LETTERE

Nel congratularmi con Missioni Consolata per lo splendido lavoro svolto, non posso non ribadire il concetto che un cammino credibile, sui sentirneri della giustizia e della pace, non può prescindere dal rifiuto della corsa agli armamenti e dalla denuncia dei folli sprechi di risorse che questa corsa impone.
Mi riferisco, in particolare, agli investimenti che si sono resi necessari per la realizzazione della portaerei «Cavour», la nuova ammiraglia della Marina militare italiana.
Come molti altri italiani, non sono in grado di dire quanto questo colosso d’acciaio, il cui peso totale supera le 27 mila tonnellate, sia effettivamente costato. Lo scorso settembre, sulle pagine di «D», settimanale de la Repubblica, Ambra Radaelli scrisse «900 milioni di euro», mentre il 20 luglio, il giorno del varo, gli autori del servizio che i TG della Rai dedicarono all’evento parlarono di «3 miliardi di euro».
Anche nel caso che la cifra esatta sia quella della Radaelli (cioè 1.743 miliardi delle vecchie lire), si tratta di una somma enorme, anzi di un FURTO ENORME, perché è denaro sottratto alla sanità, all’istruzione, alla lotta contro il crimine e l’illegalità, contro la fame, la miseria e il degrado ambientale.
Il fatto che il varo della «Cavour» sia avvenuto al cospetto di insigni esponenti del mondo politico e religioso (per esempio: il presidente della Repubblica Ciampi e l’arcivescovo di Genova Bertone) e che codeste celebrità abbiano espresso il loro plauso, usando parole forti e toni solenni, non mi tranquillizza affatto; anzi, rende la mia indignazione ancora più grande. È l’ennesima conferma della tragica confusione che i cristiani hanno della politica e che le alte sfere della gerarchia cattolica fanno: tra il POTERE DEI SEGNI, ovvero i sacramenti della salvezza (dono del Dio della giustizia e della pace), e i SEGNI DEL POTERE, ovvero eserciti, portaerei, cacciabombardieri, ordigni nucleari, mine, generatori di altre ingiustizie, altre guerre, altro terrorismo.
In particolare: i vescovi, se vogliono tornare ad essere quello che Dio li aveva chiamati ad essere, ossia pastori vigili e amorevoli, punto di riferimento per tutti i fedeli e non cappellani ad uso e consumo di pochi vip, si astengano dal manifestare apprezzamenti e consensi a certe infamie e dall’impartire benedizioni a certe mostruosità, che nulla hanno di autenticamente umano e cristiano.
Carlo Erminio Pace – Fano (PS)

N on molti lunedì fa, intervenendo a Varese presso gli stabilimenti dell’«Aermacchi», per partecipare alla cerimonia di presentazione del nuovo Aermacchi M-346, il Presidente del consiglio e leader di «Forza Italia», Silvio Berlusconi, si è espresso in questi termini: «Vorrei che tutte le settimane iniziassero così! Vi darò volentieri una mano a venderlo questo aereo, a venderlo in tutto il mondo! Mi trasformerò nel vostro commesso viaggiatore!…».
Io spero che un viaggetto Berlusconi lo faccia anche in Eritrea, Etiopia, Somalia o in un altro dei tanti paesi dove gli Aermacchi sono stati i protagonisti di bombardamenti che hanno provocato danni spaventosi e arrecato sofferenze atroci e ingiuste a milioni di persone inermi.
Spero pure che quanti hanno votato «Forza Italia» capiscano che un uomo che parla così non merita alcuna fiducia e, la prossima volta che si recheranno alle ue, diano la loro preferenza a candidati meno sensibili alle pressioni delle lobby del settore bellico. Spero che siano disposti a riconoscere che, se la pace viene prima della crescita economica e della competitività dell’«Azienda Italia», le fabbriche che producono aerei ed elicotteri da guerra devono riconvertirsi.
L’Italia non ha bisogno di altri commessi viaggiatori che girino il mondo per vendere Aermacchi, Agusta, Alenia e Fiat, perché ne ha già tanti e tanti sono i disastri che i prodotti (da essi propagandati) hanno causato in tutti i continenti. Troppi sono anche gli istruttori che hanno insegnato ai piloti delle aviazioni di altri paesi l’«arte» di sganciare bombe, mine e altri ordigni…
È bene che chi non lo sa lo sappia, e chi lo sa già non se ne dimentichi: negli anni della guerra in Libia e della prima Guerra mondiale gli italiani furono i primi a usare gli aerei per i bombardamenti e italiani furono gli addestratori dei 400 piloti americani che, nel 1917, arrivarono a Foggia dagli Stati Uniti per apprendere le tecniche di bombardamento.
Susanna Ruscianelli – Fano (PS)

