Noi e Voi, dialogo lettori e missionari


Chi è al top

«Eat the rich» è la scritta posta su una scatoletta di cibo con il disegno di un ricco che viene «cotto» sopra un fuoco. È questa l’immagine provocatoria che fa da copertina alla 13ª edizione di «Top200», il report annuale (basato sui dati relativi al 2022) sulle principali multinazionali curato dal «Centro nuovo modello di sviluppo» (www.cnms.it), curato da Francesco Gesualdi. Il motto provocatorio richiama una celebre frase di Jean-Jacques Rousseau: «Quando il popolo non avrà più da mangiare, allora mangerà i ricchi». Così si capisce chiaramente da che parte stia chi ha predisposto il dossier.

Nel merito si tratta – come nelle precedenti edizioni – di uno studio puntuale, sia perché i dati riportati forniscono un quadro preciso della ricchezza delle imprese multinazionali, sia per l’attualità della problematica in un mondo che presenta enormi disuguaglianze.

Il sottotitolo – «la crescita del potere delle multinazionali» – sintetizza il risultato che emerge dal report. Anzitutto i profitti delle prime 200 imprese internazionali sono raddoppiati in dieci anni, passando da 1.089 a 2.054 miliardi di dollari. Nella classifica delle «top 200» società troviamo 62 multinazionali con sede principale negli Usa e 61 in Cina, che insieme rappresentano il 64,1% del fatturato: 17.770 miliardi su un totale di 27.722 miliardi di dollari. Al terzo posto si colloca il Giappone con 18 imprese e al dodicesimo l’Italia con tre società (Assicurazioni Generali, Eni e Enel).

Assai significativo per comprendere il potere delle imprese è il confronto tra le entrate degli stati e i fatturati delle multinazionali. Al primo posto ci sono gli Usa con 8.010 miliardi di dollari di introiti, al decimo troviamo l’India con 682 miliardi, seguita dalla prima delle multinazionali – la Walmart – con un fatturato di 611 miliardi. In questa classifica ibrida (stati e multinazionali insieme), ai primi 100 posti ci sono 72 multinazionali.

Il dossier, oltre a numerose classifiche sulle top 200 imprese mondiali, contiene quattro approfondimenti relativi ai finanziamenti pubblici alle imprese private, agli affari delle società che producono programmi di intrattenimento, alla crescita dei privati nel settore della sanità e alla presenza di mercenari nei teatri di guerra nel mondo. Proprio questi quattro focus rappresentano la parte più attuale e originale del report. Da non perdere.

Rocco Artifoni
17/09/2023

Meno Cpr più umanità

Complimenti per la rivista. A mio modesto parere per quanto riguarda gli immigrati che vengono in Italia via mare occorre trovare una soluzione in Africa, visto che il numero di affamati è enorme. Si può creare punti mensa nelle zone con maggiori problemi utilizzando i canali delle missioni e ong. Meno Cpr in Europa e più aiuti diretti in Africa. Cordiali saluti,

Giorgio Tagliavini
23/09/2023

Grazie signor Giorgio per le brevi parole che hai scritto alla vigilia della giornata mondiale dei migranti e rifugiati, a cui abbiamo dedicato il nostro editoriale del mese di agosto-settembre.

Su questo tema le parole di papa Francesco sono sempre di una profondità e chiarezza unica, che spesso però trovano resitenze incredibili e cuori duri come pietre. Più grave ancora è la strumentalizzazione dei drammi dei migranti a uso elettorale e la chiusura totale nel nome della propria identià culturale da difendere. È decisamente penosa l’impocrisia di chi grida contro certe parole denigranti, come «tribù», perché ritenute umilianti, ingiuste e discriminatorie, da sostituire quindi con altri lemmi più rispettosi della dignità di tutti, e poi di fatto ha idee, atteggiamenti e comportamenti decisamente tribalisti nella pseudo difesa della propria superiorità e soprattutto dei propri interessi.

Come già scritto e riscitto, non è con la chiusura delle frontiere e l’incolpare i trafficanti e scafisti che si risolvono i problemi, ma con una vera rivoluzione sociale ed economica nelle relazioni tra stati e popoli, soprattutto da parte dei paesi più ricchi.

 

Opinioni post Lisbona

Egregia Redazione,
leggo da tempo il vostro interessante giornale e sentendomi quasi in famiglia ho pensato di condividere con voi queste riflessioni, benché modeste.

La giornata della gioventù a Lisbona ha radunato molti giovani. Bello vederli attenti e in silenzio ad ascoltare le parole del Papa. Il messaggio di verità del Vangelo attira sempre ed è indispensabile per l’umanità. I media hanno sintetizzato il discorso del Papa con le parole «tutti inclusi nella Chiesa». Va benissimo tutti inclusi, ma ciò non vuol dire che si debbano accettare e avallare gli errori e i grandi peccati che si fanno. Bisogna distinguere la persona dall’errore. Va bene tutti inclusi nella Chiesa ma i pedofili per esempio sono stati fin troppo inclusi. Il Vangelo richiede verità; bisogna dire chiaramente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. I giovani devono sapere ciò che è sbagliato e chi compie tali errori deve essere invitato a correggersi. La pedofila è stata per molti la madre dell’omosessualità. A 14/15 anni i giovani sono ancora ragazzini e avrebbero bisogno di essere lasciati crescere serenamente in pace senza caricare sulle loro giovani spalle pesi così grandi come quelli dei dubbi sulla propria identità sessuale, come invece è di moda in questi tempi.

Personalmente ho visto il nascere di un atteggiamento gay in un ragazzo che aveva avuto esperienza di pedofilia. Nella scuola dove lavoravo c’era un quindicenne che si vantava con i compagni di sapere cose particolari sulla sessualità, gli altri rispondevano alle sue vanterie deridendolo. Alcuni invece lo ascoltavano perplessi e incuriositi. Lui voleva farsi vedere più emancipato e sperava così di attirarsi tanti amici, di essere più stimato ma a volte finiva col prendersi spintoni e insulti. Convocati i genitori, ignari di tutto, era emerso che, quando dovevano uscire di casa per il lavoro o per spese, mandavano il figlio da un loro vicino che sembrava affidabile ma che invece intratteneva questo ragazzino facendogli vedere video sulla omosessualità e rischiando così di creare nel giovane la «forte distorsione cerebrale e psichica che comporta l’omosessualità» (parole di un importante psicologo membro dell’Associazione internazionale di psicologia applicata). In seguito a queste esperienze subite questo ragazzo a 15/16 anni risultava quindi volersi indirizzare verso l’omosessualità. Un comportamento gay derivato da una pedofilia.

Purtroppo, la pedofilia risulta essere veramente all’origine di tanti casi di comportamenti gay. La chiesa ha il dovere di proteggere e salvaguardare ogni persona specie i giovani e per farlo deve dire ciò che è errore e danno e quindi peccato. La pedofilia e l’omosessualità che in genere ne è una derivazione sono un errore, un peccato, un danno più o meno cosciente per sé e per la società. Il normale bisogno di amicizia e affetto viene confuso con comportamenti sbagliati e contro natura.

Nella parabola sulla indissolubilità del matrimonio, a Pietro che di fronte all’impossibilità del divorzio dice che allora è meglio non sposarsi, Gesù risponde che non a tutti è dato di capire e che a volte occorre farsi eunuchi per il regno dei cieli. È però un linguaggio figurato. Non intende dire che occorre veramente farsi eunuchi ma che in certe situazioni bisogna comportarsi come se non sentissimo attrazione sessuale per l’altro sesso. Per rimanere fedeli a volte occorre veramente farsi eunuchi, cioè non ascoltare l’attrazione verso la donna che non è la propria moglie o viceversa verso l’uomo che non è il proprio marito.

Nella Chiesa invece sembra che alcuni abbiano preso alla lettera il farsi eunuchi traducendolo anzi in farsi omosessuali, per cui ci sono preti gay che continuano a svolgere il loro ministero pur comportandosi da omosessuali. Altri prelati sono sommessamente favorevoli ai rapporti gay causando così grande scandalo. Va bene accogliere tutti nella Chiesa ma non accogliere l’errore. Accogliere l’errante, ma dirgli chiaramente che deve impegnarsi a cambiare vita, non comportarsi più da gay ma vivere l’astinenza e non praticare rapporti sbagliati e contro natura.

[…] La chiesa anziché avallare i comportamenti omosessuali dovrebbe piuttosto rivedere l’ordine di celibato per i preti. Accettare anche preti sposati ma con una fede sincera, forte e disinteressata economicamente.

Certo, essere liberi da impegni familiari per poter andare ovunque ad annunciare il Vangelo è più generoso ed eroico ma si potrebbe accogliere anche chi desidera sposarsi. Meglio questo anziché accettare i comportamenti omosessuali. Non è assecondando le persone nei loro grandi errori che si guadagnano i fedeli. Cordiali saluti

Enrica B.
18/09/2023

Onestamente non credo che il messaggio centrale della Gmg di Lisbona fosse «Tutti inclusi», soprattutto nella sua interpretazione, come se papa Francesco avesse avvallato pedofilia e omosessualità. Lo slogan «Maria si alzò e andò in fretta» (Lc 1,39), ha una portata molto più vasta e missionaria ed è un forte invito a non chiudersi, a non fare una vita da «seduti sul divano» e diventare concreti testimoni di amore in questo nostro mondo dilaniato da guerre, ingiustizie sociali, cambiamento climatico, povertà, disciriminazioni e intolleranza di molti tipi.

La sua lettera rivela comunque una sofferenza vissuta sulla sua pelle di fronte a fatti nei quali sono coinvolti anche dei sacerdoti dagli atteggiamenti certamente non evangelici. E questo mi richiama il dialogo che ho avuto pochi giorni fa con una catechista che mi raccontava della perplessità di una famiglia a mandare i suoi bambini al catechismo dopo aver sentito e letto di episodi di pedofilia da parte di sacerdoti.

Vorrei solo confermare che su omosessualità e pedofilia di persone religiose, la presa di posizione di papa Francesco e della Chiesa intera è senza equivoci. Occorre però tanta vigilanza e intelligenza per non cadere nella trappola della generalizazzione che conduce dalla colpa di un singolo sacerdote, o vescovo, o religioso o religiosa a mettere sotto accusa tutto e tutti.

Probabilmente nel futuro vedremo anche i preti sposati nella nostra Chiesa, ma non certo come soluzione alla pedofilia. Le statistiche dicono che gran parte degli abusi sessuali sui minori avviene tra le mura di casa.

Credo che per affrontare seriamente la situazione occorra smettere di cercare il capro espiatorio e di puntare il dito, ma impegnarsi a vivere con maggior coerenza, tutti e in fretta, l’insegnamento del Vangelo, consci che tutti siamo fragili e peccatori.

Per quanto riguarda il legame causa effetto tra pedofilia e omossesualità, non mi trova d’accordo. Non penso sia un caso particolare (da lei conosciuto), a dare la regola generale. Preferisco quindi separare le due situazioni.

Se la pedofilia è senza dubbio sempre un «errore, un peccato», come lei la definisce, più complesso è il discorso per l’omossessualtà, che può essere un «sentire» differente, un voler vivere i propri sentimenti sulla base di quello che si prova davvero, senza ipocrisia. In questo caso non è un «errore, un peccato». Papa Francesco ha detto infatti: «Essere omossessuali non è un crimine» e, inoltre, «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?».

In visita a un luogo sacro dei Kikuyu (tempio sacro dei Gekoyo) sull’Aberdare, Kenya: padre Delfino Bianciotto (seduto), can. Giacomo Camisassa (in piedi), coad Umberto Rosso, padre G. Cavallero e padre Panelatti, suor Maria Bonifacia e suor Cristina del Cottolengo

Ricordando Don Delfino

Gent. Direttore,
vorrei ringraziarvi per quanto realizzate, in particolare sono stato molto sorpreso dall’articolo del 12 giugno 2023 «La grande avventura». Sono pronipote di don Delfino Bianciotto, da lui battezzato nel suo 49° anno di sacerdozio. Era lo zio e il padrino di battesimo di mio padre che portava il suo nome. Io fin da piccolo venivo premiato con dei favolosi soggiorni presso don Delfino. Il missionario Delfino era un mito di saggezza e di fede. Lo ammiravo passeggiare per ore nel giardino in preghiera leggendo il Vangelo. Quando si accorgeva di me, mi avvicinava facendomi ammirare Dio nel creato, in un fiore, un’ape, nel volo di un uccello. Mi diceva che la preghiera si svolge in ogni luogo e in ogni istante.

Avevo 11 anni quando don Delfino, il 2 aprile 1961, festeggiò i 60 anni di sacerdozio. Fu felice che in quell’occasione molti si ricordassero di Lui: (tra questi) padre Carlo Masera, suo coadiutore in Abissinia (così era chiamata allora l’Etiopia, ndr) nel Kaffa, il vice superiore generale dell’Istituto, padre Giuseppe Caffaratto, il provicario della diocesi (di Pinerolo) don Giovanni Barra. Gli arrivò anche il telegramma d’auguri di papa san Giovanni XXIII (io gli recitai una breve poesia).

La mia curiosità ed ammirazione di bambino per don Delfino era immensa. Chiedevo che mi raccontasse le sue straordinarie avventure e venivo accontentato.

Mi raccontava dei suoi viaggi favolosi e pericolosi, dei bambini felici come me, ma dal destino tragico che aveva conosciuto e soccorso, chi aveva perso i genitori per incidenti con animali della foresta, chi era stato rapito dai predoni ed era venduto schiavo dagli stessi. Si rammaricava di non aver potuto riscattare tutti quegli innocenti che aveva consolato avvicinandoli a Gesù. Salì al cielo il 27 luglio 1962. Il 16 agosto 2023 don Delfino sarà stato molto felice, per l’elezione a superiore generale dei Missionari della Consolata di padre James Bhola Lengarin del Kenya (un «pronipote» dei bambini che lui aveva incontrato e soccorso in Kenya). Cordiali saluti

Franco Bianciotto
02/09/2023

Padre Delfino Bianciotto nacque a Frossasco (To) il 27 marzo 1874. Ordinato sacerdote il 23 marzo 1901, dopo aver esercitato per alcuni anni il ministero nella diocesi di Pinerolo, il 4 agosto 1906 entrò nell’Istituto. Partì per il Kenya il 10 dicembre dello stesso anno e là lo troviamo quando il canonico Giacomo Camisassa compì la sua visita nel 1910/1911. Il 15 ottobre 1917 entrò avventurosamente in Etiopia come commerciante e si unì a monsignor Gaudenzio Barlassina aprendo una prima casa a Ghimbi, nel Kaffa. Nel 1922 tornò in Italia come rappresentante dei missionari d’Etiopia per il primo capitolo generale dell’Istituto. Nel 1932, scaduto il periodo per il quale si era legato all’Istituto, ritornò nella sua diocesi di Pinerolo.

 




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari


Più vita di Missione

Gent.mo direttore,
sono un vostro abbonato da lungo tempo, e sempre ricevo copia della rivista con piacere.

