroristi, i quali hanno trovato terreno fertile per le loro efferratezze nelle politiche inteazionali di parte. Bisogna eliminare i pretesti che permettono ai terroristi di compiere stragi assurde… Perché a baschi o ceceni non si riconosce finalmente l’indipendenza? Cosa costa, se serve per la pace in Spagna e Russia?
Mi chiedo quanto tempo ci vorrà ancora per creare lo stato della Palestina (di conseguenza si garantirà la sicurezza in Israele). Mi chiedo pure che cosa può pesare sugli arabi, sul piano politico internazionale, senza che contino solo per il loro petrolio. Infine mi domando: perché non si cerca di andare contro corrente, offrendo noi (popoli del 2000) a tutti la mano della ragionevolezza.
Alessandro
Modena
P. S. Scandaloso il vostro calendario del 2004, perché c’è una danza cinese o un indio yanomami seminudo? Per carità! Oggi il vero scandalo è il continuare a ragionare con… due pesi e due misure.

L’invito alla ragionevolezza è di cogente attualità, specialmente di fronte al terrorismo e alla guerra: guerra che l’enciclica Pacem in terris definisce «alienum a ratione» (43). L’espressione fu tradotta dal vescovo Tonino Bello con «roba da matti».
Circa il nostro scandaloso calendario, ecco altre considerazioni.

Alessandro




La foglia di fico

Cari missionari,
esprimo disappunto di fronte a quel lettore che ritiene il vostro calendario «scandaloso». Ma dove? O stiamo scherzando?
Dopo ciò che è successo in Spagna e dopo le stragi giornaliere in Africa, che non fanno neanche notizia per colpa dei nostri giornali, i quali classificano le disgrazie altrui di serie A o serie B… Questo sì che è scandaloso!
Il «nudo» è creazione di Dio, mentre «la foglia di fico» l’ha fatta l’uomo… Non facciamo i finti moralisti! Grazie a Dio, non siamo a Kabul! Non facciamo come MTV, la tivù musicale che parla di sesso tutte le sere e poi fa la moralista censurando un video-clip di Paola e Chiara, che appaiono in modo sfocato con le gambe scoperte. I più giovani, che seguono MTV, hanno capito…
Nel vostro calendario non c’è nulla di strano. Ma tutto può fossilizzarsi su certe ideologie. Questo è pericoloso. Se i mali del mondo sono le donne svestite nei paesi occidentali e, nel mondo musulmano, le donne kamikaze schiave col burka… Il vero demonio è il soldo, che viene a loro offerto. È scandaloso il fine, non il nudo.
È pure scandaloso che, ogni anno, milioni di quintali di riso siano buttati per festeggiare gli sposi. Questo nessuno lo dice. Intanto «Caaroli» e «Riso Scotti» vendono. E del morto di fame chi se ne frega! Per non parlare dell’immigrato, che serve solo per il bacino dei voti…
Meditiamo gente, meditiamo!
Graziano Pini
Reggio Emilia

Oggi, ad onor del vero, per festeggiare gli sposi, qualcuno «medita» di lanciare fiori di carta, riciclabili, invece di riso.

Graziano Pini




Perché “così”?

Egregio direttore,
la lettera di Aaldo Simonetta «Perché siamo così?» (Missioni Consolata, aprile 2004) pone un problema bruciante. Tutti avvertiamo l’umiliazione per la esecuzione naturale (e vitale) di certi atti fisiologici cui siamo sottoposti.
La risposta da lei data non appare comprensibile; avrebbe meritato una più ampia delucidazione quel «cogitor ergo sum», in considerazione, anche, della variegata area di lettori che la rivista vanta.
Non mi sottraggo ad una spiegazione: non si può pensare che Dio ci abbia sottoposti ad atti così umilianti (tali sono se ci circondiamo di estrema riservatezza nell’eseguirli), perché l’uomo avverta i suoi limiti ed eviti i suoi insulsi conati di superbia verso gli uomini, verso il creato e lo stesso Creatore? È un pensiero!
dr. Luigi De Tommasi
Brindisi

Grazie del «pensiero».
Sì, la nostra risposta non appare molto comprensibile. Del resto, di fronte ai «perché» (come quelli del signor Simonetta), che sconfinano nel mistero, conviene maggiormente il silenzio della fides quaerens intellectum (la fede che anima l’intelligenza).>/b>

