Cari missionari

Quando si dice… malaria

Cari missionari,
leggo sempre con passione la vostra rivista, da quando mi sono abbonata alcuni anni fa, dopo un viaggio in Kenya con padre De Col.
Ho letto sul numero di giugno «I diversi volti della malaria», scritto dalla dott. Chiara Montaldo. La sua esperienza mi ha vivamente toccata. Con mio marito è dal ‘93 che «circoliamo» per l’Africa, i primi anni con tour operator, ma poi adottai il «fai da te». Non avevo il desiderio di essere solo un turista mordi e vai; così, dopo il Tanzania e il Kenya, scelsi definitivamente il sud della Costa d’Avorio, un po’ perché dimenticata da molti, un po’ per il fatto che c’è acqua.
Alloggiando in una casa africana, vivendo con la gente locale, va da sé che incominciai a dare qualche cosa di quello che sapevo fare: corsi di lavori femminili, scuola d’italiano per scolari e adulti, primo pronto soccorso. Col passare degli anni cercai di aiutare a migliorare il tenore di vita dei bambini bancal, di chi aveva delle malformazioni operabili. Ammalati inviati al centro di don Orione di Bonoua e da noi spesati anche con l’aiuto di amici e benefattori Italiani.
Fino all’anno scorso, la malaria mi sembrava una malattia tanto fantomatica dei libri di Salgari, del ciclista Coppi, forse anche perché il soggiorno di due mesi si articola nei mesi per così dire più secchi: febbraio-aprile. Mi capitava di incontrare e sentire adulti o bambini: «Mamma, non sto bene». «Cos’hai?». «La febbre». «Hai bisogno?». I più fortunati: «All’ospedale mi hanno fatto una puntura». E via che si facevano lavaggi con decotti di erbe; erbe che schiacciavano, bevevano, mettevano nelle narici e nelle perette anali. Sentivo poi: «Sai, il tale è morto». «Cosa aveva?». «La febbre». Per me finiva lì.
Finiva lì perché non capivo, non conoscevo bene, finché un giorno, di ritorno dalla capitale con addosso la sensazione di aleggiare a mezz’aria e mani caldissime, scoprii di avere la febbre a 39. Cosa vuoi che sia? Sarà il caldo, la stanchezza. Presi un paracetamolo e dopo mezz’ora la temperatura toò normale. Ma il giorno dopo, quando svenni per la pressione a 50/70, mi portarono al centro don Orione dove con la «goccia spessa» diagnosticarono la malaria.
Compresse per la malaria, di ferro per l’anemia, per la febbre, vitamine. Fu una settimana di brividi, sudore, fortissimi mal di testa, vomito e dissenteria, ma passò. Avevo i soldi e ho pagato i farmaci. Ho pagato, ma ho iniziato a vedere con occhi diversi, osservavo la parte bianca degli occhi, dai bambini agli adulti, e tutti l’avevano gialla o anche più scura da confondersi quasi con l’iride. Vedevo dopo «la febbre», la debolezza portata dall’anemia; dove potevo foivo pastiglie di ferro e vitamine. Molte persone avevano la pressione tanto bassa. Purtroppo quello è un paese dove viene consumata pochissima carne rossa, niente latte o formaggio; la poca verdura (cipolle, aglio, melanzane, peperoncino) viene resa purea per le salse con cui viene servito il foutou.
Quest’anno, mio marito e io siamo ritornati. È toccato a lui pagare il ticket della malaria e con le piastrine basse, in una clinica privata si sottopose a flebo per 5 giorni. Aveva i soldi e ha pagato.
Due giorni dopo il ritorno in Italia eccomi sul lavoro con un gran freddo, pensavo allo sbalzo di clima, ma la febbre a 40 (io che non ho mai la febbre) non lasciò dubbi, me l’ero portata in Italia: ma avevo portato anche i farmaci acquistati per precauzione in Africa. Dopo cinque giorni era tutto passato.
La constatazione che il Lariam non serve più è stato un colpo, più della malaria stessa. Se la conosci la curi e speri sempre in bene. Ciò che mi tortura è che noi bianchi possiamo permetterci i farmaci, tra gli africani solo i più ricchi. Si ammalano di malaria più volte nell’arco dell’anno, essendo un paese ad alto tasso di umidità, con lagune sparse un po’ ovunque. Dunque, malnutriti, debilitati, senza soldi…
Ho scrupolo di quanto nel mondo si spreca in sanità, di quanto cibo si butta in pattumiera, di quando si dice «non so cosa mangiare» davanti a scaffali pieni del supermarket, mentre c’è chi dice «non so cosa mangiare» perché non ha soldi per acquistare del cibo. Prevenzione: zanzariere, spray, zampironi, sono tutti troppo costosi.
In un paese dove si vive fuori e dove a causa dell’umidità si suda molto, aggiungendo che anche il Lariam non dà più sicurezza, mi chiedo cosa posso fare non solo per noi, ma soprattutto per i miei amici avoriani. Quando ritorno in Italia, vi ritorno con il cuore grosso, pesante, angosciato e quasi vergognosa di vivere in un posto così «facile».
Grazie per avermi letta. Con sentita simpatia.
Elena Tagini Malgaroli
Veruno (NO)

Abbiamo letto volentieri la sua testimonianza e altrettanto volentieri la pubblichiamo. La sua esperienza ci aiuta tutti ad aprire la mente e il cuore su una delle malattie dimenticate, ma che, purtroppo, fa più vittime dell’Aids tra le popolazioni africane. Tale testimonianza è, poi, un invito a pensare un po’ meno a noi stessi e a sentire concretamente più solidarietà verso i milioni di persone a cui è negata la speranza.

Abbassare i toni…

Spett. Redazione,
la lettera su «Le “porcate” e… la “porcata”» e l’articolo di riferimento (M.C. giugno 2008, p. 7) danno l’indicazione esatta di quanto la politica divida! E divide in modo tale da essere incompatibile con il proclamarci cristiani!
Certamente delle forze oscure hanno introdotto anche in Italia il bipolarismo: in questo contesto non c’è spazio per i cattolici, fagocitati a sinistra ed emarginati a destra, non riescono a far valere le proprie ragioni, e nel frattempo queste forze spingono perché le leggi che stanno loro a cuore, passino e lentamente distruggano il connettivo cristiano del nostro popolo. E noi facciamo a lite perché pensiamo che, con il nostro intervento all’interno del sistema, possiamo limitare i danni. Aborto e divorzio insegnano! Eppure gli alunni non apprendono!
Ci sono svariati motivi che dovrebbero spingerci a moderare i toni: il sereno confronto permette di approfondire le problematiche e di raggiungere conclusioni condivisibili; i toni accusatori non fanno altro che far erigere delle barricate insuperabili e lasciano il tempo che trovano; qualcuno utilizza il «divide et impera» e noi, ingenuamente ci siamo caduti; comunque in questo mondo nulla è eterno, nulla è per sempre, nonostante certe dichiarazioni roboanti di numerosi uomini politici, e quindi possiamo guardare al futuro con molta speranza e nonostante…
Mario Rondina
Fano (PU)

È vero, la politica divide, soprattutto perché non è più «politica», cioè servizio alla polis, al bene comune dei cittadini, ma servizio dell’imperatore di tuo. Troppi nostri rappresentanti, che si dichiarano cattolici, non sono coerenti con la loro fede cristiana, con l’insegnamento sociale della chiesa e con la propria coscienza.
Mal di denti…