Avendo fatto parte in passato di Africa Oggi, un gruppo che organizza campi di lavoro in «terra di missione», ho conosciuto tanti eccezionali missionari della Consolata, la cui dedizione, spirituale e pratica per migliorare il mondo in cui venivano catapultati, è stato esempio per me e per tanti altri che vi hanno conosciuto. Posso ricordare padre Oscar Goapper (anche medico nell’ospedale di Neisu), padre Salutaris Massawe (anche giornalista in Tanzania), padre Igino Lumetti (quante opere in Tanzania), padre Felice Prinelli (quante opere in Colombia ed Ecuador), tra i tanti purtroppo già tornati alla casa del Padre, ma tanti altri ancora in attività che stanno operando in Africa, Asia, Sud America ed Europa.

Ho conosciuto anche altri padri di altri ordini (Monfortani, Pime, Salesiani, etc) e anche Comboniani, come padre Kizito Sesana.

Una grande testimonianza missionaria, ma quante ce ne sono così in Imc che potrebbero essere rese note nella rivista, sia di cari padri non più tra noi che di tanti attualmente in attività?

Trovo sempre meno testimonianze di vita vissuta nella rivista MC (spesso solo in qualche trafiletto nelle ultime pagine), e molto più, certo apprezzabile, giornalismo che racconta i vari paesi del mondo. Ecco, perdonatemi la richiesta, ma secondo me sarebbe bello vi fosse molto più spazio dei racconti della vita di missione, come forse era alle origini quando era l’allegato a raccogliere i racconti dei missionari.

Sempre ringraziando per le vostre opere e con affetto.

Buona continuazione della vostra missione, in particolare al nuovo superiore padre Lengarin e al giovane e bravo cardinale Marengo in Asia.

Carlo
20/08/2023

Grazie dello stimolo che ci dai, caro amico di tanti missionari. Il tuo è davvero anche il nostro desiderio, e infatti è quello che stiamo facendo. In ogni numero diamo spazio a qualche missionario, ma non è scontato che riusciamo a convincere i missionari a raccontarsi per la rivista. Ci sono alcuni che comunicano molto, ma spesso si limitano a scrivere al loro ristretto gruppo di amici, favoriti in questo dai social, ma si sentono imbarazzati a condividere anche con un pubblico più vasto.

Rilancio quindi la tua provocazione ai nostri missionari, invitandoli a sentirsi di casa anche con i lettori di MC raccontando la loro vita missionaria.

Onorificenza pontificia a padre Sandro Faedi

Papa Francesco ha voluto riconoscere e distinguere padre Sandro Faedi, missionario della Consolata nativo di Gambettola (Cesena), con la decorazione «Pro Ecclesia et Pontifice». La cerimonia di consegna della medaglia d’onore al missionario (nella foto, al centro padre Sandro Faedi e a sinistra il vescovo di Tete monsignor Diamantino Antunes) si è svolta domenica 13 agosto a Zóbuè, nella diocesi di Tete, Mozambico, in occasione del pellegrinaggio diocesano al santuario dell’Immacolata Concezione.

L’atto di consegna della pergamena e della medaglia è stato presieduto da monsignor Suman Paul Anthony, incaricato d’affari della Nunziatura apostolica in Mozambico. Si tratta della più importante onorificenza che la Chiesa cattolica conferisce a sacerdoti e laici che si distinguono per la loro fedeltà e il loro servizio alla Chiesa.

Monsignor Diamantino Antunes, vescovo di Tete, ha presentato la vita e l’opera dell’insignito, che ha dato la sua vita alla missione in Venezuela prima, e in Mozambico poi, in particolare nella diocesi di Inhambane e nella diocesi di Tete.

Padre Sandro Faedi è stato ordinato sacerdote a Gambettola nel 1972. Dopo il primo ministero missionario durato 24 anni in Venezuela, dal 1998 svolge la sua missione in Mozambico: prima nella diocesi di Inhambane e, dal 2013, nella diocesi di Tete, dove è stato parroco della parrocchia di San Giuseppe, amministratore apostolico tra il 2017 e il 2019, e attualmente parroco della parrocchia di San Daniele Comboni, economo diocesano e responsabile della Caritas diocesana.

La dedizione alla missione, il suo instancabile impegno nell’evangelizzazione, nella promozione umana, nella liturgia e nella promozione delle vocazioni locali sono stati i motivi che hanno spinto il Santo Padre a concedergli l’onorificenza «Pro Ecclesia et Pontifice».

Da «Corriere Cesenate»
18/08/2023


Perché partire, perché restare

Stimatissimo Marco Bello,
ho letto il suo editoriale su Missioni Consolata di Agosto 2023, «perché partire, perché restare». È proprio il nocciolo della questione. Si cita la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: «Ogni individuo ha il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare al proprio paese». Questi principi universali sono entrati abbastanza nelle leggi e nei costumi delle nazioni occidentali, ma su otto miliardi di abitanti della Terra, noi rappresentiamo sì e no un miliardo, mentre nella maggior parte del mondo restano bei principi, neppure troppo convincenti.

Temo che neppure i paesi occidentali riusciranno a mettere in pratica le buone intenzioni messe negli statuti dell’Onu dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale.

Un po’ ci sono riusciti i paesi scandinavi, ma con poca popolazione e tante risorse ed ora qualche scricchiolio pure lì. Grandi paesi come Francia e Inghilterra, hanno evidenti problemi di integrazione.

L’Europa per sopravvivere al calo della popolazione e all’invecchiamento, ha certo bisogno di milioni di immigrati nei prossimi decenni, ma è una transizione difficile e forse non riuscirà a mantenere i suoi buoni propositi sui diritti umani. Si dovranno dire dei sì con generosità, ma pure dei no dolorosi.

Noi italiani abbiamo portato intelligenza e lavoro in America, ma pure la mafia e i sistemi mafiosi. Lo stesso vale qui, possiamo importare pure leggi e costumi tribali, come il delitto d’onore che da poco abbiamo abolito. I nostri cari principi dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese hanno ancora senso nel mondo che c’è e che verrà? Oppure il miglior governo possibile è quello cinese dove uno dice a tutti cosa fare, cosa pensare, dove andare? È una provocazione, ma il nostro modo di vivere, la nostra libertà, lo stato di diritto di cui abbiamo beneficiato qui negli ultimi 75 anni, sarà ancora possibile per le prossime generazioni?

Don Silvano Cuffolo,
Santuario di Oropa, 20/08/2023

Caro don Silvano,
ho riletto i suoi commenti e le sue «provocazioni».

In molte cose concordo. La questione sulla quale non possiamo però fare passi indietro sono i diritti umani. Sono stati codificati nella Dichiarazione universale, che non considero un mero «statuto» o «codice» dell’Onu. Penso sia stato un passaggio fondamentale fatto dall’umanità, il riconoscere i diritti universali appunto. Una volta riconosciuti, occorre fare di tutto affinché vengano rispettati. Ma questo non è un fatto automatico e per nulla semplice. E per questo motivo in tutto il mondo ci sono persone, e associazioni, che lottano e rischiano la vita affinché questi diritti, codificati e riconosciuti, siano rispettati. Io ho vissuto in Africa e ad Haiti, e sono ben consapevole che in gran parte del pianeta sia molto difficile farli rispettare o, comunque, siamo indietro. Ma non per questo dobbiamo abdicare. Dobbiamo tendere a un mondo migliore. Per noi, ma soprattutto, per le prossimi generazioni (come lei domanda).

Un saluto fraterno,

Marco Bello

Quanto alle migrazioni, da una parte noi qui siamo tentati da una politica migratoria che sia funzionale ai nostri bisogni, visto che abbiamo necessità di badanti, contadini, operai e quanto altro permetta al nostro sistema produttivo e al nostro welfare di continuare a funzionare. Logico sarebbe quindi avere una immigrazione selettiva che permetta l’entrata solo di quelle persone che rispondono a tali bisogni.

Dall’altra, noi continuiamo ad alimentare un sistema di rapina delle risorse dei paesi del Sud del mondo al quale è funzionale l’instabilità politica, la deforestazione con tutte le sue conseguenze per i popoli indigeni e l’ambiente, lo sfruttamento schiavista della manodopera, il sostegno a regimi dittatoriali e tante altre cose simili.

Il tutto aggravato dalla crisi climatica.

Da ultimo non va dimenticato il bombardamento mediatico che da anni sta facendo un lavaggio di cervello anche nei paesi più poveri dove i social e la televisione (dominate dai nostri network)  alimentano un’immagine idealizzata e falsa del nostro mondo come il paese del bengodi.

Fermare l’emigrazione è storicamente impossibile. Per alcuni questa è una minaccia che mette a rischio cultura, identità e valori della nostra società, in realtà può diventare anche l’occasione per un mondo più unito e fraterno, dove la diversità non faccia paura ma diventi stimolo per crescere insieme.

In fondo, non è questo il sogno della missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli quando li ha mandati a essere annunciatori e costruttori di pace, andando in tutti gli angoli del mondo per invitare tutti al grande banchetto preparato dal Padre?

Gigi Anataloni


Perplessità

Caro Marco,
forse ricorderà lo scambio di battute quando cercammo – vanamente – di aiutare Haiti: anche se a volte le nostre ideologie non coincidono, le cose da fare ci trovavano in pieno accordo.

La rivista di cui lei è redattore, è diventata ricca di interesse, con inediti ed oggettivi rapporti su importanti paesi e popoli per lo più ignorati. In tal modo, colma una grave lacuna di informazione, è un vero, prezioso servizio alla verità.

Tuttavia, nel numero di luglio (dossier Riflessioni sulla guerra) mi dispiace trovare un rapporto su di un tema drammatico come quello degli sfollati a causa di guerre, rapporto che liquida le cause di alcuni – gravissimi – conflitti, con semplici battute a danno dei cattivi americani, Nato ecc., come se tutto fosse stato così semplice.

I lettori cui la rivista è destinata meritano qualcosa di più, anche alla luce dei drammi cui stiamo assistendo oggi. Con viva cordialità (e incoraggiamento),

Lorenzo Rossi di Montelera
07/08/2023

Caro dottor Rossi di Montelera,
la ringrazio molto per essere nostro lettore e ancora di più per averci mandato il suo commento.

Ricordo i nostri incontri su Haiti, nella speranza di fare qualcosa di utile. Paese amato, che adesso versa in una situazione sempre peggiore. Sta diventando ancora più difficile intervenire per il bene della popolazione.

Per quanto riguarda il suo commento, capisco benissimo. Le confido che anche nell’ambito della nostra redazione c’è stato dibattito su alcune posizioni espresse dall’autrice di quel dossier. La scelta è stata poi quella di lasciare la libertà all’articolista, giornalista rinomata e nota attivista contro tutte le guerre. Quanto scritto resta un punto di vista, che può essere condivisibile o no, ma è supportato da anni di militanza e di interventi in prima persona (come si deduce anche dagli articoli).

Come MC cerchiamo di essere plurali e anche per questo abbiamo deciso pubblicare la sua lettera ed eventuali altre posizioni differenti.

Marco Bello


Conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei martiri di Chapotera, diocesi di Tete – Dopo la raccolta di tutte le testimonianze, compresa la documentazione d’archivio, è stato preparato un dossier ben documentato sulla vita e il martirio dei due Servi di Dio, di 1.500 pagine, che è stato consegnato dal Vescovo di Tete in scatole sigillate al responsabile della Nunziatura Apostolica in Mozambico, Mons. Paul Anthony, che lo invierà al Dicastero per le Cause dei Santi a Roma.

I martiri di Chapotera
Concluso il processo di beatificazione

Il 12 agosto, presso il Santuario diocesano di Zobuè, diocesi di Tete, si è svolta la cerimonia di conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei Servi di Dio padri João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira, martiri di Chapotera.

La documentazione di 1.500 pagine raccolta dal gennaio 2022 al giugno 2023, è stata consegnata in scatole sigillate al responsabile della Nunziatura apostolica in Mozambico, mons. Paul Anthony, che lo invierà al Dicastero per le cause dei santi a Roma.

I due Servi di Dio sono stati buoni pastori, hanno sofferto con il loro popolo, hanno sempre cercato la pace e la riconciliazione. Hanno messo le loro qualità umane e spirituali al servizio di Dio e degli uomini, vivendo il loro ideale missionario. Sono stati assassinati il 30 ottobre 1985 nei pressi della residenza missionaria di Chapotera, missione di Lifidzi, in Angonia, nel contesto della guerra civile che ha devastato il Mozambico divenuto teatro di atrocità e violenze commesse sia dai guerriglieri della Renamo che da quelli che sostenevano il regime marxista-leninista della Frelimo. I loro corpi sono stati ritrovati il 4 novembre e sono stati sepolti nel cimitero di Vila Ulongwe lo stesso giorno.

Padre João de Deus Gonçalves Kamtedza, mozambicano, è nato ad Angonia, nella provincia di Tete (Mozambico), l’8 marzo 1930. Entrato nel seminario dei Gesuiti nel 1948, ha professato i voti religiosi nel 1953 a Braga (Portogallo). È stato ordinato sacerdote il 15 agosto 1964. Si è dedicato con tutto il cuore alla missionarietà del suo popolo, prima e per molti anni nella missione di Msaladzi, poi nella missione di Fonte Boa e a Satémwa. Era un uomo dinamico, intelligente, saggio, accogliente, impavido, gioioso, comunicativo e un grande apostolo. Amava il suo popolo, la sua cultura e la sua lingua. Alla fine del 1983 è stato trasferito a Chapotera per evangelizzare e assistere pastoralmente le missioni di Lifidzi e Chabwalo.

Padre Sílvio Alves Moreira è nato a Rio Meão-Vila da Feira (Portogallo) il 16 aprile 1941. Entrato nel seminario dei Gesuiti nel 1952, ha professato i voti religiosi nel 1959. Ha studiato teologia all’Università cattolica di Lisbona tra il 1968 e il 1972. È stato ordinato sacerdote a Covilhã (Portogallo) il 30 luglio 1972. Ha iniziato il suo lavoro missionario nella diocesi di Tete, presso il Seminario di Zobuè e successivamente nella parrocchia di Matundo. Nel 1981 è stato trasferito a Maputo, e ha lavorato principalmente nella parrocchia di Amparo, a Matola. Nel settembre 1984 è tornato nella diocesi di Tete, assegnato a Satemwa, missione di Fonte Boa, e poi a Chapotera, missione di Lifidzi. Don Sílvio era un uomo libero, intelligente, coraggioso e intraprendente, che viveva con entusiasmo e gioia le fatiche e i rischi che la vita missionaria comporta.

Alla cerimonia che ha concluso la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione hanno partecipato molte centinaia di cattolici provenienti da tutte le parrocchie della diocesi di Tete che hanno preso parte al pellegrinaggio diocesano a Zobuè.

† Diamantino Guapo Antunes Imc, vescovo di Tete

Conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei martiri di Chapotera, diocesi di Tete




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari

Tanti pregano  per voi

Carissimi missionari,

sono amica di una suora di clausura del monastero di Santo Stefano di Imola alla quale arriva la vostra rivista. L’ho abbonata io perché prima di essere claustrale è stata tanti anni missionaria in Kenya con un altro istituto di suore missionarie e sapevo che sarebbe stato tanto gradita la rivista che parlava di luoghi da lei conosciuti.

Avendo letto della elezione a cardinale di padre Giorgio Marengo, mi riferì che lei ha sempre pregato per lui da quando nel 2003 è stato mandato con le due suore in missione in Mongolia. Avendo ricevuto questa notizia l’ha riempita di gioia e di ancor più fervore nella preghiera per i missionari e le missionarie.

