Cari missionari

Diamanti sporchi

Spett.le Redazione,
innanzitutto complimenti per l’ottima rivista, siete davvero un faro in mezzo alla tempesta! Leggervi mi fa sempre venire voglia di «combattere»!
Vorrei segnalarvi questo: su «Venti4uattro», rivista in allegato al Sole 24 Ore di sabato 14 aprile, era riportato un articolo nel quale una nota società, che opera nel commercio e nella lavorazione dei diamanti, veniva elogiata dai giornalisti in quanto, grazie al suo operato, la regione in cui sorge la miniera prospera, le donne trovano lavoro, vengono costruite scuole, gli animali sono protetti, ecc., ecc…
Onestamente la cosa mi suona un po’ come retorica propagandista, forse in contrapposizione ai recenti scandali che il trattato di Kimberley ha tentato di arginare. Vi allego pertanto copia dell’articolo suddetto, per sottoporlo alla vostra competenza che senz’altro è ben più meritoria della mia! Se lo riterrete opportuno, potreste inserire un piccolo dibattito nella rivista…!
Cordiali saluti e… continuate così!
Carlo Occhiena
Genova

La joint venture tra Botswana, dove si trova la miniera citata, e De Beers, la compagnia che vi sfrutta tre miniere diamantifere, viene presentata come modello di cooperazione per lo sviluppo del paese. Speriamo che sia così. Nel passato, però, la suddetta compagnia ha fatto affari con i «diamanti insanguinati», sfruttando e alimentando la guerra in vari paesi africani (Angola, Congo-Zaire, Sierra Leone…). Che «il Kimberley Process abbia azzerato la circolazione dei cosiddetti blood diamonds», come afferma il giornalista, è da dimostrare. Se ne può discutere.

Diamanti… veri

Gentile Direttore,
da quando ho capito che quello di cui ci chiederà conto il Signore sarà cosa avremo fatto per il prossimo sofferente, il mio impegno è rivolto soprattutto verso i missionari, vera punta di diamante della chiesa, che testimoniano il Signore con la parola e con l’esempio. Devo dire che il suo periodico è fra i migliori, se non il migliore, di quelli missionari per la ricchezza di argomenti, la chiarezza e indipendenza nella denuncia dei misfatti e ingiustizie contro i poveri nel mondo.
Mi sorprende molto il fatto che qualche volta ci siano lettori che, solo perché un articolo denuncia la sopraffazione dei potenti e dei ricchi sulla povera gente, tacciano l’autore come comunista, cattocomunista, prete compagno, ecc.
Mi chiedo: «Ma non sono i cristiani quelli che si devono occupare e combattere per primi per la giustizia sociale di aiutare i bisognosi?».
Caro direttore, vada avanti tranquillo, Missioni Consolata dà forza ai coraggiosi e scuote le coscienze degli indifferenti.
Buon lavoro. Con stima.
Dante Bersetti
Montemarciano (AN)

Grazie per la stima e incoraggiamenti! Andremo avanti come sempre, senza guardare né a «destra» né a «sinistra».

Legge sull’amianto

Gentile Redazione,
ho letto e apprezzato l’articolo del dott. Roberto Topino e della dott.sa Rosanna Novara nel numero di Maggio 2007 dal titolo: «Quelle infide fibre d’amianto». Nell’articolo, a proposito delle coperture in eternit, è scritto che,    «…. quando i danni del materiale sono evidenti, la legge prevede la bonifica e la sostituzione delle coperture…». Sapreste indicarmi nello specifico quale legge?
Colgo l’occasione per fare i miei complimenti a tutta la redazione e augurarvi un buon proseguimento di lavoro.
Giuseppe D’Amico
Via e-mail

Risponde il dott. Topino: «Si tratta del Decreto ministeriale 06/09/1994. Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto. La legge è molto dettagliata e precisa, purtroppo raramente viene applicata in modo corretto». L’intero testo del «Decreto ministeriale del 06/09/1994» è reperibile su internet.

Uno solo è il maestro

Cari missionari,
anche se non ne hanno bisogno, desidero ugualmente esprimere al dott. Topino e alla dott.sa Novara il mio apprezzamento per il loro dossier «Tira proprio una brutta aria» (M.C. n.2/2007) e la mia solidarietà, dopo le aspre critiche, dall’avvocato di Palermo (cf. M.C. n.4/2007 p.7).
A mio modo di vedere, il chiamarsi Veronesi, Rossi, Bianchi o Topino non dice nulla sul valore di un professionista della sanità e sulla capacità di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita di un individuo, di una città, di una nazione. A fare la differenza non sono i cognomi, numero di libri e articoli pubblicati e, men che meno, quello delle apparizioni televisive, ma le azioni sul campo, i comportamenti quotidiani, la fedeltà al codice deontologico e agli impegni che si sono presi davanti a Dio e alla collettività.
In particolare, chi è medico dovrebbe cercare di mantenersi il più possibile fedele al Giuramento di Ippocrate e, di conseguenza, anche a quel passo che dice: «A chiunque mi chiederà un veleno glielo rifiuterò, come pure mi guarderò dal consigliarglielo. Non darò a nessuna donna dei farmaci antifecondativi o abortivi».
Ora, se il Veronesi a cui fa riferimento l’avv. Cuccia è il professor Umberto Veronesi, luminare di fama internazionale, non mi pare che, almeno per ciò che riguarda aborto e contraccezione, la sua fedeltà al Giuramento di Ippocrate sia il non plus ultra. Al contrario, innumerevoli sono state le volte che è intervenuto per esprimere la sua posizione favorevole all’interruzione volontaria della gravidanza, all’uso delle pillole abortive (come la devastante RU 486, prodotta, guarda caso, da quella stessa Roussel Uclaf che, durante la II Guerra mondiale, metteva a disposizione dei nazisti le sostanze tossiche da impiegare nelle camere a gas, che causarono la morte di centinaia di migliaia di innocenti…), favorevole alla sperimentazione con cellule staminali ricavate da embrioni umani appositamente uccisi.
Ora, se c’è la libertà, per chi porta cognomi così altisonanti, di esprimere queste convinzioni, immagino ci sia anche quella di dire che per un cattolico che vuol restare fedele a Cristo, al vangelo, alla legge naturale e al magistero della chiesa, un uomo come il pur rispettabilissimo prof. Veronesi non può costituire un punto di riferimento affidabile.
Quindi, se il prof. Veronesi non possiamo considerarlo un buon maestro per ciò che riguarda la tutela della vita nascente, se non ci piacciono le sue posizioni in materia di eutanasia, perché dovremmo considerarlo infallibile quando si pronuncia su altri temi, quali le polveri sottili e i cambiamenti climatici?
Per me, Veronesi (potrei dire anche Zichichi, Dulbecco, Levi Montalcini, Rubbia) è una persona come tante altre, che ora dice cose giuste, ora meno giuste. È allo Spirito Santo che dobbiamo affidarci per esercitare la difficile, ma irrinunciabile, arte del discernimento. Solo lo Spirito Santo può condurci alla verità tutta intera.
Domenico Di Roberto Ancona

Diciamo NO … ai nuovi Claudio e nuovi Torlonia

Dopo aver letto le affermazioni dell’avvocato palermitano sugli anandroecologisti che, secondo lui, «se ci fossero stati al tempo dei romani non avremmo il Colosseo e l’acquedotto», desidero fare alcuni rilievi.
1° Gli ecologisti non hanno mai avuto nulla in contrario agli acquedotti; anzi, sono in prima linea nel denunciare le carenze delle reti idriche (abbiamo acquedotti che perdono fino al 70% dell’acqua) e nel chiedere che i fondi per le grandi opere pubbliche vengano innanzitutto impiegati per garantire un’efficiente distribuzione dell’acqua potabile.
2° Se è vero che gli acquedotti costruiti dai romani godono dell’ammirazione universale, è altrettanto vero che non tutte le opere idrauliche da essi realizzate furono cose buone e giuste. Mi riferisco ad esempio agli sciagurati interventi sul Fucino, le cui disgrazie, come ci racconta Tacito nei suoi Annales, iniziarono proprio sotto gli imperatori romani, in particolare sotto Claudio. Il disastro fu poi completato nella seconda metà del xix secolo dal banchiere Alessandro Torlonia.
Per molto tempo si è creduto che il prosciugamento del Fucino (per estensione era il terzo lago italiano) fosse una cosa oltremodo necessaria; ricordo benissimo gli anni in cui i testi scolastici tessevano le lodi del principe Torlonia e degli uomini che lavorarono per trasformare la grande conca in una zona agricola di pregio, dopo averla liberata dalle zanzare, dalla malaria, ecc… Poi, uno studio più attento degli scrittori classici e l’evoluzione di una coscienza civile, meno succube dei miti del passato, hanno aiutato a capire che gli interventi sul Fucino furono un gravissimo errore, perché costarono la perdita di un patrimonio idrico, biologico e naturalistico di incalcolabile valore. Tra l’altro, è falso che le acque del povero lago fossero sozze e malsane. Virgilio, per esempio, parla di «vitrea unda» (onda cristallina) del Fucino (Eneide vii,759) e i curatori del Dizionario enciclopedico italiano assicurano che, prima di essere strapazzato dagli uomini, il Fucino «non era affatto un lago malarico». Esondazioni, febbri e altri problemi legati alla presenza del Lago Fucino erano solo conseguenza degli abusi patiti dal territorio nel corso dei secoli.
3° Il Colosseo non è solo una grande opera architettonica di indiscutibile originalità. È anche il luogo dove migliaia di persone venivano barbaramente uccise o fatte uccidere dalle belve (che a loro volta morivano tra atroci sofferenze per soddisfare gli insaziabili capricci dei potenti di Roma), perché si rifiutavano di tributare agli imperatori quell’adorazione che credevano di dover riservare solo al Dio di Gesù Cristo. Se il loro martirio ci ha insegnato qualcosa, cerchiamo anche noi di dare sempre a Dio quel che è di Dio, negando ai modei Cesari quel che non è e non potrà mai essere dei Cesari. E, quando vediamo l’immagine del Colosseo impressa sul retro della monetina da 0.05 euro, ricordiamoci che si tratta pur sempre di opere di uomo e che Dio sa fare di meglio, di molto meglio.