Due lettere simili, entrambe provenienti da Fano. Reciproca telepatia?
Ci ha incuriosito quella del signor Carlo E. Pace, anche per il suo… cognome. L’interessato lo prende sul serio, facendone un impegno, una vocazione, contro la corsa agli armamenti. E fa bene.
La sua denuncia è confortata da significativi documenti della gerarchia cattolica. «Ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile» recita l’enciclica Populorum progressio, 53. Gli fa eco il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri» (n. 2329).

Susanna Ruscianelli, Carlo Erminio Pace




LETTERE Uno “0” e quattro “10”

Non sono un’abbonata, ma alcuni amici mi hanno offerto in lettura Missioni Consolata, dicembre 2004. Ho cominciato a sfogliarla con pigrizia; poi, via via, sono stata sempre più presa. Bravi, bravi, bravi! Notizie, commenti, dati, informazioni, foto, cartine: tutto induce ad una piacevole lettura. Dovrei dire «drammatica lettura», perché i contenuti fanno accapponare la pelle. Però ho notato che anche le notizie più bieche e atroci portano sempre uno spiraglio di luce e speranza.
Sono arrivata all’articolo di Paolo Moiola «Altri 4 anni di guerre e terrorismo?»… e mi sono indignata. È questo sussulto che mi induce a scrivervi. Non sono facile all’indignazione e nemmeno sono capace di sentimenti negativi, perché la mia professione (sono assistente sociale) mi porta ogni giorno a frequentare bambini, uomini e donne, schiacciati da povertà, indigenza, violenza. E non voglio sprecare energie, se non per tentare di porre qualche rimedio istituzionale a drammi atroci.
Leggendo l’articolo di Moiola, sono stata presa da un’emozione interiore che non provavo da tempo: erano le cose che avevo dentro e che quell’articolo svelava compiutamente, con pudore, perché pacato nel tono, ma vero nella sostanza.
Sono cattolica praticante e la mia fede è elemento essenziale della vita, alla cui luce mi interrogo ogni giorno per rispondere con coerenza alla esigenza di verità che c’è in ogni uomo e donna. Sono indignata per la strumentalizzazione religiosa che è stata fatta nella campagna elettorale americana. Sono indignata per le centinaia di milioni di dollari profusi, cioè buttati al vento, mentre potevano risolvere enormi problemi nel Medio ed Estremo Oriente. Sono indignata che l’«11 settembre» sia diventato il refrain con il quale tutto deve essere giustificato e spiegato.
Nel mio piccolo verifico che anche i tagli all’assistenza ai bambini senza famiglia o violentati in essa… sono giustificati con «l’11 settembre». E potrei continuare con molti esempi.
Nell’articolo ho apprezzato le parole chiare e vere dei sacerdoti e quelle di Boutros Ghali. I sacerdoti non sono persone qualsiasi, essi devono essere liberi anche dall’influenza dell’ambiente che respirano e devono dire parole di coscienza che altri, per opportunismo o convenienza o peggio per interesse, non sono in grado di dire.
Oggi c’è il rischio e pericolo che anche noi in Italia stiamo correndo, senza che ce ne rendiamo conto: ridurre Dio a merce di parte o di partito, per giustificare comportamenti ignobili. Quando sento chiamare Dio in causa per dare una parvenza di giustezza alla guerra o a qualsiasi forma di violenza, mi vengono i brividi.
Allora mi rifugio nella Bibbia, là dove incontro il Dio di Maria che abbatte i potenti dai troni e innalza i miseri, sfama i poveri e manda i ricchi a mani vuote. Sì, è questo il Dio che Gesù è venuto a svelarci: il Dio delle beatitudini e della frateità universale.
Ammesso e non concesso che le guerre in Afghanistan e Iraq siano state opportune (non posso dire «giuste» senza essere blasfema!), penso che i credenti in Cristo avrebbero dovuto lo stesso contestarle e condannarle, perché non è con questi mezzi che i cristiani possono risolvere i problemi.
Alcuni amici hanno messo in discussione il loro anticlericalismo e la loro opposizione alla chiesa, perché leggono riviste come la vostra, dove parlate senza calcolo e senza compiacere i potenti di tuo. Per questo avete merito e siete lodevoli per articoli come quello di Moiola, in un tempo in cui troppi, si adeguano al vento, rinunciano alla propria coscienza e magari plaudono contro di essa.
Non oserei mai contestare i vescovi, per convinzione e rispetto, ma devo riconoscere che in questi ultimi tempi il loro silenzio su situazioni scottanti hanno allontanato dalla chiesa molti fedeli, come è vero che altri ne avete avvicinati voi con Missioni Consolata e il vostro servizio alla verità, detta e non strumentalizzata. Sono onorata di avervi conosciuto.
Nella comune fede del Verbo incarnato.