Cari missionari
è certo consolante vedere che ci sono non pochi dentisti italiani che vanno in Kenya (M.C. n.2-08 p.72, M.C. n.5-08 p.7) e in altri paesi del sud del mondo a lottare contro le infezioni orali (causa di molte altre infezioni e patologie) di tante persone che vivono nella miseria nera: un bellissimo modo di interpretare l’imperativo evangelico della cura all’ammalato…
Nello stesso tempo però mi domando: è troppo chiedere che in questa direzione, qualcosina venga fatto… anche nella nostra Italia dove, nella stragrande maggioranza dei casi, riuscire a farsi curare dei denti equivale a consegnare a uno studio privato interi stipendi o intere pensioni? È troppo chiedere per quale motivo la cura e l’otturazione di un dente cariato costa in media 8 euro in Ungheria, 18 in Polonia, 46 in Francia e 135 in Italia? È troppo chiedere che il numero degli odontorniatri in forza al Servizio sanitario nazionale venga elevato e si avvicini almeno a quello dei… cappellani che, attualmente, sono quasi il triplo? Cordialmente.
Valentino Baldassaretti
 Urbino (PU)




CARI MISSIONARI

Ricordi
indimenticabili…

Carissimo Direttore,
sono tornato da poco dal mio secondo viaggio in Etiopia. Sono carico di ricordi indimenticabili, di volti espressivi che ho sempre davanti agli occhi e di sguardi limpidi che dicono tutto.
Ho visto la nuova scuola di Daka Bora (pietre argillose) con i nuovi banchi e fra poco arriverà l’acqua in quella terra arida. Questi progetti sono stati pensati dai nonni «vigili» di Borgo Valsugana, di cui fa parte anche il sottoscritto, e sono stati realizzati grazie ai contributi e al grande cuore di uomini, donne e associazioni varie di Borgo Valsugana.
Sono stato a Waragu e Minne, villaggi poverissimi, senza acqua, luce, mezzi di trasporto. Ho trascorso giorni indimenticabili e ho visto l’altra faccia del mondo. Sono stato uno di loro fra loro. Abitano in capanne poverissime, con 7-10 bambini; vivono di pastorizia e agricoltura. Hanno una grande dignità e non si lamentano mai. Tutto viene trasportato a d’orso d’asino o sulle spalle delle donne, uomini e bambini. Salutavo tutti ed ero contraccambiato. Sono stato ospite nelle loro capanne e mi hanno offerto del pane e un bicchiere d’acqua in segno di amicizia.
Erano felici quando ho donato un paio di pantaloni all’anziano, una saponetta alla maestra, un pullover al sacerdote locale e un paio di scarpe ad un ragazzo. Le donne mi hanno sorriso quando ho portato presso le loro capanne, le taniche d’acqua o la grossa fascina di legna al posto dei loro figli.
Padre Paolo Angheben, uomo di Dio e luce per tutti gli indigeni, dirige in queste località due scuole elementari, frequentate da 2.200 bambini e con 40 maestri che vengono stipendiati con gli aiuti che arrivano dall’Italia. Con 10 euro all’anno si può adottare un bambino a distanza e aiutarlo a frequentare le scuole.
Ho conosciuto la donna etiope, che soffre, piange, ride, consola, sopporta. Donna che ama e vuole essere amata. Donna umile, tenace, che cammina per ore portando i bambini o altri pesi sulle spalle. Donna infelice, perché a volte è umiliata e violentata. Donna che spera in un futuro migliore. Ragazze che studiano duramente per cambiare il volto del loro paese. Donna di fede, che prega e bacia il pavimento della chiesa. Donne con in braccio i figli ammalati, che aspettano per ore in silenzio il loro tuo per essere visitati, curati o vaccinati presso la clinica della missione, gestita da due suore e infermiere polacche.
Sono stato nella cittadella di Asella, a 2.600 metri di altezza e 60 mila abitanti, dove ho conosciuto padre Silvio Sordella, missionario instancabile e di fede incrollabile. Ho visitato l’orfanotrofio da lui fondato e diretto per tanti anni, con i vari laboratori: luogo di salvezza, speranza e di futuro per centinaia di bambini. Alcuni di essi mi hanno preso per mano e mi hanno mostrato le loro camerette e vari locali. Erano felici di stare con me (anche per le caramelle).
Per il 2009 il mio sogno (o utopia?)  è la costruzione di un ponte sul fiume Minne (ponte della stella, della speranza, della vita?) del costo di 8 mila euro circa. Durante la stagione delle piogge (la nostra estate) per le forti correnti né uomini, né animali, né mezzi di trasporto lo possono attraversare.
Un pensiero costante durante il mio viaggio è stato quello del mio cugino missionario, padre Giovanni De Marchi, vissuto e morto da santo, come lo ricordano tutti quelli che lo hanno conosciuto in vita in questo paese. Le suore della Consolata in Addis Abeba mi hanno raccontato qualche piccolo aneddoto della sua vita, soprattutto hanno rievocato l’incontro, in quello stesso luogo una ventina di anni fa, di due figure carismatiche e spirituali, umane e cristiane: Madre Teresa di Calcutta e padre Giovanni d’Etiopia.
Iddio e la Consolata proteggano e benedicano sempre tutti i missionari e le suore. Un grazie sincero per la loro ospitalità ai padri Paolo a Waragu, Jorge Pratolongo a Modjo e il superiore Antonio Vismara ad Addis Abeba che mi hanno permesso di vivere questa esperienza indimenticabile.
Auguri di ogni bene anche a voi e complimenti per gli articoli pubblicati sulla rivista: fanno pensare e riflettere.
Giovanni De Marchi
Borgo Valsugana (TN)

Lunga vita anche a lei, signor Giovanni, perché possa continuare a sognare e vivere con lo stesso entusiasmo del suo omonimo cugino, per il bene di quelle popolazioni per le quali il grande missionario ha speso tutta la sua vita.

Scherzi della memoria

Spett. Redazione,
in relazione alla mia lettera da voi pubblicata su Missioni Consolata, maggio 2008, apprezzo la risposta del dott. Azzalin. Lungi dal voler prolungare inutilmente una polemica, che del resto mi interessa poco, vorrei solo sottolineare l’impossibilità di capire che le osservazioni esteate dal dott. Azzalin fossero rivolte solo ed esclusivamente al gruppo di cui fa parte (invito chiunque a rileggere l’articolo). Accetto senz’altro questo punto di vista pur continuando a non condividee la sostanza.
Negli anni 2001-2003 ho lavorato per l’Apa a Kahawa, presso il dispensario della missione. Il dottor Azzalin ed io dunque ci conosciamo personalmente e i nostri contatti non sono certo stati saltuari, almeno fino a quando le nostre strade si divisero. Del resto mi rendo conto che entrambi abbiamo oltrepassato la cosiddetta mezza età ed è possibile che la memoria cominci a giocare qualche scherzo. Consiglio al collega, che saluto commosso, buoni libri ed esercizio fisico. A futura memoria.  
Cordialmente
dr. Massimo Fugazza
via e-mail

PREGHIERA ALLA MADRE DI DIO CON TRE MANI

C ari amici, vi mando questa mia preghiera per condividere con voi i miei sentimenti, dopo il riconoscimento del Kosovo come uno stato indipendente. Nessuno voglio offendere; vorrei solo informarvi che sono stati calpestati i diritti di un popolo intero: il mio.
Purtroppo, non è l’unico a chiedere giustizia. Ma io, ammirando tutti quelli che combattono contro ogni forma d’ingiustizia e discriminazione in questo mondo, chiedo un po’ di attenzione per questo colpo mortale che ha subito il mio popolo. Non sono solo io; sono più di dieci milioni di persone in lutto per lo strappo di Kosovo.
Vi mando la mia preghiera e vi chiedo di pregare insieme a me, perché il Kosovo torni parte della mia Serbia, con tutto l’amore e rispetto agli Albanesi e agli altri popoli che vivono nel mio paese, che hanno diritto alla loro lingua, alla loro cultura, alla loro religione, che hanno diritto all’autonomia, ma non hanno diritto di strappare la parte più preziosa della mia terra.

