LETTERE – Agli esperti di pastorale giovanile

Cari missionari,
il bellissimo dossier di gennaio 2005 fa capire che oggi, chi vuole davvero educare ed evangelizzare le giovani generazioni deve guardarsi non solo dalle derive autoritarie, ma anche da lassismo, edulcorazione, accondiscendenza, da quel complesso di atteggiamenti molto ambigui che lo scrittore Valerio Volpini chiamava «giovanilismo».
Troppo spesso accade che, pur di centrare l’obiettivo di coinvolgere i ragazzi, suscitare partecipazione e interesse, ottenere il loro consenso, i responsabili della pastorale giovanile e uffici diocesani per la scuola, trascurino di dire cose importanti o, peggio ancora, se la prendano con coloro che quelle cose hanno il coraggio di dirle e il rischio di annoiare, deludere, turbare, inasprire, accettano di correrlo fino in fondo, «a imitazione di Gesù che non ebbe paura» di passare da bestemmiatore presso i farisei e farsi una brutta nomea; non ebbe paura nemmeno degli apostoli, quando lo accusarono di essere troppo esigente o troppo tenero e indulgente…
Bisogna smetterla con certi luoghi comuni e con lo stereotipo dell’educatore «bravo» perché in possesso di strategie pedagogiche «raffinate», metodi didattici «aggioati», capacità di avvalersi delle tecnologie che il mercato ha proclamato «vincenti».
Troppo spesso questo tipo di educatore privilegia la forma a discapito della sostanza, il contenitore a discapito del contenuto, la modeità a discapito della verità…
Cari esperti e superesperti di pastorale adolescenziale e giovanile… ai ragazzi bisogna andare incontro per portarli a Cristo non a Mammona: se non capite questo la vostra esperienza, competenza e cultura, il vostro famoso «saper fare» non sono al servizio di Dio e del suo regno, ma di Satana.
Dovete mettervi bene in testa che se, ad esempio a scuola, s’insegna che la soppressione della vita umana nascente, il divorzio, eutanasia, droga, suicidio sono scelte antiumane e anticristiane, non si fa né proselitismo, né parrocchialismo, né sottocultura religiosa, né dileggio della laicità dello stato; si cerca solo di non tradire le grandi istanze evangeliche della dignità della persona e la santità del vincolo coniugale.
Se qualcuno dice ai giovani che la notte è meglio la passino a letto a dormire, non a scorrazzare in auto da una discoteca all’altra, non è detto che sia un nostalgico del medioevo; ma è solo una persona che non si rassegna ad accettare le stragi del weekend come un fatto normale.
Sostenendo che il piercing è nocivo non si fa terrorismo psicologico: chi è convinto del contrario provi a parlarne con i congiunti dei giovani che sono morti dopo essersi fatti infilare stravaganti aggeggi nei posti più impensati, o con i medici che si sono prodigati senza successo per strappare alla morte il 24ne milanese Marco C., deceduto nel marzo 2003 per un’epatite contratta dopo l’impianto di un «chiodino» sulla lingua…
Dicendo che occorre dare un taglio netto ai consumi, anche a riguardo di strumenti e apparecchiature ad alta tecnologia, non si fa un torto all’economia né al progresso: non si può definire progredita un’Europa dove, ogni anno, vengono buttati via cento milioni di telefoni cellulari; non si possono chiamare sviluppati paesi dove 1 minore su 5 accusa problemi di disagio mentale e depressione, disturbi dell’umore e alimentari a causa di internet e degli Sms: non è conveniente per nessuna economia che l’umanità continui a restar divisa tra popoli produttori di immani quantità di rifiuti e popoli spazzatura.
Dialoghiamo pure coi giovani, confrontiamoci alla pari su tutto…
Il Corriere della Sera è corso all’espressione «Guerra dei lombi» per indicare la portata del contrasto tra la linea del rigore e quella della tolleranza…
Adolescenti, giovani, adulti, tutti dovremmo concentrarci di più sulle guerre e lasciar perdere i lombi: non solo quelle di Bush per il petrolio… ma anche le guerre di cui non parla nessuno o quasi: guerre dei diamanti, coltan, oro, rubini, zaffiri, smeraldi, titanio, niobio, uranio. Le guerre per l’estrazione di quei metalli di cui c’è una richiesta sempre maggiore, non perché è aumentata la popolazione mondiale, ma perché sono aumentate le pretese del mondo dei ricchi…
Sono esplose nuove maniere, per cui quelli che fino a ieri venivano classificati come «capricci» o come «vizi», oggi sono considerate «innocue stravaganze» o qualche volta addirittura elevati al rango di «diritti della persona».
Prima di dire, a proposito di un anello, un giorniello, un’auto, una moto, un televisore, un Pc, un telefono o una qualsiasi altra cosa, «è mio e lo gestisco io», oppure «è un problema suo» o ancora «in fondo non faccio male a nessuno», pensiamoci un po’ su.
Pensiamo al contributo che, col nostro modo di intendere l’informazione, l’educazione, il consumo, possiamo dare al ripristino di condizioni di vita accettabili per tutti o, viceversa, al rafforzamento delle spirali di sopraffazione e di morte.
Luciano Montenigri
Fano (PU)

