LETTERE – Le scoperte di Odorico

Cari missionari,
ho sempre saputo che gli europei conobbero cacao, tabacco, patata, peperone, ecc. grazie ai viaggi e alle scoperte di Colombo nelle Americhe. Invece l’autore dell’interessantissimo dossier dedicato a Odorico da Pordenone (M.C. sett. 1999) scrive, citando ciò che lo stesso Odorico annotò dopo aver visitato l’isola di Giava, che in quella terra lontana c’erano «grandi quantità di frutta selvatica come pure tabacco, kapok e cacao».
Ora, siccome Odorico è di circa due secoli prima di Colombo, desidererei avere un chiarimento su come andarono effettivamente le cose.
Grazie per l’attenzione e auguri per tutte le vostre attività.
Ludovico Torregiani
Fano (PU)

Non sono esperto in materia. Ecco quanto ho trovato da una superficiale ricerca: il kapok è detto volgarmente «cotone di Giava»; del cacao, così scriveva (inizio ‘800) il georgofilo Filippo Gallizioli: «Né solo l’America possiede questo vegetabile, ma l’Asia ancora, poiché nasce nelle isole Filippine…»; il termine tabacco è più vecchio della scoperta dell’America, essendo di origine araba.
Si può supporre che tali piante abbiano il loro habitat naturale pure nelle regioni tropicali dell’Asia, anche se in Europa hanno avuto più fortuna le specie americane.

Ludovico Torregiani




LETTERE – Io da che parte sto?

Caro direttore,
condivido in toto le riflessioni da lei espresse nell’editoriale «Ai lettori» pubblicato su Missioni Consolata del giugno 2005, dal titolo: «Io da che parte sto?».
Ritengo sia motivo di libertà e di profonda gioia, per un cristiano, schierarsi a fianco di Cristo Gesù Signore crocifisso, ieri e oggi, da quanti vogliamo mantenere l’ordine e la legge del sinedrio e dell’impero e da quanti lo tradiamo per umana paura o per sconsiderato attaccamento al nostro «io».
Mi rimane solo un desiderio: che lei mi aiuti ad entrare nel mistero dell’incontro decisivo-vitale con Cristo Salvatore; che lei spezzi con me il «pane» dell’esperienza che l’ha proiettata fuori di sé, per diventare missionario, annunciatore del vangelo.
Ancora, vorrei che lei mi contagiasse un poco con la sua «novità», la sua scoperta. Vorrei che lei mi facesse intravvedere almeno un bagliore della perla, per acquistare la quale ha venduto tutto. Vorrei ancora che mi prendesse per mano e mi accompagnasse verso la mensa della Vita e mi insegnasse, come a un bimbo, a nutrirmi del «Pane», della Parola e del Perdono, per crescere forte e convinto operatore di giustizia nel mondo.
Ho bisogno che lei mi porti alla fonte di questa «acqua viva»; quell’altra, quella che non disseta, scorre a fiumi su giornali, tivù e riviste.
Un augurio di buon apostolato.
Diego Gottardi
via e-mail

Caro Diego, ho l’impressione che mi chiedi un po’ troppo. Non sono un guru né un grande «maestro di spirito». Anch’io mi arrangio come posso.
Per ora ti auguro di continuare con gioia la tua ricerca. «Noi cerchiamo per trovare, ma troveremo solo la possibilità di cercare ancora» (Agostino).