Prega per noi, Madre di Dio con Tre Mani.
Prega per noi serbi cristiani.
Hanno strappato Kosovo e Metohija
il cuore della mia Serbia.

Hanno rubato il mio passato.
Memoria storica e mille monasteri:
Gracanica, Decani, Pec patriarcato
dove si pregava in serbo da secoli.

Madre di Dio con Tre Mani,
vorrei pregare per la pace;
ma l’ho persa dal mio cuore,
contratto dall’immenso dolore.

E l’unico pensiero nella mente mia,
Kosovo e Metohija sono la Serbia;
pensiero doloroso e perenne,
Kosovo e Metohija, la serba Gerusalemme.

Ringrazio Te e i nostri santi Padri
per la forza che avevano le nostre madri,
che persero figli, mariti e fratelli
nel campo dei Merli.

Con il Tuo sostegno e la Tua protezione,
loro crebbero la nuova generazione,
insegnandole l’amore, il perdono e il coraggio
e ad opporsi al peccato e al malvagio;

e trasmettevano nei secoli della storia
la fede, la lingua, il cirillico:
le tre perle della nostra nazione
per non perderci nella globalizzazione.

Aiuta anche noi, Madre di Dio con Tre Mani,
a crescere figli nel timore di Dio, e cristiani
e che non dimentichino, Santa Maria,
Kosovo e Metohija sono la Serbia.

Snežana Petrovic,
Rovereto (Trento)




Cari missionari

Fame e sete
di buoni esempi

Cari missionari,
innanzitutto un grandissimo grazie per l’articolo uscito su Missioni Consolata nel mese di febbraio, a favore dell’operato, lungo e silenzioso, di fratel Giuseppe Argese. Sì, sto leggendo e rileggendo queste intense righe e mi pare di averlo fisicamente vicino questo personaggio (mai visto e che non conosco davvero). Vorrei parlare direttamente con lui… ringraziarlo, abbracciarlo, incoraggiarlo…
Iddio vi benedica tutti! Vi voglio tanto bene! Poche e semplici parole, ma col cuore. Delle notizie, cattive cattive, è piena l’aria e il mondo intero. Richiediamo un po’ di cose buone. Edificanti. Che riempiono lo spirito. Dei buoni esempi di persone generose, allegre (anche silenziose). In questo mondo pieno di cattiverie (non si sa da che parte stare, né per chi votare…) abbiamo veramente un bisogno (urgente) di fame e sete di giustizia. Cerchiamola (anche con il lanteino) tra i missionari veri, tra i volontari, tra i giovani, che nel buio della notte si incontrano con «gli ultimi» poveri e sbandati. Tutto è sempre per la gloria di Dio e l’edificazione del popolo di Dio.
Non è vero che tanti fanno il bene per farsi vedere. Costa fare il bene. E poi, il dovere del buon esempio dove lo mettiamo? È più facile criticare chi fa il bene, anziché tirarsi su le maniche e dare una mano sudando per il prossimo.
Tanti si propongono in questi giorni in televisione, vestiti sempre a festa (e con i gemelli dorati ai polsini delle camicie bianche). Ma, viva Dio, e questi sono gli esempi di chi ci dovrebbe governare? Chiacchiere e basta. I fatti sono tutta un’altra cosa.
Abbraccio tutti frateamente in Cristo Gesù.
Cherubina Lorusso
Milano

Siamo pienamente d’accordo: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri; se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Paolo VI).

Biocombustibile…
no grazie!

Cari missionari,
mi sento perfettamente in sintonia con quanto scritto da padre Giuseppe Svanera missionario a Marialabaja (Colombia) nell’articolo «E lo chiamano… progresso» (M.C. n. 2/08 p. 73). L’utilizzo della terra (specie quella dei paesi della fascia tropicale) per un’agricoltura finalizzata alla produzione di combustibili è un gravissimo errore.
So bene che qualcuno, per esempio il presidente del Brasile Lula, cerca di rassicurare gli ecologisti, ripetendo che «neppure un metro quadrato di selva sarà sacrificato per il bioetanolo»; ma io dubito, come anche padre Giuseppe dubita, che le cose andranno così: quante migliaia di kmq sono state cancellate per far posto, specie nei paesi del Sud-Est Asiatico, alla monocoltura della palma da olio!
In ogni caso, anche se Lula avesse ragione e per la produzione di biofuel dovessero essere usate solo aree già degradate, io dico che sarebbe un grosso sbaglio, perché quelle stesse aree potrebbero essere rinaturate, riforestate, affidate a cornoperative inserite nella rete del commercio equo e solidale. È ciò che avviene, per esempio, in alcune zone dell’Ecuador con il «Progetto Otonga», avviato da padre Giovanni Onore, missionario e docente all’Università cattolica di Quito; come avviene in alcune parti del Mato Grosso brasiliano coi progetti di padre Angelo Panza, sostenuti anche dalla Conferenza episcopale italiana grazie ai fondi dell’8 per mille.
Fa bene padre Giuseppe a dire che questo non è né può essere chiamato progresso: progresso è lotta contro la fame e la miseria, non consolidamento delle strutture di peccato che generano fame e miseria. Pertanto le popolazioni del Sud del mondo sono state accusate di distruggere le grandi giungle e svuotare gli scrigni della biodiversità (e così contribuire anche all’effetto serra e cambiamento climatico) per procurarsi legna da ardere: «Fanno così – dicevano in molti – perché non hanno tecnologia, né fonti di calore e di energia simili a quelle adoperate dai paesi sviluppati; quando ne disporranno, la pressione sulle foreste diminuirà».
Ebbene, oggi quelle stesse persone che ieri facevano questo discorso, per certi versi anche giusto, che cosa propongono? Propongono il ricino, canna da zucchero, girasole e palma da olio, perché, sostengono, «così ridurremo la dipendenza dal petrolio e faremo diminuire le emissioni nocive».
Ci vuole una bella faccia tosta. Innanzitutto non è vero che, aumentando la superficie adibita alla produzione di biocombustibili, diminuisce la dipendenza dal petrolio: forse diminuirà la percentuale, ma per farla diminuire in valore assoluto occorre ben altro, a cominciare dalla volontà politica.
Finora l’unico risultato certo di tale corsa al biocombustibile è stato l’aumento del prezzo del pane, pasta, carne, latte e suoi derivati, altri generi di prima necessità…
Guardiamo in faccia la realtà: le tecnologie non inquinanti o poco inquinanti ci sono, ma stentano a decollare; a volte si ha l’impressione che tale difficoltà sia inversamente proporzionale alla loro capacità inquinante. Prendiamo ad esempio le automobili: se non inquinano più faticano a essere collocate sul mercato. Il caso più eclatante è forse quello dell’auto ad aria compressa, la cui «produzione in serie è imminente», perché «tutto è pronto». Le stesse cose si dicevano otto anni fa, anche la rubrica scientifica Superquark se ne occupò: ma sulle nostre strade le auto ad aria compressa nessuno le ha viste, mentre si vedono e fanno presto a essere progettati, realizzati, testati, venduti i costosi, inquinantissimi e ingombrantissimi Suv (si veda Missioni Consolata di febbraio 2008). Negli ultimi otto anni sono aumentati di numero: in Italia prima del 2000 arrivavano a malapena a 100 mila, oggi sono più di mezzo milione.
Io penso che dobbiamo entrare nell’ordine di idee che, oltre certi limiti, le tecnologie non possono sostituirsi alle nostre mani, piedi, occhi, cervello: non possono essere le tecnologie a scegliere per noi. Le lampade fluorescenti sono una gran bella cosa, ma non riusciranno a farci risparmiare il famoso 80% se le terremo accese anche di giorno. I termovalizzatori, se fatti con un certo criterio, saranno anche utili; ma perché continuiamo a sottovalutare i benefici della raccolta differenziata? Per esempio, perché diamo per scontato che, nel ricliclaggio della plastica, Napoli non potrà mai raggiungere il 70% di Treviso e Treviso non potrà mai raggiungere il 90% di Stoccolma?
No cari politici «moderati» e cari industriali e confindustriali! La dipendenza dal petrolio non la supereremo né con gli etanolodotti della brasiliana Petrobras, né con gli inceneritori dell’Impreglio, tanto meno con la costruzione di centrali nucleari. La supereremo, invece, quando avremo capito che per i gran premi di Formula uno e di Motomondiale non possiamo continuare a sprecare migliaia di tonnellate di carburante e migliaia di kilowatt di luce (da quest’anno su certi circuiti si corre di notte, non di giorno).
La supereremo quando, ripensando a un passato neanche troppo lontano, riconosceremo che il calcio non era meno bello e meno seguito quando le partite (comprese le finali di Coppa dei campioni e Coppa del mondo) si disputavano di pomeriggio, senza bisogno dei riflettori.
La supereremo, cari ex vetero e neodemocristiani, che stravedete per una nuova stagione nucleare in Italia, quando accetteremo la rinuncia a certi viaggi aerei, certi yacht, certe crociere, nuovo Suv, ultimo modello di cellulare non come un’involuzione e regresso, ma come inizio di un cammino verso la vera civiltà dell’amore: amore a Dio Padre e Creatore, ai figli di Dio e nostri fratelli, verso la creazione di Dio, quella vicina e quella lontana, quella dei ricchi e quella dei poveri…
Francesco Rondina
Fano (PU)