Tutto questo ve lo scrivo perché sappiate che tanti sconosciuti pregano per voi missionari e siate sempre fiduciosi e abbandonati alla grande Provvidenza del Signore che fa tutto e tanto con il nostro poco. Basta la nostra buona volontà.

Vi saluto con tanto amore pensando ai miei cari defunti, vostri confratelli: padre Giuseppe da Frè e padre Armando Cecconi, nonché la mia parente missionaria della Consolata, suor Bassiana Lorenzi.

Auguri di ogni bene

Gianna Agostini Rossi
Vigodarzere (Pd) 06/01/2023

Grazie di cuore delle preghiere, un energetico sicuro per ogni missionario. Ecco qui una brevissima memoria dei suoi «cari defunti».

Padre Armando Cecconi, (foto a destra) nasce a Castions di Strada (Ud) il 21/03/1922 e va incontro al suo Signore il 31/03/2014, pochi giorni dopo aver compiuto i 92 anni. Ordinato sacerdote nel 1951, dopo alcuni anni come formatore in Italia, nel 1968 parte per il Kenya, dove rimane nelle terre alte del Kikuyu fino al 2012, quando deve rientrare per salute.

Anche padre Giuseppe Da Fré  ha passato la sua vita missionaria in Kenya, ma in aree molto diverse, nel grande Nord sopra l’equatore, nelle terre dei Samburu e di altri popoli nomadi, da Loyangalani a Wamba. Nato il 03/01/1939, sacertote missionario della Consolata il 18/12/1965, dopo il corso di inglese a Londra, nel dicembre 1967 è destinato a Baragoi (nella foto sotto), la primogenita (1952) delle missioni del Nord. Loyangalani, Laisamis, Maralal, Wamba sono le altre missioni dove è chiamato a essere segno di consolazione e costruttore di pace, fino al 2015, quando la salute lo obbliga a rientrare fino a che il Signore lo chiama a sé il primo giorno del 2016.

Perplessità

Carissimi,
nel numero di giugno, all’interno dell’articolo «Per terra e per mare» che Paolo Moiola dedica a due libri scritti da Maurizio Pagliassotti, mi ha lasciata perplessa leggere, a proposito di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, che: «I loro nomi si protendono lungo la rotta dei Balcani fra migranti, cooperanti, giornalisti e non sempre sono amati neppure tra noi buoni: “troppo mediatici”».

E più avanti: «Indubbiamente sono sotto i riflettori ma questo che problema è?».

Tali considerazioni si riferiscono a Lorena Fornasir e a suo marito Gian Andrea Franchi che da anni a Trieste prestano quotidiana assistenza ai migranti, in particolare curando i loro piedi piagati dal lungo cammino. Da triestina posso testimoniare che tutto sono meno che mediatici; e che «sotto i riflettori» è il posto che meno si addice al loro profilo, saldamente agli antipodi da ogni sia pur minimo sospetto di protagonismo.

Secondo me andava precisato che purtroppo è stata la cronaca a metterli brutalmente sotto i riflettori, quando nel 2021 furono accusati di essere complici dei trafficanti. Ma fortunatamente i magistrati hanno poi chiuso il caso: la solidarietà non è reato.

Loro sono stati le vittime, di quell’amara e scandalosa parentesi. E dopo di essa, esattamente come prima, hanno sempre operato nell’umiltà e nell’ombra (e «Linea d’Ombra» è il nome della loro benemerita associazione).

Con l’occasione vi rinnovo il mio plauso più sentito per la vostra utilissima e irrinunciabile rivista.

Susanna Cassoni
15/06/2023

Grazie di cuore per la precisazione. Condividiamo con lei il giudizio che «Loro sono stati le vittime, di quell’amara e scandalosa parentesi». Questa rivista ha loro dedicato un reportage di Daniele Biella, La dignità sotto i piedi, nel marzo 2021. Li abbiamo ricordati ancora nel dossier del dicembre dello stesso anno, Ragazzi dimenticati, sempre di Daniele Biella e Luca Lorusso.

© Daniele Biella

Voglia di volontariato

Ciao mi chiamo Lorenzo sono di Parma ho 24 anni e ho letto un vostro articolo riguardo i pigmei, sarei interessato sempre di più ad imparare a come sopravvivere nella natura usando cose che si trovano in natura. Sto leggendo numerosi articoli di Survival International sui popoli indigeni e mi sto interressando sempre di più.

Volevo chiedere se a voi serve un aiuto a lavorare con questi popoli? Buona serata.

Lorenzo
14/06/2023

Caro Lorenzo,
ci sono due aspetti complementari nella tua richiesta: da una parte la voglia di imparare a conoscere meglio la natura proprio da popoli da sempre immersi in essa, dall’altra il desiderio di metterti al servizio con noi tra i «popoli indigeni».

Comincio dal secondo punto: diventare un nostro «aiutante». Qui occorre precisare che per periodi lunghi di permanenza in una missione, occorre sia avere una certa qualificazione professionale che tenere conto delle normative che regolano le prestazioni di volontariato nel mondo, senza le quali non è possibile restare in un paese con regolare permesso di soggiorno. Diverso è andare per un mese, massimo tre, con un permesso turistico.

Per un’esperienza più lunga di volontariato noi, come Missionari della Consolata, non siamo attrezzati legalmente, per questo di solito ci affidiamo alle organizzazioni di volontariato già esistenti e operanti con noi.

Abbiamo sì anche la figura degli «aggregati», persone che diventano parte del nostro istituto per un periodo e un servizio precisi. Ma su questo tema del volontariato, spero di tornare presto perché sembra ci siano novità interessanti.

Quanto alla tua voglia di imparare dai popoli che vivono a contatto con la natura, è bella e interessante. Forse vivere  con quei popoli può essere un aiuto per capire un po’ di più «il creato» e disintossicarsi da certe mitizzazioni che abbiamo nel nostro mondo. A cominciare dal nostro affetto per cani e gatti, che riempiono le nostre case e spesso le nostre solitudini, ma a condizione di essere castrati e rinunciare ai loro comportamenti naturali.

Credo che il requisito fondamentale del vero contatto con la natura sia la sobrietà, accompagnata da profondo rispetto e cambiamento di attitudine: da padrone a servo, da sfruttatore a giardiniere e amministratore per il bene di tutti.

Non vorrei sembrare scorbutico su questo, ma lo scrivo come uno che ricorda molto bene che da bambino camminava a piedi nudi tutta l’estate e beveva l’acqua dei fossi o dalle sorgive in campagna quando aveva sete e poi andava allegramente con gli amici a «rubare» ciliege, pere, pesche o uva nei campi dei vicini, magari sotto lo sguardo dei padroni che facevano finta di non vedere.

Contributi

Dopo un lungo periodo d’assenza per difficoltà economiche, avverto il bisogno di riaiutarvi/ci.

Nel ‘78 vi ero vicino per i campi di raccolta (con padre Giordano Rigamonti). In seguito l’amicizia con padre Ugo Pozzoli mi permise di ancor più comprendere il valore della vostra missione attraverso la rivista Missioni Consolata.

Oggi, più di ieri, rappresentate l’unico canale onesto per meglio conoscere il grande pericolo verso cui ci stanno incamminando.

Contribuirò annualmente con la cifra di 30,00 euro; non è molto ma, ciò posso fare. Grazie se mi riaccoglierete.

Una esortazione a proseguire lungo il cammino – insieme. Con voi, fratelli.

Alessandro B.
14/06/2023

Grazie Alessandro per il tuo aiuto. Come dici, non è molto, ma significa tanto.
Qualche tempo fa mi ha colpito una storia che qualcuno ha raccontato in occasione di una serata a sostegno degli alluvionati in Emilia Romagna. Era la storia di un incendio nella foresta. Tutti gli animali fuggivano, eccetto un colibrì che invece andava avanti e indietro a raccogliere con il becco acqua dal fiume per buttarla sulle fiamme. Un esempio che ha poi contagiato tutti.
Come concludi tu: proseguiamo lungo il cammino, insieme.

IMPANTANATO NEL GUADO

Carissimi, vorrei condividere con voi una piccola parte delle memorie di missionari che ho incontrato ad Alpignano, nella loro casa di riposo.

I padri della Consolata raccontano spesso aneddoti del loro trascorso nelle missioni, in qualsiasi parte del mondo. Qualcuno ne ha fatto anche dei libri: pagine di esperienza (30 o 50 anni in quei luoghi) utili a capire meglio le genti e scuola per noi, ma sentirli dalla loro viva voce è un’altra cosa! Trentacinque anni fa ho avuto la fortuna di conoscere molto bene un padre ed una suor

a missionari in Kenya e di recente un loro confratello (padre Aimone Rondina) in Italia motivi di salute. Le sorelle sono, invece, a Venaria. Hanno tutti un passato non semplice, perché vivere in missione ti segna inesorabilmente; però trascorrono questi momenti con serenità e, pur consci che forse in missione non torneranno, il desiderio e la speranza restano vivi e forti. Probabilmente è questo il motore che dà loro l’energia per accettare la situazione, insieme alla grande fede che li accompagna.

Ecco qui un racconto raccolto dalle labbra di padre Rondina Aimone, classe 1929, nato negli Usa da genitori emigrati là dalla Marche, missionario nel Meru, Kenya, dal 1958 al 2017 (vedi foto finale).

Guado sul fiume vicino a Materi nel Tharaka (Kenya) durante la stagione secca.

Il guado, insidia e benedizione

In Africa, soprattutto nelle zone più remote, molte strade prima o poi sono interrotte da un guado, ne sono esenti solo le principali arterie asfaltate dotate di ponti. Il guado (wadi nelle zone desertiche sahariane) è un luogo dove è normalmente possibile attraversare un fiume senza pericolo, ma l’innocuo torrentello della stagione secca, alle prime piogge può trasformarsi in qualcosa di enormemente pericoloso. In un nonnulla il livello dell’acqua s’innalza anche di metri impedendo ogni passaggio. In certe zone il missionario ne deve attraversare parecchi nei suoi spostamenti per raggiungere le molte cappelle della sua missione. Immaginate che all’improvviso la pista davanti a voi finisca in un fiume di acqua impetuosa per ricomparire dall’altra parte cinquanta o anche cento metri (a volte più, a volte meno) più in là. Tu devi andare, hai un appuntamento con una comunità o devi tornare a casa. La macchina è una 4×4 con motore diesel, il livello dell’acqua non è poi così altro, il fondo è buono e non fangoso, la notte si avvicina, ponti in vista nessuno. Passare o non passare?

«Un giorno dovevo andare a visitare un villaggio a circa dieci chilometri dalla mia missione di Gatunga, nel Taraka (depressione arida nel Meru, nord est del Kenya). Sono partito con la mia auto tranquillo e fiducioso come sempre -preoccuparsi in anticipo non serve, se lo fai senza motivo, ti sarai stressato per nulla, se poi arriva la sorpresa il pensiero negativo ti avrà solo coinvolto prima del necessario -. Nel tragitto so di dover attraversare un guado problematico. All’andata nessun problema. Sulla via del ritorno incontro “casualmente” il vicecapo di quel villaggio che con gesti convincenti mi blocca, deve recarsi con urgenza in un luogo “piazzato” proprio lungo il percorso. Mi chiede un passaggio; lo accontento e lo scarico alla sua destinazione. Un po’ più in là un guado mi sta aspettando. Era quasi secco all’andata, ma nel frattempo c’era stata una grossa pioggia a monte. L’acqua è ben più alta, ma mi butto. Questa volta il Subaru 4×4 si emoziona al punto da restare incastrato nel bel mezzo del torrente, senza alcuna intenzione di muoversi. L’ora del tramonto si avvicinava e sono solo. Ansia. Improvvisamente quel vicecapo villaggio si materializza ancora una volta con altre persone. Provano a disincagliare la macchina, ma devono desistere. Si allontanano con qualche promessa. Il tempo intanto passa e la luce lascia il posto al buio pesto.

Ho un sussulto quando accanto al vetro vedo un volto apparire all’improvviso, meno male che lo conosco, mi porta qualcosa da bere, e poi anche lui se ne va.

Visto che ormai devo rimanere in quel luogo almeno sino al mattino dopo, mi barrico bene con le portiere e i finestrini bloccati, in previsione del mattino quando, alle prime luci, gli animali (elefanti compresi) sono soliti abbeverarsi nei corsi d’acqua. Mi addormento.

Preoccupazioni inutili (che scarsa fiducia ho avuto nel prossimo): mi desta il rumore di un motore che si avvicina, un bel camion con sopra un gruppo di uomini, fra loro ancora quel vicecapo del pomeriggio prima. Ha pagato di tasca sua il mezzo e la “forza manuale” per tirarmi fuori da quella situazione e finalmente, dopo mezz’ora di tira e molla, il Subaru si schioda dal fiume.

È stato uno dei tanti casi in cui ho sperimentato l’affetto vero della nostra gente».

Roberto L. Rivelli
20/06/2023

Padre Aimone Rondina nella missione di Materi, Tharaka , Kenya.




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari

«Grande cuore» è andata in Cielo

«Ltau sapuk» (cuore grande), questo il nome dato dai Samburu a Mirella Menin (1941 – 2023), la laica missionaria di Collegno (Torino) che in tanti abbiamo conosciuto nei suoi viaggi in Kenya per oltre quarant’anni e per il suo infaticabile lavoro e dedizione per aiutare i più poveri e i bambini in particolare. Il Signore l’ha chiamata a sé il 29 maggio 2023 in modo inaspettato.

La sua vita è stata un vulcano di iniziative, attività, incontri, viaggi. Tutto fatto con passione, dedizione missionaria e spirito profetico. Oltre all’esperienza del Kenya aveva vissuto anche quella in El Salvador negli anni in cui era vescovo san Oscar Romero che lei accompagnava nei villaggi dei campesinos e che ha visto morire, ucciso, mentre celebrava l’Eucarestia.

Mirella tante volte era scomoda perché diceva la verità senza mezze misure e con coraggio. Aveva «fame e sete di giustizia» come è scritto sul ricordino del suo funerale.

Durante il rosario che si è pregato nella sua parrocchia di Collegno (To), la sera prima del funerale, il parroco, don Teresio Scuccimarra, ha voluto fermarsi su quattro misteri e momenti evangelici vedendone la realizzazione nella vita di Mirella: il suo amore ai bambini, la cura e assistenza delle persone con handicap psichici, il suo desiderio di giustizia ricordando la sua esperienza in El Salvador e la dedizione alla sua comunità.

Mirella, nel suo «darsi da fare» per la missione, ha raccolto e donato molto. Come dice l’Allamano, è stata un canale che ha fatto sempre scorrere ciò che riceveva senza trattenere nulla per sé, vivendo la sua vita nella semplicità ed essenzialità. Ha compiuto le «opere più grandi» (Gv 14,12) che Gesù ha promesso ai suoi discepoli perché era una donna di fede, una fede non bigotta, ma tenace e concreta. La fede che sa vedere Gesù in ogni persona, che ha compreso e vissuto il «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Per tutto questo, e per quello che lei è stata, le siamo grati.

Completiamo queste note con due testimonianze significative che sono state lette al suo funerale: quella di Agata Lekimencho, già catechista a Maralal, e quella di mons. Virgilio Pante, vescovo emerito di Maralal.

padre Michelangelo Piovano,
Torino 03/05/2023

Omaggio alla nostra amata mamma Mirella

È con profondo dolore e tristezza che abbiamo appreso la notizia della scomparsa della nostra grande amica e madre.