Pensiamo a tutte le stragi inutili di uomini e animali che provochiamo in nome delle grandi opere pubbliche, dello sviluppo, della ricerca scientifica, ma anche in nome della sicurezza, lotta al terrorismo e difesa della nostra civiltà.
Ristabiliamo rapporti corretti con il mondo naturale e con i nostri simili, vicini e lontani. Diciamo NO ai nuovi Claudio e nuovi Torlonia, che pretendono di trattare laghi, fiumi, montagne, foreste, abissi oceanici, spazi aerei… come se fossero loro proprietà privata.
Francesco Rondina
Fano (PU)




Cari missionari

Diamanti sporchi

Spett.le Redazione,
innanzitutto complimenti per l’ottima rivista, siete davvero un faro in mezzo alla tempesta! Leggervi mi fa sempre venire voglia di «combattere»!
Vorrei segnalarvi questo: su «Venti4uattro», rivista in allegato al Sole 24 Ore di sabato 14 aprile, era riportato un articolo nel quale una nota società, che opera nel commercio e nella lavorazione dei diamanti, veniva elogiata dai giornalisti in quanto, grazie al suo operato, la regione in cui sorge la miniera prospera, le donne trovano lavoro, vengono costruite scuole, gli animali sono protetti, ecc., ecc…
Onestamente la cosa mi suona un po’ come retorica propagandista, forse in contrapposizione ai recenti scandali che il trattato di Kimberley ha tentato di arginare. Vi allego pertanto copia dell’articolo suddetto, per sottoporlo alla vostra competenza che senz’altro è ben più meritoria della mia! Se lo riterrete opportuno, potreste inserire un piccolo dibattito nella rivista…!
Cordiali saluti e… continuate così!
Carlo Occhiena
Genova

La joint venture tra Botswana, dove si trova la miniera citata, e De Beers, la compagnia che vi sfrutta tre miniere diamantifere, viene presentata come modello di cooperazione per lo sviluppo del paese. Speriamo che sia così. Nel passato, però, la suddetta compagnia ha fatto affari con i «diamanti insanguinati», sfruttando e alimentando la guerra in vari paesi africani (Angola, Congo-Zaire, Sierra Leone…). Che «il Kimberley Process abbia azzerato la circolazione dei cosiddetti blood diamonds», come afferma il giornalista, è da dimostrare. Se ne può discutere.

Diamanti… veri

Gentile Direttore,
da quando ho capito che quello di cui ci chiederà conto il Signore sarà cosa avremo fatto per il prossimo sofferente, il mio impegno è rivolto soprattutto verso i missionari, vera punta di diamante della chiesa, che testimoniano il Signore con la parola e con l’esempio. Devo dire che il suo periodico è fra i migliori, se non il migliore, di quelli missionari per la ricchezza di argomenti, la chiarezza e indipendenza nella denuncia dei misfatti e ingiustizie contro i poveri nel mondo.
Mi sorprende molto il fatto che qualche volta ci siano lettori che, solo perché un articolo denuncia la sopraffazione dei potenti e dei ricchi sulla povera gente, tacciano l’autore come comunista, cattocomunista, prete compagno, ecc.
Mi chiedo: «Ma non sono i cristiani quelli che si devono occupare e combattere per primi per la giustizia sociale di aiutare i bisognosi?».
Caro direttore, vada avanti tranquillo, Missioni Consolata dà forza ai coraggiosi e scuote le coscienze degli indifferenti.
Buon lavoro. Con stima.
Dante Bersetti
Montemarciano (AN)

Grazie per la stima e incoraggiamenti! Andremo avanti come sempre, senza guardare né a «destra» né a «sinistra».

Legge sull’amianto

Gentile Redazione,
ho letto e apprezzato l’articolo del dott. Roberto Topino e della dott.sa Rosanna Novara nel numero di Maggio 2007 dal titolo: «Quelle infide fibre d’amianto». Nell’articolo, a proposito delle coperture in eternit, è scritto che,    «…. quando i danni del materiale sono evidenti, la legge prevede la bonifica e la sostituzione delle coperture…». Sapreste indicarmi nello specifico quale legge?
Colgo l’occasione per fare i miei complimenti a tutta la redazione e augurarvi un buon proseguimento di lavoro.
Giuseppe D’Amico
Via e-mail

Risponde il dott. Topino: «Si tratta del Decreto ministeriale 06/09/1994. Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto. La legge è molto dettagliata e precisa, purtroppo raramente viene applicata in modo corretto». L’intero testo del «Decreto ministeriale del 06/09/1994» è reperibile su internet.

Uno solo è il maestro

Cari missionari,
anche se non ne hanno bisogno, desidero ugualmente esprimere al dott. Topino e alla dott.sa Novara il mio apprezzamento per il loro dossier «Tira proprio una brutta aria» (M.C. n.2/2007) e la mia solidarietà, dopo le aspre critiche, dall’avvocato di Palermo (cf. M.C. n.4/2007 p.7).
A mio modo di vedere, il chiamarsi Veronesi, Rossi, Bianchi o Topino non dice nulla sul valore di un professionista della sanità e sulla capacità di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita di un individuo, di una città, di una nazione. A fare la differenza non sono i cognomi, numero di libri e articoli pubblicati e, men che meno, quello delle apparizioni televisive, ma le azioni sul campo, i comportamenti quotidiani, la fedeltà al codice deontologico e agli impegni che si sono presi davanti a Dio e alla collettività.
In particolare, chi è medico dovrebbe cercare di mantenersi il più possibile fedele al Giuramento di Ippocrate e, di conseguenza, anche a quel passo che dice: «A chiunque mi chiederà un veleno glielo rifiuterò, come pure mi guarderò dal consigliarglielo. Non darò a nessuna donna dei farmaci antifecondativi o abortivi».
Ora, se il Veronesi a cui fa riferimento l’avv. Cuccia è il professor Umberto Veronesi, luminare di fama internazionale, non mi pare che, almeno per ciò che riguarda aborto e contraccezione, la sua fedeltà al Giuramento di Ippocrate sia il non plus ultra. Al contrario, innumerevoli sono state le volte che è intervenuto per esprimere la sua posizione favorevole all’interruzione volontaria della gravidanza, all’uso delle pillole abortive (come la devastante RU 486, prodotta, guarda caso, da quella stessa Roussel Uclaf che, durante la II Guerra mondiale, metteva a disposizione dei nazisti le sostanze tossiche da impiegare nelle camere a gas, che causarono la morte di centinaia di migliaia di innocenti…), favorevole alla sperimentazione con cellule staminali ricavate da embrioni umani appositamente uccisi.
Ora, se c’è la libertà, per chi porta cognomi così altisonanti, di esprimere queste convinzioni, immagino ci sia anche quella di dire che per un cattolico che vuol restare fedele a Cristo, al vangelo, alla legge naturale e al magistero della chiesa, un uomo come il pur rispettabilissimo prof. Veronesi non può costituire un punto di riferimento affidabile.
Quindi, se il prof. Veronesi non possiamo considerarlo un buon maestro per ciò che riguarda la tutela della vita nascente, se non ci piacciono le sue posizioni in materia di eutanasia, perché dovremmo considerarlo infallibile quando si pronuncia su altri temi, quali le polveri sottili e i cambiamenti climatici?
Per me, Veronesi (potrei dire anche Zichichi, Dulbecco, Levi Montalcini, Rubbia) è una persona come tante altre, che ora dice cose giuste, ora meno giuste. È allo Spirito Santo che dobbiamo affidarci per esercitare la difficile, ma irrinunciabile, arte del discernimento. Solo lo Spirito Santo può condurci alla verità tutta intera.
Domenico Di Roberto Ancona

Diciamo no … ai nuovi Claudio e nuovi Torlonia

Dopo aver letto le affermazioni dell’avvocato palermitano sugli anandroecologisti che, secondo lui, «se ci fossero stati al tempo dei romani non avremmo il Colosseo e l’acquedotto», desidero fare alcuni rilievi.
1° Gli ecologisti non hanno mai avuto nulla in contrario agli acquedotti; anzi, sono in prima linea nel denunciare le carenze delle reti idriche (abbiamo acquedotti che perdono fino al 70% dell’acqua) e nel chiedere che i fondi per le grandi opere pubbliche vengano innanzitutto impiegati per garantire un’efficiente distribuzione dell’acqua potabile.
2° Se è vero che gli acquedotti costruiti dai romani godono dell’ammirazione universale, è altrettanto vero che non tutte le opere idrauliche da essi realizzate furono cose buone e giuste. Mi riferisco ad esempio agli sciagurati interventi sul Fucino, le cui disgrazie, come ci racconta Tacito nei suoi Annales, iniziarono proprio sotto gli imperatori romani, in particolare sotto Claudio. Il disastro fu poi completato nella seconda metà del xix secolo dal banchiere Alessandro Torlonia.
Per molto tempo si è creduto che il prosciugamento del Fucino (per estensione era il terzo lago italiano) fosse una cosa oltremodo necessaria; ricordo benissimo gli anni in cui i testi scolastici tessevano le lodi del principe Torlonia e degli uomini che lavorarono per trasformare la grande conca in una zona agricola di pregio, dopo averla liberata dalle zanzare, dalla malaria, ecc… Poi, uno studio più attento degli scrittori classici e l’evoluzione di una coscienza civile, meno succube dei miti del passato, hanno aiutato a capire che gli interventi sul Fucino furono un gravissimo errore, perché costarono la perdita di un patrimonio idrico, biologico e naturalistico di incalcolabile valore. Tra l’altro, è falso che le acque del povero lago fossero sozze e malsane. Virgilio, per esempio, parla di «vitrea unda» (onda cristallina) del Fucino (Eneide vii,759) e i curatori del Dizionario enciclopedico italiano assicurano che, prima di essere strapazzato dagli uomini, il Fucino «non era affatto un lago malarico». Esondazioni, febbri e altri problemi legati alla presenza del Lago Fucino erano solo conseguenza degli abusi patiti dal territorio nel corso dei secoli.
3° Il Colosseo non è solo una grande opera architettonica di indiscutibile originalità. È anche il luogo dove migliaia di persone venivano barbaramente uccise o fatte uccidere dalle belve (che a loro volta morivano tra atroci sofferenze per soddisfare gli insaziabili capricci dei potenti di Roma), perché si rifiutavano di tributare agli imperatori quell’adorazione che credevano di dover riservare solo al Dio di Gesù Cristo. Se il loro martirio ci ha insegnato qualcosa, cerchiamo anche noi di dare sempre a Dio quel che è di Dio, negando ai modei Cesari quel che non è e non potrà mai essere dei Cesari. E, quando vediamo l’immagine del Colosseo impressa sul retro della monetina da 0.05 euro, ricordiamoci che si tratta pur sempre di opere di uomo e che Dio sa fare di meglio, di molto meglio.