Le «porcate» e … la «porcata»

S pettabile Redazione, ho letto le lezioni sui mensili della rivista Missioni Consolata riguardanti il Figliol prodigo, apprendendo che il peccato più grosso è quello dei «peccatori presuntuosi». Infatti, in quel trafiletto si dice che «incaponirsi a chiedere perdono o pensare di non essere perdonati può costituire un grave peccato, perché Dio… ha già perdonato prima ancora di averglielo richiesto» e ancora «peccare non è una cosa facile… perché esso è il rifiuto di Gesù Cristo come criterio di vita» e così via di questo passo.
Poi leggo su un quotidiano di giovedì 3 aprile 2008 che il biblista che ha risvegliato in me l’analisi del peccato, e mi ha liberato di tanti preconcetti sul peccato, riportandomi nella coscienza l’amore di Dio verso l’uomo, cade in un grossolano errore, scagliandosi contro una persona o addirittura contro la linea del centro destra con le parole: «I cristiani sono avvertiti in tempo, perché dopo non basterà una confessione a lavare la colpa della complicità che diventa anche apologia del fascismo, un cristiano che vota questi figuri non può in buona coscienza partecipare all’eucaristia e ricevere l’assoluzione in confessione, perché diventa complice in solido», e avanti con questo passo, facendo diventare cecchini di Gesù Berlusconi, Moratti, Fini, Casini, Bossi.
Dica Lei se non ci sono contraddizioni tra i commenti alla parabola nel primo capoverso della presente e questo modo di condannare una certa linea politica, dimenticando nel contempo di criticare l’altra linea politica, dove sono presenti i propagandisti e propugnatori agguerriti dell’aborto, dell’eutanasia e di tutte le altre «porcate» degli estremisti di sinistra, invogliando gli elettori a votare per quella lista.
Non è un grave e grossolano errore da una parte predicare l’Amore assoluto, e dall’altra parte predicare l’Odio assoluto?
Se vuole, mi dia una risposta sulla rivista che lei dirige, altrimenti cestini la presente, ovviamente io ne trarrò le mie deduzioni. Mi perdoni per il tempo che ho rubato e la ringrazio sin d’ora per la decisione che vorrà liberamente scegliere.
Giancarlo Macchi,
San Macario (VA)

Egregio sig. Macchi, siamo stati indecisi se pubblicare o meno la sua lettera, perché non ci piacciono le polemiche. Rispondiamo serenamente e telegraficamente, nella speranza che sia disposto e aperto alla verità.
1. Don Paolo Farinella, apprezzatissimo per la sua rubrica biblica pubblicata da più di due anni su Missioni Consolata, ha espresso critiche forti anche verso la sinistra e il governo Prodi; ma lei non le ha lette, perché non sono funzionali all’ideologia del suo giornale che non le ha mai pubblicate, per le ovvie ragioni che lei può capire.
2. La «porcata» di cui parla (termine forgiato dallo stesso autore della legge elettorale che lei conosce…) è più a monte: per due volte i cittadini italiani non hanno potuto scegliere i loro rappresentanti, ma sono stati costretti a votare quelli scelti dai capipartito. Nel suo partito vi sono circa 25 candidati condannati per vari reati, e tutti eletti, probabilmente per metterli al sicuro riparo dell’immunità parlamentare.
3. Don Farinella non «predica» l’«odio assoluto» in contraddizione con «l’amore assoluto», perché si tratta di due piani diversi e comunque non riguarda la singola persona, ma ciò che essa rappresenta, specialmente se offre una prospettiva di vita e assume atteggiamenti ideologici. Anche il gesuita padre Bartolomeo Sorge (vedi i suoi editoriali in Aggioamenti Sociali) usa la categoria del «berlusconismo» per descrivere l’ideologia dominante e dichiararla incompatibile con la fede cristiana. Questo non significa «odiare», ma «disceere». 
4. Per tornare alla parabola del Figliol prodigo, sull’«amore assoluto del Padre» non ci sono dubbi.  Ma fino a quando il figlio rimaneva a pascolare i porci, l’amore del padre c’era, ma era inutilizzato e il figlio non poteva gustare il perdono preventivo del Padre, né fare festa e mangiare il vitello grasso. Allo stesso modo, finché i mafiosi, i corrotti e corruttori… continueranno a strumentalizzare la religione, i valori cristiani, la famiglia cristiana… e a vivere da corrotti, anche contro l’amore del Padre, è meglio per loro che non si accostino all’eucaristia. Darebbero solo scandalo.
La Redazione




Cari missionari

Ambientalisti…
siate più seri!

Cari missionari,
dell’articolo di Topino e Novara, condivido l’impostazione di fondo: bisogna far crescere la raccolta differenziata, con l’educazione e organizzazione, e riuscire a vivere con meno consumi e imballaggi. Però, di fronte a una emergenza, che da Napoli minaccia di estendersi anche altrove, l’atteggiamento degli ambientalisti che dicono di no a tutto, non avanzano proposte concrete se non un generico «bisogna essere tutti più buoni», mi sembra un po’ poco.
Cominciando dalle proposte banali, ma efficaci, mi risulta che in molte città tedesche e qualcuna francese e Usa, i supermercati siano dotati di compattatori, che pesano quanto viene portato in plastica e vetro e danno dei gettoni da spendere nel supermercato. L’azienda che raccoglie i rifiuti risparmia comunque molto lavoro di raccolta dai bidoni. È poco, ma serve a creare un’abitudine, tanto al supermercato si va in auto.
Poi, anche se non sono un tecnico, non riesco a capire come mai in Germania, Svizzera e Francia, paesi dove esiste una buona cultura tecnica e un’attenzione all’ambiente superiore alla nostra (da 2 anni in Francia sono vietati i sacchetti di plastica), ci ridono dietro e ci invitano a mandare in treno i nostri rifiuti, che ci pensano loro a bruciarli: non si curano della salute e dell’ambiente? Non mi pare: forse hanno una tecnologia più avanzata, ma non vedo perché non la compriamo.
D’accordo, i nostri Pecoraro, camorristi e ambientalisti si stracciano le vesti; ma lo fanno anche per gli inceneritori superati che ci apprestiamo a comprare, forse perché erogano maggiori tangenti, oppure non sono superati neanche i nostri e chi fa l’ambientalista generico si limita a dire no a tutto, senza fastidiose informazioni tecniche? Insomma, in Italia non ho ancora trovato ambientalisti seri.
Claudio Bellavita
via e-mail

Lo smaltimento dei rifiuti è un problema complesso (l’emergenza campana lo dimostra) e ci coinvolge tutti. Ben vengano i suggerimenti, come quelli riportati anche nella lettera seguente. Una cosa rimane molto chiara: tutti possiamo e dobbiamo fare qualcosa e farlo meglio!