Per noi Mirella è stata una madre amorevole che ha condiviso con noi tutta la sua vita qui nel Samburu: soldi, tempo, vestiti, e persino il sapone e prodotti di igiene personale.

Molti hanno potuto studiare grazie al sostegno economico che proveniva dal suo grande cuore. Si occupava delle spese ospedaliere ed era sempre preoccupata per il benessere delle persone bisognose.

Ha sostenuto le spese per l’educazione di oltre 250 bambini che, grazie a quello, hanno poi aiutato a migliorare il tenore di vita delle loro famiglie. Alcuni ora sono insegnanti, dottori, meccanici, falegnami, ecc. Ha anche aiutato i loro genitori che hanno potuto iniziare attività che hanno permesso loro di avere una vita dignitosa.

Mirella ha davvero toccato vite e le sue azioni si vedranno per sempre nelle nostre comunità. È stata mandata dal cielo e nessuna parola può descrivere appieno il suo amore per l’umanità.

Nonostante le condizioni ambientali qui da noi siano molto dure, il suo grande cuore compassionevole la faceva camminare instancabilmente per visitare i malati, gli anziani e le persone meno fortunate e i bambini nei villaggi e nelle scuole.

Le piaceva passare il tempo con i bambini, giocare e scattare foto insieme con loro. Mirella era una specie di figura che senti di volere sempre vicino.

Abbiamo davvero visto come Dio usa le persone per aiutare gli altri, Mirella era davvero una sua serva.

Ltau sapuk, riposa in pace. Ci mancherai senza dubbio. Mentre riposi, prega per noi di emulare il tuo cuore in modo che possiamo anche noi aiutare gli altri nel modo in cui tu hai amato.

 da Agata Lekimencho
tutore dei bambini Maralal, Samburu, Kenya

Ciao, Mirellona

Mirella, che io chiamavo Mirellona, è entrata nella mia vita una quarantina di anni fa, durante i suoi viaggi in Kenya. Un dono di Dio per me e per tanti altri, specialmente i più poveri della società. Aveva un cuore grande, sempre al servizio degli ultimi.

Per me prete missionario e poi vescovo, era una sfida e una voce profetica, molto scomoda. Sia in America Latina che in Africa ha mandato «milioni» per sfamare e per far studiare i più svantaggiati del mondo.

Sapeva anche essere affettuosa, sotto una scorza dura, e si commuoveva per i piccoli, i disabili mentali (ne sanno qualcosa quelli della casa di Collegno che ha servito con amore per tanti anni).

Mirella non sapeva misurare le parole contro le ingiustizie e le falsità nella società e, talvolta, nella chiesa stessa.

Ciao Mirellona. Grazie di avermi incontrato nella vita. Ci ritroveremo in Paradiso circondati dal sorriso dei piccoli.

+ Virgilio Pante
01/05/2023, Maralal, Kenya

Creazione da reinterpretare?

Leggo sempre con molto interesse la rubrica «Camminatori di speranza» del biblista Angelo Fracchia. Mi sembra di capire che egli tenti di spiegare la maggior parte dei cosiddetti miracoli in chiave naturalistica, essendo il primo aspetto frutto della mentalità del tempo di redazione. Alla luce dell’accettazione sempre più profonda delle coppie omogenitoriali da parte di varie correnti cristiane, della Chiesa Valdese e della stessa Chiesa cattolica, dobbiamo forse aspettarci una rilettura dell’atto di creazione della donna come atto di creazione di una persona a cui ciascuno attribuisce il sesso che desidera?
Grato dell’attenzione porgo cordiali saluti.

Saverio Compostella
01/04/2023

Abbiamo girato la domanda ad Angelo Fracchia. Ecco la sua risposta.

Ringrazio intanto della generosa attenzione. Provo a rispondere in tre punti.

1) La lettura «naturalistica» dei miracoli è in effetti quella preferita oggi, per ragioni anche culturali, in quanto fatichiamo ad ammettere la presenza di eventi inspiegabili, laddove l’antichità era molto più pronta ad accoglierli. L’interpretazione preferita dall’approccio storico critico è tuttavia quella che cerca di cogliere che cosa un testo antico volesse effettivamente significare, al di là delle interpretazioni e premesse culturali di chi scriveva.

2) Leggere in questo modo il racconto della creazione della donna in Gen 2 porta a cogliere che il cuore di quell’episodio è individuare come fondamentale per gli esseri umani non solo un rapporto verso l’alto (con Dio) e il basso (con gli animali, la creazione), ma anche alla pari, in una relazione che è segnata dall’affinità («osso delle mie ossa, carne della mia carne») e insieme dalla chiara differenza (a essere chiamati a diventare «una carne sola» sono «i due»).

3) Restando dentro la logica del testo, a porre come differenti e complementari i due è l’opera divina, ossia qualcosa che gli esseri umani non decidono. Ci sono molti aspetti della nostra esistenza che semplicemente ci troviamo a gestire (dove e da chi nasciamo, il nostro aspetto, persino il nostro carattere…) senza averli scelti.

Consapevolezza culturale e ascolto di situazioni umane complesse portano anche le chiese, sempre più, a rendersi conto che la stessa condizione omosessuale, o come ci si percepisce, sono un «dato» non scelto da chi la vive. Per questo si sta uscendo dalla condanna di persone che sono autenticamente in questa realtà, perché se non c’è scelta non c’è colpa. Non è però che queste persone abbiano «deciso» di essere come sono. Piuttosto, si tratta di riconoscere chi siamo e decidere come gestire questa nostra esistenza che non abbiamo stabilito noi.

Poi, dal rispetto e accoglienza piena di una persona omosessuale e della sua dimensione di compimento di sé non consegue per forza accettare l’omogenitorialità. È altra cosa che merita di essere rimeditata con calma, ricordandoci che nel generare, il centro non sono i genitori, ma i figli.

Angelo Fracchia
13/05/2023

È chiaro che la questione dell’omogenitorialità è tutt’altro che semplice, con differenze profonde a seconda che si tratti di una coppia gay o lesbica. La posizione della Chiesa, ribadita sia nel Catechismo che nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa cattolica, è che le unioni di fatto (tra persone omosessuali) non sono equiparabili al matrimonio tra uomo e donna.

Ovvio che non è questo il luogo per approfondire il tema. A noi sta certamente a cuore il rispetto e l’amore per ogni persona, contro ogni discriminazione di sesso, etnia, cultura, posizione sociale o colore della pelle.

Assalto all’occidente?

Buon giorno,
qualche parolina su cosa dobbiamo imparare dagli indigeni oceanici. Il timore reverenziale verso la natura era terrore degli spiriti che popolavano le foreste i fiumi le montagne. Ma ciò non impediva loro di praticare l’infanticidio quando la foresta aveva esaurito i frutti, di torturare i nemici o stranieri, straziandoli in modo indicibile (i sopravvissuti rimanevano terrorizzati per giorni e giorni), e non diciamo degli stupri, incesti, cannibalismo, promiscuità, ecc. comuni a tutti i primitivi, compresi i popoli amazzonici, campioni di orrori anche peggiori.

Se l’uomo bianco non avesse lavorato modificando la natura infida del caos primordiale, non ci sarebbe nulla sulla terra, né case confortevoli, né elettrodomestici, e cibo ogni giorno dell’anno, scuole, ospedali, strade, neanche i giornali da cui parlate, ecc.

Tutto ciò che chi non è occidentale invidia vorrebbe possedere senza aver mai lavorato, e tenta di depredare insozzando i luoghi in cui vengono accolti per amore fraterno, ma i fratelli uccidono e restano impuniti, vedi Caino.

La povertà materiale si combatte col lavoro, attività sconosciuta per gran parte di africani, indios, asiatici i quali sono ai primi posti per omicidio, stupro, spaccio di droga violenza contro le donne e i bambini, abbandono dei deboli e malati, terrorismo, conflitti tribali, ecc., bei regali del terzo mondo che non si sviluppa soprattutto in etica.

La natura non ha moralità (papa Wojtyla) e chi vive in armonia con essa diventa una bestia. A questa bestia si stanno avvicinando gli europei. Da quando amano la natura infatti sono diventati animalisti, sodomiti legalizzati (pratica diffusa tra i selvaggi), abortisti gratuiti e altre aberrazioni tipiche di questi individui non certo buoni, miti e innocenti.

I volontari continuano ad essere uccisi. Nonostante il Vangelo la luce è ancora lontanissima. Se scompare la cultura occidentale (ancora in maggioranza buona) sarà la fine per tutti, ma siamo a buon punto verso l’abisso grazie alla vile sovrappolazione di Africa, Asia, America Latina, ricchi di risorse ma non di gente che lavora cioè i maschi le donne sono oberate di tutto e nessuno le protegge. Saluti.

Gli occidentali
email di L.V., 29/04/2023

Forse lo spunto di questa email è stato il nostro articolo sul Pacifico come Territorio di caccia (MC 4/2023, p. 10). Sarebbe stato un testo da ignorare, ma non è stato possibile visto che assurdità simili sono oggi anche sulla bocca di politici con responsabilità di governo.

Molte delle accuse fatte ai popoli indigeni sono quelle che, nei secoli, hanno giustificato il colonialismo e anche la cosiddetta «civilizzazione cristiana». In realtà oggi possiamo tranquillamente dire che sono pure fandonie per giustificare una pseudo superiorità culturale e morale che, di fatto, noi occidentali non abbiamo.

Primo. Cocktail di etnie.
Noi occidentali (e noi italiani, in particolare) esistiamo perché siamo il risultato di un’incredibile mescolanza di etnie diverse: dagli indoeuropei agli schiavi nordafricani, asiatici e nordici che i Romani importavano a migliaia; dai popoli dell’Est (Unni, Longobardi, Mongoli, Slavi e affini), che hanno invaso o trovato casa nelle nostre pianure, ai «mori» che hanno scorazzato per anni nelle nostre valli e razziato le nostre coste.

Secondo.  Violenze.
Quanto a violenze ed efferatezze non siamo secondi a nessuno. Basta ricordare l’Olocausto, la bomba atomica, la schiavitù praticata per secoli e che, pur ufficialmente abolita, continua di fatto in tantissime fabbriche delocalizzate e con la tratta di persone per lavoro nero, prostituzione e pornografia, il colonialismo che ha espropriato tanti popoli delle loro terre e delle loro risorse, il cambiamento climatico in corso causato dal nostro stile di vita, il traffico di armi, le guerre dirette e per procura, fino all’attuale follia in Ucraina.

Terzo. Lavoro.
Siamo davvero sicuri che il nostro modo di lavorare sia il migliore e il più umano? Lavoriamo davvero per vivere meglio e creare un mondo più bello o per avere sempre di più anche sulla pelle degli altri e a spese dell’ambiente?

Quanto a tutto il resto: davvero possiamo vantare superiorità su altri popoli e culture? E circa la fola della sovrappopolazione come minaccia per la nostra etnia, siamo seri per favore. Siamo noi che stiamo scegliendo di morire, rifiutandoci di fare figli.

Senza dire del presunto piano di islamizzazione dell’Europa tramite l’invasione degli immigrati. Fosse vero, basterebbe che i cristiani nominali dell’Occidente tornassero a praticare una fede sincera.

 




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari


Verso i capitoli generali

Carissimi Missionari, Missionarie e Laici Missionari della Consolata, [mentre leggete sono in svolgimento] i Capitoli generali dei due Istituti, che [sono iniziati] l’8 maggio 2023 a Nepi (Vt) per le Missionarie e il 22 maggio 2023 a Roma per i Missionari.

Come Direzioni generali, in spirito di famiglia e memori della bellissima esperienza del Convegno «Murang’a 2» (vedi dossier in MC 10/2022, ndr) svoltosi nel giugno 2022, abbiamo pensato di aprire uno spazio comune di riflessione e condivisione durante la celebrazione dei due Capitoli, che si concretizzerà nelle giornate di sabato 3 e domenica 4 giugno 2023.

Il giorno 3 giugno le due assemblee capitolari si incontreranno e «allargheranno la tenda» alla partecipazione online di tutti i Missionari, le Missionarie e i Laici Missionari della Consolata che lo desiderano. […] Insieme potremo riflettere, guidati da alcuni esperti, circa le sfide e le opportunità del mondo odierno e l’evangelizzazione oggi.

Sabato 3 giugno avremo con noi i coniugi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi, entrambi professori all’Università del Sacro Cuore di Milano, che ci aiuteranno a capire i macro scenari che caratterizzano il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Seguirà l’intervento del cardinale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, indicando possibili percorsi di evangelizzazione come risposta alle sfide della realtà. La giornata del 4 giugno vedrà di nuovo le due assemblee capitolari riunite assieme in presenza a Roma per raccogliere i frutti della condivisione. Sarà elaborato un messaggio da inserire negli Atti capitolari dei due istituti, quale sintesi delle riflessioni scaturite da questo incontro e come segno di comunione.

[…] Affidiamo alla nostra Mamma Consolata, al nostro beato Fondatore e alle nostre beate Irene e Leonella questa iniziativa di famiglia.

Un saluto cordiale a ciascuno e ciascuna,

padre Stefano Camerlengo e suor Simona Brambilla
superiore e superiora generale, Nepi, 31/03/2023

XIV Capitolo generale. 4 giugno 2023, Roma, I due capitoli – IMC e MdC – in foto di gruppo con il cardinal Parolin (foto Julio Caldeira)


Inaugurato «CAM – Cultures and Mission»

Foto Marco Bello

Presso la Casa Madre dei Missionari della Consolata di Torino, il 19 aprile 2023 si è inaugurato il nuovo Polo culturale «Cam – Cultures and Mission», uno spazio dedicato al dialogo e alla conoscenza delle civiltà e dei popoli attraverso un allestimento multimediale e l’esposizione di oggetti e testimonianze provenienti dagli oltre 120 anni di presenza missionaria nel mondo (cfr. MC aprile 2023).

Si tratta di un dono che l’Istituto Missioni Consolata vuole offrire alla città di Torino (e non solo, ndr), come spazio di dialogo e di confronto sulle tematiche dei diritti, della pace, della giustizia, della salvaguardia del creato.

Il Polo culturale Cam è stato inaugurato alla presenza delle autorità civili, tra cui il sindaco della città di Torino Stefano Lo Russo.

Ha inviato un messaggio anche l’arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole: «Caro padre Stefano [Camerlengo], […] inizio a mandare la mia vicinanza e la mia gratitudine per il dono del Polo culturale: oltre a essere una testimonianza viva della vostra attenzione alle persone di tutti i continenti, sono sicuro che sarà un punto di incontro e di dialogo fecondo per la città e la diocesi».

L’arcivescovo è poi stato presente alle 17.30 all’incontro dedicato al mondo ecclesiale, durante il quale ha portato un saluto anche mons. Marco Prastaro, vescovo di Asti, incaricato per la Conferenza episcopale piemontese della Commissione regionale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le chiese, e Migrantes; suor Maria Luisa Casiraghi, superiora della regione Europa delle Missionarie della Consolata; don Alessio Toniolo, direttore dell’Ufficio missionario diocesano.