Luciano Montenigri




LETTERE – Al santo padre Giovanni Paolo II

Cari fratelli di Missioni Consolata,
sono un poeta vostro abbonato e vi mando questa poesia, scritta per il Santo Padre. Fatene quello che volete. Se credete opportuno, pubblicatela pure.
In unione di amore, preghiera e missione,
Gian Claudio Vassarotto (TO)

La ringraziamo di cuore, sig. Vassarotto, per il suo affetto alla nostra rivista e ai nostri missionari e con vero piacere pubblichiamo la sua poesia.

AL SANTO PADRE

Ricevo con lo sguardo del cuore
il tuo Calvario abbracciato alla croce
sfolgorante d’amore del Figlio di Dio.

Il tuo sacro mare di dolore
in cui sfociavano limpidi di speranza
gli immensi fiumi dei patimenti umani.

La tua vecchia giovane passione
in cui si specchia il cammino del futuro
di tutti gli araldi del Cristo Risorto.

Il mistero luminoso
della tua preghiera profetica crocifissa
dagli ululati del peccato dei lupi della storia.

Ora contemplo con gli occhi dell’anima
il tuo abbraccio di luce
nel cielo infinito della Trinità.
Gian Claudio Vassarotto

Gian Cluadio Vassarotto




LETTERE – “Avrei tante cose da dire…”

Gentile Angela Lano,
premetto che sono un volontario, praticante e anche ausiliario della Sindone (questo per ovvi motivi, dato che non sono d’accordo col suo articolo di marzo 2005 pag. 28).
Non regge il paragone con la nostra emigrazione verso gli Usa e altri paesi: si trattava di un popolo di religione cristiana, come la maggior parte della gente del paese nuovo; per cui non portava gravi turbamenti al riguardo, non avrebbe picchettato di luoghi di culto completamente diverso; anzi ha collaborato alla costruzione di chiese nuove ecc. Inoltre non esisteva un blocco della nostra religione, come in Arabia, Sudan, Congo, Iran…
Non c’era un abisso totale insuperabile (lo si vede tutti i giorni) di usi e costumi e a cui è sciocco e, anzi, «colpevole» passare sopra, nell’entusiasmo dell’accoglienza: l’ultima disgrazia del crollo della casa occupata da extracomunitari (madre e bimba rumene, morte a Torino il 6-3-2005, ndr) non è forse responsabilità di chi dice, in fondo, «venite, venite»?
Se va avanti così, la cattolicità potrà crollare, infiltrata e circondata da ogni parte dall’islam, che si vede sempre più in tv, su libri, su giornali, su tutto, per un buonismo errato (ci manca solo la Turchia…).
Tante cose avrei da dire ancora, ma forse «non potrai portae il peso».
Guarda che la maggior parte degli italiani la pensa così, e anche C. Biffi ecc.