Si può fare… meglio

Caro sig. Direttore,
sono un vostro sostenitore e vi ho indicati come beneficiari del 5‰ per il 2006. Poiché si vocifera che qualcuno abbia rubato dai conti della posta, sarebbe bello se ci deste qualche notizia in merito ai vostri fondi, in una delle prossime edizioni della sua simpatica pubblicazione Missioni Consolata.
In questa rivista trovo molto interessanti gli articoli nei quali date notizia delle situazioni di vari paesi nel mondo, da un angolo visuale diverso dai soliti e da parte di chi ci vive veramente in mezzo. Unico neo, a mio parere, un certo piglio terzomondista e verde arcobaleno che appare in alcuni scritti, che mi sembra poco obiettivo, per il verso opposto nei confronti delle condizioni reali delle cose.
Certo il peccato del mondo e il suo «principe» permangono anche dopo la Pasqua; ma è anche vero che non tutto è male come proclama il «grande bugiardo». L’umanità in fondo sta proseguendo il cammino della Genesi di dominare la terra, certo nella caligine e nell’oscurità, ma avanzando più di quello che egli dice, irridendoci di fronte a Dio.
Prendiamo la globalizzazione: ora stiamo tutti a dire che è un gravissimo errore, che la sua molla è il bieco profitto, che l’umanità andrà incontro alla catastrofe. Non mi sembra proprio così: il fatto è, ad esempio, che le materie prime, il grano in testa, hanno prezzi elevati semplicemente perché la gente muore meno di fame e sta un pochino meglio di prima, che l’acqua scarseggia anche perché l’igiene migliora, che la miseria assoluta si è ridotta, ecc.
Certo, si può fare meglio; certo sarebbe bello che le persone lavorassero solo per il bene comune, ecc. Ma di chi è la colpa se non del fatto che quando la cosa è di tutti, nessuno se ne cura? I sindacati non si sono mai sognati di usare maggiore severità nei confronti dei propri iscritti, pubblici dipendenti; anzi, hanno permesso con questi ogni genere di licenza. Poi ci stupiamo che si torni al padrone?
Nel numero di marzo 2008, l’articolo di apertura di don Antonelli spara a zero nei confronti di chi produce immondizia, ma non mi sembra abbia l’onestà intellettuale di dire che il mancato uso degli inceneritori (ma sì, usiamola la parola) ha prodotto molta più diossina che se questi fossero stati funzionanti e che quindi erano, sono essi quel buon rimedio che è stato invece rifiutato in nome dell’assoluto.
Afferma l’Antonelli che l’immondizia è causata da un uso ignobile delle ricchezze della terra, ma si dimentica di dire che il più è causato dall’uso di involucri che rendono difficile il degrado delle merci e che quindi vanno a vantaggio della sicurezza e del buon uso dei prodotti.
Produrre di meno e consumare di meno? Toare al mondo passato di miseria dilagante e fame diffusa? La risposta non può che essere produrre e consumare meglio. Produrre con attenzione alle conseguenze conosciute dei nostri atti, senza perfezionismi, e consumare quanto è utile per sviluppare la nostra vita, senza giansenismi, ma disponibili a pagare quanto necessario per migliorare le cose. Dobbiamo mettere in conto che non sarà mai una risposta impeccabile; sarà sempre un meno peggio, ma sarà quanto possiamo e dobbiamo fare.
Francesco Ferrazin
via e-mail
Di ogni offerta pervenutaci tramite c.c. postale viene inviata lettera di riscontro e ringraziamento; ma non siamo in grado di confermare quanto si «vocifera».
Così pure per i benefici devoluti alla nostra Onlus tramite il 5‰ (di cui ringraziamo di cuore); essi sono gestiti dal Ministero dell’Economia tramite l’Agenzia delle Entrate, che ci comunica l’importo totale, senza i nomi dei singoli donatori.

Altri dentisti in Kenya

V orrei prendere spunto dall’articolo del dott. Azzalin sull’iniziativa dell’ApaOnlus con il progetto «Adotta un dentista a distanza» (M. C. febbraio 2008, pag. 72), per contribuire a chiarire alcuni aspetti del volontariato in Kenya e relative problematiche che coinvolgono le associazioni che vi operano.
Faccio parte dell’associazione SmomOnlus (Solidarietà medico odontorniatrica nel mondo – http://www.smomonlus.org). Per conto dell’associazione e in partenariato con i missionari della Consolata, negli anni 2003-2004 ho dato avvio a due progetti di intervento odontorniatrico: a Likoni (Mombasa) e a Maralal. Grazie all’aiuto di padre Masino Barbero, lo studio dentistico di Likoni è diventato autonomo in breve tempo. Da alcuni anni una collega locale, regolarmente assunta, conduce lo studio in modo continuativo e con brillanti risultati.
Attualmente la Smom è impegnata, sempre a Likoni, per strutturare in un locale adiacente allo studio, un laboratorio odontotecnico. Il dott. Paolo Bologna sta operando affinché anche questa iniziativa si realizzi in tempi brevi con l’inserimento di operatori qualificati locali. L’autonomia e autosufficienza delle strutture sanitarie locali è dunque un punto chiave attorno al quale ruota il nostro lavoro di operatori sanitari e non sembrerebbe lecito voler prescindere da questo assunto, che guida da sempre l’operato della nostra associazione.
Ben diversa, però, è la situazione a Maralal. Lo studio dentistico è attivo dal 2003. Tra la diocesi di Maralal, nella persona del vescovo mons. Virgilio Pante, e la Smom, è stato stilato un protocollo d’intesa, che definisce le linee operative di entrambe le istituzioni. Numerose missioni di volontari, dentisti, odontotecnici e assistenti, si sono succedute nel tempo prestando cure a migliaia di persone.
Tuttavia Maralal, e più in generale il Samburu District, non è luogo di immigrazione intea. Lontano com’è dai circuiti urbani, non si presta a reperire personale sanitario locale qualificato. Il Dental Unit di Maralal potrebbe dunque, per molto tempo ancora, rivestire un ruolo puramente assistenziale, le cui saltuarie prestazioni non soddisfano i propositi di autonomia operativa caldeggiati dalla Smom. Nel corso delle numerose missioni che ho condotto a Maralal, ho avuto occasione e possibilità di approfondire la conoscenza di quella regione e focalizzare alcune problematiche cruciali.
Il Samburu District  fa parte dei distretti Asal (Arid and semi arid lands). Per caratteristiche climatiche e di territorio è dunque soggetto a periodi ciclici di siccità, che spesso in passato hanno dato luogo a terribili carestie. Per le tribù nomadi e seminomadi di quelle terre, la mancanza d’acqua rappresenta la sofferenza e la morte delle mandrie di bovini e capre, unica fonte del loro sostentamento.
Da questa consapevolezza nacque l’idea di perforare un pozzo per l’acqua nella regione. Iniziato nel 2006, a fine agosto 2007 il pozzo era completato e messo in funzione a Leir-Bahawa, 20 km a sud di Maralal. Alcuni volontari che parteciparono alle missioni si sono attivati personalmente per raccogliere fondi rivelatisi preziosi (se il «turismo umanitario» dà questi frutti… perché no?).
La Smom, nel suo intento di proporre un intervento globale di promozione e salvaguardia della salute, impegnando energie e risorse, ha patrocinato la realizzazione di quest’opera, volta a garantire l’accesso libero e gratuito a un bene prezioso e indispensabile. Ne beneficeranno circa 10 mila persone. L’opera non sarebbe stata comunque possibile senza l’aiuto esterno di singoli e associazioni, che hanno prontamente aderito all’appello della Smom. Per questo ringrazio: la parrocchia S. Giovanni Gemini (AG), don Salvatore e collaboratori; le associazioni «Carta Vetrata» di Cammarata (AG) e «Itinerari» di Telgate (BG); il gruppo «Amici di Villabalzana»(VI); una donatrice anonima di Reggio Emilia; padre Alex Moreschi.
Tralascio volentieri ulteriori commenti sul «turismo umanitario» e resto in attesa che qualcuno individui, nel lavoro sopra descritto, intenti «narcisistici e autoreferenziali» o, peggio ancora, una testa di ponte per introdurre «un inutile quanto dannoso e nuovo colonialismo di tipo economico».
Nel frattempo sarebbe auspicabile una maggiore prudenza nei giudizi e una rinnovata coscienza che promuova una reale solidarietà fra gli operatori umanitari a unico beneficio dei destinatari del nostro servizio.  Saluti fratei.
Dott. Massimo Fugazza