P ensiamo a tutte le stragi inutili di uomini e animali che provochiamo in nome delle grandi opere pubbliche, dello sviluppo, della ricerca scientifica, ma anche in nome della sicurezza, lotta al terrorismo e difesa della nostra civiltà.
Ristabiliamo rapporti corretti con il mondo naturale e con i nostri simili, vicini e lontani. Diciamo NO ai nuovi Claudio e nuovi Torlonia, che pretendono di trattare laghi, fiumi, montagne, foreste, abissi oceanici, spazi aerei… come se fossero loro proprietà privata.
Francesco Rondina
Fano (PU)




Cari missionari …

Avanti «in Domino»!

Gentile Direttore,
da quando ho capito che quello di cui ci chiederà conto il Signore sarà cosa abbiamo fatto per il prossimo sofferente, il mio impegno è rivolto soprattutto verso i missionari, vera punta di diamante della chiesa, che testimoniano il Signore con la parola e con l’esempio. Devo dire che il suo periodico è fra i migliori, se non il migliore, di quelli missionari per la ricchezza di argomenti, la chiarezza e indipendenza nella denuncia dei misfatti e ingiustizie contro i poveri nel mondo.
Mi sorprende molto il fatto che qualche volta ci siano lettori che, solo perché un articolo denuncia la sopraffazione dei potenti e dei ricchi sulla povera gente, tacciano l’autore come comunista, cattocomunista, prete compagno, ecc.
Mi chiedo: «Ma non sono i cristiani quelli che si devono occupare e combattere per primi per la giustizia sociale e aiutare i bisognosi?».
Caro Direttore, vada avanti tranquillo: Missioni Consolata dà forza ai coraggiosi e scuote le coscienze degli indifferenti.
Buon lavoro! Con stima,
Dante Bersetti
Montemarciano (AN)

Grazie di cuore per l’incoraggiamento ad «andare avanti tranquilli». Il nostro beato Fondatore diceva: «Avanti in Domino!» (nel Signore).

Multinazionale Gisas

Gentile redazione,
in riferimento al vostro articolo «Multinazionale Gisas» (M.C. settembre 2003, ndr), vorrei distanziarmi da quanto detto. Sono in generale d’accordo sulla critica fatta a Benny Hinn e all’emittente Tbne. Ma affermate anche, spero in buona fede: «Per chi volesse conoscere cosa pensa il mondo evangelical italiano che conta 300 mila persone, la Tbne rappresenta un buon strumento, anche se non tutti vi si riconoscono». La realtà è un’altra! Pochi credenti evangelici, inclusi quelli che chiamate «caldi», cioè i carismatici (ai quali io non appartengo, ma che è un movimento trasversale comune al mondo cattolico), si identificano con Benny Hinn o l’emittente di cui parlate.
Credo che sia un atto di diffamazione affermare questo di persone che credono sinceramente nella bibbia. Una caratteristica degli evangelici è (o dovrebbe essere) il non conformarsi agli uomini e a non idolatrare altri esseri umani, ma di coltivare un rapporto personale con Gesù Cristo e a comportarsi come tempio dello Spirito Santo. Certo, è una caratteristica della fallacia umana, il voler avere altri esempi oltre a quello supremo di Gesù Cristo e questo può portare a innalzare eccessivamente persone e non Dio. Ma ciò è comune a ogni religione… Citando un’altra frase: «Un’impresa commerciale quindi? Quando ci troviamo davanti a cifre da capogiro, viene il dubbio che qualcuno lucri alle spalle dei fedeli», ricordo che essa è applicabile anche al mondo cattolico, in cui molti fanno affari a costo dei fedeli…
Vi chiederei quindi, di correggere suddetto articolo in quanto non conforme alla realtà evangelica italiana e, mi auguro, neanche a quella americana…
Annegret Martella
Via e-mail

Fin dall’inizio l’autore dell’articolo distingue chiaramente tra «evangelical» ed «evangelico». Col primo termine viene indicato chi, come Benny Hinn e Tbne, riducano la religione a spettacolo teatrale e prodotto di consumo emotivo. Per cui niente di personale contro gli «evangelici» in generale e quanti seguono Cristo crocifisso e risorto.

Più testimoni

Caro padre Pozzoli,
desidero inviarle i miei più cordiali auguri di buon lavoro per il nuovo incarico di direttore della rivista Missioni Consolata che tanto amo.
L’occasione mi è propizia per esprimerle un desiderio, da me profondamente sentito e condiviso da un numeroso pubblico che giorno dopo giorno testimonia il suo affetto al mondo dei missionari. Per favore dedicate, sulla rivista, molto più spazio alla testimonianza e alla vita dei missionari della Consolata (e dei loro amici) nel mondo. Abbiamo tutti bisogno del loro esempio e di conoscere il loro pensiero e la loro opera.
Apprezzo anche i vari dossier/inchieste che spesso pubblicate. Tuttavia trovo che, alcune volte, tali servizi troverebbero spazio più confacente su altre riviste. Per esempio, il dossier sulla Tv, pubblicato sul numero di aprile di quest’anno, pur se condiviso da me, non ha nulla di pertinente con la rivista. È come se su una rivista di finanza venisse pubblicato un articolo di moda per bambini.
Mi scusi di questi piccoli suggerimenti e buon lavoro!
Giovanni Pirovano
Via e-mail

Grazie per l’amore alla nostra rivista e grazie anche per i suggerimenti. Siamo pienamente d’accordo che, come diceva Paolo vi, «oggi il mondo ha più bisogno di testimoni che di maestri»; e i missionari sono testimoni qualificati e credibili. Purtroppo, non sono molti quelli che osano raccontare la loro vita. Da parte nostra cerchiamo di sfruttare anche le letterine di natale che inviano i nostri missionari.
A riguardo del dossier sulla Tv, ricordiamo la campagna condotta lo scorso anno dalle riviste missionarie in Italia: «Notizie, non gossip», che sembra aver ottenuto qualche risultato (vedi M.C. maggio 2007 p.3). Soprattutto, la Tv fa parte del «primo areopago moderno» da evangelizzare (Redemptoris missio 37).

Il cuore della missione

Cari missionari,
mi capita spesso che la lettura di Missioni Consolata mi provochi l’amarezza di non trovare in essa un aiuto alla mia vita, a ciò in cui credo.
Faccio un piccolo esempio. L’editoriale del numero di aprile del nuovo direttore, come in tante altre occasioni, dopo alcune considerazioni sulla violenza in Colombia che arriva a uccidere anche i missionari, ripone la speranza di una soluzione in strategie etico-sociali, pur necessarie e alle quali non può mancare il contributo di tutti, anche di chi è impegnato direttamente o meno nell’azione missionaria, ma che non rappresentano, a mio avviso, il cuore della missione.
Da una rivista missionaria mi aspetterei che mi ricordasse sempre le ragioni della missione, il nesso concreto tra la fede e l’impegno quotidiano sia dei missionari in paesi lontani, sia del mio qui, dove vivo.
Vorrei che mi venisse confermata la speranza che dà senso al mio sforzo di «servo inutile». «Mia forza e mio canto è il Signore: egli mi ha salvato» si prega nella liturgia delle Lodi con le parole dell’Esodo.
Di questa non corrispondenza mi dispiace, perché i missionari della Consolata sono anche parte della mia famiglia. Spero e prego che lo Spirito, che certamente ha mosso il Fondatore, possa trasparire con sempre maggior chiarezza dalle pagine della rivista, come accade, ad esempio nello stesso numero di aprile, nella presentazione della figura della beata madre Laura Montoya Upegui.
 Carlo Viscardi
Via e-mail

Siamo convinti anche noi che le motivazioni di fede e di speranza sono alla base dell’azione missionaria e costituiscono «il cuore della missione», anche se molte volte le diamo per scontate o troppo sottintese.

VIVERE SENZA TV … SI PUO’

V orrei esprimere i miei complimenti per la qualità della rivista che, senza dover ricorrere necessariamente a confronti, non sfigura certo paragonata ad altre di maggior fama e fortuna.
Scrivo a commento del dossier sulla televisione, direi necessario e riuscito. Nella mia famiglia non abbiamo Tv, e non ne sentiamo la mancanza; premetto che la scelta è avvenuta per caso: appena sposati e trasferiti, tra le tante cose da fare «la» abbiamo lasciata fra le ultime necessità. Poi ci siamo accorti che anche «senza di lei» il tempo per fare tutto ciò a cui avremmo tenuto scarseggiava, senza contare la necessità di sacrificarle uno spazio in casa. Con l’arrivo dei figli tempo e spazio si sono ridotti in loro favore e, pur non escludendone l’acquisto, questo viene rimandato a quando «ce ne sarà bisogno».
Non rifiutiamo i Dvd di film, cartoni e i tanto invocati documentari; ma lo schermo del Pc, non collegato a internet, non troneggia come un grande idolo al centro di ogni luogo di vita domestica – cucina, camera da letto – né dove vengono ricevuti gli ospiti.