Foto Gigi Anataloni

Il Cam è un nuovo spazio espositivo moderno e interattivo che l’Istituto Missioni Consolata ha realizzato con l’obiettivo di mettere a disposizione della città un luogo che racconti l’incontro tra culture diverse e che celebri la vita e la bellezza della cooperazione tra popoli, prevedendo percorsi e aree a disposizione di scuole, associazioni e visitatori e facendone un punto di riferimento del territorio. Il Polo avvierà infatti numerose attività con l’obiettivo di coinvolgere scuole e organizzazioni giovanili per sensibilizzare sui temi della pace, della giustizia, della cura del creato, con un allestimento nel rispetto della sostenibilità ambientale – che ha visto il recupero e riutilizzo di materiali originali e l’utilizzo di tessuti naturali – con una forte ricaduta sociale per il territorio.

Il nuovo Polo culturale, oltre a offrire spazi di dialogo e confronto alla cittadinanza, valorizza infatti le collezioni museali e il patrimonio archivistico conservato in tutti questi anni dall’Istituto Missioni Consolata, su indicazione del suo fondatore. L’iniziativa è stata presentata da padre Stefano Camerlengo, superiore generale dell’Istituto Missioni Consolata, che ha dichiarato: «In questi oltre 100 anni di attività abbiamo sempre lavorato per l’incontro tra uomini e donne di fede e cultura differenti, collaborando per la difesa delle popolazioni e dei territori messi a dura prova da conflitti, povertà e cambiamenti climatici. La cooperazione e il dialogo tra popoli sono l’unica via per un’esistenza pacifica e un progresso sostenibile da un punto di vista sociale e ambientale e le nostre missioni lo dimostrano da sempre. Questo spazio nasce dunque per restituire alla città una preziosa testimonianza di quello che i nostri volontari, le nostre volontarie e i missionari hanno potuto vedere nei 29 paesi in cui operiamo, dall’Africa all’Asia, ma anche in Europa e America, dove da anni siamo impegnati nella difesa della foresta amazzonica a fianco delle popolazioni locali».

Il Cam aprirà al pubblico sabato 10 giugno in via Cialdini 4, a Torino. Consultare il sito cam.consolata.eu per informazioni più precise sugli orari di visita.

testo adattato dal comunicato stampa per il lancio del Cam

Foto Gigi Anataloni




Noi e Voi, lettori e missionari in dialogo

Nonviolenza e guerra in Ucraina

Pubblichiamo lo scambio di mail tra un nostro lettore e Pasquale Pugliese, autore dell’articolo «La guerra dei sonnambuli» uscito su MC di gennaio. Ringraziamo i due per averlo condiviso con noi e i nostri lettori.

Buonasera Pasquale,
nell’articolo «La guerra dei sonnambuli» parla di azioni nonviolente di Gandhi e tanti altri che hanno ottenuto per il loro popolo risultati che sembravano incredibili.

Attuare l’azione nonviolenta anche in Ucraina sarebbe straordinario, ma non ho trovato possibili azioni concrete. Voi quali azioni pensate per quello che il Papa definisce «il martoriato popolo ucraino»?

Ci vorrebbero modalità diverse: perché ogni situazione è diversa dalle altre e soprattutto perché in Ucraina un esercito bombarda case e civili. Come si può affrontare un’azione militare con la nonviolenza?

Ci penso dall’inizio della guerra. E non mi dò pace per non aver cercato gruppi come il vostro già nel 2014.

Non l’ho fatto io, ma anche nessun governo in Occidente in quegli 8 anni ha cercato di fare quello che avrebbe potuto ottenere, che allora sarebbe stato incommensurabilmente più di quanto si possa immaginare adesso.

La stella polare resta nelle parole del Papa e dei siti da lei indicati: interrompere la guerra per ricostruire un tessuto umano, che nessuna vittoria militare riuscirebbe a garantire.

Il problema è immenso: cessare le ostilità senza la resa dell’Ucraina e l’assoggettamento alla Russia di tutta la sua popolazione: la diplomazia non è il mio mestiere, ma non posso credere che non esista una via per un accordo, anche parzialmente doloroso.

Sempre sperando che uno spiraglio di pace, «giusta», come dice il Papa, possa aprirsi e superare la terribile situazione di milioni di nostri fratelli e sorelle, non solo ucraini, ma anche di tutte le altre situazioni di guerre e persecuzioni nel mondo.

Filippo Pongiglione, Genova, 24/01/2023

Buonasera Filippo e grazie per la sua email.

Credo che non sia possibile proporre dall’esterno specifiche azioni nonviolente durante una guerra in corso, senza esserne parte e conoscerne le condizioni e le sofferenze, tuttavia, gli stessi ucraini hanno realizzato importanti forme di resistenza senza l’uso delle armi, seppure non sufficientemente raccontate e mai davvero prese in considerazione, come realistica possibilità, di fronte al diktat politico e comunicativo dominante: o armi oppure inermi.

Ne trova una significativa documentazione a cura dell’Istituto catalano per la pace (Icip) e dell’Istituto internazionale di azione nonviolenta (Novact) nel dossier «La resistenza civile nonviolenta in Ucraina» (in www.atlanteguerre.it).

Purtroppo – come avvenuto peraltro anche nel caso della resistenza nonviolenta del popolo kosovaro rispetto alla Serbia – l’insistere sulla guerra come unico strumento di lotta (soprattutto se con intervento militare esterno) annienta, insieme alle vite, anche le possibilità di successo delle altre forme di resistenza schiacciate tra le opposte violenze.

L’organizzazione della quale faccio parte, il Movimento nonviolento, fin dallo scorso febbraio 2022, da un lato sostiene il Movimento pacifista ucraino@ nelle sue diverse azioni, anche traducendone e diffondendone i documenti, dall’altro, insieme alla War resister’s international@ sostiene gli obiettori di coscienza alla guerra russi, bielorussi e ucraini, la cui azione coraggiosa, osteggiata dai rispettivi governi, ha sia un valore in sé, che di esempio rispetto alla dimostrazione della non inevitabilità della guerra e della relativa obbedienza@.

Per quanto mi riguarda, inoltre, nell’articolo che ha letto, e nei molti altri che può trovare su diverse testate, cerco di resistere con la nonviolenza alla militarizzazione del pensiero anche in casa nostra. Cordiali saluti.

Pasquale Pugliese

Sudafricano con i sudafricani

L’annuncio della scomparsa, il 14 marzo 2023, di padre Rocco Marra ha portato una grande nube di tristezza su molti, sia missionari che laici nella delegazione (il gruppo dei 25 missionari della Consolata, ndr) del Sudafrica/eSwatini.

Padre Rocco Marra nasce il 19 ottobre 1962 a Tricase, Lecce, da Riccardo e Longo Fulvia (riposi in pace). Ha una sorella, Stefania, e due fratelli, Tommaso e Gianni. Arriva in Sudafrica nel 1993, dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1988 e aver fatto alcuni anni di animazione missionaria a Galatina (Le). Concluso lo studio della lingua zulu, nel 1994 inizia il suo servizio adattandosi a vari ruoli in Sudafrica: come aiutante in una missione, come parroco responsabile oppure come animatore missionario; diventa anche consigliere e poi amministratore del gruppo dei missionari.

Questo fino al 2016, quando viene inviato a Manzini, in eSwatini dal 2016 al 2019. Là svolge attività pastorale nelle parrocchie dei santi Pietro e Paolo a Kwaluseni, e si interessa attivamente anche dei rifugiati. Nominato superiore delegato della gruppo dei missionari, si trasferisce a Waverly (Pretoria). Nel 2021, a causa di problemi di salute, padre Rocco torna in Italia, nella comunità di Milano dove, mentre si fa curare, aiuta il superiore regionale dei missionari in Europa. Il Signore lo chiama a sé il 14 marzo 2023 per ricompensarlo di tutto il lavoro missionario e sacerdotale che ha svolto con tanta dedizione.

Padre Rocco Marra era molto conosciuto in tutto il Sudafrica, soprattutto nelle diocesi di Pretoria e Dundee. Era un animatore molto dedito, che lavorava con e per i giovani. Oltre a questo, la sua passione era nella formazione dei laici cristiani, nella collaborazione tra laici e missionari e, ancora più profondamente, nell’inter collaborazione tra i missionari stessi. Curare la formazione permanente era anche un suo punto di forza.

Padre Rocco era un comunicatore appassionato, e da quella passione è nato il blog Sanibonani (ciao, salve, saluti, ndr), che è diventato lo strumento di informazione dei missionari all’interno e all’esterno del Sudafrica ed eSwatini.

Padre Rocco ci ha amato. Amava tutti i missionari in egual misura, anche se aveva un carattere a tratti imprevedibile. Tuttavia, era un vero riconciliatore e non ha mai preso le cose sul personale. Per questo lo ricorderemo davvero. Possiamo quindi riassumere padre Rocco Marra con queste caratteristiche: un vero essere umano, un autentico missionario e un sacerdote devoto, un vero figlio del beato Giuseppe Allamano.

Phumula ngoxolo, Idwala (Riposa in pace, roccia).

adattato da Sanibonani, https://consolata.blogspot.com
di padre Francis Onyango, 20/03/2023

 


Una rivista che parli a tutti

Caro direttore,
ricordo che già da bambino arrivava in famiglia la rivista delle Missioni e parlo degli anni 1940.

Ho viaggiato il mondo in lungo e in largo come pochi per lavoro. Ho vissuto a contatto con le popolazioni sudamericane e africane, specie East Africa: Kenya, Rwanda, Burundi, Tanzania e Sudan. Viaggiavo da solo per conoscere e per capire […]. La mia terribile sintesi dopo tanti viaggi è questa frase: «Mi vergogno di avere la pelle bianca». L’ho ripetuta sovente e rappresenta il mio vero sentire perché questa è la realtà. Ho vissuto l’impegno, la passione, la generosità dei Comboniani delle loro missioni distrutte nel Sud Sudan, e nelle missioni in Kenya. Ovunque le missioni cristiane sono un esempio di altruismo: persone che portano civiltà, educazione là dove regna solo miseria. Ho viaggiato negli anni 70 per circa 3.500 km in Africa da solo con zaino, la macchina fotografica e con pochi soldi in tasca. Sono stato rispettato e accolto da una marea di persone semplici e povere, mai avuto problemi o furti.

Direttore, le scrivo queste righe per due ragioni.

La prima è che niente può a mio avviso sublimare di più una persona che ha scelto la nostra fede se non la vita di missionario, attività che ti dà la soddisfazione ogni giorno di essere utile agli altri, cosa che oggi nel nostro mondo consumistico e avaro nessuno riconosce alla attività dei preti in generale.

La seconda ragione si riferisce alla abissale caduta di valori a ogni livello che si è sempre più accelerata da quaranta anni in qua. Penso solo ai miei viaggi in solitario, oggi impensabili, fosse solo per la sicurezza personale. Il morbo del potere a ogni costo ha rinforzato una élite politica mondiale che non sente più il senso della fratellanza, della pianificazione di progetti agrari e sociali per garantire almeno un pasto al giorno normale oltre un minimo di assistenza medica. Mentre l’unico sviluppo sempre più rapido sono guerre e conseguenti distruzioni. Il Medio Oriente, che ben conoscevo, non c’è più: Siria, sud Turchia, Giordania, Iraq al 50% distrutti con i loro patrimoni storici in rovina.

Scrivo queste righe a lei perché da sempre, non da oggi, ho apprezzato lo spessore educativo della rivista. […] In conclusione, MC ha uno spessore di contenuto morale educativo molto elevato.

Dico questo perché sarebbe utile a mio avviso pensare a una edizione che permetta di avvicinare anche il lettore che non è un fervente o assiduo credente. Voglio cioè dire che l’impronta attuale non viene accettata dai troppi che sono poco credenti. L’obiettivo sarebbe di valorizzare al massimo il contenuto della rivista facendola arrivare a un pubblico più vasto.

Ho qui davanti l’edizione del marzo 2023 ricca di articoli molto incisivi sulle tragedie del mondo di oggi che devono far pensare il maggior numero possibile di persone.

Questa email ha lo scopo di valutare se possibile fare una edizione meno religiosa per dare più valore agli articoli che descrivono sempre con verità le tante situazioni.

Per esempio, circa un anno fa ci fu un articolo sul Perù che dava una descrizione dell’antagonismo contro l’eletto presidente Castillo che spiegava molto bene la realtà. Sono articoli che scrive solo chi vive e conosce bene l’argomento come è la regola di MC.

Spero che la lettura non l’abbia annoiata e possa portare a qualche concreta valutazione. Un cordiale saluto

Giorgio Biancardi
15/03/2023

Caro Giorgio,
grazie della lunga email (che ho dovuto tagliare in parte). Grazie anche per la sua lunga amicizia con la nostra rivista e i missionari. Grazie anche dell’invito che ci fà a fare una rivista che parli anche al cuore di chi è poco credente. Cerchiamo di realizzare questo facendoci aiutare da testimoni e corrispondenti che vivano in prima persona quello che raccontano.

Tentiamo anche di usare un linguaggio il meno clericale possibile. Con convinzione abbiamo fatto nostro il motto: «Tutto quello che è umano mi interessa» (libera traduzione di Homus sum, humani nihil a me alienum puto di Terenzio), perché crediamo che il primo a essere totalmente appassionato dell’uomo sia Dio stesso, che non ha considerato un’umiliazione prendere su di sé la nostra umanità in Gesù.

È una sfida quotidiana anche per noi, grazie di esserci vicino in questa avventura.

 


Nell’agenda di Gianni

Gianni Minà a una serata nell’Aula Magna del CAM a Torino.

La sua rubrica esordì su MC nel dicembre del 2015 con un titolo azzeccatissimo: «Persone che conosco». Perché Gianni Minà, scomparso lo scorso 27 marzo, conosceva tutti, ma proprio tutti.
Famosa al riguardo è rimasta la battuta di Massimo Troisi: «Invidio quest’uomo per la sua agendina telefonica», disse l’attore napoletano.

Giornalista, scrittore e documentarista, Gianni Minà aveva nell’empatia la sua qualità più preziosa. È stata certamente questa sua dote che gli ha permesso di portare davanti a taccuini, microfoni e telecamere un numero impressionante di personaggi dello sport, della cultura, dello spettacolo e della politica. Da Muhammad Ali (Cassius Clay) a Diego Armando Maradona, da Rigoberta Menchú a Fidel Castro.

Nel giornalismo – oggi più che mai – l’obiettività è un mito. Gianni Minà è sempre stato considerato un giornalista schierato, militante. Vero, ma lo ha fatto senza sotterfugi: prima la realtà dei fatti e il racconto dei protagonisti, poi le opinioni. «Non ho mai avuto – mi ha raccontato in occasione della presentazione di un suo libro – una tessera politica, né ho mai ambito ad averla. Io sono una persona che è stata educata dai Salesiani. Ho capito da che parte stare quando ho visto la miseria. Per esempio, quella dei bambini di San Paolo che mi ha fatto conoscere Frei Betto».

I pezzi di Gianni scritti per Missioni Consolata non sono molti (li trovate tutti sul sito della rivista), ma per noi era già un onore essere riusciti ad annoverarlo tra i nostri collaboratori. Era una stima reciproca: quando lui decise di presentare – in anteprima nazionale – il suo documentario sulla visita di papa Francesco a Cuba, lo fece a Torino, sua città natale, nell’aula magna dei missionari della Consolata (2016, foto qui sotto).

L’ultima apparizione su MC è stata indiretta (giugno 2022), per mano di Loredana Macchietti, moglie di Gianni, ma anche sua producer, agente e factotum: era la presentazione di un suo documentario dedicato al marito (e padre di Marianna, Francesca e Paola).