G razie, padre, per avermi passato la lettera del dott. Fugazza. Chi fa, è spesso esposto alle critiche.
Non ricordo chi sia il dott. Fugazza e se l’ho incontrato da qualche parte non lo ricordo. Lavoro in Africa dal 1987 e so come vanno queste cose, ma non volevo certo irretire nessuno anzi semmai ringraziarlo, insieme a quei gruppi elencati nella lettera, per ciò che fanno in Africa. Il mio era un pensiero ben condiviso dal gruppo di cui faccio parte e dunque rivolto solo a noi stessi. Mi spiace per questo malinteso: non era assolutamente mia intenzione coinvolgere altri e mi scuso sin d’ora se non è stato afferrato il concetto. Sono in partenza per il Ghana… Le farò avere la risposta condivisa dall’ApaOnlus.

Dott. Dino Azzalin




Cari missionari

Passione
per la Parola di Dio

Cari missionari,
il commento di don Paolo Farinella alla parabola del Figliol prodigo è un dono grande. Don Paolo è riuscito in un’impresa che riesce a pochi, quella di coniugare rigore scientifico e cuore, passione, capacità di coinvolgere il lettore in profondità. Con la sua esegesi don Paolo ci ha comunicato qualcosa di veramente importante, ci ha dimostrato che la parola di Dio non è mai scontata, che è sempre in grado di dare, a chi le lascia un minimo di spazio, nuovi stimoli, nuovo slancio, nuovo vigore.
Per me don Paolo è come quella terra fertile di cui ci parla Gesù nella parabola del seminatore, una terra capace di produrre ora il trenta, ora il sessanta, ora il cento per uno. Spero che quel che ha fatto con la parabola del Figliol prodigo don Paolo possa presto farlo anche con altre pagine evangeliche, per esempio la parabola dell’amministratore disonesto (Luca 16,1-14). Cordiali saluti.
Ludovico Torrigiani
Pesaro Urbino

Sono molti che, come il signor Torrigiani, ringraziano per il commento alla parabola del Figliol prodigo. Siamo grati anche noi a don Paolo per la sua collaborazione, per la «passione» con cui ci spezza il pane della Parola e ce la rende affascinante e «coinvolgente».
La lunga spiegazione della parabola è nata dalla lettera a lui scritta da un nostro lettore; per cui benvenuti altri suggerimenti, come quello del signor Torrigiani.
A proposito
di morti bianche

Cari missionari,
anche se non sono di Torino e finora l’ho vista solo in televisione e sui giornali questa bellissima città, la città della Madonna della Consolata, la simpatia che ho per lei è grande ed è proprio questo sentimento di simpatia che mi fa sentire in dovere di scrivervi per esprimere alle famiglie di Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marco, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi, tutto il mio cordoglio e la mia vicinanza.
Da decenni si ripete che in Italia ci sono troppe morti bianche, che si investe troppo poco in sicurezza, che coloro che dovrebbero fare le ispezioni sono troppo pochi e persino che, spesso e volentieri, gli imprenditori vengono avvisati dell’arrivo dell’ispettore, per cui l’ispezione stessa si risolve in una farsa…
Nello stesso tempo però, ci si lamenta che l’Italia corre poco, il suo Pil cresce troppo lentamente, le imprese hanno troppi vincoli, gli imprenditori, quando vogliono licenziare qualcuno, incontrano ostacoli inconcepibili e che tutto questo ci fa sempre più regredire nella classifica della competitività. C’è addirittura chi sostiene che bisogna dare nuovo impulso all’edilizia, che le aree fabbricabili vanno aumentate, che i giovani debbono smetterla di fare i bamboccioni e che è ora di piantarla con la storia del lavoro precario che scoraggia la ricerca dell’autonomia, della flessibilità che deprime il desiderio di creare nuovi nuclei familiari e dei contratti a termine che scoraggiano la mateità. Guai anche a ricordare che il tasso di abortività è in crescita tra le lavoratrici extracomunitarie, guarda caso, quelle più esposte ai ricatti padronali.
Ecco, io credo che, se vogliamo veramente bene alle vittime dei roghi, delle cadute dalle impalcature, del caporalato, del mobbing, degli abusi – sessuali e non – sul posto di lavoro, non possiamo astenerci dal dire queste cose, non possiamo – e qui mi rivolgo innanzitutto al clero e all’episcopato – fare campagne giuste, anzi sacrosante contro l’aborto e la RU486 e poi girare gli occhi dall’altra parte quando un movimento, sindacato, partito chiedono, ad esempio, l’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori a tutte le aziende, siano esse acciaierie, calzaturifici o aziende agricole, e a prescindere dal fatto che abbiano 1, 5, 15, 100 o un milione di persone alle loro dipendenze.
Cari vescovi e cari preti, che ogni prima domenica di febbraio riempite le sedie e le panche delle chiese di volantini inneggianti alla bellezza e alla vita e invitate i Casini e gli Sgreccia a tener conferenze contro la mentalità abortista e relativista, dove stavate rintanati domenica 15 giugno 2003, giorno del referendum sull’articolo 18? Perché tante belle omelie contro il liberismo selvaggio delle multinazionali, quando presiedete le esequie funebri di chi muore in incidenti come quello alla ThyssenKrupp e tanto, tanto silenzio (in alcuni casi addirittura ostilità…) quando, attraverso proposte di modifiche legislative, qualcuno cerca semplicemente di responsabilizzare chi gestisce un’azienda e togliergli l’illusione pericolosa (pericolosa per lui e i suoi familiari oltre che per gli operai e comunità civile…) di essere anche giudice supremo, oltre che imprenditore e manager, e che certe sue decisioni sono insindacabili, incontestabili e irrevocabili? Cordialmente.
Francesco Rondina
Fano (PU)

Errata corrige

Cari missionari,
la vostra rivista è bella e interessante, la trovo anche varia nella scelta degli argomenti e scritta in modo semplice, ma comunque di un buon livello culturale. Però, forse, andrebbe un po’ più curata nei particolari, nella correzione delle bozze, perché qualche strafalcione, purtroppo, ogni tanto si trova.
Due esempi. Nel numero di ottobre-novembre 2007, a pag. 106 si parla della moglie di Maometto, dicendo che è vissuta nel xvi secolo e che era una donna musulmana. Il profeta Muhammad, ovviamente, è vissuto mille anni prima, e la moglie non può, a rigore, essere definita musulmana, considerando che, al momento delle nozze con Maometto, l’islam non era ancora sorto. Invece, nel numero di gennaio 2008, a pag. 46, si dice che della non violenza «l’antesignano fu Indira Gandhi»; ovviamente non è il Mahatma Gandhi, con cui non era neppure imparentata.
Scusate la pignoleria, ma mi sembra giusto collaborare, affinché MC diventi sempre migliore, anche grazie alla necessaria precisione nei contenuti.
Franco Eustorgio Malaspina
Milano
Prima di tutto grazie per la collaborazione. Sono due strafalcioni imperdonabili, di cui avremmo dovuto accorgerci prima di passare le bozze alla correzione finale.
E poi, ci scusiamo con i nostri lettori.