O ra, un interrogativo che aleggia inespresso nel vostro dossier, ma che non è stato formulato: si può fare a meno di passare ore incollati allo schermo? Vivere senza le fiction, i reality,  gli aggioamenti quotidiani sugli amori dei divi, è possibile? E soprattutto senza comprare la Tv?
Spesso mi viene chiesto come faccia a informarmi. Io chiedo di definire l’informazione. Sapere che, ad esempio, in Indonesia si è rovesciato un autobus, causando decine di morti, è importante per la mia «informazione»? Ma anche nell’ambito nazionale, che importanza ha sapere, a distanza di anni dal fatto oltretutto, se effettivamente la perizia psichiatrica fatta e rifatta ha finalmente stabilito se quel determinato assassino era pazzo veramente, o fingeva soltanto, una volta portato in tribunale? Opprimere il nostro cuore di sciagure (in tempi evidentemente altrettanto duri, qualcuno ha detto «il bene è tanto, ma non fa notizia») è informazione? Sapere, o formarsi questa impressione, che in Italia vivono persone che non aspettano altro che esca di casa per truffarmi, cominciando dai comuni che operano false raccolte differenziate dei rifiuti, mi aiuta a proteggermi o alimenta l’emulazione dei disonesti e la sfiducia nel sistema?

D ieci anni or sono il monopolio televisivo era del calcio, fra partite e approfondimenti pre-durante-post. Ora ci sono i reality. Nulla di grave da parte di chi li produce, meglio per chi vi partecipa, grave e colpevole è chi li alimenta: chi è disposto a rinunciare al proprio tempo libero in favore della demenzialità, chi si porta sempre dietro conduttori e partecipanti, chi li elegge a modelli.
Se poi l’invocato documentario è un modo poco faticoso per tentare di colmare lacune liceali, dandoci l’impressione di sapere o affinché l’uomo della strada possa discutere dei «quanti» mi fermo a riflettere anche sulla sua utilità.
Ma spesso osservo che tra la demenzialità, per non dire di peggio, televisiva e quella cartacea c’è poca differenza. Il «buon libro» quale sarebbe? Anche la carta stampata predilige il best seller da spiaggia all’opera ricercata, è massificata, le porcherie dello schermo arrivano in romanzi scritti male e viceversa; nella carta patinata le riviste pseudo scientifiche danno l’impressione di sapere senza dover fare la fatica di imparare. Non credo che oggi i tempi siano più duri, per la Cultura, di secoli or sono: Machiavelli era famoso nella sua epoca per due commedie (Mandragola e Clizia) sboccate e sciatte, dalla trama volgare, non certo per il De Principatibus; e del Decameron ci ricordiamo solo Bruno e Buffalmacco, che ordiscono truffe ai danni del più debole e sprovveduto Calandrino.
Senza perdere la speranza, il vostro richiamo a rimanere sempre vigili è utilissimo, ma domando: fra i teledipendenti che anelano ai muscoli o alle linee perfette, quanti avranno letto il vostro dossier?

Gionata Visconti
Via e-mail




Cari missionari

Lula: il «calamaro»

Cari missionari,
per l’attuale presidente del Brasile avete avuto sempre un debole e anche nel 1° numero del 2007 non vi siete smentiti, riproponendo tra l’altro un’immagine dell’allora candidato premier Lula il giorno che venne a farvi visita (1999). Come darvi torto? Anche a me Lula è simpatico: ho sempre sperato che, con lui, i brasiliani potessero aprire un nuovo corso nel segno della giustizia, della pace e, data la sua predilezione per san Francesco, della salvaguardia del creato.
Come sappiamo, Lula oltre agli amici, ha sempre avuto tanti nemici: i media hanno provato più volte a screditarlo, a presentarlo come uno smidollato incapace, giocando sul fatto che, in portoghese, «lula» significa «seppia, calamaro», ossia animali invertebrati, privi di spina dorsale.
Questo tipo di attacchi non deve sorprenderci… La sorpresa invece – e non è stata una sorpresa gradevole – è venuta quando ci siamo accorti che, con il ministro dell’Ambiente, Marina Silva (un’altra persona per la quale chi ama il Brasile, indios e giungle amazzoniche non può non provare simpatia) Lula i contrasti li aveva eccome: contrasti sulle autorizzazioni da rilasciare per le piantagioni di soia ogm e, più in generale, sulla gestione sostenibile delle foreste.
Non so se, come asserisce qualcuno, in Amazzonia le cose siano andate peggio sotto Lula che sotto i suoi predecessori, ho l’impressione però che il premier qualche grosso errore l’abbia fatto: per questo è tempo di far qualcosa per rimediare a tali errori.
Spero vivamente che il secondo quadriennio del presidente sia migliore del primo: Lula pensi al suo nome, che non è semplicemente il nome di un invertebrato, ma di creature fantastiche, dotate di occhi e sistemi di adattamento alle condizioni estreme, che non hanno eguali in natura. Grazie ad essi i calamari giganti degli oceani riescono in imprese che sono precluse a tutti gli altri animali: anche il Lula presidente dunque, usi i suoi occhi per vedere le sofferenze di quell’oceano, ahimé sempre meno verde, che è l’Amazzonia, li usi per circondarsi di collaboratori leali, onesti, coerenti, in grado di resistere alle lusinghe dei potenti, e dotati a loro volta di occhi grandi, che li mettano nelle condizioni di disceere la luce dalle tenebre, la verità dalla menzogna, tecnicismo e sviluppismo dall’autentica civiltà e autentico progresso.
Ludovico Torrigiani
Fano (PU)

Anche noi speriamo e auguriamo a Lula di usare tutto il suo coraggio per realizzare i suoi programmi nel segno della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato, per il bene dei brasiliani, degli americani e altri popoli del globo.

«Usati»… a scuola

Caro Direttore,
qualche anno fa, mi capitò di imbattermi in uno scritto di padre Pietro Parcelli a Cava dei Tirreni (SA), quando insegnavo alle elementari in località Pregiato. Non l’ho conosciuto personalmente, ma idealmente è scattata una molla e da allora sono un Parcelli boy.
Mi si è aperto anche un mondo attraverso la vostra rivista, che stampa reportage sconvolgenti, che non trovano spazio da nessuna parte. Perché seguendo il dettato evangelico «la verità vi farà liberi» continuate per la vostra strada, io continuo con caparbietà la mia opera alle scuole medie e cerco di «usarvi», per comprendere il mondo attraverso occhi diversi da quelli dell’ufficialità, dove i silenzi superano la verità.
Anche io spero in un mondo migliore e di dare sempre il massimo, seguendo l’esempio dei miei genitori e di quanti mi hanno preceduto. Forse non farò mai carriera, ma è certo che i miei ideali non sono in vendita; come il senatore Bob Kennedy, deploro questa insensata violenza che non ci permette di cogliere il senso pieno e ultimo della nostra esistenza, che non si può ridurre e banalizzare di continuo, mentre c’è qualcosa di Alto che è da sempre lì e ci aspetta.
Come giornalista a voi il mio totale apprezzamento, come cattolico la mia stima, come insegnante il mio rispetto.
Vi auguro buon lavoro.
Giuseppe Bonavita
Saleo

Continui pure a «usarci», prof. Bonavita. Da parte nostra continueremo «la nostra strada» con altrettanta «caparbietà», per difendere e proporre gli ideali del regno di Dio: giustizia, pace e frateità.

Complimenti di… autore

Caro Paolo,
sono riuscito finalmente a dare uno sguardo organico al mio articolo (dossier di febbraio 2007: «Vivere e sopravvivere in tempi di Inteet. Nuove tecnologie e sud del mondo, ndr). Debbo farti i complimenti per l’ottima qualità del lavoro redazionale. Avete impaginato e trattato il mio pezzo in modo mirabile. La tua rivista conferma la mia posizione per un giornalismo di qualità, con una grafica accattivante e raffinata, che non uccide il testo, ma anzi lo esalta. In quanto a presentazione e impaginazione del testo, è di gran lunga l’articolo più bello sul tema, tra tutti quelli che ho potuto vedere finora. Le immagini non sono mai state banali e ho visto che hai corredato il tutto con opportuni link e didascalie.
 Mi è piaciuta molto soprattutto la titolatura che, oltre a essere efficace e attraente, denota anche una perfetta comprensione degli elementi davvero salienti del testo. Così come i sommari che hai scritto. Mi è piaciuta in particolare la doppia titolatura degli articoli: sei riuscito ad assegnare a ogni articolo un titolo accattivante pur mantenendo in background il vecchio titolo da me suggerito (più libresco).
Ho preso poi dei brani a campione per verificare il testo e non ho trovato alcun refuso.
Infine mi è piaciuta davvero molto la tua introduzione, che sottoscrivo in pieno per la lucidità e la lungimiranza della prospettiva. Inutile dire che hai fatto venire voglia anche a me di rinunciare al telefonino…!
Visto il risultato, mi piacerebbe avere il più alto numero possibile di copie della rivista, in modo da poter divulgare il dossier ogni volta che me ne capiti l’occasione.
GianMarco Schiesaro
Roma

Ringraziamo dei complimenti e ricambiamo di cuore, poiché il primo a meritarli è l’autore del dossier. E passiamo i complimenti anche alle nostre collaboratrici che hanno corretto le bozze nei vari passaggi e prove di stampa.

Troppo… bravi!