Signor B. Bellesi,
sulla facciata della cattedrale di Cueavaca in Messico, tempo fa, fu appeso uno striscione che diceva: «Il mondo è diviso in oppressi e oppressori: tu da che parte stai?» (cfr. editoriale di Missioni Consolata, giugno 2005). Io credo che neanche in un pollaio si possa operare una distinzione così netta, figurarsi nel mondo. Certo, usare una cattedrale come un gazebo non mi sembra una grande idea; ma forse in Messico si usa così.
Lei, signor Bellesi, parla poi di legge del sinedrio e dell’impero e di orpello (?) religioso e qui vorrei fare una precisazione. Il fatto che dittatori cristiani (tra virgolette) per difendere la cosiddetta civiltà cristiana (sempre tra virgolette) abbiano ucciso ecc. ecc., non assolve sic et simpliciter i loro avversari. Allora, un po’ meno adesso, in quei paesi si stava e si sta svolgendo una guerra non fra buoni e cattivi, bensì tra pessimi. Condannare l’operato di Pinochet e Videla senza considerare che i loro avversari agivano con gli stessi sistemi e avevano lo stesso disprezzo per la vita umana è poco onesto.
Inseguire il paradiso terrestre prossimo venturo e confidare per la sua realizzazione in assassini è una chimera. Costoro non porteranno ai loro popoli la libertà, il benessere e la giustizia (sempre relativa perché umana), ma miseria, violenza, oppressione.
Perché ve la prendete tanto a cuore? A volte sembrate, più che uomini di Dio, dei tifosi di una squadra di calcio. Tutti questi vostri slogan forse sono suggestivi, ma sono estranei al vangelo. Gesù Cristo ha fatto la rivoluzione dell’amore, si è fatto uccidere e ha perdonato i suoi nemici pur potendo sterminarli. Come pensate di conciliare il suo insegnamento con l’operato dei Castro, Guevara, Chavez e compagnia?
Già al tempo del fascismo molti missionari erano praticamente filo-fascisti e questo fu una cosa pessima. La chiesa cattolica è eterna: lo ha detto Gesù Cristo; gli uomini politici passano gli imperi cadono. Eppure era quella gente eccellente, pronta a dare la vita per annunziare il vangelo. Fedeli ai superiori e al papa. Adesso i numeri sono quelli che sono e per il resto è meglio non fare paragoni che sono sempre antipatici…
Signor Bellesi, lei ci invita a porci la domanda: io da che parte sto? E lei da che parte sta? Non dica dalla parte degli ultimi, perché dietro i vostri ultimi ci sono altri ultimi dei quali nessuno si cura.
A. Luigi Di Nicola
Milano

Sarebbe troppo lungo rispondere a tutte le «cattiverie» espresse in questa lettera (abbiamo omesso quella in cui si attaccano le persone e la loro coscienza). Rispondo solo a quella finale, che mi riguarda personalmente.
Per ragioni di spazio, nell’editoriale da lei «incriminato» non ho aggiunto che quella domanda la ponevo, prima di tutto, a me stesso. Ebbene, devo confessare che non ho ancora trovato la risposta, neppure quella da lei suggerita; ma continuo a interrogarmi: «Io da che parte sto?». Solo Gesù Cristo, che, come lei stesso afferma giustamente, «ha fatto la rivoluzione dell’amore», può dire di essersi schierato dalla parte degli ultimi, contro l’ipocrisia del sinedrio e dell’impero. E per questo è stato ucciso… come tanti vescovi, preti, suore e fedeli cristiani, a cui accenno nell’editoriale.
Ma lei, signor Di Nicola, si è mai posta la domanda, onestamente, se sta dalla parte degli oppressi, oppure da quella degli oppressori?

Diego Gottardi e A. Luigi Nicola




LETTERE – Il Supermercato delle religioni

Egregio direttore,
finalmente la rivista da lei diretta abbraccia temi che i cattolici veri sentono in maniera profonda. Mi riferisco alla rubrica «Al supermercato delle religioni». Ottimo titolo per questa rubrica, alcuni culti non possono essere definiti in maniera diversa… e mi perdonino i buonisti di sinistra.
L’attuale relativismo religioso, traducibile in «è tutto uguale, va tutto bene», è un grave pericolo per la comunità cattolica in quanto sminuisce la potenza unica del vangelo. In questo contesto è ovvio che vi sia una proliferazione delle sette religiose.
Con queste parole non voglio criminalizzare nessun nuovo culto, come ama dire Massimo Introvigne da voi più volte citato, ma non posso che rallegrarmi se una rivista missionaria esalta finalmente il proprio credo e «contrasta» quello degli altri, mettendone in luce gli aspetti più oscuri.
Talvolta mi sembra che i cattolici, presi dallo spasmo di andare d’accordo con tutte le religioni del mondo, dimentichino o sminuiscano molto del proprio credo. Mentre noi andiamo incontro a tutti, nessuno fa lo stesso con noi. Anzi, veniamo perseguitati senza pietà in paesi come la Cina, l’Arabia Saudita, la Birmania, ecc.
Con queste righe non voglio dire che esiste un mercato delle religioni nel quale noi cattolici dobbiamo difendere il nostro territorio. Assolutamente no.
Penso che la fuga verso le sette sia un grave indicatore di malessere sociale cui la chiesa deve saper rispondere in maniera chiara. Anche in maniera coraggiosa e, magari, poco gentile.
Cordiali saluti.
Roberto
via e-mail

La risposta più efficace al proliferare di nuovi culti è la testimonianza del vangelo con la propria vita. Da parte nostra continueremo a mettere in guardia dai pericoli del relativismo religioso, in «maniera coraggiosa», ma «gentile» perché «la verità senza la carità è crudeltà» (Lutero).