Per concludere, mi sia consentito un piccolo ricordo personale.
Il mio primo incontro con Minà risale a oltre venti anni fa, quando ricevetti una sua telefonata in risposta a una email. Mi parlò subito come ci conoscessimo da una vita e poco dopo (relativamente poco, visto che le sue telefonate erano sempre lunghissime) mi chiese di scrivergli un articolo sulla situazione in Perù per «Latinoamerica», la prestigiosa rivista che lui e Loredana avevano rilanciato. Non ci pensai su un attimo e quello fu l’inizio della nostra amicizia.

Paolo Moiola




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari


Mille e duecento km a piedi

Gentile Redazione,
siamo tre amici di Cherasco (Cn) che hanno scritto nel 2022 il libro «Padre Giuseppe Alessandria, 1.200 chilometri a piedi», di 156 pagine, corredato di fotografie.

Padre Giuseppe è stato un missionario della Consolata che ha dedicato la sua vita alle missioni in Mozambico, a propagare la fede e a fornire aiuto, non solo spirituale, agli abitanti di quelle terre.

Molti sono i motivi che ci hanno spinti a scrivere il libro, tra i quali uno molto importante e insolito: nella famiglia di padre Giuseppe ci sono state ben 16 vocazioni religiose: nove sacerdoti, sei suore e una terziaria francescana.

Il testo contiene materiale che il nipote Giovanni aveva ricevuto da padre Giuseppe prima di partire per l’ultima volta per il Mozambico: due album fotografici e alcuni scritti, tra cui un diario giornaliero dei primi sei mesi di vita sacerdotale, del suo viaggio in Portogallo per imparare il portoghese e del viaggio che lo ha condotto a Maputo, capitale del Mozambico, dove è stato missionario per 13 anni, fino al drammatico racconto del sequestro.

Padre Giuseppe è stato ordinato sacerdote nel 1964 e qualche anno dopo, nel 1969, è stato inviato in Mozambico, dove nel luglio del 1982 è stato fatto prigioniero dai guerriglieri della Frelimo, dai quali è stato costretto a percorrere 1.200 chilometri a piedi attraverso la savana, con quattro suore e un altro confratello, e liberati solo dopo quattro mesi di prigionia.

Tornato in Italia, la sua volontà sarebbe stata di ripartire al più presto per tornare a «casa sua», come chiamava la terra di missione. Dopo varie richieste, riuscì a ripartire per il Mozambico solo nel 1996, dove rimase per poco tempo a causa di un incidente stradale che provocò la sua morte, il 30 luglio 1998.

Con il nostro scritto desideriamo ricordarlo a 25 anni dalla sua morte e far conoscere la dura realtà dei missionari che spendono tutta la loro vita per gli altri.

Padre Alessandria è stato un missionario autentico, un lavoratore instancabile e generoso, sia in terra di missione, che in Italia e in Portogallo, con tutti quelli che lo hanno conosciuto e amato.

Giovanni Tarabra, Giuseppe Capra e Agostino Borra
Cherasco, 21/01/2023


Nomadelfia è in Tanzania

Egregio direttore,
mi presento subito: sono Mina di Nomadelfia.

Le riviste missionarie sono sempre state attraenti e interessanti ma, da un po’ di tempo, è più viva la mia curiosità di sapere di più della Tanzania sul cui territorio sta muovendo i primi passi Nomadelfia. Abbiamo letto con interesse la pagina di padre Bernardi sulla rivista di luglio 2022 in cui parla la presidente del Tanzania. Le notizie che ci riferiva fanno capire che c’è tanto bisogno di una presenza costruttiva di vita vera fraterna e lieta.

Nomadelfia è a Mvimwa, nelle vicinanze del monastero benedettino.

I rapporti con i benedettini di questo monastero sono iniziati nel 2016 con l’abate Denis Udomba in visita a Nomadelfia. Rimasto fortemente colpito dall’esperienza vissuta con noi, ha invitato i nomadelfi ad una collaborazione fattiva con i monaci per portare la proposta di una vita fraterna tra le famiglie legate al monastero.

Spero tanto che, tramite la rivista Missioni Consolata, venga conosciuto questo piccolo popolo di volontari cattolici che papa Francesco ha definito «una realtà profetica» e che san Giovanni Paolo II ha dichiarato: «Un seme piccolo che deve crescere e diventare grande e forse formare la civiltà del mondo futuro. Se siamo vocati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia (nomos + adelfos = legge di fraternità) è un preavviso, un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti».

Sempre nella stessa rivista del luglio 2022, il giornalista Marco Labbate parla, nell’articolo «Tu non uccidere», di don Milani, di don Primo Mazzolari, di Aldo Capitini, di La Pira, padre Ernesto Balducci, don Bosco … mi aspettavo che parlasse anche di don Zeno (Saltini, fondatore di Nomadelfia, ndr) che con i figli ha buttato giù i muri del campo di concentramento di Fossoli (frazione di Carpi, Modena).

Caro direttore, preghiamo che lo Spirito Santo ci illumini nel nostro apostolato. La Madonna ci sia vicina, ci insegni a muoverci con delicatezza e costanza.

Gesù non può lasciarci soli, in fondo è lui che deve fare con noi.

Grazie per le informazioni che ci date dei nostri fratelli vicini e lontani.

Mina di Nomadelfia
23/12/2022


Complimenti

Gentilissimi,
mi è gradito trasmettervi questa breve nota.

Nel numero 10, ottobre 2022 di Missioni Consolata: leggo la nota di un lettore (a pag. 7) sul decaduto interesse per la carta e per la rivista. Ne rimango allibito: MC è a mio avviso una delle poche riviste che affronta seriamente temi molto attuali di varia natura con una visione di sintesi, ma anche etica e sovente, sulla base dell’esperienza diretta su territori poco vissuti da noi «benestanti del mondo», ne derivano articoli di rara qualità e reperibilità. Sono invece, diversamente da tale lettore, molto positivamente colpito dalla capacità degli autori di MC di affrontare temi anche tecnici, presumibilmente non facenti parte delle loro quotidianità (penso ad uno recente sui veicoli elettrici, ad idrogeno, ecc.), con una limpidezza ed intelligenza, oltre che cuore, assai ardui da trovare negli scritti e nelle persone «moderne». Un lettore che non apprezzi tutto ciò merita comprensione, possibilmente per altri stati di disagio che non quello di sfogliare una rivista stampata, il cui eventuale danno ambientale è veramente tutto da provare.

Complimenti per il Vs. operato.

Bruno dalla Chiara
22/02/2023


Una lettera dal passato

Carissimi,
mi è tornata tra le mani questa lettera, inviata alla mia nonna, nel lontano 1931 dalla missione di Kaheti dalla vostra suora missionaria suor Luigia, con tanto di numero di protocollo n. 908.

La suora ringraziava per un’offerta inviata dalla mia nonna Rossetti Grosso Maria e raccontava del battesimo effettuato a un uomo in punto di morte, con il nome di Luigi Francesco, che era quello del figlio ventunenne (mio padre),

Dai racconti della famiglia, sapevo che mio padre, nel gennaio del 1931, era scampato dalla tragedia che aveva coinvolto gli Alpini in servizio militare nell’alta Valle di Susa, e precisamente nel Vallone di Rochemolles. C’erano stati una ventina di morti (esattamente 21, ndr) travolti dalla valanga e alcuni anche del mio paese (Cumiana). Penso quindi che mia nonna, devota della Madonna Consolata, abbia voluto ringraziare Maria per il ritorno sano e salvo del proprio figlio.

È un ricordo che volevo condividere con Voi con tutta la stima per quanto continuate a fare in terra di missione. Con stima

Eva Rossetti
23/01/2023

Ecco il testo di quella preziosa lettera nell’italiano del tempo.

Pregiatissima Signora,
capitò, ieri, qui un uomo sulla cinquantina, il quale giunto nel bel prato adiacente alla nostra Missione cadde a terra. Fu visto da alcuni pastori di greggi e venne avvicinato, ma non gli poterono recare alcun aiuto poiché non dava alcun segno di vita. Alcuni di questi fanciulli corsero ad avvertirci del caso e mi portai colà. Lo sollevarono, gli diedi a bere un po’ di cordiale e dopo poco parve riaversi, ma ricadde al suolo dicendo lasciatemi dormire. Dopo un quarto d’ora si destò e ci diede sue notizie.

Egli tornava dalla vicina Regione del Meru ove s’era recato per comperare un bue, ma poi al ritorno fu assalito da certo malore che non sapeva definire accompagnato da vomiti di sangue nerastro. (I Neri dicono che egli sia stato avvelenato, poiché quei popoli sono avvelenatori astuti assai). Il bue, si sa, gli sfuggì e non poté rincorrerlo perché assalito appunto in quel momento da eccessivo vomito. Poveretto!

Diceva questo e fu riappreso dal più grave eccesso di vomito sanguigno ed in meno di un quarto d’ora era ridotto in fin di vita. Visto il caso disperato lo disposi a ricevere la grande grazia del S. Battesimo. Accettò di gran cuore e quasi subito dopo spirava. Ora il nostro Luigi Francesco è già in cielo a pregare per lei. Gradisca i miei riconoscenti ossequi

Dev. Suor Luigia,
 M. d. Consolata
Kaheti 06/08/1931

 

Grazie per questa condivisione di vita di altri tempi. Il racconto di suor Luigia è di una vivezza speciale, e in me, che nei miei primi giorni di missione ho dovuto seppellire una adolescente che era stata avvelenata, suscita un’emozione profonda.


Devozione ai piedi di Gesù

Carissimo padre Gigi,
ti mando questo materiale, caso mai riuscissi a fare un po’ di pubblicità. Avevo già provato a pubblicare un libro, ma era stato come vendere verdure in un negozio di fiori. Adesso ho trovato un editore. Per me è la prima volta che pubblico un libro. Pensa che ho venduto la bellezza di … 39 copie. Insomma, io ti butto tutto addosso ma tu fa come vuoi. L’importante è che Gesù faccia bella figura. Ciao e buona festa del Fondatore.

Ecco qui una breve presentazione del libro che ho appena pubblicato.

«Chi non conosce Maria Maddalena? La grande santa, la grande apostola, la grande convertita. Ma lo sapevate che è anche una grande maestra di vita spirituale? Con il cammino finora inesplorato della devozione ai piedi di Gesù, Maria di Magdala ci aiuta a crescere nella fede. Ogni volta che nei Vangeli incontriamo questa grande donna in relazione con i piedi di Gesù, entriamo in una scuola di vita e di spiritualità. Una scuola che, più che da una lunga riflessione, nasce dall’esperienza concreta e immediata dell’incontro tra l’umanità peccatrice e il Cristo Salvatore!

Sulla rivista «Testimoni» di giugno 2022, a pagina 33, c’è un articolo di Elsa Antoniazzi. Riguarda una mostra d’arte a Forlì. L’autrice sottolinea come le rappresentazioni della Maddalena vanno dalla «Penitente» alla «sessualità redenta», alla sequela ma ancora con l’accento sul fascino della femminilità. Se questo fosse vero anche per la produzione letteraria, allora questo libro sulla «Devozione ai piedi di Gesù» potrebbe essere il primo caso in cui la Maddalena viene rappresentata come maestra di spiritualità, come discepola e apostola per sé, senza sottolineare altri elementi, che pur rilevanti, rischiano di adombrare il grande cammino ed esempio di fede di questa donna. Se qualcuno ci mostra la strada per arrivare a Dio, non importa il sesso, la nazionalità, l’età, lo stato sociale. Dio importa. E non sono molti quelli che ci hanno “dato” Dio come ha fatto la nostra Maria».

padre Gian Paolo Lamberto
Daejeon, Corea, 16/02/2023


Qui la situazione è dura

Carissimo padre,
ieri, 2 marzo 2023, sono andata nel villaggio di Longetei, non molto distante da Baragoi, Kenya, dove vivo. Ho dato una mano a cucinare una specie di porridge per i bambini che vedi nella foto. Qui la situazione è molto dura e la siccità è grande, sono diverse stagioni che non piove. Questo ha anche aumentato le tensioni tra le diverse comunità, e le razzie e gli scontri armati sono cosa ordinaria. Più di una volta sono stata svegliata dagli spari nella notte. Che il Signore e la Consolata ci aiutino.

Alishe E.
Baragoi, Kenya, 02/03/2023
(sintesi di messaggi Whatsapp)




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari

Rivista scomoda

Buonasera, quest’anno ho voluto aggiungere al bonifico per il vostro progetto natalizio (la cardiologia di Neisu) un secondo bonifico specifico per la vostra rivista, perché la vostra rivista è «scomoda».

La ritiro dalla buca delle lettere, la poso sul tavolino, la ignoro per un po’, voglio rimanere nel mio guscio di «sicurezze», non voglio sentire di altri guai, non voglio pensare (ci sono già le mille preoccupazioni del lavoro, figli, genitori anziani…), voglio solo pensieri leggeri. E poi?

Passa qualche giorno, faccio uno sforzo e riprendo in mano la rivista e poi la leggo dalla prima all’ultima pagina, mi appassiono perfino all’economia che, spiegata da Francesco Gesualdi, ha tutto un altro sapore! E quindi questa mail per dirvi grazie perché la vostra «scomoda» rivista rompe la cappa di comodità in cui vuole rifugiarsi la mia mente e vuole nascondersi il mio cuore, grazie perché mi portate lontano dal mio rassicurante piccolo mondo, mi fate conoscere realtà di cui l’informazione di massa si disinteressa come non esistessero, grazie e un incoraggiamento a continuare, sotto gli occhi amorevoli della Consolata, nonostante tutte le difficoltà che incontrate.

Manuela Pogliano
23/12/2022

 Trent’anni di penna

Nel febbraio del 1993, esattamente 30 anni fa, veniva pubblicato il mio primo articolo. Si trattava in realtà di due pezzi, la storia di una mia esperienza diretta, vissuta con l’amico Roberto Minetti, in alcune favelas di Rio de Janeiro, e una piccola riflessione personale sullo stesso tema.

Io e Roberto, nel 1992, eravamo in viaggio in Sudamerica e, in quel periodo, eravamo stati accolti da padre Claudio Fattor, missionario della Consolata, alla missione nel quartiere Benfica, area di Rio de Janeiro nel mezzo delle favelas (foto qui in basso): la famosa Mangueira, Morro do Telegrafo, Arará, Tuiutí e altre. Nonostante fossimo in viaggio già da mesi (avevamo attraversato la Patagonia in autostop, arrivando fino alla Terra del Fuoco), in quei giorni entrammo in contatto con una realtà assolutamente nuova per noi, scioccante, scomoda, che ci metteva in discussione. Una realtà che, decidemmo, si doveva raccontare, meglio, denunciare. E così fu.

Rientrati in Italia, Roberto mi portò alla Casa Madre dei missionari, in corso Ferrucci a Torino. Era la fine del 1992. Qui incontrammo per primo padre Franco Cellana, all’epoca superiore della comunità. Fu molto accogliente e, dopo i nostri racconti, non esitò ad alzare il telefono e chiamare il direttore della rivista Missioni Consolata, padre Francesco Bernardi.

Francesco ci ricevette subito. Ci ascoltò, e con i suoi occhi vispi, un mezzo sorriso incorniciato dalla barba che all’epoca aveva, manipolando una penna, ci disse che poteva pubblicare qualcosa, se gli avessimo proposto un testo.