Carissima Redazione,
sono un vostro abbonato e leggo sempre con molto interesse la vostra rivista. Ho anche consigliato l’abbonamento a vari amici e amiche e ne ho fatto regalo ad altri. Finalmente mi è arrivato il numero di gennaio, con un mese di ritardo; mentre altri amici di Prato, anche loro abbonati, l’hanno ricevuto puntualmente.
Sono abbonato a 4 riviste missionarie e ogni tanto ne leggo anche altre, ma la vostra è fra quelle che più apprezzo.  Grazie per il vostro lavoro, il vostro servizio, la vostra sensibilità, l’equilibrio: siete proprio bravi!
Carlo Faggi
Prato

Rivista… a ruba

Sto tenendo un corso di storia delle religioni presso l’Università popolare di Torino; ho portato copie della vostra rivista con il dossier sulle religioni (gennaio 2007) e sono andate a ruba… Grazie e complimenti per la lodevole iniziativa.
Piergiacomo Oderda
Torino

Ecologista anandro… sarà lei!

Egregio Direttore, da ragazzo sono vissuto a pane e… missionari della Consolata (padri Broggi, De Agostini e tanti altri che vivevano nella chiesa di  san Matteo). Sono cattolico e ho il nonno materno di cui è in corso il processo di beatificazione.
Prossimo ai 65 anni, non posso essere tacciato di spirito polemico; ma non sono d’accordo con quanto pubblicato da Bellesi a pag. 3 del numero di febbraio 2007 (Occhio ai Poli, ndr), né in parte con quanto si legge alle pagine 53 e seguenti (articolo sugli inquinanti atmosferici nelle città, ndr).
Il fatto è che oggi si fa terrorismo, anche da parte dei media, parlando di cose di cui non si sa nulla, così per sentito dire e per egocentrismo. Il famoso antropologo Carapezza ebbe a dire che ci sono troppi «anandro ecologisti» (io dico che se ci fossero stati al tempo dei romani non avremmo il Colosseo e l’acquedotto).
Non sono i mari che si sollevano per lo scioglimento dei poli (mettete in un bicchiere cubetti di ghiaccio e acqua fino all’orlo: quando il ghiaccio si liquefarà il livello diminuirà e non traboccherà una goccia); è la terra che si rattrappisce! Vi accludo quanto detto dal prof. Zichichi.
Quanto alle polveri sottili apprezzo lo sfoggio di erudizione (troppo ridondante e magari in parte copiato), ma si dà il caso che il prof. U. Veronesi ha sostenuto, anche in tv, che sono irrilevanti per il tumore ai polmoni (Milano ha meno casi statistici di tale affezione rispetto a Torino). E le mascherine, con le quali tanti ridicolamente  vanno in giro, non le fermano!
avv. Vittorio Cuccia – Palermo

Lasciamo la risposta (né polemica, né offensiva) agli autori dell’articolo, che scrivono né per sentito dire, né copiando, ma in base alla loro esperienza trentennale. 

«La lettera dell’avvocato Vittorio Cuccia offre l’occasione per alcune utili precisazioni.
Il prof. Veronesi non ha detto che le polveri sottili non fanno male, ma che c’è di peggio nei cibi. Il problema non sta nelle polveri in generale, ma nella loro dimensione e composizione. Ad esempio, il prof. Veronesi ha lanciato l’allarme per le polveri di amianto, che sono cancerogene e che, notoriamente, fanno parte delle polveri sottili.
Sulle mascherine comunemente utilizzate l’avvocato ha ragione, servono solo per fermare le polveri grossolane, ma sono inutili per vapori, CO2, ecc.
Il prof. Zichichi non dice che l’uomo non può modificare il clima, ma che le attività dell’uomo possono influire sull’ambiente per una percentuale ipotizzabile fino al 10%, che è un valore sicuramente non trascurabile!
Il ghiaccio che si scioglie e che preoccupa è quello dei ghiacciai: l’acqua che si forma va a finire in mare e può aumentae il livello.
Infine, Torino è una delle città più inquinate d’Italia ed è quella dove si riscontra il maggior numero di tumori polmonari da amianto: se l’avvocato vuol venire a trovarci potrà rendersene conto di persona!
Non è terrorismo su cose di cui non si sa nulla, ma un’attenta analisi basata su dati scientifici incontestabili».
dr. Rosanna Novara e dr. Roberto Topino




Cari missionari

Continuiamo… la buona «battaglia»

Caro don Farinella,
grazie per i suoi interventi, dei suoi appelli e le sue «battaglie» (mi
perdoni il termine così brutto) di questi mesi. La prego: continui ad
essere voce profetica di una chiesa di comunione, capace di abbracciare
e amare il mondo, senza inchinarsi davanti ai potenti, né vagheggiare
nostalgicamente un passato così lontano dal cuore dell’evangelo.
Continui a insegnarci che la chiesa del Concilio, di papa Giovanni non
è una parentesi, ma il popolo di Dio in comunione con il resto
dell’umanità.
Un caro augurio, cui si associano mia moglie e il piccolo Lorenzo.
Affidandoci alle sue preghiere, l’abbracciamo con affetto. Shalom!
Andrea Fedeli
Roma

Rev.do Paolo Farinella,
tempo fa mi sono imbattutto in un suo articolo su Missioni Consolata
titolato «Nel giardino di Eden» (settembre 2005): è un’autentica pietra
miliare!
Dopo averlo letto ho avuto un pensiero di scriverle; tale pensiero si è
fatto decisione anche a seguito delle recenti affermazioni del nostro
Santo Padre in materia ambientale. Sino ad allora osservavo con
dispiacere quanto il tema ambientale fosse trascurato dalla chiesa o
per lo meno non valutato nella sua assoluta priorità epocale.
Dopo una vita dedicata alla scienza, ho capito che una scienza non
illuminata dalla fede può solo accelerare la devastazione del mondo; è
agli uomini di fede che ora tocca rifiutare le lusinghe di una scienza
tanto evoluta quanto cieca e di una politica senza alcun rispetto per
il mondo. Finalmente l’attuale Papa ci sta provando, non senza enormi
difficoltà.
Credo che la violenza umana sia «maligna», ma anche usata in ultima
analisi da Dio per punire violenze ancora peggiori; è forse il caso del
fondamentalismo islamico e delle derive sataniste di tanti giovani.
Può non apparire lecita o comunque veniale la violenza in un contesto
nel quale l’ipocrisia dei potenti soffoca l’intera creazione in un
abbraccio mortale? Lei è lucido, appassionato, usa la conoscenza delle
scritture per leggere la situazione attuale non per astrarsene.
Io ho accumulato esperienze in più rami della scienza, scrivo, tengo
conferenze e presiedo una piccola associazione ambientalista: mi
coinvolga e sarò lieto di usare le mie armi culturali per un attento
comune, con l’aiuto di Dio.
Con stima
Prof. Vincenzo Caprioli
S. Martino Sicc. (PV)

Le due lettere a don Farinella sono una
testimonianza dei numerosi riscontri che giungono in redazione, a voce
e per telefono, sul gradimento della rubrica biblica da lui tenuta.
Anche per noi sono uno stimolo per continuare a «lottare», alla luce
della parola di Dio, per la giustizia, la pace, la salvaguardia del
creato, parti integranti della missione e dell’evangelizzazione.
Chi volesse avere notizie sull’impegno sociale e culturale del prof. Caprioli può consultare il suo sito: www.iperlogica.it.

Bhopal… in rete

Gentile Redazione,
ho sfogliato la vostra rivista e devo dire con molto interesse, in
particolare mi ha colpito profondamente l’articolo: «Bhopal (India).
Delitto senza castigo» (M.C. dicembre 2006).
Vorrei chiedere il permesso di pubblicare l’articolo sul mio sito
(«www.javascriptenonsolo.org), previa informazione dell’autore e del
vostro sito. In attesa di un vostro riscontro porgo i miei più cordiali
saluti e faccio i migliori auguri affinché la vostra rivista venga
sempre più divulgata.
Vacca Silvano
via e-mail

Naturalmente abbiamo dato il permesso richiesto e
siamo ben felici che i nostri articoli abbiano la maggiore diffusione
possibile.

Russia:  «tempo perso?»

Gentile Direttore,
dopo aver letto il dossier sulla Russia, pubblicato dalla vostra
rivista nel numero di marzo 2001, in cui è riportata l’intervista a
padre Aleksey, parroco della SS. Trinità a Khokhly nel centro di Mosca,
mi sono permesso di scrivere a padre Aleksey  e moglie Masha, ma
le lettere sono tornate indietro per ben due volte.
Non potete dialogare con chi ha sentimenti non solo non-cattolici, ma
anticattolici. È tempo perso. Pensate piuttosto ai fedeli di rito
bizantino russo per far risorgere la chiesa dell’esarca beato Fedorov.
Con l’amicizia ci sarà sempre qualcuno che accetterà di venerare questo
beato. Questa è la propaganda da farsi.
Saluti e ringraziamenti.
don Vito Tedeschi
Carife  (AV)

Grazie, don Vito, per la sua lettera,
accompagnata da due articoli: l’uno sulla persecuzione religiosa in
Russia dal 1920 al 1960; l’altro, scritto dal metropolita cattolico di
Mosca nel 2002, dal titolo eloquente: «Per i cattolici non è cambiato
nulla».
Grazie anche per averci ricordato la figura di Leonid Fedorov
(1879-1935), pioniere dell’ecumenismo con i fratelli ortodossi (con i
quali condivise la dura prigionia), martire della fede, beatificato nel
2001. Siamo convinti che proprio il suo esempio testimoni come
ascoltare la voce dell’altro, anche quando dice cose spiacevoli, non
sia «tempo perso». Altrimenti che dialogo è?  
In questi ultimissimi anni sembra che le acque si siano calmate e si
stia timidamente riprendendo il dialogo con la chiesa ortodossa russa,
come sta avvenendo con quella greco-ortodossa. Ci auguriamo che
continui!