Roberto




LETTERE – Governo e guerriglia sullo stesso piano?

Cari missionari,
ho letto con interesse il servizio sulla Colombia (M.C. maggio 2005). Credo tuttavia sia opportuno precisare un aspetto. Nell’articolo si parla di forti interessi economici per lo sfruttamento delle risorse naturali e introiti della coca, sia da parte del governo che della guerriglia, ipotizzando che queste siano le vere cause della guerra. Questo approccio tende, a mio avviso ingiustamente, a mettere sullo stesso piano governo e guerriglia.
Premesso che la lotta armata e l’uso della violenza per risolvere i problemi è sempre sbagliato, non si deve dimenticare che tale lotta nasce da una situazione di profonda ingiustizia sociale (una ristretta oligarchia ricchissima controlla economia e politica, mentre 33 su 44 milioni di abitanti sono poveri), combinata con un’assoluta mancanza di reali prospettive di soluzioni democratiche.
Il governo colombiano ha tollerato e supportato lo sviluppo di forze paramilitari che collateralmente all’esercito e ai narcotrafficanti (finché sono stati utili) hanno usato la violenza indiscriminata sulla popolazione civile (con stragi di contadini, donne, bambini, sindacalisti, difensori dei diritti umani e giornalisti), per intimidirla e tutelare gli interessi di aziende e latifondisti, agendo nella più totale e scandalosa impunità (cfr. G. Piccoli, Colombia, il paese dell’eccesso).
Quando, dopo un accordo di pace, la guerriglia costituì un partito (Union Patriotica) per partecipare alla vita democratica, sospendendo la lotta armata fu sottoposta a un massacro continuo e impunito dei suoi iscritti e rappresentanti (media di 1 politico di Up ucciso ogni 19 ore per 7 anni, compreso un candidato alla presidenza nel ’90, fino all’estinzione totale), dimostrando come la Colombia sia solo formalmente una democrazia, anche se i nostri governi la considerano tale solo perché vi sono «libere» elezioni.
P.S. Complimenti per gli interessantissimi dossiers su giovani ed anziani.
Dario Selvaggi
Trapani

La situazione della Colombia è molto complessa. Abbiamo sempre denunciato la mancanza di vera democrazia e le ingiustizie sociali, contro cui sono insorti i movimenti rivoluzionari. Oggi, però, gli ideali dei vari gruppi guerriglieri non corrispondono più a quelli delle origini.

Dario Selvaggi




LETTERE – Gli anziani: un valore aggiunto

Cari missionari,
nel giro di una settimana ho letto quasi interamente il fascicolo di maggio di Missioni Consolata, che considero forse la migliore tra le tante riviste missionarie oggi esistenti. La giudico completa per l’attenzione alla realtà mondiale, coraggiosa, senza scadere negli estremismi ideologici, aperta alla collaborazione di giornalisti laici.
Per cominciare, la figura profetica (e santa) di Romero mi affascina, tutte le volte che viene tratteggiata. Peccato che non abbia mai trovato chi con striscioni e voce gagliarda gridasse «santo subito». Se la chiesa non santifica Romero, chi merita di salire agli onori degli altari?
Ritengo indispensabili le due pagine dedicate alla spiegazione della sacra scrittura, tenendo conto che noi cattolici, laici soprattutto, mastichiamo a fatica il Primo e il Nuovo Testamento. Don Farinella svolge in modo egregio questo compito.
Il «dossier anziani» merita di essere riletto più volte, per la sua importanza e le riflessioni che provoca. Queste sono le mie.
– Si insiste nell’indicare il 65° anno di età come inizio dell’anzianità: sembra un’età ancora «giovanile», se è vero che in questi ultimi 30/40 anni la salute (e la longevità) è migliorata parecchio…
– Circa la chiesa, le nostre parrocchie: non mi pare che si valorizzi molto la «terza età» (non lo dico per polemica o per rivendicazione di potere). Dico che oggi una persona a 65 anni è ancora produttiva, creativa. Perché non tenee conto?
– Il costo delle badanti mi pare alto. So che qualcuno versa fino a 3 milioni (di vecchie lire) per una prestazione mensile, sia pure a giorni pieni, 24 ore su 24.
– Perché non vogliamo imitare i primi cristiani (che pare avessero tutto in comune) e non pensiamo (a una certa età) a convivenze tra fratelli e sorelle e non (vivendo come tra fratelli e sorelle, ovviamente)?
– Certo la soluzione prospettata da ricoveri tipo «Sorelle per i poveri» (pag. 32/34) è ottima, da incrementare, moltiplicare, visti gli attuali costi impervi di troppi ricoveri, ammesso che l’uomo d’oggi e di domani si trovi a suo agio in soluzioni del genere?
– Ritengo l’articolo di L. del Piatto, «Se non incontro lo specchio…», meritevole di figurare sulle antologie per i nostri studenti.
– Per finire: tutte le riviste missionarie ci portano in casa situazioni di fame, malattia, violenza, guerre… (purtroppo trascurate dalla tv). Mentre sto cenando, come posso digerire la notizia che un certo Bonolis ha firmato un accordo con Mediaset con cui intascherà 24 milioni di euro in tre anni? Mi auguro che almeno qualche briciola il fortunato presentatore la devolverà per quelle terribili condizioni.
Ambrogio Vismara
Cuggiono (MI)