A lei e alla «maggior parte degli italiani che la pensa così» avremmo anche noi tante cose da dire. Come «ausiliario della Sindone», vorremmo solo invitarla a leggee bene il significato: l’immagine che vi è impressa dovrebbe ricordarle il Cristo «in agonia fino alla fine del mondo» per dirla con Pascal, cioè, che continua a patire e morire in coloro che fuggono dalla miseria, fame, ingiustizie e oppressioni di ogni genere. E quando ci sarà il giudizio dei popoli (Matteo 25), non le sarà chiesto come ha adorato il Cristo nell’«uomo della Sindone», ma se lo ha riconosciuto e servito nell’affamato, assetato, ignudo, malato, profugo, senza tetto… sia cristiano che islamico.

lettera firmata




LETTERE – Ancora tanta gioia dalle adozioni

Carissimo direttore,
non ho mai scritto alla «nostra» rivista, lo faccio adesso per rilanciare quanto affermato dal sig. Manlio Mazza di Torino (marzo 2005, p. 6). L’adozione «a distanza» resta, a mio parere, un atto sublime di sensibilità e generosità: si aiuta un bambino a crescere, studiare, entrare nel mondo del lavoro nella propria terra, senza sradicarlo, accontentandoci di saperlo felice.
A tutti i lettori auguro di provare la stessa gioia del sig. Mazza, che alcuni tuoi «vecchi compagni» vivono già da tempo. Non esitate, dunque, abbiamo la fortuna che il nostro piccolo aiuto può essere gestito direttamente dai nostri missionari, con la certezza che ogni euro arriva integro dove c’è bisogno.
Ciao, Checco, e buon lavoro! Dalle pagine della nostra rivista bombarda i lettori su questo argomento, perché i bambini sono la ricchezza di tutti, non solo di chi li ha messi al mondo. Salutami tutti i «vecchi», per i quali nutro infinita riconoscenza, per il tanto che mi hanno dato e per il poco che hanno ricevuto.

Il «nostro» lettore è stato compagno di padre «Checco» Beardi fino al ginnasio. Grazie per sentirsi membro della «nostra» famiglia missionaria. Da parte nostra continueremo nel bombardamento di… pace.

Francesco Basta




LETTERE – Abbracci da Sevilla

Carissimi tutti,
grazie mille per la vostra stupenda rivista che tanto mi aiuta a capire meglio i problemi dell’umanità e ad assumermi la parte di responsabilità che mi spetta. Grazie alla quasi totale comprensione della lingua italiana, posso gustare, mese dopo mese, gli stupendi articoli e il loro contenuto. Sono inoltre felice di potere, a volte, incontrare qualche ex-compagno di noviziato, trascorso alla Certosa di Pesio nel 1969-70, sotto la guida di padre Giuseppe Mina, recentemente scomparso.
Abbracci a tutti da Sevilla, da un ex allievo che per 8 anni ha vissuto la meravigliosa esperienza di essere membro dell’Istituto, ma che il Signore ha incamminato su un’altra strada; ma continuo a collaborare con la vostra casa di Madrid.

Carmona




LETTERE – Chi ascolta gli adolescenti?

Cari missionari,
nel vostro interessante «dossier giovani» di gennaio 2005 ho notato con piacere che accennate al contesto, troppo spesso sciocco e deleterio, nel quale vivono gli adolescenti. Chi ascolta però gli adolescenti quando fanno denunce appropriate? Ecco la nostra piccola storia emblematica.
La minuscola «oasi Bakhita», presso la parrocchia San Martino di Rivoli (Torino) è luogo d’incontro e formazione per adolescenti (12-19 anni), alcuni dopo-cresima altri in preparazione alla cresima (fuori corso), tutti impegnati nel «Comitato un cuore per San Rocco», con l’obiettivo di aiutare il parroco nell’informare, documentare e organizzare azioni di raccolta fondi per il restauro della chiesa di San Rocco in Rivoli, costruita nel 1630 dai rivolesi, come ex-voto per la scampata peste.
Per trasformare la chiesa in concreto simbolo di pace abbiamo organizzato con i ragazzi rosari per la pace, leggendo i messaggi di Giovanni Paolo ii e presentando alcune guerre dimenticate (Missioni Consolata ci è stata utile). Nell’oasi Bakhita sono esposti i versi di Dante: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza».
Al rientro dalle vacanze, i ragazzi hanno segnalato, molto sdegnati, che nel centro storico di Rivoli, all’uscita di un oratorio e non lontano dalla chiesa di San Rocco era stato aperto un sexy-shop. Ne abbiamo discusso e scritto l’allegata poesia, appesa dal parroco alla porta della chiesa e inviata al cardinale di Torino che ci ha risposto, facendo felici i ragazzi.
Purtroppo però il negozio è ancora lì. Quanti genitori, insegnanti, educatori, amministratori pubblici diventano per apatia complici del male, scordando il monito evangelico: «Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perdere anima e corpo nella Geenna!» (Mt.10,28).
Silvana Bottignole
sociologa