A proposito del «prete-compagno»

Sig. Direttore,
mi ha rattristato molto leggere nella pagina delle lettere, nel numero
di dicembre 2006, la risposta sul «prete-compagno»: non è costruttiva.
Non mi ha rasserenato. Volevo che lo sapesse.
Cordiali saluti.
Sac. Renzo Cortese
Sarzana (SP)

Cari missionari,
ho ricevuto il numero di dicembre di Missioni Consolata, ma purtroppo
non ancora il numero monografico di ottobre-novembre. È possibile che
sia in ritardo?
Nel ringraziare, vorrei approfittare nel congratularmi con il direttore
per la risposta «Il solito prete-compagno», condividendone in pieno il
contenuto. Bravo!
Grazie, cordiali saluti e i migliori auguri per il nuovo anno.
Paolo Zanella
 Malé (TN)


Le frecce tricolori … inquinanti

Cari missionari, sono rimasto esterrefatto, alcuni mesi fa, dalla
disinvoltura con cui gli uomini del centrosinistra, d’intesa con i loro
colleghi del centro destra, hanno silurato la senatrice Lidia Menapace,
«rea» di dichiarazioni «antipatriottiche» per aver criticato la
«pattuglia acrobatica nazionale» (Pan). Lungi da me la pretesa di fare
l’avvocato difensore della senatrice; se questa è la ragione della
mancata nomina alla guida della Commissione difesa del Senato, ebbene
consentitemi di dire che questa critica mi trova molto d’accordo. Non
sono per niente convinto che gli MB 339A/Pan rappresentino il meglio
del made in Italy.
Sicuramente c’è chi è affascinato dalla bravura dei piloti e dallo
spettacolo del cielo striato di verde, bianco e rosso; ma c’è anche
chi, da questo tipo di eventi, trae lo spunto per fare altre
considerazioni.
Innanzitutto, come precisano le stesse fonti dell’Aeronautica militare,
gli MB 339A/Pan sono stati concepiti per svolgere, oltre all’attività
acrobatica, anche missioni operative nel ruolo di cacciabombardieri
leggeri: sono in grado di trasportare cospicui carichi di armamenti e,
grazie alla loro manovrabilità, possono essere impiegati sia nei
cosiddetti «conflitti a bassa intensità» sia in operazioni belliche che
su più vasta scala.
In secondo luogo, gli aerei sono il mezzo di trasporto più inquinante
e, in particolare i bombardieri, consumano kerosene in quantità
allucinanti: tra i 10 e i 20 mila litri per ogni ora di volo.
Dunque è più estremista la Menapace o chi continua a parlare e agire
come se non fosse vero che l’ambiente è sempre più degradato anche per
colpa dei troppi aerei (civili e soprattutto da guerra) e delle troppe
agevolazioni di cui godono coloro che li costruiscono, li acquistano e
li usano: basti dire che, mentre tutti i tipi di combustibile, a
cominciare da quelli per il riscaldamento delle abitazioni, sono
supertassati, il kerosene per gli aerei resta esentasse, anche quando
il prezzo del petrolio sale alle stelle.
È più irrispettosa la Menapace, quando dice che di certe risorse
bisogna fare un uso meno ludico e più responsabile, o è più
irrispettoso l’ufficiale del Pan, quando, «sorvolando» (è proprio il
caso di dirlo) la questione del kerosene e del petrolio, crede di poter
tranquillizzare tutti, affermando che gli MB 339 non inquinano, perché
il bianco del tricolore altro non è che glicerina, mentre il rosso e il
verde sono pigmenti assolutamente in regola con la normativa Ue?
T rovo esagerato l’uso che si sta facendo dei cacciabombardieri a scopo
ricreativo: non sono giocattoli; non possono essere impiegati per
divertirsi o far divertire. Chi pensa il contrario, prima o poi, espone
se stesso e gli altri a rischi enormi. Non mi riferisco solo ai tragici
airshow di Ramstein 1988 e di Leopoli 2002 (155 morti e centinaia di
feriti), ma anche all’incidente della funivia del Cermis e a due
collisioni, avvenute non molto tempo fa, nei cieli del mare Egeo, tra
un top gun greco e uno turco, e nei cieli del mare di Sardegna, tra due
top gun italiani. Ho la sensazione che, in parecchi piloti, sia venuto
meno il senso del limite: quel limite che né l’uomo né la macchina
possono varcare.
Anche le esibizioni delle pattuglie acrobatiche stanno proliferando a
dismisura e i media riservano loro sempre più spazio: ormai anche tra i
tifosi più sfegatati c’è chi ammette che, con gli airshow, è ora di
darsi una calmata. «Se andiamo avanti così, tra un po’ le frecce
tricolori le chiameremo per festeggiare compleanni, cresime, matrimoni»
mi diceva uno di questi tifosi, riferendosi, tra l’altro, all’eccessiva
indulgenza che i vertici di un certo mondo ecclesiale hanno verso
l’elicotteromania, di certi novelli sposi e altre forme di
consumismo… «aeronautico».
Credo che un po’ di circospezione da parte dei cristiani, sia
necessaria anche in questo campo. Penso in particolare ai cristiani
della mia regione, le Marche, dove sorge il santuario della Vergine
Lauretana, la protettrice degli aviatori; penso ai bollettini diocesani
marchigiani, che sono sempre in prima fila quando si tratta di
magnificare le gesta della Pan.
È vero che le frecce tricolori non girano l’Italia e il mondo per fare
la guerra e che il cielo spruzzato di rosso, bianco e verde è sempre un
bellissimo spettacolo: ma è questo che il Signore vuole da noi? Siamo
sicuri che le evoluzioni acrobatiche degli MB 339 stiano favorendo il
compimento delle profezie di Isaia e Michea: «Forgeranno le spade in
falci e le lance in vomeri»? Profezie che i nostri pastori hanno
riproposto in tanti documenti e noi abbiamo tante volte meditato nei
tempi forti dell’anno liturgico e nelle veglie di preghiera per la pace.
Siamo sicuri che Raul Follereau non si riferisse anche alle pattuglie
acrobatiche, quando invitava a riflettere sul fatto che, se si
investisse in medicina e sanità ciò che si spende per un solo
cacciabombardiere, si potrebbe infliggere un colpo decisivo a una
malattia come la lebbra?

Domenico Di Roberto  – Ancona




Cari missionari

Alla scoperta del…
Tanzania

Cari missionari,
in questi giorni ho avuto occasione di mostrare a degli amici e conoscenti alcune fotografie del Tanzania e di parlare del viaggio… con entusiasmo.
Voglio ringraziarvi di cuore per averlo organizzato e averci accompagnati, direi quasi per mano, alla scoperta di un paese, una cultura diversa, una natura bellissima, un mondo che ci ha stupito, spesso commosso e incantato.
Come avremmo potuto diversamente venire a conoscenza, vedere con i nostri occhi, le meraviglie di Baba Camillo, la tenerezza dell’orfanotrofio di Tosamaganga, «la Svizzera» di Ikonda, con il suo complesso ospedaliero, scuola per infermieri e tecnici di laboratorio, supporto e ospitalità per le famiglie dei malati? E poi, nelle varie missioni, scuole  matee e ancora orfanotrofi, dispensari, allevamenti, laboratori per trasformare caffè, olio, mais; elettricità e acqua potabile per decine e decine di villaggi; sostegno agli anziani soli nelle loro capanne… Laboratori di falegnameria, fabbricazione artigianale di stufe, calzolerie, scuole tecniche… e quanto altro occorre per tenere in vita e far prosperare missioni con dispensari e case per bambini… Come avremmo potuto scoprire un mondo di generosità, di entusiasmo, di altruismo, vedere con i nostri occhi tanta bellezza sia naturale che spirituale?
Grazie anche da parte dei compagni di viaggio, che certamente sono pieni di gratitudine per quanto ci è stato dato di vivere in quei giorni. Un conto è leggere Missioni Consolata e altro conto è constatare di persona.
Grazie  anche a tutti i missionari che ci hanno accolto con disponibilità e gioia. Che nostalgia della messa domenicale, vissuta davvero come «la festa», così ricca di canti, danze e allegria…
Il Tanzania è un paese bellissimo, a cui ci si deve avvicinare in punta di piedi, con estremo rispetto, con cuore e occhi di bimbo, capaci di meravigliarsi e apprezzare quanto il Signore continua a disseminarvi.
Agnese Lorenzini Valleri
Torino

Iniziativa
da continuare

Cara Redazione,
a nome del gruppo missionario della parrocchia di San Giuseppe di Vicenza, ringrazio per le riviste missionarie inviateci, che ci hanno permesso di realizzare una iniziativa missionaria, che ha raggiunto tutte le famiglie credenti e non del quartiere. La distribuzione della stampa ha permesso ai componenti il gruppo missionario di contattare molte persone, orientandole a seconda della loro sensibilità e interesse. Ci auguriamo di continuare l’esperienza, per sviluppare e approfondire la coscienza missionaria nel piccolo contesto del nostro quartiere.
Annamaria Colombaro
Vicenza

Anche noi vi auguriamo di continuare e saremo felici di aiutarvi.

Il 2007 con la
Populorum Progressio

Caro Direttore,
grazie come sempre per il numero di Missioni Consolata di ottobre-novembre dedicato all’Europa.
Ma grazie soprattutto per il calendario: mi ha commosso la scelta della Populorum Progressio e il ricordo di quel grande profeta di pace che fu Paolo vi: «Voce che grida nel deserto», anticipando l’aspirazione di giustizia degli uomini e dei popoli d’oggi.
Andrea Fedeli
Roma

Che l’anno del Signore 2007 porti la pace vera a tutti i popoli e aiuti tutti noi ad essere costruttori di pace!