Grazie per le stimolanti considerazioni. Vogliamo sottolineae solo una: valorizzare di più la «terza età» non solo in parrocchia, ma anche nelle missioni. A tale proposito segnaliamo la testimonianza dei coniugi Paracchini in Rwanda: «Chiamati all’11a ora» (M.C. settembre 2004 e gennaio 2005, p.7).

Ambrogio Vismara




LETTERE – Scientology risponde

Egregio direttore,
intanto la ringrazio per avermi ricevuto; come ho avuto modo di esprimere durante la mia visita, in qualità di responsabile delle relazioni estee della chiesa di Scientology di Torino, siamo davvero addolorati dall’articolo pubblicato sul numero di aprile della vostra rivista in merito alla chiesa di Scientology.
Per motivi esclusivamente dovuti allo spazio concessoci, non è possibile replicare punto per punto alle informazioni, opinioni e affermazioni riportate. Restiamo comunque a disposizione per fornire fatti e ampia documentazione.
Non intendiamo annoiare i lettori, né si intende entrare in polemica con chi ha scritto l’articolo, con lei o con l’editore. Dobbiamo però dire che non siamo stati contattati dall’autore.
Il «Viaggio-inchiesta tra i “nuovi” culti» di Maurizio Pagliassotti, non è approdato a noi; forse da qualche altra parte. Quando uno scrittore racconta di luoghi in cui non è stato, l’idea che ne risulta sarà molto probabilmente parziale se non, come in questo caso, distorta.
A questa stregua possiamo solo schematizzare come segue ciò che abbiamo da dire:
1 – A Torino siamo una comunità che conta alcune centinaia di persone.
2 – Il numero di fedeli che la chiesa cattolica sta perdendo (se ne sta perdendo) a causa della crescita della religione di Scientology nel mondo è del tutto trascurabile. Tutti gli scientologhi pagano le tasse, collaborano con le istituzioni, con altre associazioni e chiese e la maggior parte di loro, incluso il sottoscritto, non rinnegano le loro origini cristiane né l’appoggio alla chiesa cattolica. Moltissimi scientologhi, in precedenza, non avevano mai aderito a una religione in quanto praticanti.
3 – Le mete della chiesa di Scientology sono «una civiltà senza pazzia, senza criminalità e senza guerre». Il filosofo e umanitario L. Ron Hubbard ha promosso attivamente, fattivamente e quotidianamente il rispetto e la collaborazione reciproci tra persone, razze e religioni differenti, attraverso l’accrescimento della consapevolezza e del senso di responsabilità dei singoli individui. Questo impulso è stato raccolto dagli scientologhi e di fatto ciò sta avvenendo in tutto il mondo. Chiunque lo voglia potrà avere conferma diretta e personale di tali attività.
4 – Il fatto che esistano persone e siti che si oppongono non giustifica il tentativo di sminuire le nostre reali intenzioni e azioni, ponendo l’accento solo sulle controversie da questi alimentate e non significa che le nostre intenzioni e azioni siano quelle evidenziate dai nostri detrattori, forse un centinaio, dato che quelle dei sostenitori, qualche milione nel mondo, non vengono neanche presi in considerazione.
5 – Solo per fare un esempio, il fatto che il metodo laico di riabilitazione dalla droga sviluppato dallo stesso Hubbard abbia letteralmente salvato la vita a oltre 250.000 persone, quasi distrutte dalla tossicodipendenza, non ha riempito le prime pagine dei giornali, ma è un fatto facilmente riscontrabile e documentabile che meriterebbe un articolo a sé. Naturalmente non lo chiediamo, altrimenti veniamo tacciati di volerci fare pubblicità. Detto per inciso, non divulgare un qualcosa che può salvare la vita a moltissime persone è come lasciarle morire.
6 – La chiesa di Scientology offre una grande quantità di libri gratuiti alle biblioteche ed è possibile farsi una idea di cosa sia Scientology e metterla in pratica senza sborsare un euro, senza necessariamente avvicinarsi a una sede. Per chi intende venirci a trovare sono disponibili servizi e/o pubblicazioni gratuite e una biblioteca intea. Chi contribuisce economicamente, in base alle proprie possibilità, lo fa perché intende sostenere la sua chiesa che diversamente non potrebbe esistere dato che non usufruisce di alcun finanziamento pubblico di nessun genere. Le attività che vengono svolte sono caritatevoli, a carattere religioso e senza fini di lucro, secondo le leggi vigenti degli stati in cui è presente (oltre 130).
Pagliassotti conclude riferendosi a una «colluvie di studi pro e contro» il nostro movimento. Su questo punto siamo d’accordo. Si tratta di una colluvie, ossia una «quantità di cose sudicie e putride per lo più liquide» (Dizionario Garzanti della Lingua Italiana). Non converrebbe liberarsi dalla colluvie, che causa confusioni, pregiudizi, dubbi, odio ingiustificato e conoscersi meglio?
Giuseppe Cicogna
ufficio relazioni estee
chiesa di Scientology (TO)