lettera firmata – Genova

E gregio direttore, mi domando se lei legge gli articoli prima che vengano inseriti nella rivista, perché «Altri 4 anni di guerre e terrorismo?» fa schifo, sia come stile sia come argomentazioni, e scredita la rivista.

ing. Lucio Baruffi
(e-mail)

C on vivo piacere ho letto l’articolo «Altri 4 anni di guerre e terrorismo?» sul post-elezioni di Bush. Siete stati capaci di superare i convenevoli e le opinioni di circostanza, offrendo uno spaccato onesto e veritiero.
Ho apprezzato particolarmente la pignoleria delle note con cui il vostro giornalista documenta le singole affermazioni. Quando la stampa cattolica raggiungerà questo livello d’informazione, uscendo dalle sacche di provincialismo e dai criteri di opportunità, sarà una festa anche per i laici, che stentano a trovare nel mondo cattolico quell’alone di libertà, unito alla professionalità.
Missioni Consolata ha l’uno e l’altra. Siatene fieri!
Criticare Bush e la sua politica miope non significa essere antioccidentali, anche se un cristiano deve essere sempre «pro» tutte le civiltà dei quattro punti cardinali, se è vero che crede in un Dio universale, creatore e padre di tutti gli uomini.

dott. Luca Melanino
Firenze

Caro direttore, ringrazio lei e l’autore di «Altri quattro anni di guerre e terrorismo?», per la lucida ed appassionata analisi condotta. Credo importante e necessario che anche (e soprattutto) le voci dei religiosi si alzino contro chi, con un moderno «Deus vult», si ammanta di Dio per interessi economici e politici, sprezzante della vita e del progetto sull’uomo che Dio, nostro malgrado, cerca faticosamente di portare a buon fine. Se un coro di voci come la sua, magari provenienti da alte gerarchie ecclesiastiche, parlassero chiaramente e costantemente ai potenti della terra…

Paolo Pontiggia (e-mail)

Spett. redazione, ho letto «Altri 4 anni di guerre e terrorismo?». Vi ho trovato molte informazioni che non conoscevo, come la storia delle tre suore detenute o la citazione di Ettore Masina sulle guerre dei poveri.
Vi auguro di poter continuare il vostro lavoro con lo stesso coraggio e la
stessa determinazione.