Un lettore… confuso

Egregio Direttore,
a seguito di un’offerta inviata per una vostra missione, avete fatto invio del n. 10-11 della rivista Missioni Consolata. Vi ringrazio, ma vi pregherei di sospendee l’invio, perché sono invaso da stampa cattolica-missionaria.
Ma l’altro motivo per cui vi scrivo la presente è l’articolo «Europa: terra di speranza millenaria» a firma di un certo Paolo Farinella. Questi è riuscito, per ben 11 pagine, a disquisire dai regimi atei alle orde di immigranti, dalla difesa della civiltà occidentale ai «riformatori» cattolici Don Milani, don Mazzolari e altri. E non poteva certo mancare il richiamo a Marx, Engels e Darwin e via dicendo, raccontando con affastellamento di argomenti, opinioni che hanno finito per creare nel lettore una confusione incredibile.
Tant’è che il lettore, infine, si è chiesto cosa volesse raccontare l’insigne biblista, dove intendeva parare, quale è stata la filosofia di vita suggerita e le conclusioni. Poiché la sua sintesi in 9 punti è, per alcuni, quantomeno discutibile, è ferma restando la via maestra dettata dal vangelo.
Luciano Girardi
S. Vito al Tagliamento (PN)

Concordo con il sig. Girardi sulla lunghezza dell’articolo in questione. Ma non penso che gli altri lettori di M.C. siano rimasti confusi: da due anni essi conoscono e apprezzano gli scritti di don Farinella; soprattutto, sanno che, per comprenderli bene e gustarli, bisogna leggerli con calma e più di una volta.
Sono anche d’accordo che la strada maestra è quella del vangelo, seguita anche da don Milani, Mazzolari e altri «riformisti». Il loro messaggio, oggi, è valido più che mai; è soprattutto scomodo; per questo i loro nomi, solo al pronunciarli, causano una specie di urticaria in certi settori della società e della stampa che si ritengono «cattolici».


Acqua sprecata… nei campi da golf

Cari missionari. Nel bel dossier sull’acqua (cfr. M.C. n. 6/2006) si parla, tra l’altro, dell’incidenza che certe nostre cattive abitudini hanno sul bilancio idrico globale. In particolare M. De Paoli stigmatizza gli eccessivi consumi domestici degli italiani (250 litri d’acqua potabile al giorno, contro 159 degli svizzeri e 119 degli svedesi…) e il fatto che appena l’1% di quest’acqua viene bevuta, mentre «il 39% se ne va in igiene personale, il 20% per il wc, il 12% per la lavatrice…».
È un tipo di approccio sul quale anche le amministrazioni locali puntano molto. Chi non ha mai sentito il proprio sindaco e gli assessori competenti raccomandare un uso più limitato, più sano e  responsabile dell’acqua? Chi non ha mai partecipato ad assemblee e dibattiti organizzati dal comune, provincia o regione, in cui il relatore di tuo supplicava di fare la doccia piuttosto che il bagno in vasca, chiudere il rubinetto mentre spalmiamo il dentifricio sullo spazzolino, dare alle piante del giardino solo l’acqua realmente necessaria, non usare il tubo quando laviamo l’auto o la moto e persino di ridurre al minimo l’uso dello sciacquone della tornilette?
Sono esortazioni e consigli ineccepibili, che però una parte considerevole della popolazione mostra di tenere in bene misera considerazione. E mi domando: se tanta gente continua a sprecare acqua, non è anche perché è venuto meno il senso di appartenenza alla comunità civile, al territorio, allo stato? Stato e amministratori locali non potrebbero essere più coerenti? Come si può pensare di incentivare il risparmio idrico, se si rinuncia a dare il buon esempio e si cede alla suggestione di un business come quello del golf? Che testimonianza di serietà e rigore danno quelle giunte che rilasciano permessi per la realizzazione di campi da golf di dimensioni enormi, pur sapendo che enorme sarà anche la quantità d’acqua che se ne andrà per mantenere queste superfici in buone condizioni?

«Nel mondo – scriveva nel 1993 Renzo Garrone, fondatore di RAM, associazione di turismo responsabile – esistono circa 24 mila campi da golf e altre migliaia in costruzione o già pianificati. In media uno di essi misura circa 100 ettari di superficie. La loro proliferazione implica severi contraccolpi per le comunità locali: perdita forestale, sottrazione dei terreni agricoli, spoliazione delle risorse idriche, contaminazione dei suoli con pesticidi e diserbanti.
Per mantenere l’erba florida e verde, un campo da golf necessita di 4-5 mila metri cubi d’acqua al giorno: l’equivalente di quanto viene usato in un villaggio thailandese di 1.200 persone per bere e lavare, eccettuando gli scopi agricoli. Un’estensione a golf consuma, per mantenersi verde, tanta acqua quanto un uguale campo di riso. È ammissibile che terre buone, spesso le migliori terre agricole, e acqua in quantità enormi debbano essere destinate così massicciamente all’industria dello svago, specie in paesi dove i problemi di sussistenza quotidiana sono lungi dall’essere risolti?
Sotto il manto erboso va scavato un complesso e ramificatissimo intrico di canaletti, che servono all’irrigazione: il territorio da trasformare in campo da golf va quindi rivoltato come un guanto e poi continuamente curato. Massiccio è l’impiego di erbicidi e pesticidi, poi dilavati nelle acque della zona.
Altri risvolti sociali vengono messi sotto accusa. Nelle aree destinate a campi da golf, esplodono i prezzi della proprietà fondiaria, mentre una  modalità aliena al vivere locale (col golf arriva il resto dello sviluppo legato al turismo d’evasione) portano sempre con sé corruzione, ulteriore disuguaglianza economica, violazione dei diritti umani, criminalità. Se autorità e governi accolgono generalmente con favore questa ondata di investimenti, solo le élites ne beneficiano davvero, mentre la gente comune viene privata della terra».

Tra il 1993 e il 2005 il numero dei campi da golf nel mondo è passato da 24 mila a 30 mila con un aumento del 25%. Il numero complessivo dei golfisti ha superato quota 50 milioni: di questi, 5 milioni sono europei e 70 mila italiani. Di questi italiani, secondo Fulvio Golob, direttore di Golf  turismo, almeno 10 mila periodicamente «migrano» in cerca «di sole e nuovi scenari con cui confrontarsi…».
«I nuovi scenari» sono proprio quelli denunciati da Garrone: paesi africani, del sud-est asiatico, dell’America Latina. Paesi poveri e indebitati, dove l’elevato Pil è un indicatore di degrado, frutto di sciagurate politiche economiche, che hanno calpestato i diritti umani più elementari (a cominciare dal diritto alla vita…) e portato gli ecosistemi al collasso.
Non mi risulta sia stata trovata una formula magica in grado di rendere i campi da golf meno esigenti in fatto di acqua. Quando  qualcuno l’avrà trovata… forse potremo cominciare a parlare di «golf etico», come parliamo di caffè etico, cacao etico, banane etiche… Per ora, se ci teniamo davvero a essere etici, equi e solidali anche su questo versante, se desideriamo che la risorsa acqua sia ovunque gestita in maniera responsabile e rispettosa dei diritti di ognuno, l’unica cosa che possiamo fare è opporci con decisione al golf, senza demoralizzarci quando ci accorgiamo di essere in minoranza e senza farci spaventare dalle solite accuse di «oscurantismo», «estremismo», «comunismo», «ecoterrorismo»…, lanciate da uomini e donne che, pur militando in partiti che sembrano acerrimi nemici, quando di mezzo ci sono certi business, riescono a raggiungere un’identità di vedute praticamente perfetta e a costruire alleanze inaffondabili.

Luciano Montenigri, Fano (PU)




Cari Missionari

A proposito di Noma

Caro Direttore,
da anni sono abbonata alla vostra rivista, che apprezzo molto. Sul numero di giugno 2006 ho letto con interesse e immenso dolore l’articolo sui bambini colpiti da quella terribile malattia di cui non conoscevo l’esistenza: il cancro orale o noma.
Voglio assolutamente fare qualcosa per loro e aiutarli in qualche modo. È mio intendimento inviare un’offerta per le cure necessarie, ma non so se inviarla direttamente all’ospedale della Nigeria (Sokotho) oppure al vostro istituto di Torino. Sarei grata se mi indicaste la via giusta. Attendo quindi una gentile risposta.
Maria Grisa
Bussoleno (TO)

Cara Redazione,
sul numero di giugno 2006, ho letto della malattia dimenticata denominata «noma». Mi ha molto colpito la sua gravità e incidenza sui bambini.
Desidero conoscere se qualcuna delle vostre missioni si interessa di questi casi, per concordare un possibile progetto di sostegno da offrire come attenzione ai nostri bambini e adulti nei prossimi mesi. Grazie e buon lavoro per una rivista concreta e attenta all’evangelizzazione.
Padre Silvano Porta Omv
Pantelleria (TP)

Appena ricevuta la lettera della signora Maria Grisa (inizio di luglio), inviai e-mail a tre dei nostri ospedali, domandando se avessero casi di «noma» e se li curassero nei loro ospedali. Il dottore di Gambo (Etiopia), rispose immediatamente, dicendo che da una decina di anni non riscontrano casi del genere e, qualora ve ne fossero, possono solo fermare il male; per la riparazione devono portare il malato ad Addis Abeba. Dagli altri ospedali sto ancora aspettando una risposta.
A settembre ho posto le stesse domande al vescovo di Maralal (Kenya), mons. Virgilio Pante, che ha interpellato i dottori dell’ospedale di Wamba e mi ha dato la seguente risposta: nel territorio ci sono alcuni casi di «noma» e vengono curati in detto ospedale.
Per cui, chi volesse contribuire alla loro cura, può servirsi del nostro ccp (vedi ultima pagina della rivista) specificando la causale: «Ospedale di Wamba – malati di noma».

Troppa grazia…!