Prendiamo atto degli aspetti positivi del movimento di Scientology. Vorrei precisare che, prima di scrivere l’articolo contestato, l’autore ha contattato la sede di Scientology di Milano.

Giuseppe Cicogna




LETTERE – Cassandra… sarai tu!

Cari missionari,
un conto è dire che da parte di certi ambientalisti c’è una forte ostilità verso la religione e la morale cattolica, un conto è negare che i fiumi sono sempre più inquinati, i laghi più poveri di acqua, i ghiacciai più contratti, le foreste più depredate e degradate, le popolazioni indigene sempre più minacciate dal rischio di estinzione totale.
Per questo al libro Le bugie degli ambientalisti, edito da Piemme, preferisco di granlunga le critiche che Paolo Moiola su Missioni Consolata di marzo, ha rivolto ai suoi autori.
Non intendo dire che gli scritti di Gaspari, Cascioli e altri giornalisti cattolici allineati sulle loro posizioni non siano utili: sono tanti infatti i sedicenti filosofi della natura le cui teorie sono in palese contraddizione con l’insegnamento di Cristo e il magistero della chiesa ed è quindi giusto invitare il credente a guardarsi bene dalle loro banalizzazioni, trabocchetti, inganni, infamie.
Tuttavia conformarsi a Cristo e operare in sintonia con il magistero della chiesa significa anche respingere quelle nuove ideologie e correnti di pensiero in cui, non pochi cattolici invece si riconoscono: neoliberismo, neoconservatorismo, ottimismo giulivo, antiecologismo, anticatastrofismo, antiallarmismo, antianimalismo… sono visioni del mondo senz’altro più vicine all’illuminismo ateo che alla dottrina sociale della chiesa; più vicine al materialismo antropocentrista che all’idea della solidarietà tra uomo e natura, più vicine allo scientismo e al suo delirio di onnipotenza che alla vera antropologia cristiana, quella basata sul «coltivare e custodire» di Genesi 2,15, sull’«ora et labora» di san Benedetto, sul Cantico delle creature di san Francesco.
Secondo me, Cascioli, Gaspari & C. commettono un gravissimo errore quando appiccicano l’etichetta di «cassandre» a coloro che lamentano la distruzione delle foreste (specie quelle della fascia tropicale), la perdita della biodiversità, l’assurda caccia ad animali che si trovano a un passo dall’estinzione, perché alcune grandi reti criminali non ne vogliono sapere di mollare il business del corno di rinoceronte, delle carcasse e parti anatomiche di tigre, dell’avorio di elefante e ippopotamo, della carne di scimmia. Complessivamente il commercio illegale di animali selvatici, vivi o morti, ha un volume paragonabile a quello del mercato di droga, armi, materiale poografico…
Sbagliano anche quando cercano di coprire di ridicolo coloro che si oppongono all’uso sconsiderato degli insetticidi e pesticidi (la lotta biologica, correttamente intesa, è molto più efficace contro i parassiti oltre che meno nociva all’ambiente), coloro che contestano i progetti per la realizzazione di altre grandi dighe o centrali nucleari, coloro che suggeriscono la strada del riciclaggio, delle energie alternative (solare, eolico, geotermico, biogas), dell’uso più limitato e responsabile di certi mezzi di trasporto.
Ricordino, Gaspari e Cascioli, che, rifiutando di dare ascolto a Cassandra, i troiani firmarono la propria condanna a morte, ricordino che le argomentazioni che il magistero della chiesa ha usato e continua a usare contro aborto, sterilizzazione e politiche demografiche coercitive non hanno nulla a che vedere con la sdrammatizzazione dei problemi ambientali.
Bistrattando senza ritegno i dati sulla deforestazione, bracconaggio, pesca di frodo, stragi provocate dai disastri ecologici soprattutto nei paesi del Sud del mondo, mettendo in secondo piano gli sfaceli causati dalla guerra e industrie belliche, presentando i leader dell’eco-pacifismo come degli imbroglioni e i loro seguaci come degli ingenui, enfatizzando i difetti di Ong come il Wwf e Greenpeace tacendone i pregi, Gaspari e Cascioli diventano alleati di quella antilife mentality che dicono di considerare come la piaga più peiciosa del mondo moderno e sostenitori di quelle nuove forme di colonialismo dalle quali tante volte hanno invitato i loro lettori a non lasciarsi fagocitare.
Francesco Rondina
Fano (PU)