Marco Colucci (e-mail)

La lettera che ci «colpisce» di più è quella di Lucio Baruffi, secondo il quale l’articolo «Altri 4 anni di guerre e terrorismo?» fa schifo. La lettera è brevissima. Troppo. Gradiremmo conoscere le ragioni dell’insulto.
Ci colpisce pure (ma positivamente) Luca Melanino, che afferma: «Un cristiano deve essere sempre “pro” tutte le civiltà dei quattro punti cardinali, se è vero che crede in un Dio universale, creatore e padre di tutti gli uomini».
Questo, per i missionari, è fondamentale. Essi devono riconoscere e valorizzare «i germi del Verbo» presenti in tutte le culture (cfr. Ad gentes, 11). Ma devono altresì sapee prendere le distanze.

  • Ciò vale pure per i cristiani di ogni epoca.

Nella Lettera a Diogneto (scritto greco del II secolo) si legge: «I cristiani non si differenziano dagli altri uomini, né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita… Ogni terra straniera è per loro patria, mentre ogni patria è per essi terra straniera».
(Le lettere più lunghe sono state sunteggiate. Sull’argomento altre ne sono arrivate: nei limiti del possibile, verranno pubblicate sui prossimi numeri di MC).

aa. vv.




LETTERELe mani sul Congo

Caro padre Bellesi,
la ringrazio tanto per la promessa mantenuta: ieri ho ricevuto la rivista dedicata al Congo. Mi è piaciuta tantissimo; è un lavoro che sarà sicuramente di grande aiuto alla conoscenza di questa parte dimenticata del pianeta.
A nome del popolo congolese: grazie mille a voi tutti che avete lavorato alla redazione di questo numero. Dio renda fruttuoso il vostro apostolato!
Avrei bisogno di 25 copie di questo numero…
In unione di preghiera

Jean Basile Mavungu
Mercatale V.P. (FI)

La lettera viene da un sacerdote congolese, incontrato al Convegno missionario di Montesilvano (PE), attualmente impegnato nella diocesi di Firenze. Buon lavoro anche a te, caro Jean Basile!

Jean Basile Mavungu




LETTERE”Taglio cristiano che piace”

Cari missionari,
da qualche anno leggo la vostra rivista Missioni Consolata, perché mio padre è abbonato, e la trovo interessantissima, ricca di notizie altrimenti irraggiungibili con i normali organi d’informazione; molto apprezzo il taglio cristiano, capace di affrontare ogni genere di problema del mondo odierno. Ho deciso di abbonarmi anch’io…
Sono felice ogni volta che leggo la vostra rivista, perché, nonostante le notizie drammatiche che spesso riportate, mi fa piacere che voi agiate con amore in ogni parte del mondo. Io non posso fare quasi nulla, se non mandare ogni tanto un po’ di soldi e pregare; ma mi fa piacere che voi facciate un’opera così preziosa, al posto di molti di noi.
Vi saluto con molto affetto e stima.
Non mi sono presentata: ho 36 anni; sono un’insegnante di lettere, sposata, con due bambini e un altro in arrivo per febbraio.
Susanna Pedrazzini
Carpi (MO)

L’interesse per le missioni è passato dal padre alla figlia. Siamo certi che passerà anche dalla madre ai figli. Auguri per quello in arrivo! E continui a pregare per i missionari: è l’aiuto più importante!