Kosovo indipendente – Interesse d’Italia

Cosa farebbero gli italiani se un giorno gli albanesi (o qualsiasi altro gruppo etnico presente nel territorio) diventassero la maggioranza in una delle regioni italiane, perché le famiglie italiane hanno pochi figli, e decidessero di proclamare quella regione «Repubblica indipendente»?
Gli italiani non hanno conosciuto  gli effetti della «lotta demografica» (significa fare più figli possibile) per poter vendicare il diritto di «autodeterminazione», una volta diventati maggioranza assoluta.
Forse gli italiani pensano che questo non potrebbe mai succedere  alla loro terra, o credono di poter adottare due misure nel reagire: una  per se stessi e l’altra per gli altri?
«È nell’ interesse d’Italia il Kosovo indipendente»! Per questo motivo l’Italia è pronta a riconoscere l’indipendenza del Kosovo, legittimare lo strappo di un territorio a un paese sovrano, indipendente, riconosciuto come tale dal diritto internazionale. Ma è veramente questo l’interesse d’Italia? Non è il vero interesse di un paese pensare al futuro delle giovani generazioni, trasmettere loro dei valori, e guardarsi di  fare quello di cui quelle generazioni possano vergognarsi?

I serbi sono un popolo con profonde radici cristiane, che nel corso dei secoli è riuscito a sopravvivere e a trasmettere alle generazioni dei valori cristiani, nonostante il secolare dominio ottomano, nonostante mezzo secolo di ateizzazione comunista. Sopravviverà anche in questa Europa, che ha rinnegato le proprie radici cristiane, proprio perché ha sempre avuto la ricchezza spirituale che è il Kosovo.
Nei Balcani non è cominciato tutto il 28 giugno 1989 con Milosevic, come dicono i giornali, informati dall’Osservatorio dei Balcani, ma secoli prima: il 28 giugno 1389 con il sultano Murat e lo zar Lazzaro, quando entrambi persero la vita in battaglia sul Campo dei Merli (Kosovo), mentre Murat occupava e Lazzaro difendeva la Serbia. I serbi per la prima volta persero il Kosovo e vissero per secoli sotto dominio turco.
La seconda volta lo persero durante il comunismo di Tito, che proclamò il Kosovo e la Metohija una provincia autonoma, accolse tutti gli albanesi che venivano dall’Albania, favorì la loro natalità essendo lui stesso il padrino di ogni famiglia che aveva più di nove figli.
Gli albanesi possono impossessarsi della terra che non appartiene loro, dei monasteri medievali della chiesa ortodossa serba, e presentarli ai turisti come fossero loro, come stanno già facendo, possono edificare il «loro stato» sulle altre bugie, e cercare sostegno e protezione dei potenti che non temono Dio, ma questo non può durare. È passato l’impero ottomano, è passato il comunismo, passerà anche questo nuovo impero, che sfrutta, sottomette o cancella il più debole.
I serbi continueranno a trasmettere ai loro figli la via, verità e vita che è Gesù Cristo, convinti che quello è il più grande interesse di ogni generazione.
Snežana Petrović, Rovereto (Trento)

Comprendiamo l’amarezza della signora Petrović, da molti anni nostra collaboratrice, e ne condividiamo le ragioni, per la perdita di una parte storicamente così importante del territorio del suo paese. Ogni separazione, a qualsiasi livello e in qualsiasi ambito, porta solo dispiaceri. Proverei anch’io gli stessi sentimenti, qualora un pezzo d’Italia dichiarasse unilateralmente la propria indipendenza o si staccasse per confluire in un altro stato.
Nei decenni passati, anche in Italia ci sono stati (e ci sono ancora) movimenti indipendentisti o separatisti, come quello dell’Alto Adige o Südtirol, caratterizzato da tensioni e attentati terroristici, per ottenere la secessione dall’Italia e l’unione con l’Austria. Ma grazie al dialogo e agli accordi pacifici tra i maggiori responsabili delle due nazioni, le tensioni sono state dissolte. Da quando, poi, anche l’Austria è entrata nella Comunità europea, nessun tirolese si sogna di modificare i confini tra i due paesi.

S ulla nostra rivista abbiamo seguito con apprensione e rammarico le tensioni e violenze etniche che hanno insanguinato l’ex Jugoslavia negli ultimi anni. Più che ricercare i colpevoli della tragedia balcanica, abbiamo riportato le testimonianze di persone impegnate nella pacificazione tra i popoli, mediante il dialogo e la cooperazione disinteressata: unica strada valida anche per il futuro.
Auguriamo che Serbia e Kosovo entrino nella grande famiglia di popoli che è l’Unione europea, in cui i confini geografici perdono la loro importanza, i nazionalismi vengono stemperati e le identità e i diritti delle minoranze etniche più garantiti… con l’aiuto di Dio, che guida la storia dei popoli.




Cari missionari

«Missioni Consolata» alla Sorbona di Parigi

Caro Direttore,
insegno Relazioni inteazionali in una nota università di Parigi. Spesso, per le mie lezioni e per discutere con gli studenti dei fatti più importanti che accadono nel mondo, porto diverse riviste di attualità internazionale, tra cui la sua.
Abbiamo potuto apprezzare così la serietà del suo magazine e, sia io che gli studenti, ci eravamo particolarmente affezionati a due giornalisti, Giulietto Chiesa e Piergiorgio Pescali, i cui articoli leggevamo con interesse e trovavamo sempre puntuali e ricchi di spunti per le nostre discussioni. Purtroppo vedo che nessuno dei due scrive più sulla vostra rivista. Ci piacerebbe che tornassero a scrivere o, se è possibile, potrebbe dirci su quale rivista o giornale scrivono ora questi due giornalisti? La ringrazio per la risposta.
PS. Ho conosciuto la rivista da una mia amica in Italia.
Valerie Lacombe Boulenga
Parigi

Ci fa piacere e ci lusinga sapere che Missioni Consolata è apprezzata e «studiata» in una università prestigiosa come la Sorbona; per questo abbiamo provveduto a inviarla, in abbonamento omaggio, alla biblioteca del Dipartimento di studi inteazionali del famoso ateneo.
Per quanto riguarda il dott. Pescali, abbiamo pubblicato un suo articolo sulla Corea del Nord nel numero di gennaio 2008 e ne pubblicheremo un altro sulla Cambogia nel numero di aprile.