Radunate le idee, di getto, iniziai a scrivere. In quei mesi mi capitava spesso di scrivere delle riflessioni, ero ancora pieno di immagini del Sudamerica e di sentimenti contrastanti. Mi sentivo un disadattato in Italia ed ero particolarmente ispirato. Roberto, invece, non mi seguì in questa iniziativa.

Fu così che nacquero quei due primi articoli, quasi spontaneamente, mentre dentro di me cresceva qualcosa, lo stimolo per un mio nuovo ruolo nella vita. Da un lato, occorreva fare qualcosa per ridurre le disuguaglianze di cui ero stato testimone e, dall’altro, bisognava far sapere alla gente di questa parte del Mondo che quelle situazioni esistevano.

A Rio avevo incontrato altri due personaggi particolari. Il primo era il giornalista Giuseppe Nava, che all’epoca lavorava per Missões Consolata, la rivista dei missionari in Brasile. Un giornalista che si occupava di temi sociali, in particolare di popoli indigeni, che affascinò me e Roberto con i suoi racconti e con il tipo di lavoro che faceva, dandomi sicuramente diversi stimoli.

E poi, monsignor Aldo Mongiano, vescovo di Boa Vista, di passaggio a Rio per andare in Italia, con il quale visitammo i cantieri preparatori della conferenza di Rio92. Lui ci parlò molto della sua missione e dei popoli indigeni. Ma ci fece anche riflettere sul nostro futuro. Voglio ricordare che eravamo neolaureati in ingegneria elettronica, con il massimo dei voti, e avevamo preso un periodo per visitare, in economia massima, il Sudamerica. Al nostro rientro tutte, o quasi, le strade ci erano aperte.

Questa è la storia del mio primo articolo con le prime foto pubblicate, per combinazione o per genesi, proprio su Missioni Consolata. In seguito, pubblicai su diverse testate italiane, e alcune estere.

Quindi iniziai a mettermi in testa l’idea di continuare a scrivere e a produrre immagini. Ma sempre con l’obiettivo di far conoscere e di denunciare realtà difficili.

La fotografia, che mi aveva appassionato fino dall’infanzia, la vedevo ora come il più potente mezzo per comunicare queste realtà. Il testo scritto avrebbe contribuito a descriverle.

Incontrai il mio primo giornalista in Italia, Sante Altizio, nella stanza della nostra comune amica Gabriella Roux, nel collegio femminile di via delle Rosine a Torino. Sante mi spiegò come funzionavano le cose per la professione giornalistica nel nostro paese.

Poi cercai altre storie, altri soggetti. Andai in Centro America e incontrai il movimento civile dei guatemaltechi, in particolare le Comunità di popolazioni in resistenza. Documentai la loro lotta.

In seguito, in Italia, mi presentarono il fotogiornalista Paolo Siccardi, il quale mi diede diversi consigli che si sarebbero rivelati preziosi.

Nel 1996 mi iscrissi all’Ordine dei Giornalisti, grazie a diverse collaborazioni che avevo messo in piedi negli anni precedenti. Fu per me un primo traguardo: ero ufficialmente giornalista.

Era deciso, avrei continuato anche su questa strada (intanto vivevo facendo il ricercatore nel settore delle telecomunicazioni), ma non sapevo ancora quanto spazio avrebbe preso nella mia vita.

Marco Bello
Torino, febbraio 2023

Energia e soffio vitale

Caro padre,
ho già scritto altre volte su queste pagine. In particolare, in uno dei miei scritti parlavo di Dio come fonte di energia. «Allora, il Signore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). E commentavo: «Come non interpretare quel soffio come Energia?».

Ebbene, nella vostra rivista di novembre, ho apprezzato molto l’articolo su Albert Einstein e qui mi ha fatto ricordare la famosa formula: E=mc2. Da qualche tempo questa formula mi ronza nelle orecchie cercando di andare oltre la materia rappresentata in poche lettere per descrivere tutto l’universo. Pensavo: ma non è anche divina questa Energia che impregna tutta la materia?

Un giorno, in un «lampo» intravvidi qualcosa che va oltre la materia: «ED=mc2+F2».

Mi spiego: alla E di energia ho aggiunto la D di divino, alla mc2 ho aggiunto la F di fede col 2 inteso come fede al quadrato, ossia grande fede. Badi che non intendo dire che la formula di Einstein sia errata, assolutamente no! È solo un tentativo di comprendere l’universo per coloro che credono in qualcosa che va oltre la materia (e qui sono comprese tutte le forme di religione).

Lei cosa ne pensa? Mi piacerebbe segnalarla a Piergiorgio Pescali autore dell’articolo, ma non so come fare. La ringrazio anticipatamente per l’interessamento. Un cordiale saluto.

Angelo Brugnoni
14/12/2022

Ho passato questa email al nostro Piergiorgio Pescali, ovviamente. Ecco qui la sua breve email di risposta quasi immediata.

Gent.mo sig. Brugnoni,
capisco che il verso biblico da lei citato possa indurre a interpretazioni scientifiche; personalmente, però, ho sempre interpretato che il soffio vitale che Dio ha instillato nell’uomo sia l’unicità che Dio stesso ha voluto per l’essere umano, concedendogli un dono unico che altri esseri non hanno. Quel soffio divino, quindi, è assai diverso dalla materia.

Le formule scientifiche hanno significato perché utilizzano parametri matematicamente riconducibili a realtà concrete. Nella fattispecie, la formula di Einstein ha avuto conferme e continua ad averle nel nostro mondo fisico. Inserire in questa formula (ma il discorso vale anche per tutte le altre) indici non quantificabili dal punto di vista matematico, non avrebbe senso dal punto di vista scientifico. «E», «m» e «c» sono grandezze fisiche ben determinate, che trovano riscontro nelle sperimentazioni fisiche.

Quali valori e quale unità di misura si potrebbero dare a D e F? Penso che chi ha il dono della fede non abbia bisogno di formule matematiche per spiegare il mondo in cui viviamo, la sua natura, la sua genesi e il suo termine.

Con cordialità.

Piergiorgio Pescali
15/12/2022

Unità: cantiere di fraternità

A fine gennaio, come di consueto, si celebra la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Da noi in Italia, dove si è in gran parte cattolici, non si avverte il problema della divisione tra cristiani. Né si mostra grande sensibilità. Ma in terra d’Africa o d’Asia, dove sono stato come missionario, suonava invece come uno scandalo. «Portateci il Cristo e non le vostre divisioni!», sentivo implorare. Riunirsi in nome dello stesso Cristo da una parte protestanti e dall’altra cattolici – quasi due mondi separati – era, infatti, una ben triste testimonianza.

Ora i tempi stanno cambiando… In Marocco si è perfino costituita nel 2012 a Rabat, insieme, in corresponsabilità tra protestanti e cattolici, una originale Università di teologia, unica al mondo, dal nome «Almowafaqa» (significa accordo). Rappresenta una vera novità nel panorama teologico, includendo persino professori musulmani. La Chiesa cattolica in Marocco, d’altronde, accoglie fraternamente nei suoi luoghi di culto o di accoglienza comunità protestanti. Per gli ortodossi, ricordo quando qualcuno chiedeva a père Michel, cattolico, di celebrare la Pasqua ortodossa. Ma di fronte all’imbarazzo del sacerdote, si mostrava rassicurante. «Non si preoccupi, padre, faccia come il solito, metta solo un po’ più di candele sull’altare!». Gli ortodossi, infatti, nel celebrare adorano la luce, segno vivo del Risorto.

Come missionario ho avuto l’occasione di accompagnare comunità di migranti italiani a Londra, nel mondo anglicano e nella città di Ginevra, definita la «Roma di Calvino». Ricordo quando con due ragazze italiane siamo stati al culto nella centralissima St. Martin in the Fields a Londra e la loro viva sorpresa di vedere officiare una donna pastore in talare romana. Il sermone, poi, fu di una brevità, un’efficacia e un’ispirazione esemplari. La sorpresa più grande, alla fine, quando la donna pastore alla porta d’uscita saluta come sempre ad uno ad uno tutti i presenti. Arrivato il loro turno, sapendo che non erano anglicane ma italiane, con un sorriso inesprimibile le invitava a un caffè nel bar della cripta! Sì, distanza e prossimità, allo stesso tempo, sorprendenti.

A Ginevra, invece, ci venne l’idea di invitare alla preparazione della cresima dei nostri giovani, Philippe, il pastore calvinista della parrocchia accanto. Venne con tutta la preparazione dotta della Parola di Dio, con l’esperienza di padre di famiglia di ben cinque figli e con l’amabilità sorridente del vicino di casa. Il campo da trattare era precisato, anche se sconfinato: lo Spirito Santo nella Bibbia.

Quale, però, fu la nostra sorpresa nel vedere, alla fine del lungo incontro, i nostri ragazzi pronunciare disinvoltamente termini in greco o in ebraico come «pneuma», «ruah» dopo un bel percorso filologico! Ma entusiasti, soprattutto, della loro ultima scoperta: la creazione dell’uomo. Fu un bacio in bocca dato ad Adamo da Dio. È così che Dio stesso trasmise il suo soffio di vita. Evidentemente, il pastore era ricorso alla scioltezza di linguaggio dei suoi figli, ottenendo un vero e insperato successo!

In altra occasione, in una celebrazione funebre, ci si era divisi i momenti con un pastore calvinista: a lui la spiegazione della Parola e il percorso di vita di un migrante italiano che conosceva, a me i gesti del rito e il loro commento simbolico (che i protestanti non contemplano). Alla fine, non posso dimenticare come la moglie stessa del pastore, raggiante, ci venne incontro per ringraziare entrambi. La complementarità dei nostri interventi pare aver dato alla celebrazione senso, interiorità, fede convinta e condivisa. Anche allora il pastore aveva fatto brillare due qualità della tradizione protestante: l’essenzialità e l’efficacia della parola.

Un altro giorno, alla messa per una defunta italiana, notavo la presenza di un pastore protestante nell’assemblea. Durante il corteo verso il camposanto, allora, discretamente avvicinandomi gli chiedevo di improvvisare la preghiera al cimitero. Mi rispondeva con un’occhiata indecifrabile. Ma, poi, in quel luogo sacro che sembrava un giardino, mentre scendeva lentamente la bara nella terra, incominciava forte: «Tu ci hai fatti di terra, Signore, e alla terra noi ritorniamo…», improvvisando così una commossa preghiera finale. Con il suo linguaggio biblico ci inchiodò alla terra. Ci fece sentire tutti semplice argilla. E ci depose, allo stesso tempo, nelle palme accoglienti delle mani di Dio. Per i presenti fu un momento forte, indimenticabile, di speranza.

Per me sono occasioni incredibili di fraternità con pastori protestanti, da sempre appassionati della Parola di Dio. Parola che essi hanno conosciuto, elaborato e interiorizzato non da sessant’anni come noi, ma da ben cinque secoli!

Ecumenismo è costruire dei ponti, lanciare delle passerelle con quelli dell’altra riva. Sapendo che, un giorno, Dio stesso prosciugherà il mare che ci separa.

Renato Zilio, missionario scalabriniano
 a Casablanca, Marocco, autore di  «Dio attende alla frontiera», EMI, 30ª ristampa
11/01/2023

 




Noi e voi: dialogo lettori e missionari


Un Grazie dall’Ucraina

Sia lodato Gesù Cristo.
Carissimi fratelli e sorelle
consentitemi, sotto il suono della sirena, che invita a nascondersi nel rifugio anitaereo, di esprimere a voi e alle vostre famiglie la mia più profonda gratitudine e una preghiera di riconoscenza per il vostro cuore aperto, per il vostro sostegno e la vostra solidarietà verso il popolo ucraino, che sta attraversando ore difficili, a causa della guerra e delle manifestazioni di odio umano da parte della federazione russa.

Il giorno 8 novembre 2022 la nostra organizzazione, Caritas Spes di Lutsk (Ucraina), ha ricevuto da parte del padre Luca
Bovio Imc un aiuto materiale della somma di 4mila dollari Usa. Per noi questo aiuto è tanto importante e necessario da rendere impossibile esprimere quanto senza lacrime di gioia. Infatti, la nostra organizzazione si prende cura di diverse categorie della popolazione: rifugiati, indigenti, anziani, ma un’attenzione particolare è riservata ai bambini orfani, bambini con sindrome di Down e invalidi. Con estrema sofferenza, i bambini, che rappresentano il nostro futuro, sono diventati testimoni della guerra, dell’odio e della violenza. La risata infantile si è mutata in pianto, la gioia in dolore, le voci allegre dei bambini nel suono delle sirene e delle bombe. Grazie al vostro sostegno e aiuto, però, la nostra organizzazione ha potuto regalare un momento di gioia e felicità a 150 bambini invalidi della regione di Volyn. Grazie al vostro sostegno abbiamo potuto comperare e distribuire generi alimentari e prodotti igienici per questi bambini.

Con i fondi devolutici abbiamo comperato 150 pacchi di generi alimentari e prodotti igienici, nella fattispecie: zucchero, riso, pasta, grano saraceno, paté, conserve di pesce e di carne, tè verde e nero, olio, farina, shampoo, sapone liquido per la doccia, sapone solido, dentifricio e spazzolino, carta igienica. Tutto ciò è il minimo necessario per una famiglia, ma per questi bambini rappresenta un aiuto straordinario (vedi foto). Queste famiglie, infatti, godono di introiti minimali e non sono sempre in grado di assicurare a se stesse e ai propri figli i prodotti di prima necessità.

Cogliendo l’occasione, pertanto, desidero esprimere, a nome mio e a nome di tutti i bambini che hanno ricevuto un aiuto così importante e necessario, parole di gratitudine per il Vostro cuore aperto e il vostro sostegno.

Il Signore ricompensi tutti i benefattori col centuplo e con abbondanti benedizioni! Che Maria, Vergine santissima e Regina della pace, conservi le vostre famiglie nella tranquillità e nell’armonia, affinché sulle vostre case riposi un cielo di pace! Con sentita riconoscenza

Ks. Pawel (Paolo) Chomiak
direttore Caritas Spes di Lutsk, Ucraina, 14/11/2022

Da Isiro con amore

Dal Nord del Congo vi giunga il mio saluto e il mio grazie per il vostro cuore missionario!
Grazie per la vostra generosità verso i nostri piccoli e differenti progetti che realizziamo con il vostro sostegno.
La mia salute è abbastanza buona, tolta qualche malarietta che ogni tanto arriva, ma ci si cura e tutto passa.

Festa di santa Cecilia a Somana

Sono ora nella parrocchia di Samana, a Isiro, capitale dell’Alto Uélé. La vita, malgrado le diverse difficoltà, è sana e bella e i nostri laici (mamme, papà, giovani, ragazzi) sono molto impegnati. La domenica celebriamo due messe e stiamo pensando d’ingrandire la chiesa perché c’è sempre molta più gente fuori che dentro. Sogniamo anche la costruzione di una scuola, lasciando che le attuali aule diventino sale parrocchiali, visto il crescere di tante attività.

Seguiamo con preoccupazione quello che succede in Ucraina e insieme ai nostri cristiani preghiamo ogni giorno per la pace. Purtroppo, questa guerra ha «offuscato» la situazione tragica del nostro paese.