Francesco Rondina




LETTERE – Padre Attilio Ravasi

Cari missionari,
mi ha molto sorpreso la morte di padre Attilio Ravasi (20 aprile 2005). Avevo instaurato con lui un rapporto di amicizia, scrivendoci abbastanza frequentemente. In un suo scritto datato il 25 marzo, mi diceva che stava bene.
Ricordo ancora quel giugno 1998, quando passò a trovarmi e mi regalò una madonna intagliata in ebano, alla quale sono affezionato. Mi disse che doveva sottoporsi a cure, ma poi mi scriveva che stava bene. Contavo di rivederlo. Mi aveva sottoposto la situazione di Tune, nella diocesi di Marsabit, alla quale ho cercato in qualche modo di partecipare.
Vi invierò un’offerta per tale scopo e per la celebrazione di una messa in suo suffragio.
La sua protezione dal cielo servirà a mantenere la mia amicizia verso i missionari della Consolata.
Cleto Cucchi (SO)

Grazie per la sua amicizia e per unirsi al nostro dolore per la scomparsa del nostro confratello, che ha speso la sua vita nelle missioni del Kenya. Anche noi siamo certi che dal cielo continuerà a benedirci, insieme a tutte le persone che lo hanno conosciuto e stimato.

Cleto Cucchi




LETTERE – Salvare la persona – Antonio Rosmini 1797-1855

Centocinquant’anni fa, il 1° luglio 1855, si spegneva dopo una lunga malattia il prete roveretano Antonio Rosmini. «Prete roveretano», l’unico titolo di cui egli amava fregiarsi, nonostante discendesse da una delle più nobili e facoltose famiglie trentine.
Uomo dalla cultura enciclopedica, filosofo eccezionale, fine teologo e pensatore politico, amico di alcune delle più belle menti del suo tempo (basti ricordare Niccolò Tommaseo e Alessandro Manzoni), Rosmini ha lasciato un segno indelebile nella storia italiana degli anni che precedettero l’unificazione.
Una figura non sempre capita, quella di Rosmini: fortemente amata da coloro che ebbero la fortuna di lasciarsi affascinare dalla sua mente eccelsa e dal suo grande cuore; ma anche astiosamente rifiutata da chi lo giudicò troppo frettolosamente un giovane e presuntuoso intellettuale.
Gli obiettivi che Rosmini si prefisse, già dall’inizio della sua breve ma straordinaria attività, non erano assolutamente modesti. Ancora giovane studente aveva convinto alcuni amici a unirsi a lui nella redazione di un’enciclopedia cattolica che avrebbe dovuto rappresentare, secondo l’intenzione dei suoi curatori, la risposta cristiana al progetto illuminista di Diderot e D’Alembert. Il progetto fallì, ma l’inquietudine di poter dare all’universo cattolico un’opera di ampio respiro, che potesse rispondere alle sfide sempre più pressanti che venivano da un mondo in costante evoluzione, rimase ben radicata nel pensatore trentino.
La situazione in cui versava l’Italia pre-risorgimentale, accesa dai fuochi della rivoluzione francese, era un laboratorio pressoché unico di fermenti e idee, in cui Rosmini si immerse con decisione. E ben presto comprese come il malessere diffuso che si avvertiva nella penisola e in Europa andava affrontato con strumenti diversi e più radicali di quelli che poteva offrire la politica.
Secondo Rosmini, la gente aveva perso la capacità di pensare «correttamente» e ben poco avrebbe giovato un cambio politico che non fosse accompagnato da una crescita intellettuale, morale e spirituale delle singole persone. Nasce da questa consapevolezza il carisma specifico rosminiano, quella «carità intellettuale», che orienterà i suoi studi fino al giorno della sua morte, e cioè, lo sforzo di instradare i suoi contemporanei alla scuola dell’essere, fondamento della realtà e via che conduce alla contemplazione del mistero di Dio, unica verità.