Siamo un gruppo di teenagers (12-19 anni) di Rivoli, molto dispiaciuti che nel centro storico di Rivoli sia stato aperto un «sexy-shop». Con l’aiuto della nostra educatrice abbiamo scritto questa poesia, che sarà certamente apprezzata da tanti nostri coetanei e da tutte le persone di buona volontà che vogliono bene a Rivoli.

L’apertura di un sexy-shop
nel centro storico di Rivoli
è AZIONE DI GUERRA.
GUERRA contro la CULTURA
perché innesca il degrado.
GUERRA contro i BAMBINI
perché uccide l’innocenza.
GUERRA contro le DONNE
perché ne mortifica la dignità
GUERRA contro tutti gli UOMINI
perché svilisce l’intelligenza ed il cuore.
Il filosofo laico Compte-Sponville ha scritto:
«Tollerare è sopportare un peso:
farlo sopportare agli altri non è più tolleranza.
Tollerare Hitler era farsi suo complice,
quantomeno per omissione, per abbandono;
e questa tolleranza era già collaborazionismo».
Denunciamo chi «uccide l’anima»
con un’azione di GUERRA
nel centro della piccola e signorile RIVOLI.

Un gruppo di giovanissimi
di Rivoli (TO)

Carissimi,
ho ricevuto la vostra lettera con acclusa la poesia… Sono perfettamente in sintonia con voi e mi rammarico che nella nostra società si sviluppi questo tipo di proposte e di pubblicità, proponendo realtà che avviliscono la dignità delle persone, sia adulte che giovani.
Sono pertanto vicino a voi nel condannare questa situazione, anche se non so come, dal punto di vista della legge, sia possibile frenare queste cose. Il nostro dovrà essere soprattutto un impegno per l’educazione della sensibilità delle persone a riguardo di una situazione delicata e veramente avvilente.
Ogni vostra iniziativa, nel rispetto e nel dialogo, finalizzata a far sì che queste realtà non dilaghino, non è che da benedire e da incoraggiare.
Vi assicuro del mio ricordo nella preghiera e vi saluto con una cordialissima benedizione per voi e le vostre famiglie.
Card. Severino Poletto
arcivescovo di Torino

Silvna Bottignole e aa.vv.




A proposito di Così sta scritto – Dalla bibbia le parole della vita (4)

«Si paralizzi la mia destra mi si attacchi la lingua al palato»
(Sal 137/136,5-6)


La rubrica di questo mese è dedicata a una nostra lettrice, Maria Matilde, che ci scrive: «… da quando ero bambina leggo la vostra rivista, che allora aveva quattro paginette in bianco e nero… Volevo rivolgermi a Paolo Farinella che invita a farlo… sono stata allevata da un nonno che conosceva bene la bibbia… Quando voleva insegnarmi l’orrore delle bestemmie mi leggeva un brano che diceva: “Che si secchi la mia lingua, che si paralizzi la mia mano destra, se io offenderò Dio con la parola”… Non avevo mai più pensato a questo, fino a quando mio marito non è stato colpito da un ictus devastante, che lo ha lasciato senza parola e paralizzato nella parte destra. Poiché siamo sposati da 50 anni, posso garantire che non ha mai nominato il nome di Dio invano e che la maledizione biblica non lo riguarda. Vorrei che qualcuno mi spiegasse questo svarione biblico… mio nonno era convinto che anche le virgole della bibbia fossero verità assoluta. I miei saluti più cari… a tutta la redazione, con i complimenti per la rivista che è sempre molto interessante». Firmato: Maria Matilde.