Cari missionari,
sono tornato in Italia dopo 4 mesi trascorsi come volontario ospedaliero a Nkubu (Kenya). Ho avuto occasione di vedere il lavoro che avete fatto e tutt’ora state facendo in quella parte di  Africa: avete portato non solo il vangelo, ma anche la civiltà nella sua espressione migliore. Parlare di Consolata Mission significa dire: scuole, ospedali, chiese e tante altre belle cose. Dirvi bravi è troppo poco. Avete fatto un lavoro grandioso agli occhi del mondo e di Dio; specialmente le vostre suore sono dei veri angeli.  
Mi piacerebbe leggere  la vostra rivista missionaria. Vi abbraccio frateamente tutti e vi dico: Asante sana, Bwana Mungu Baba ietu akubariki (grazie tante; il Signore Dio nostro Padre vi benedica).
Giulio Zucca
Genova

Tanta ammirevole simpatia ci impegna a continuare nella nostra missione e a non deludere le aspettative di Dio e della gente a cui ci manda. Grazie e continui nel suo spirito di servizio missionario: per questo abbiamo provveduto a inserire il suo nome nella lista dei nostri abbonati.

Incatenato…
alle missioni

Caro Direttore,
per tanti anni sono stato… missionario delle missioni della Consolata e sento di esserlo ancora. Ma ora vivo nella casa di riposo e non so come regolarmi con la rivista Missioni Consolata: per mia parte sospendo l’abbonamento (ma in questi giorni farò pervenire ancora un mio saluto… economico). Vi prego, però, di un favore: sentitemi sempre un missionario della Consolata e pregate per me che mi sono ritirato in questa casa per prepararmi a una santa morte.
Ma devo essere sincero: una mia collaboratrice, quando presiedevo l’Ufficio missionario diocesano, mi ha rapito e, anche se rimango a Maruggio, mi ha incatenato con le catene dell’amore alla missione di Iringa (Tanzania), dove essa svolge il suo compito di volontaria. Mi ha addirittura iscritto a far parte del presbiterio diocesano, così che il carissimo mons. Tarcisio Ngalalekumtwa si prende il mio respiro e il mio cuore… In ottobre 2005 ho avuto il piacere di averlo a cena a Maruggio, dove ero ancora parroco.
In conclusione, il beato Allamano con la sua immagine mi accompagna sempre nella recita del breviario. Allora sono e sarò sempre missionario della Consolata. In Cristo,
don Salvatore Gennari Maruggio (TA)

Abbiamo provveduto a cambiare il suo nuovo indirizzo e continueremo a inviarle la nostra rivista. Le sue preghiere e il suo affetto per le missioni e per i missionari della Consolata sono un compenso più che adeguato. Continueremo a sentirla dei nostri. Gradisca anche lei il nostro affetto e gratitudine per quanto ha già fatto a favore dei nostri missionari.

Benedetta croce!

Reverendo Direttore,
ho apprezzato molto il dossier sull’Etiopia pubblicato nel numero di aprile 2006. Veramente interessante. Ringrazio anche i suoi collaboratori per questa ulteriore conoscenza.
L’interesse è stato maggiore quando ho letto alcuni passaggi, come quello che descrive come ogni prete o monaco porti la croce manuale sotto la tunica, e l’altro che racconta del passaggio del testimone nella parrocchia di Asella, per 24 anni evangelizzata dai missionari della Consolata, ora consegnata al clero locale. Quelle pagine mi hanno fatto rivivere con gioia e nostalgia la santa messa a cui ho partecipato nella vostra chiesa, il 23 ottobre 2005, Giornata missionaria mondiale. Due ospiti religiosi erano stati invitati a dare la loro testimonianza. Uno di essi era africano. Si presentò dicendo di chiamarsi abba Ghebremariam Amante, viveva ad Addis Abeba. Trovandosi a Roma per il suo 50° anniversario di ordinazione, era venuto a Torino per manifestare la sua stima e gratitudine per la lunga amicizia che lo lega ai missionari della Consolata. Era stato battezzato da un vostro missionario. Concluse benedicendoci con la sua croce etiopica.
In molti uscendo abbiamo salutato e ringraziato, commossi e ammirati, questo abba per la sua bella testimonianza e la sua benedizione. Sono certa che anche altri, leggendo il vostro dossier, avranno ricordato con simpatia abba Ghebremariam.
Rita Simonato
Torino

Grazie anche per questa sua testimonianza, con l’augurio di vivere ancora tanti altri momenti di gioia, sia leggendo la nostra rivista che incontrando i nostri missionari.

Reverendo Direttore. Leggo con piacere la sua rivista, che mi viene passata da un parente, dopo che a sua volta l’ha letta. Vorrei chiederle, se lo ritiene utile, di dare alcune precisazioni, sulla rivista, in merito all’articolo a firma Aldo Antonelli, pagina 66 del numero di luglio-agosto 2006. Verso la fine della prima colonna, egli osserva: «…sono stati sostituiti con personaggi grigi e ultraconservatori “polonizzando” la chiesa, ecc., ecc.». Poche righe oltre, accenna a «una religione tutta e solo intimistica, legata a figure problematiche di “santi” quali Padre Pio e Josemaria Escrivà…».
Subito ho pensato al classico prete-compagno e stavo per archiviare mentalmente il tutto quando però la curiosità ha preso il sopravvento. Se Missioni Consolata l’ha pubblicata, vuol dire che ne condivide lo spirito. Sia chiaro, io non ho particolare interesse a conoscere le diatribe tra preti di destra o di sinistra, ma avrei invece curiosità di chiarire quanto segue: «Polonizzando», riguarda una critica a Giovanni Paolo ii? Se sì, quale o quali? Figure problematiche di «santi»: evidentemente, virgolettando il termine santi, vuol dire che non condivide il giudizio della chiesa sulla loro santità, tanto è vero che prima li definisce figure «problematiche». Per quale motivo non li considera autentici santi?
Vorrei ribadire che non so se l’autore dello scritto ha ragione o no, non ne conosco le sue motivazioni; ma ritengo che dovrebbe chiarire il tutto lei, come direttore della rivista. Potrebbe nascee un serio confronto tra posizioni diverse e, comunque, un approfondimento di tematiche e posizioni.
Capisco che per lei questo possa essere un piccolo fastidio, ma non credo che lei abbia solo intenzione di pubblicare lettere maxi-elogiatorie nei confronti del suo mensile, ma che sia aperto anche a tematiche più scottanti. Altrimenti, mi scusi la franchezza, sarebbe come tirare un sasso e poi nascondere il braccio, cosa indegna per chiunque e della quale non la ritengo capace.
Ritoo a dire che il mio scritto non ha in sé alcuna polemica. Il fatto che scrivo a lei è dovuto alla convinzione che se il rev. Aldo Antonelli avesse espresso posizioni contrarie alla fede cattolica o altro, lei non le avrebbe pubblicate. Pubblicando invece le sue critiche, vuol dire che in esse vi ha trovato del vero e ritengo che i suoi lettori meritino anch’essi di conoscere il suo pensiero.
Agostino Cariano
Genova

Leggendo la sua lettera, all’inizio pensavo di girare la patata a don Antonelli, autore dello scritto in questione; ma, proseguendo la lettura, vedo che sono proprio io chiamato a «chiarire» la sua «curiosità». Lo faccio volentieri, dicendo soprattutto cosa mi viene in mente leggendo tale articolo.
È chiaro che, sostanzialmente, ne condivido il contenuto, anche se, personalmente, avrei usato un vocabolario più sfumato: «normalizzando» anziché «polonizzando»; vescovi «meno profetici» invece di «grigi e ultraconservatori»; «frenata» al Concilio invece di «bavaglio» (frase non citata).
In fatto di «normalizzazione» mi viene in mente la chiesa in Brasile, con le voci profetiche di Helder Camara, Evaristo Has e tanti altri vescovi, talora messe a tacere o sostituite con voci meno scomode. Incontrai, poco tempo prima della sua scomparsa (2004), il vescovo di Roraima, mons. Apparecido Dias, che, parlando dei vescovi brasiliani impegnati nel portare avanti le idee del Concilio, mi diceva: «Siamo ancora in maggioranza, ma siamo rimasti troppo pochi».
Tale «normalizzazione» non è attribuibile solo a Giovanni Paolo ii, che non poteva conoscere tutti i candidati vescovi, ma anche e soprattutto a coloro che gli sono stati attorno. Da parte mia ho grande stima del defunto pontefice, anche se non sono tra coloro che gridano «santo subito!».

Per quanto riguarda Padre Pio e Josemaria Escrivà, né l’articolista né io dubitiamo della loro santità: siamo certi che sono santi (senza virgolette) in paradiso, insieme ad altri che vedrei più volentieri innalzati agli onori dell’altare, come Oscar Romero. Tra l’altro, il libro del fondatore dell’Opus Dei, «Cammino», è stato anche un mio nutrimento spirituale, quando ero ancora studente di teologia.
Tuttavia, ciò che l’autore dell’articolo mette in questione, e io condivido pienamente, è l’opportunità o meno di proporre tali «santi» (rimetto le virgolette), e così in fretta, all’imitazione della chiesa universale;  e questo non solo per non favorire «una religione tutta e solo intimistica», come scrive don Antonelli, ma anche per rispetto della loro santità, soprattutto quella di Padre Pio, invocato come protettore da attricette e da mafiosi, come un certo Provenzano.




Tre superlativi

Carissimi,
la vostra è una rivista bellissima, documentatissima e coraggiosissima. Grazie e avanti così.
Arese (MI)

Mario Tasinazzo




Laura Racca

Ho avuto occasione di sfogliare la vostra rivista e l’ho trovata molto interessante. Vorrei regalare l’abbonamento a Missioni Consolata a una persona…

Regalo intelligente!




Giovane esemplare

Caro direttore,
mio padre è abbonato alla rivista da anni. La trovo stupenda e ricca di spunti interessantissimi, anche per il percorso spirituale. Per il momento non sono abbonata io stessa, perché ovviamente leggo quella che arriva a mio padre.
Ho però un problema: avrei bisogno dei 2 numeri del 2005 sul turismo responsabile. Nella mia parrocchia vorremmo parlare di questo argomento e per me sarebbe prezioso poter rileggere quei due articoli. Purtroppo mio padre non lo ha conservato o comunque non lo trova più. Mi fareste un regalo prezioso.

Roma

Emanuela Somalvico