Luigi De Tommasi




Pannelli solari

Caro direttore,
ho una domanda che mi frulla nel capo da molto e, in questo tempo pasquale, secondo me, profuma di risurrezione. Alludo alla risurrezione dell’Africa.
Perché in questo meraviglioso continente, cui Dio ha regalato tanto sole (troppo a volte), non si sente parlare di pannelli solari? Questi non potrebbero migliorare le condizioni di vita degli abitanti, esportando anche l’energia prodotta? Sono un’illusa o un’ingenua?
Grazie della meravigliosa rivista, che ogni mese arricchisce me e tutte le persone a cui la porgo, fotocopiando articoli che mi sembrano più interessanti e utili al dialogo. In questi giorni faccio girare «Se la bistecca è politicamente corretta» (Missioni Consolata, aprile 2004).
Auguri, con l’incoraggiamento a parlare di energia solare anche per l’Italia, «il paese del sole».
Isa Monaca
Asti

L’estate scorsa eravamo in Tanzania. E che piacere la doccia calda (grazie ai pannelli solari) al termine di un lungo e polveroso lavoro!
L’uso in Africa di pannelli solari dovrebbe essere certamente maggiore. Però si dice che il costo iniziale dell’impianto sia elevato.

Isa Monaca




Padre Pio e mondo militare…

Quando la vita ecclesiale scade a certi livelli (denunciati dai preziosi articoli di Missioni Consolata «Quelle pesantissime stellette» e «Comandi, don Mariano»), la colpa è anche della scarsa vigilanza dei cristiani comuni, non solo della gerarchia.
Sono convinto che, se negli Usa, in Italia, Argentina, Brasile, El Salvador… i cappellani militari han combinato ciò che han combinato, è anche perché molti cristiani NON sapevano neppure che esistessero; o, se lo sapevano, NON controllavano la compatibilità delle loro teologie (l’Ordinariato militare è una diocesi a sé con seminari propri) con il vangelo di Cristo e la tradizione della chiesa.
Come devoto di Padre Pio, sono rimasto disgustato quando, leggendo Il Cursore (periodico religioso dei militari italiani), mi sono imbattuto nell’articolo «Soldato Forgione». Qui il santo di Pietrelcina è proposto come grande amico del mondo militare, legato a un concetto di patria che, sostanzialmente, coincide con quello dei Mani, Bagnasco, Ruini, Baget Bozzo…
Il vero Padre Pio, invece, servì l’Italia non quando indossò l’uniforme, ma quando la depose e quando, dopo 16 mesi di massacrante andirivieni tra caserma, convento e ospedale militare (le autorità militari volevano che diventasse soldato), poté finalmente annunciare: «Sono superlativamente lieto della grazia divina che Gesù mi ha accordato col liberarmi della milizia completamente. Fra giorni mi si firmerà il foglio di via, e così potrò lasciare, con animo soddisfatissimo, Napoli, facendo voto di non ritornarci mai più».
A chi dubitasse su quanto ho detto, suggerisco di leggere Padre Pio, Un Santo in mezzo a noi (supplemento di Famiglia Cristiana, 37/1999); in particolare le pagine 38-48.
Francesco Rondina
Fano (PS)
P. S. «Qualche ora dopo il suo arrivo – scrive Gennaro Preziuso, riferendosi al traumatico impatto avuto dal Santo con l’ambiente della caserma Sales – con le lacrime agli occhi, fece la triste esperienza di sostituire il saio tanto amato con una goffa divisa militare. Nel deporre “l’abito di San Francesco”, lo baciò con trasporto…
Si guardò ed ebbe la sensazione di essere capitato in un “manicomio”. Tutti avevano fretta. Gli ordini dei superiori erano preceduti e seguiti da parolacce, che ferivano la sua sensibilità e il suo pudore.
I rimproveri determinavano ilarità e degradavano la dignità degli uomini che li ricevevano. Il turpiloquio, i discorsi spesso licenziosi erano intercalati da orribili bestemmie.
La carità pareva che nessuno sapesse cosa fosse. Imperava solo l’egoismo. La riservatezza aveva ceduto il posto alla volgarità e alle oscenità.
Padre Pio provò nausea e disgusto…».

Francesco Rondina