Questo progetto, che toccherà tutti gli ambiti del pensiero filosofico e teologico, si concretizzerà in un numero straordinario di opere pubblicate, numero reso ancora più incredibile se si pensa che Rosmini morì a soli 58 anni.

Due furono i motori che lo spinsero a quest’opera di rinnovamento del pensiero cristiano. Il primo può essere riassunto nel principio rosminiano di «passività», cioè, nella consapevolezza che per poter aiutare con efficacia l’uomo a correggere la propria mentalità, è necessario creare in se stessi l’attitudine dell’uomo di fede che sempre sottomette alla volontà di Dio i propri interessi e desideri. Il secondo stimolo venne al Rosmini dall’esplicito incoraggiamento dell’allora papa Pio vii a proseguire gli studi che si era prefisso in campo filosofico.
Nonostante le critiche che cercarono di colpire il pensiero, persona e attività di Rosmini, nate in molti casi in ambienti ecclesiali, il pensatore trentino sempre intese la sua opera in comunione stretta con la chiesa, per la quale ebbe durante tutta la vita amore e devozione. Anche quando, con la pubblicazione del famoso trattato Delle cinque piaghe della santa chiesa (1848) Rosmini mise a nudo alcuni problemi che affliggevano la realtà ecclesiale del tempo, l’intento di fondo fu quello di aiutare gli uomini a servire meglio la chiesa, aiutandola a sbloccarsi da quei difetti che la tenevano come «crocifissa», impossibilitata a liberare le sue enormi potenzialità di fare il bene.

Il fine di tutto lo studio rosminiano è eminentemente antropologico. Il centro del suo pensiero è l’uomo, e tutta la sua filosofia deve essere intesa come una vera e propria pedagogia dello spirito umano. Sempre pose bene in chiaro l’inutilità di una filosofia non diretta al miglioramento della condizione umana. In particolare, Rosmini pose l’accento sul concetto di persona, «il pinnacolo della natura umana», il cui valore, dignità e potenzialità indicano il cammino di ricerca della verità che ci può davvero rendere liberi.
L’antropologia rosminiana potrebbe trovare la sua collocazione nella valigia del missionario, dando all’apostolo di oggi una comprensione profonda e un grande apprezzamento della persona, dei suoi valori e dei suoi diritti inalienabili. «Salvata la persona è salvato l’uomo».
Un secolo prima di Maritain, il filosofo trentino ci presenta una figura di persona integrale, un piccolo microcosmo non riducibile a una parte, che ha in sé il germe della totalità, dovuta al dono della razionalità di cui ogni persona è foita e che la rende diritto sussistente, essenza stessa del diritto. Non lo stato, quindi, neppure il capitale o la finanza possono pretendere di essere essenza del diritto, ma la stessa persona umana.
Un messaggio forte per un’epoca in cui troppe persone non sono più considerate come soggetti di diritto, in cui la loro dignità è offesa dal momento della nascita a quello della morte. È anche per questo suo sempre attuale contributo «personalistico» che nella sua enciclica Fides et ratio, papa Giovanni Paolo ii associò il nome di Rosmini a quello di altri significativi autori cristiani, l’attenzione all’itinerario spirituale dei quali «non potrà che giovare al progresso nella ricerca della verità e nell’utilizzo a servizio dell’uomo dei risultati conseguiti» (n. 74).
Ugo Pozzoli