Susanna Pedrazzini




LETTEREKossovo: perché i serbi non hanno votato

Caro direttore,
quando si parla del Kossovo, si vede anche una cartina geografica dalla quale risulta già uno stato indipendente, che confina con Serbia e Montenegro, Albania e Macedonia. A chi non conosce bene quella parte dell’Europa, può sembrare che in Kossovo ci sia una crisi perché i serbi hanno occupato quella regione. Lo scenario assomiglia a quello della Croazia e Bosnia, in cui la Serbia e i serbi furono presentati come conquistatori delle terre altrui. Inoltre i termini Kossovo e kosovari, non indicano una nazione, ma una regione multietnica.
Ultimamente si parla del fatto che i serbi non sono andati a votare e si accusa la chiesa serba di «ostacolare» la normalizzazione di quella regione. Le forze inteazionali, presenti da 5 anni in Kossovo, vorrebbero dimostrare al mondo che stanno creando un Kossovo «democratico» e «multietnico» e sono arrabbiate con i serbi, perché quella gente stremata, che vive in un campo di concentramento custodito (malissimo) dalle forze inteazionali hanno ancora la forza di opporsi a quella «democrazia» carica di interessi politici personali o unilaterali.
Perché i serbi non hanno votato?
Perché negli ultimi 5 anni, in presenza delle forze inteazionali, è continuato il genocidio da parte degli estremisti albanesi.
Perché è stato distrutto gran parte del ricchissimo patrimonio spirituale e culturale: monasteri e chiese cristiane, davanti agli occhi dei soldati delle forze inteazionali; e la distruzione continua.
Perché la maggioranza (che è albanese) deciderà di strappare quel territorio dallo stato Serbia e Montenegro.
Perché i serbi che non scapperanno saranno uccisi; altre chiese, monasteri e cimiteri dei serbi saranno rasi al suolo e al loro posto saranno costruite le moschee.
Non hanno niente contro le moschee, i serbi; ma perché devono venire costruite al posto delle chiese cristiane? C’è posto per tutti in quella terra, per i serbi e per gli albanesi, e per tutti gli uomini e donne di buona volontà. Hanno imparato e vissuto per secoli insieme in quella terra; non servono le lezioni europee. Serve che si difendano per davvero i diritti umani, fra i quali sono il diritto alla vita, alla pace e al lavoro. Creare condizioni, prima di tutto economiche, perché quella gente non dipenda dal commercio illegale o dall’elemosina dei ricchi, ma cominci a lavorare nei campi, fabbriche, miniere, e inizi una vita dignitosa per tutti. Il Kossovo è importante per la gente che ci ha sempre vissuto, ma è anche per tutti i serbi del mondo, per il patrimonio spirituale che abbiamo lì. Per l’Europa dovrebbe essere importante almeno come inestimabile valore culturale e perciò dovrebbe fermare la distruzione delle chiese e dei monasteri cristiani.
Ormai mi chiedo quanto ci tiene veramente a quel patrimonio l’Europa visto che non riconosce più le sue radici cristiane.

Snezana Petrovic
Rovereto (Tn)

Snezana Petrovic




LETTEREUna nuova rubrica

Caro direttore,
leggo Missioni Consolata da oltre mezzo secolo, da quando un carissimo amico (padre Franco Cravero) partì per l’Africa. Ne ho seguito con vivo interesse e apprezzamento l’evoluzione, da modesto (ma suggestivo) «bollettino» d’informazione sulla vita delle missioni dell’Istituto, fino a preziosa «rivista» missionaria di respiro planetario, valida sia sotto il profilo tipografico che sotto quello dell’informazione e della sensibilizzazione dei lettori. Da ultimo ho notato la comparsa – più che giustificata – di una rubrica attenta a quella nuova «terra di missione» che è la presenza tra noi di extracomunitari…
Non c’è un ulteriore spazio di interesse cui sarebbe bene estendere l’attenzione? Nelle nostre terre la chiesa, che tanto impegno missionario seppe profondere, appare ora in grave crisi: calo di frequenza alle messe, crisi di vocazioni, scomparsa di un clima sociale influenzato, almeno parzialmente, dai cristiani. La chiesa missionaria sta acquistando peso (e vocazioni) nel terzo mondo; ma perde qui la base e la spinta che la resero feconda.
Non è allora opportuno che una nuova rubrica si occupi di questa crisi di fede e dia alla nostra «vecchia» chiesa il contributo di riflessione e di proposta che il mondo missionario potrebbe esprimere da una prospettiva forse per noi perduta? Gli argomenti potrebbero essere non pochi e non secondari, ma ora è almeno prematuro indicarli.
Grato della cortese attenzione e con l’augurio di ottimo proseguimento.
Giuseppe Nebiolo
Torino