La Parola e le parole
Alla nostra lettrice, cresciuta insieme a Missioni Consolata, abbiamo risposto privatamente, ma riteniamo giusto riproporre pubblicamente la sua domanda che può essere di qualche interesse per altri lettori, dal momento che tocca un testo «delicato» che si presta a interpretazioni equivoche, se non si posseggono gli strumenti adeguati del contesto storico.
Lo scrittore francese, il cattolico Maurice Blondel, soleva dire che i «cattolici hanno tanto rispetto per la bibbia… da non prenderla mai in mano», per sottolineare la grave distanza che separa la formazione dei credenti dal Libro che dovrebbe essere il «codice» della loro vita.
I padri della chiesa descrivevano la bibbia come una «lettera» d’amore spedita da Dio all’umanità (immagine usata anche da Paolo vi, quando, nel 1964, parlò all’Assemblea generale delle Nazioni Unite).
La bibbia-lettera esprime il pensiero di Dio, ma con parole umane e descrive il suo progetto di mondo e di umanità, ma realizzato attraverso l’uomo, le sue riuscite e i suoi fallimenti. In altre parole, bisogna stare attenti a leggere la bibbia in modo «fondamentalista», cioè alla lettera, perché veramente ne verrebbero fuori molti «svarioni».
È necessario conoscere l’ambiente in cui i singoli testi furono scritti, gli autori, la cultura, le conoscenze, gli usi e i costumi del tempo. Sarebbe assai grave attribuire agli antichi sentimenti e convinzioni di oggi.
La bibbia è prima di tutto, come direbbe san Paolo (Gal 3, 24-25), un «pedagogo», cioè un maestro che accompagna la crescita degli alunni (noi), per cui il suo insegnamento è scritto in primo luogo per i contemporanei, cioè per coloro che immediatamente ascoltano e, in secondo luogo, per tutti i discendenti, quelli che vengono dopo. Sono questi, quelli che vengono dopo, cioè noi, che devono fare la fatica e avere la gioia di capire quello che è accaduto prima e cercare di conoscee le ragioni e dae anche le spiegazioni.
È ciò che stiamo facendo con questa rubrica, dove le conoscenze di uno, che ha studiato e studia più degli altri, vengono messe a disposizione di chi non ha avuto questa possibilità.
Tutto ciò premesso, si tranquillizzi la nostra amica: la malattia di suo marito non ha nulla a che vedere con la bestemmia e la secchezza della lingua e della mano. Anche il papa è stato colpito nella parola e non credo che abbia mai bestemmiato.
La malattia è parte della vita e si evolve secondo leggi naturali che fanno parte della realtà «creata», cioè finita e limitata. Non siamo Dio.
In tutto questo Dio non c’entra nulla, perché nessun padre ama la sofferenza dei figli; ma non c’è padre (e vale anche per Dio) che non sia coinvolto nel dolore dei suoi figlioli, fino a farsene carico, fino a diventare cireneo. Quando la malattia, il dolore, la morte accadono, Dio è «già» lì accanto, presente nell’ictus, nella paralisi, nel limite, nella sua impotenza, per dare la forza di sostenere la croce che la vita comporta giorno dopo giorno (Mt 6,34).
Dio è lì e noi siamo dentro di lui: ci contiene e ci sostiene. Anche quando la tempesta infuria e il mare agitato sembra avere il sopravvento e il Signore pare che dorma, incurante… lui è lì, Presente-assente, che domina ogni evento e guida la nostra piccola barca all’altra riva, verso un compimento di salvezza (Mc 4,37-41).