Ugo Pozzoli




LETTERE – Cari presidi, cari professori

Non dubito che la realtà adolescenziale e giovanile in Italia sia quella illustrata nell’ottimo dossier di gennaio 2005; vorrei ricordare che, quantunque in minoranza, esistono dei ragazzi e delle ragazze che il vortice dell’individualismo e del consumismo non è ancora riuscito a risucchiare.
A questa minoranza il mondo dei genitori, insegnanti, medici, sacerdoti, catechisti non può limitarsi a dare benevole pacche sulle spalle e a sussurrare frasi tipo «tenete duro», «non abbiate paura», «non fatevi influenzare», «pregate per i nostri compagni più fragili»…
Gli adulti devono dimostrare concretamente e quotidianamente che, per loro, gli ideali coltivati in gioventù sono validi anche oggi e quel patrimonio di conoscenze tecniche, scientifiche, artistiche, religiose ereditato dalle generazioni passate è in larghissima parte degno di essere trasmesso anche alle generazioni future.
Senza entrare in polemica con alcuno, rimango perplesso quando sento che certi presidi, avendo a che fare con abiti succinti, piercing, tatuaggi degli alunni e con comportamenti troppo disinvolti da parte del personale della scuola, si rifugiano dietro lo slogan «la scuola non è la chiesa, i professori non sono missionari».
Questo tipo di ironia sulla chiesa è sempre molto comoda: la probabilità di una replica, anche blanda, è bassissima; invece rimproverare certe ragazze perché si conciano male, o certi professori o bidelli perché fumano, bestemmiano, usano un linguaggio triviale, non fanno nulla per limitare le conversazioni al cellulare a tempi e modi più dignitosi e consoni al normale svolgimento dell’attività didattica… è maledettamente imbarazzante; c’è sempre la possibilità che qualcuno ne abbia a male e si rivalga da par suo.
Forse non ci si rende conto che, quando per timore di brutta figura, si rinuncia a dire che il piercing è nocivo e i tatuaggi non sono così necessari, che scoprire pancia, spalle, schiena, torace può far venire qualche grave malanno, in realtà se ne fa una ancora più brutta…
Come può la scuola «educare al benessere fisico e spirituale, all’accettazione di sé, alla frugalità e a comportamenti che rispettino l’ambiente» (da anni i ministri della P. I. inondano le scrivanie dei presidi con materiale didattico su tali tematiche), se i suoi dirigenti e docenti non hanno il coraggio di spiegare la differenza tra estate e inverno, tra esibizionismo e decoro, tra ciò che fa bene e ciò che fa male al corpo… per paura delle reazioni che potrebbero avere i colleghi «aperti», i ragazzi «problematici», i genitori «sempre col fucile puntato», il personale non docente «facile ai fraintendimenti»?
Come «educare alla legalità, pace, rispetto dei diritti delle minoranze e di tutte le forme di vita», senza chiarire il concetto che tutto questo passa anche (se non soprattutto) attraverso il rifiuto dell’effimero, superfluo, non essenziale e adozione di stili di vita più sobri, più sani, più razionali?
Cari presidi e cari professori, se per «chiesa» intendete quella clericocentrica (giustamente bacchettata anche da Giovanni Paolo ii), materialista, sprecona o, peggio ancora, compromessa con i potenti e violenti, quella che benedice armi, guerre, stragi e genocidi, allora è un grande bene che la scuola non sia come la chiesa; ma, se per «chiesa» intendete (e non potete non intendere) quella cristocentrica, dei missionari, suore, volontari laici, che ogni giorno rischiano la vita per servire Dio e i fratelli, potete solo augurarvi, per il bene vostro e dei vostri alunni, una sempre maggiore collaborazione e unità d’intenti tra scuola e chiesa.
Giovanni De Tigris
Urbino (PU)

Giovanni de Tigris