Grazie del suggerimento. Sappia che, da febbraio, partirà la nostra nuova rubrica biblica. Allora, continui a seguirci…

Giuseppe Nebiolo




LETTEREPannelli solari in Africa

Caro direttore,
mi consenta un commento alla lettera di Isa Monaca (M.C., giugno 2004) circa i pannelli solari da un «addetto ai lavori».
Questi apparati sono conosciuti in Africa da decenni, usati principalmente per scaldare e pompare acqua o provvedere minuscole quantità d’energia elettrica; ma sono solo alla portata dei ricchi.
I pannelli scalda-acqua non sono molto costosi. L’impiego è limitato alle case dei ricchi (o istituzioni), perché, per funzionare, richiedono in casa un impianto fisso. Per tantissimi africani «l’impianto idraulico» è… la donna, che attinge acqua al fiume o al rubinetto comunale (dove esiste), portando sulle spalle o sulla testa un bidone di lamiera.
Il pompaggio d’acqua dai pozzi, tramite energia solare, ha avuto poco successo, se non per chi ha «la villa in campagna». Per i pastori delle lande semidesertiche sono state prodotte efficienti pompe a mano, in ferro, quasi indistruttibili, ovvero a «prova d’Africa».
I pannelli fotovoltaici servono solo a migliorare la vita di chi c’è l’ha già buona, ossia fabbricanti e rivenditori…
Recentemente in Kenya sono in «offerta speciale» pannelli solari della potenza di 20 watts, sufficienti per quattro lampadine speciali, una radio e una piccola televisione: costano «solo» 105 euro; ma bisogna aggiungere una batteria (50 euro), un invertitore di corrente (40 euro) e circa 20 euro per lampade, fili, scatola di controllo, impianto. Totale 215 euro.
Con una popolazione il cui reddito medio giornaliero è inferiore a 1 euro, è difficile capire come «questi (pannelli) potrebbero migliorare le condizioni di vita degli abitanti». Certamente sarebbero utili nelle immense baraccopoli. Ma un pannello solare e un’antenna tivù su un tetto di lamiera servirebbero ottimamente a… far pubblicità ai ladri.

Giorgio Ferro




LETTERECOPPIE MISSIONARIE

Carissimo padre,
grazie per l’articolo che avete pubblicato e,
soprattutto, per il titolo (Chiamati all’11a ora, M.C. sett. 2004) che
risponde benissimo alla nostra situazione storica. Grazie anche per le
copie che abbiamo ricevuto e passato agli amici. Qualche altra copia ci
servirebbe per far conoscere la rivista, che è molto valida…
Anche
al nostro arcivescovo abbiamo suggerito l’idea delle coppie
missionarie. Ci ha risposto con la lettera che alleghiamo. Stiamo
cercando di definire un progetto tale che possa divenire un donum
fidei. La terremo informata. Pensiamo che la cosa possa interessare
tutte le missioni.
La mettiamo nelle mani del Signore.
Laura e Giovanni Paracchini
Milano

Anche
il motto del vostro progetto è significativo: Donum fidei (dono della
fede). Auguriamo che altre «coppie missionarie» rispondano alla vostra
iniziativa. Anche a loro sia di stimolo la risposta dell’arcivescovo,
che qui riportiamo.

Carissimi Laura e Giovanni,
innanzitutto,
voglio dirvi che mi avete dato una grande consolazione, perché mi avete
testimoniato che la fede nel Signore dà sempre significato e gioia alla
nostra vita.