Il Salmo nel suo contesto
L’espressione «si paralizzi la mia destra, mi si attacchi la lingua al palato» è la citazione dei vv. 5-6 del Salmo 137 secondo la bibbia ebraica e 136 secondo la bibbia greca, detta dei lxx (settanta).
Il Salmo 137/136 è un lamento collettivo, composto durante l’esilio a Babilonia (attuale Iraq) nel secolo vi a.C., dove i dominatori si divertivano a torturare gli schiavi («nulla di nuovo sotto il sole» direbbe Qoelet 1,9), chiedendo loro di divertirli suonando e cantando per loro i canti che gli ebrei cantavano nel tempio di Gerusalem-me. Era come chiedere di profanare le cose sante per divertire soldati ubriachi. È come chiedere a uno di cantare i canti della messa in una bettola per un gruppo di ubriachi o a un musulmano di leggere il Corano in un postribolo per fare ridere gli avventori.
Cantare i «canti di Sion» (v. 3) in terra straniera per divertire gli aguzzini era equivalente a dimenticare la città santa, sede del tempio del Signore, e la sua distruzione; nello stesso tempo era una forma di «apostasia» dalla fede. I canti venivano accompagnati dalla lira suonata con la mano destra.
Dimenticare tutto questo per avere anche salva la vita non valeva la pena: era meglio che si seccasse la lingua e la destra per impedire lo scempio della memoria di Dio e del suo tempio. Ancora oggi, gli ebrei recitano questo salmo prima del pasto, per fare memoria del dolore della distruzione del tempio, anche quando si è sazi e soddisfatti; e le donne, nel fare la loro «tornilette» personale, lasciano sempre qualcosa fuori posto (ad es. una ciocca di capelli non pettinata, ecc.), in segno di lutto per la distruzione del tempio di Gerusalemme.
Quando un popolo vinceva in guerra contro un altro popolo, osservava rigide leggi allora universalmente condivise: gli uomini validi e le donne giovani venivano deportati in esilio come schiavi (Am 4,2-3); gli uomini deboli e le vecchie venivano lasciati a coltivare i campi; i bambini venivano uccisi, per impedire il futuro di quel popolo.
Poiché in quei tempi nulla si concepiva fuori di un ordinamento religioso, il vincitore consacrava anche la guerra al proprio dio: cose e persone venivano consacrate alla divinità e quindi erano «votate allo sterminio» (Gs 6,17; 7,1; 11,20): il bottino al tesoro del dio vincitore e le persone, dalle donne ai bambini, trucidati in sacrificio di vittoria. Questo è il senso degli ultimi tre versetti del salmo: «Ricordati, Signore, dei figli di Edom, che nel giorno di Gerusalemme dicevano: “Distruggete, distruggete anche le sue fondamenta”. Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra» (vv. 7-9). La legge dominante è la legge del taglione: occhio per occhio, morte per morte. La giustizia si placa solo nell’equilibrio della vendetta.
Con Gesù questa legge è capovolta in quella nuova del perdono fino a superare ogni aspettativa: non fino a 7 volte, ma fino a 70 volte 7. Cioè sempre.

Il nonno di Maria applicava le parole del salmista alla bestemmia, cioè leggeva la bibbia nel suo tempo, secondo le esigenze dei suoi giorni, perché la parola di Dio è sempre attuale.
È sempre «oggi».

Salmo 137 (136)

Sui fiumi di Babilonia,
là sedevamo piangendo
al ricordo di Sion.
2Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.
3Là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
canzoni di gioia, i nostri oppressori:
«Cantateci i canti di Sion!».

4Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
5Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia destra;
6mi si attacchi la lingua al palato,
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.

7Ricordati, Signore, dei figli di Edom,
che nel giorno di Gerusalemme
dicevano: «Distruggete, distruggete
anche le sue fondamenta».

8Figlia di Babilonia devastatrice,
beato chi ti renderà quanto ci hai fatto.
9Beato chi afferrerà i tuoi piccoli
e li sbatterà contro la pietra



Paolo Farinella




LETTERE – Lavaggio del cervello

Gent. don Farinella,
scrivo per manifestarle la mia stima e apprezzamento per gli articoli pubblicati su Missioni Consolata. In particolare condivido appieno le sue affermazioni riguardanti il sig. Berlusconi, apparse su «Battitore libero» di marzo 2005.
Ciò che più rattrista e indigna è il lento ma inesorabile lavaggio del cervello mediatico a cui parte della popolazione italiana si è lasciata sottoporre, negli ultimi 20 anni, dalle sue tv commerciali, con i risultati che lei bene esprime nel suo articolo.
Grazie di cuore a lei e a voi tutti di Missioni Consolata, Paolo Moiola in testa, per essere voce nitida, lucida e critica in un momento di così grande disorientamento morale e civile per il nostro caro paese.
Da più di 10 anni accompagnate il mio cammino di crescita cristiana nella chiesa, quello di mio marito e di nostro figlio Emmanuele, 18enne, studente impegnato, serio e appassionato catechista, ottimo musicista.
Contrariamente a quanto scrive un sacerdote delle nostre parti (… Sassuolo è terra di ceramiche e ricchi industriali), io credo che la vostra rivista sia «davvero» per famiglie che desiderano crescere nella luce di Cristo e del vangelo.
Lettera firmata
Modena