Sulla frontiera con il Rwanda e l’Uganda i criminali del movimento M23 e altri gruppi (se ne contano una cinquantina) continuano a uccidere, bruciare persone e saccheggiare i villaggi, creando ogni giorno migliaia di profughi. Da trent’anni non c’è pace in Congo: questa terra è troppo ricca in materie forestali, agricole e minerarie che fanno gola a molti paesi in Asia, Europa e America, i quali poi si servono del lungo braccio del Rwanda e altri paesi confinanti per sfruttare la situazione.

Quando potranno i nostri bimbi e giovani giocare, studiare, e preparare il loro futuro? Quando i nostri papà e mamme potranno dormire tranquilli e sognare un Congo nuovo?

Le responsabilità internazionali sono grandi, ma anche i nostri politici e amministratori congolesi hanno le loro responsabilità: corruzione, potere sporco, collaborazionismo con forze esterne, interessi personali, conti all’estero. Purtroppo, si continua così vedendo che solo il Signore non ci abbandona e non ci imbroglia. Con gioia aspettiamo papa Francesco!

Per questo con tutta la Chiesa continuiamo a donare e ricevere speranza e coraggio alle e dalle nostre comunità con la Parola di Dio, i sacramenti, la scuola, pozzi, centri di salute e ospedali, progetti di sviluppo. Quanto bene fa la Chiesa.

Vi giunga il mio augurio per il nuovo anno 2023. Vi assicuro la nostra preghiera, certo della vostra. Un arrivederci quotidiano nella santa messa. Vi voglio bene.

padre Rinaldo Do
Isiro, Natale 2022

Padre Rinando con alcuni ragazzi di Somana

Un grande amico: padre Franco Bertolo

Il 16 ottobre 2022 è morto, improvvisamente, a Torino, nella Casa Madre dei Missionari della Consolata, padre Franco Bertolo, legato a me da profonda e lunghissima amicizia. Pur nel profondo dolore, voglio ricordarne alcuni momenti.

Anni di formazione 1961-1966

Frequentammo assieme il liceo classico presso il seminario della Consolata di Varallo Sesia (Vc). Franco ed io facevamo l’articolo «il», in quanto lui era basso di statura e io alto. Uno degli aspetti che ci univa era il fatto che entrambi non amavamo giocare al pallone. C’erano i due capitani che sceglievano le due squadre. Io ero sempre l’ultimo ad essere scelto, Franco il penultimo. Ci mettevamo in un angolo del campo a chiacchierare e, quando il pallone si avvicinava, gridavamo e facevamo finta di giocare. Qualche volta, quando c’era la possibilità di scegliere tra «pallone» e «passeggio», cercavamo di gridare forte per ottenere di andare a passeggio. Raramente riuscivamo ad averla vinta.

Dopo l’anno di noviziato che io feci a Bedizzole (Bs), mentre Franco lo fece alla Certosa di
Pesio (Cn), trascorremmo un anno assieme a Rosignano Monferrato (Al) per lo studio della filosofia. Dopo ci separammo. Franco andò a studiare teologia negli Stati Uniti, mentre io andai in Inghilterra. Fummo ordinati sacerdoti lo stesso anno, io il 7/08/1971 e padre Franco il 18/09/1971. Tutti e due fummo destinati al Tanzania.

Missione in Tanzania: 1972-1979

Il periodo in Tanzania fu il più intenso. I superiori chiesero a Franco, a me e a padre Virgilio
Panero (già in paradiso dal 24/04/2020), di formare un team pastorale nella missione di Wasa, per iniziare un modo diverso di fare missione. Io, ufficialmente, ero il parroco, ma Virgilio e Franco non erano viceparroci, bensì membri del team. Mettevamo tutto in comune: offerte, decisioni, azioni, preghiera. La nostra comunicazione era continua e prendevamo insieme tutte le decisioni. Affrontammo molti problemi, ma sempre con una linea di azione comune.

C’era una profonda amicizia tra noi tre. Il fatto che fossimo così bene in armonia fu un’esperienza bellissima, anche se contrasti e problemi con altri non mancavano. Questi contrasti cementarono ancor di più la nostra unione.

Da Roma a Londra: 1979-1987

Lasciai il Tanzania nel 1977 e andai a studiare Bibbia a Roma. Franco mi raggiunse nel 1979 e studiò Teologia Morale. Eravamo entrambi destinati a Londra, per cui pianificavamo il futuro assieme. Io andai nel seminario di Teologia di Totteridge, lui invece nella casa provinciale di Camden Town.

Ogni volta che mi era possibile, ci trovavamo. Franco divenne vicesuperiore del gruppo e io consigliere. Ci consultavamo e aiutavamo in vari modi. Poi le nostre strade si separarono. Franco andò in Casa Madre a Torino e si fermò lì per servire come cappellano all’Ospedale Koelliker e aiutare i confratelli a sbrigare le pratiche per i loro documenti anagrafici, mentre io andai in Israele, in Etiopia e in Kenya.

Torino: 1987-2022

Ci siamo trovati molte volte a Torino, quando io ci andavo per vacanze e/o cure mediche. Franco mi ha sempre accolto con grande gioia. L’anno scorso abbiamo celebrato assieme 50 anni di sacerdozio. Spesso abbiamo camminato assieme fino al Santuario della Consolata. Ora il Signore ha preso Franco con sé.

Il giorno in cui ricevetti la terribile notizia della sua morte, avevo meditato su questo tratto del Vangelo di Luca: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!» (Lc 12,35).

Questo brano del Vangelo si applica molto bene a Franco. Quel mattino si stava preparando per andare a servire il Signore celebrando la santa messa per i malati all’ospedale. Il Signore lo ha chiamato a sé improvvisamente.  Adesso è il Signore a servire Franco. Mi piace immaginare la scena in cui Gesù gli dice: «Vieni, Franco. Siediti qui nel posto di onore. Ti preparo una pizza che è formidabile. Avrai del salame buonissimo, come quello dei Panero. Beviti un bel bicchiere di Bonarda. Gustati un tiramisù favoloso. Te lo sei meritato!».

Arrivederci, Franco. Arrivederci, Virgilio. Un giorno, presto, staremo tutti assieme.

padre Ottone Cantore
Allamano House, Nairobi, 11/11/2022

 




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari


«Ace olleng’ lpateri» Egidio

In questo triste e difficile momento, avendo ricevuto la notizia della sua malattia e morte improvvisa, vorremmo salutare e ringraziare un grande missionario della Consolata, carissimo amico. Uomo determinato, con voce grossa, cuore grande e lacrime facili. Quest’uomo si chiama padre (lpateri in samburu) Egidio Pedenzini.

A me, Edi, ma non solo a me, ha cambiato la vita, dal momento in cui ho iniziato a condividere con lui le gioie e le preoccupazioni tra i suoi tanto amati pastori Samburu, coi quali ha camminato per decenni, donando loro fiducia e speranza, fino ad immedesimarsi totalmente con loro.

La prima volta che sono arrivato in Kenya era il 6 gennaio 1982, ad Archer’s Post, in occasione della benedizione dell’ampliamento della chiesa. Per due anni ho seguito le sue attività ad Archer’s Post, poi, proprio come i nomadi, l’ho seguito a Wamba, dove ho conosciuto tanta gente: suore meravigliose e dottori venuti in ospedale da varie parti del mondo, per dare il loro contributo medico e non solo.

Dopo Wamba, padre Egidio è stato destinato a South Horr, dove è rimasto tantissimi anni. In questa missione ai piedi del Monte Njro, ho condiviso con lui ben 17 intensi anni. Là, l’8 febbraio 1998, lui ha celebrato – alla sua maniera e soprattutto alla maniera dei Samburu – il matrimonio di me e Liliana (detta Lilly). Un giorno assolutamente indimenticabile per noi, in cui, fra l’altro, la tantissima gente presente ci ha regalato emozioni indescrivibili, con testimonianze di affetto e gioia autentica, con i canti e le danze dei moran (guerrieri), e la toccante benedizione finale degli anziani a conclusione della celebrazione durata ben quattro ore. Sapete tutti che le cerimonie del caro padre Egidio non avevano tempo, ed anche in questa occasione ne ha dato dimostrazione fra un sorriso ed una lacrima.

 

La lunga e intensa permanenza a Souh Horr, dove sovente gli faceva visita l’allora vescovo di Marsabit mons. Ambrogio Ravasi, è finita quando l’amico mons. Virgilio Pante (vescovo di Maralal dal 2002 al 2022) ha pensato bene di affidargli la costruzione e la nascita della nuova missione di Sereolipi (all’estremo Nord Est della diocesi). Per padre Pedenzini lasciare South Horr è stata una prova difficilissima e ne ha sofferto molto, per il gran bene che ha voluto a tutta quella gente. Ma l’obbedienza e lo spirito di servizio hanno prevalso, e quindi si è aperto un altro capitolo, per lui ed anche per noi, che lo abbiamo seguito.

Alla fine del 2008 il nostro missionario ha cominciato rimboccandosi subito le maniche per dare vita a quel nuovo progetto di chiesa e comunità. Il primo anno ha condiviso tutto con i suoi collaboratori, trasformando l’ampia sacrestia dietro la vecchia chiesa, tuttora esistente, in cucina, sala da pranzo e dormitorio. Nel 2009 siamo arrivati per la prima volta a Sereolipi e nella misura in cui abbiamo potuto, abbiamo contribuito a realizzare la nuova missione e altre strutture. Sono seguiti altri 13 anni condivisi con quest’uomo meraviglioso che, dopo aver asciugato qualche lacrima, diceva: «Dobbiamo andare avanti, perché siamo qui per loro: sono nostri fratelli che hanno diritto ad una vita dignitosa».

Quante volte si sentiva bussare alla porta, peraltro sempre aperta, e, sentendo bisbigliare timidamente, si intuiva la richiesta di soddisfare una necessità che sarebbe altrimenti rimasta inascoltata. Posso assicurare che ogni volta il grande cuore di padre Egidio si apriva e, con il suo passo recentemente barcollante, andava in camera e soddisfaceva la richiesta salutando con una benedizione. Identico atteggiamento lo aveva quando rilevava ingiustizie, torti o scorrettezze. Mai si è girato dall’altra parte o ha fatto finta di non sentire o non vedere. Tutti ricordiamo la sua voce tonante che denunciava pubblicamente qualsiasi malaffare.

Non possiamo dimenticare le sante messe celebrate nelle out station, nel cuore delle comunità samburu, ove sapeva esprimere il meglio di sé con le parole, l’atteggiamento, i gesti e l’inseparabile bastone da anziano che sempre portava con sé in quelle occasioni.

Abbiamo percorso tanti chilometri insieme su quelle strade e piste polverose, a volte cantando le nostre canzoni popolari o ascoltando i canti delle donne Samburu sedute nella parte posteriore della Land Rover prima, e poi della Toyota. Non è mai stato un grande autista, ma la Provvidenza e il rosario appeso allo specchietto retrovisore ci hanno sempre accompagnati a casa.

Ora concludo questo racconto parziale di quanto abbiamo condiviso.

Caro Egidio, il mezzo che ti porta in questo ultimo viaggio è guidato da Dio e ti farà arrivare, seduto in prima fila, in quel luogo privilegiato riservato alle persone che hanno donato tutta la propria vita e se stessi ai bisognosi. Samburu, Turkana, Rendille, Pokot e tutti gli abitanti della savana e dei monti del Nord del Kenya ti sono grati e ti ricorderanno sempre per il bene che hai fatto e dato loro.

Ace olleng’ lpateri Egidio, grazie di tutto cuore per quello che sei stato e sarai sempre per noi. Lesere, ciao.

Edi e Lilly Martinelli, 17/11/2022

Ecco qui di seguito una breve biografia di padre Egidio Pedenzini che ho conosciuto bene nei miei anni di Kenya e sono andato a visitare a Sereolipi proprio poco prima di rientrare in Italia. È anche il mio modo di dirgli grazie per una simpatica gentilezza che aveva per me: il dono, di tanto in tanto, di un vasetto di polvere di peperoncino rosso (pilipili) che lui stesso coltivava e che andava a ruba qui a Torino tra i confratelli nostalgici di Africa.

«Nato l’8 giugno 1939 a Mezzacorona (Tn), entra tra i Missionari della Consolata e fa la prima professione a fine noviziato in Certosa di Pesio (Cn) il 2 ottobre 1961. Studia teologia a Torino e riceve l’ordinazione sacerdotale a Mori (Tn) il 17 dicembre 1966.

Dopo un anno passato a Londra per l’inglese, nel 1968 arriva in Kenya ed è inviato nella diocesi di Marsabit dove si inserisce come aiutante prima ad Archer’s Post, poi a South Horr e Baragoi, per tornare in seguito ad Archer’s come parroco. Dal 1974 al 1978 va negli Stati Uniti per studi, da dove ritorna in Kenya diventando il responsabile diocesano dell’educazione nel Samburu dal ’79 all’81, quando è nominato di nuovo parroco di Archer’s Post, fino all’87. Da lì è trasferito a Wamba e nel 1990 va a South Horr di cui diventa parroco fino al 2008, quando il vescovo, mons. Virgilio Pante, gli chiede, a quasi settant’anni, di andare a iniziare da zero la nuova missione di Sereolipi».

In tutti questi anni lui è il punto di riferimento, l’enciclopedia, per tutti i missionari per la conoscenza e l’approfondimento della cultura samburu. Là riceve l’ultima irresistibile chiamata, e dopo una brevissima malattia, va nei giardini del cielo, dove acqua, latte e miele scorrono in abbondanza.


Perché ricordate solo alcuni?

Buongiorno,
sono un vostro assiduo lettore, ho vissuto per quattro anni a Dar Es Salaam dove ho conosciuto, tra gli altri, padre Mario Biestra. Siamo diventati amici e ci siamo frequentati anche dopo il mio e suo rientro in Italia. Purtroppo padre Mario ci ha lasciati qualche tempo fa (+12/05/2021). Leggo regolarmente la rivista e ho notato che c’è sempre un ricordo per i padri che vengono a mancare. Purtroppo non tutti i numeri della rivista vengono recapitati regolarmente, qualche volta le poste italiane smarriscono qualche numero. Ma, per quanto abbia cercato attentamente, non ho trovato nessun accenno a padre Mario. Mi è sfuggito? Era in un numero della rivista che non ho ricevuto? Grazie

Giuseppe De Cecco
20/10/2022

Caro Sig. Giuseppe,
grazie per il suo ricordo di padre Mario Biestra. Non ne abbiamo parlato nei numeri precedenti e la sua lettera ci permette di farlo.

Il ricordo dei nostri confratelli dipende proprio dai lettori che ci scrivono, come lei. Ci piacerebbe ricordarli tutti di nostra iniziativa, ma, se lo facessimo, dovremmo occupare buona parte della rivista ogni mese. Nel solo 2022, ad esempio, sono già 14 i missionari tornati alla casa del Padre, 26 nel 2021 e ben 30 nel 2020.

«Padre Mario Biestra nasce a Torino il 1° luglio 1932, nel 1944 comincia il cammino con i Missionari della Consolata e viene ordinato sacerdote nel 1959. Dopo alcuni anni di servizio in Italia, nel 1965 parte per il Tanzania dove rimane fino al 2003, con un intervallo in Italia dal ‘76 all’86. Rientrato in Italia nel 2004, va in cielo il 21/05/2021».

Qui (sotto) un ricordo di padre Mario, in una foto che gli ho scatto nel dicembre 1988 sotto il cielo delle saline vicino alla missione di Sanza in Tanzania.