Come
dite giustamente, «il cristiano non può andare in pensione», ma vorrei
aggiungere – voi me lo dimostrate – che non «vuole» andare in pensione,
perché conserva vivo nel cuore l’amore per Cristo e per i fratelli, un
amore che vuole esprimersi e dare frutti. Su questo amore è fondata la
vostra famiglia: grazie a questo amore vi siete recati in Africa per
offrire la vostra testimonianza e per dare così aiuto, speranza,
fiducia nel futuro a persone travagliate da tanti gravi problemi
materiali e spirituali.

Esprimo vivo apprezzamento per il bel progetto delle «coppie missionarie» e vi invito a continuare…
Vi
rinnovo la mia gratitudine e di vero cuore auguro a voi e a tutti i
vostri cari ogni bene nel Signore, mentre su tutti voi invoco la sua
benedizione.


Dionigi Tettamanzi, arc.

Laura e Giovanni Paracchini




LETTERE – Anche noi salutiamo padre Stefano

Carissimi missionari,
attraverso Missioni Consolata ho imparato a conoscervi di più e apprezzare il vostro impegno e lavoro nel mondo. Intanto voglio salutare padre Stefano Camerlengo col quale ho fatto qualche pezzo di strada nel Salento, quando lui lavorava a Galatina: auguri per il nuovo incarico.
La vostra rivista è diventata impegnativa e apprezzabile: spero con voi che aiuti a far maturare tanta disponibilità nelle persone perché possiamo collaborare nel dare un volto giornioso e umano a questo mondo.
Mi ha fatto piacere sapere che in Colombia qualcuno sta percorrendo questa strada, pagando anche di persona, perché chi vuole imporre le proprie idee con la forza non tollera chi ama la libertà e la giustizia. Quanto sarebbe opportuno gridare forte forte che i pacifisti, i nonviolenti non sono quelli che urlano nelle piazze (a volte serve anche qualche manifestazione), ma quelli che scelgono di vivere accanto ai più poveri e cercano con loro sentirneri di pace, sviluppo, giustizia. È bello leggere la storia di tante persone che costruiscono strade, ospedali, acquedotti, scuole: questi sono gli operatori di pace e meritano tutta la nostra stima, sostegno, preghiera. Il mondo diventa più triste quando vengono uccisi o subiscono violenza, ma guai se non sentissero la nostra solidarietà, che viene dal vangelo…
Filippo Gervasi (LE)

Filippo Gervasi




Carlo Urbani e…

Egregio direttore,
ho letto il bellissimo articolo di Guido Sattin su Missioni Consolata, giugno 2003, riguardante Carlo Urbani. Grazie.
dr. M. Pellanda

Bassano del Grappa (VI)

Caro direttore,

ho appreso da Missioni Consolata la notizia incredibile della morte del dottor Carlo Urbani. Allora ho appeso la pagina del giornale con la sua foto su un muro in costruzione del laboratorio medico della missione: lo dedicherò proprio a Carlo, se… mi manderà un suo collega ad iniziare l’opera.

Ricordi, direttore, come il dottor Urbani avesse promesso di rispondere alla mia richiesta? Aspettavo sempre la risposta. Ora è venuto… Lui, e l’ho pregato di intervenire. Sono sicura che farà tutto quello in cui confido.

sr. Rosa Carla Cazzaniga

Pemba (Mozambico)

Carlo Urbani, nostro amico e collaboratore, è mancato il 29 marzo, colpito da Sars. Per ricordare la sua attività anche pubblicistica, abbiamo bandito il «Premio giornalistico dottor Carlo Urbani».

Di esso ha parlato ampiamente anche «Salute», il settimanale del quotidiano la Repubblica (6 novembre).

Dalla Presidenza della Repubblica abbiamo invece ricevuto queste graditissime righe:

Egregio dottor Moiola,
ho il piacere di informarLa che il Presidente della Repubblica ha destinato una medaglia
al Premio giornalistico Carlo Urbani.

Con viva cordialità,

dott.ssa Francesca Romana Reggiani

(Capo divisione adesioni patronati e premi)

dr. M. Pellanda