Anche noi della redazione ringraziamo per l’incoraggiamento a continuare nel nostro impegno di essere, alla luce del vangelo, una coscienza critica della società in cui viviamo.

lettera firmata




LETTERE – La religiosità di George W. Bush

Spettabile redazione,
leggo sempre con attenzione Missioni Consolata, perché parla di temi importanti, con un’ottica spesso controcorrente rispetto ai nostri mass media.
In riferimento all’articolo di Paolo Moiola (Missioni Consolata, dicembre 2004), sono in sintonia con lui su gran parte di quanto ha scritto, ma rilevo alcuni punti di disaccordo. Convengo su welfare degli Stati Uniti, povertà e disuguaglianze sociali esistenti nel paese più ricco del mondo: dati che a noi, in Italia, sono poco conosciuti, ma ben evidenziati da riviste inteazionali come Time o Newsweek.
Sono, però, in disaccordo per quanto ha scritto circa l’ambiente evangelico che sta dietro al presidente Bush: affermazione generica sull’evangelismo fa di ogni erba un fascio, non rimarcando le profonde diversità tra le varie confessioni religiose americane.
Non credo che gli evangelici europei e italiani la pensino come gli americani; non mi risulta, per esempio, che valdesi o battisti a Torino siano sulle stesse posizioni di Bush.
Per la cronaca, occorre ricordare che il signor Bush esce da una famiglia Wasp episcopaliana del New England e che, solo dopo il matrimonio (prima conduceva una vita giovanile sregolata), si è convertito alla confessione battista, che ha frange integraliste e radicali, che hanno influenzato il pensiero e modo di agire del futuro presidente degli Stati Uniti (fonte: Time Magazine).
Sarebbe più corretto, perciò, non etichettare come vetero protestantesimo ciò che è radicale e non riconoscere, invece, le posizioni moderate e pacifiste che sono proprie di larga parte dell’evangelismo.
Queste precisazioni gioverebbero anche ad un vero ecumenismo, che deve prevalere tra i cristiani.

Walter Giacomelli
(E-mail)

Sì, «l’ambiente evangelico» del presidente George W. Bush va esplicitato. E bene ha fatto il lettore a rimarcarlo.

Walter Giacomelli




LETTERE – “Jihad è sforzo, non guerra santa”

Spettabile redazione,
ho letto l’articolo di Angela Lano sull’islam, dedicato al jihad. Mi ha lasciato molti dubbi, sui quali desidero un chiarimento. Premetto che nei confronti dei musulmani, almeno per quei pochi che conosco, provo rispetto e per certi aspetti anche ammirazione.
L’articolo cui mi riferisco parla molto di pace, perdono, tolleranza e rispetto, anche nei confronti di altre religioni. Parla di come, nel Corano, questi atteggiamenti siano «fondamentali» per un musulmano. Ma dai mass media ci arrivano notizie molto diverse. Per esempio: come nei paesi islamici ci siano esecuzioni o mutilazioni pubbliche, anche per piccoli reati; come siano poco tolleranti con chi non rispetta tutti i precetti. Inoltre chi si converte ad un’altra religione deve nascondere la propria fede per paura di essere ucciso (se ricordo bene, ne ha parlato anche Missioni Consolata).
Forse queste sono solo «voci». Però sono in profonda contraddizione con il messaggio trasmesso dall’articolista. Ho l’impressione che l’islam si divida tra una parte «ideologica» e una reale. Vi sarei grato se mi deste una risposta in proposito.
Grazie da un lettore a voi affezionato.
Villa Alberto
Rovereto (TN)

Il lettore si riferisce a «Sulla via di Allah» di Missioni Consolata, settembre 2004. L’articolo ricorda che «jihad» significa «sforzo», non guerra, né, tanto meno, «guerra santa», anche se non la esclude.
Come altri significativi testi di grandi religioni, il Corano è vissuto dai credenti in modo contrastante ed opposto: sulla via dell’odio e su quella dell’amore. Ma, su questo ed altro, interverrà presto Angela Lano.

Alberto Villa