Grazie per il 5×1000

Gentile Redazione,
ho lavorato qualche mese a Mogadiscio nel 1992-93, presso l’ospedale pediatrico del SOS Kinderdorf Inteational con suor Marzia Ferrua e sono rimasto in contatto con lei per qualche anno… Mi piacerebbe riprendere i contatti con suor Marzia che penso sia ancora a Nairobi, perché in maggio devo (situazione permettendo) andare lì e passarvi un mese come tutor di un gruppo di 10 pediatri africani, che iniziano ora in febbraio un training course di 2 anni in endocrinologia pediatrica (in un ospedale di quella città) organizzato dalla Società europea di endocrinologia pediatrica (Espe), e mi piacerebbe incontrarla nuovamente.
Vi ringrazio per l’attenzione e complimenti per la rivista che sia io, pediatra (universitario, ma con interessi per i paesi in via di sviluppo e per la cooperazione), sia mia moglie, insegnante, leggiamo e troviamo utile per conoscere meglio il Sud del mondo e i guasti che noi produciamo. La conoscenza di suor Marzia e delle altre sorelle di Mogadiscio, il sacrificio di suor Leonella ci ha spinto a indicare le vostre missioni per il 5 per mille…
Un cordiale saluto e augurio a voi ed ai religiosi e religiose della Consolata di sempre ottimo lavoro.
Raffaele Virdis
Parma

In una seconda e-mail, il dott. Virdis ci ha comunicato che suor Marzia si è fatta viva, prima che arrivassero le nostre informazioni. Intanto, ringraziamo per l’apprezzamento della nostra rivista, per la stima e simpatia verso i nostri confratelli e consorelle e per il sostegno alle loro attività missionarie.

Tranquilli… Siamo per la vita!

Caro Direttore,
ho terminato di leggere il numero monografico di ottobre-novembre, dedicato alle «Donne dell’altro mondo». È ampio, ben documentato e interessante, complimenti!
Mi chiedo, però, se alla redazione della «Consolata» non vi siete accorti di qualche distonia, nei testi pubblicati, con l’insegnamento morale della chiesa in materia di bioetica. Parlare di Michelle Bachelet, «presidenta» del Cile, e dire che «si è ricordata delle donne quando ha dovuto decidere su altre tematiche dividenti» è un modo un po’ involuto e, secondo me, poco corretto di dribblare sui temi, subito accennati nel testo, della pillola del giorno dopo e della «salute sessuale e riproduttiva degli adolescenti», dizione che nasconde, tutti lo sappiamo e mi preoccupa che lo nascondiate, la questione dell’aborto. Sappiamo come la pensa la Bachelet: sono diritti delle donne che lo stato laico deve riconoscere e anzi favorire. Perché non dire apertamente che la pensa così?
È, innanzitutto, una questione di correttezza e di completezza di informazione: i lettori italiani, indipendentemente da come la pensano, hanno il diritto di conoscere le opinioni dei governanti cileni, e anche di come la pensa la rivista di una delle congregazioni più note dei missionari italiani. Che poi magari agli italiani non gliene importi o non ne sappiano molto del Cile, in questa sede non ha importanza, anzi è un motivo di più per far crescere le conoscenze dei lettori su quanto accade negli altri paesi.
Il problema della qualità della notizia e del giudizio morale sul comportamento delle donne che vanno al potere nei paesi del terzo mondo, rimane.
Nel numero monografico c’è un altro richiamo alla cosiddetta «salute riproduttiva», quando si parla di Odile Sankara del Burkina Faso: sembra di capire (ma non lo dite chiaramente) che anche lei lotta per risolvere i problemi legati all’aborto che riguardano le donne del suo paese, ma parlare della solita «salute riproduttiva» fa capire in che modo intenda risolverli. E allora perché non spiegare chiaramente come la pensa questa donna, aiutando i lettori a elaborare un giudizio critico e motivato, compito precipuo di una rivista di formazione cristiana dove senz’altro nessuno ha dimenticato l’invito evangelico di dire sempre «sì, sì; no, no»?
Mio suocero e due miei cognati hanno studiato a Bevera e a Varallo Sesia, e senz’altro hanno ricevuto una buona formazione cristiana: oggi sono forse cambiate le cose da voi e, anziché il rispetto della vita umana dalla nascita alla fine naturale, si insegnano i diritti riproduttivi, tanto propagandati dall’Onu?
Spero proprio di no, spero che le opinioni espresse siano quelle dei giornalisti che hanno scritto gli articoli, e che magari sull’argomento non sono molto in linea con Giovanni Paolo ii e Benedetto xvi. Se invece anche voi avete cambiato idea… non c’è più religione!
Cordialmente.
Franco Eustorgio Malaspina
Milano

Prima di tutto, sig. Malaspina, grazie dei complimenti per il numero monografico sulle «Donne dell’altro mondo».
Nel compilare il nostro numero abbiamo voluto semplicemente presentare alcune figure di donne che stanno cambiando i paesi del Sud del mondo, facendosi strada in tutti quei campi ancora riservati al genere maschile. Ciò non significa che ne approviamo tutte le idee e le iniziative concrete.
Per cui vogliamo tranquillizzare il nostro affezionato lettore: siamo sempre stati schierati e continueremo ad esserlo in difesa della vita, dal suo concepimento fino alla morte naturale.

Siamo schierati… con gli oppressi

Ho letto sul numero di dicembre 2007 l’intervista a don Capovilla e mi ha colpito la totale noncuranza verso i problemi dei bambini palestinesi: non una parola sul fatto che nelle scuole venga loro insegnato a combattere e siano indottrinati sul bello del farsi esplodere; non una parola sui miliardi destinati alla gente, ma che la vedova di Arafat si gode all’estero.
La semplificazione dei problemi è una bella cosa, ma tacere sugli attentati e guerre subite da Israele (che è sempre stato attaccato dagli arabi, mai viceversa) e sul fatto che la spianata delle moschee non sia uno dei tre luoghi sacri dell’islam, ma «semplicemente» la spianata del tempio, quindi sacro per tutti i «popoli del libro», ma da molti anni frequentabile solo dai musulmani, fa sospettare una mancanza di buona fede.
Mi risulta che il papa Giovanni Paolo ii sia potuto andare a pregare al Muro del pianto, ma non sulla spianata; sono stati i palestinesi a entrare in armi nelle chiese di Betlemme, non i soldati israeliani. Quindi sembra che non ci sia quell’enorme tolleranza verso i cristiani.
Mi sarei quindi aspettato un riassunto storico della situazione, o comunque un’altra voce, oltre alla pubblicità, neppure velata, dei libri dell’intervistato. Certa che la parzialità sia stata casuale e non finalizzata alla suddetta pubblicità, cordiali saluti.

Luisa Pellegrino
via e-mail

Essere considerato di parte, e non casualmente, è un onore per me, oltre che un dovere a cui ormai da tempo cerco di ottemperare come meglio posso, soprattutto vivendo in prima persona i drammi inenarrabili di milioni di esseri umani ormai sull’orlo della catastrofe umanitaria. Per me e per la gran parte di inteazionali che nei Territori Occupati cercano di operare, mettendo a rischio la vita, poiché la potenza occupante non tollera chiunque possa testimoniare l’abisso di ingiustizia subito dai palestinesi.
Essere «di parte» significa stare dalla parte del diritto internazionale, delle risoluzioni Onu, puntualmente disattese da Israele, dei diritti umani violati quotidianamente da 60 anni, della legalità irrisa e difesa solo dalle Nazioni Unite.
Significa gridare a voce alta quando uno stato occupante viola qualsiasi regola impunemente, quando costruisce un muro dentro il territorio che appartiene a un altro popolo, quando costruisce illegalmente insediamenti sulla terra altrui con una colonizzazione mai interrotta. Quando imprigiona e commette omicidi extragiudiziali in nome della propria sicurezza, quando sradica migliaia di ulivi e ruba acqua e terreno ai contadini; quando costruisce strade solo per israeliani in territorio palestinese, quando dissemina le strade palestinesi di checkpoint illegali.
La nostra «parzialità» è, per fortuna, condivisa da sempre più israeliani che, per amore del loro paese, criticano aspramente il loro governo. Stare dalla parte della legalità internazionale significa gridare con la stessa voce angosciata che il terrorismo è ugualmente illegale, ma prima di tutto aberrante, disumano e immorale, sempre e ovunque, quello di un kamikaze che compie una strage in un ristorante come quello di un esercito che continua a bombardare e massacrare un milione di esseri umani a Gaza.
Per far questo, però, non basta fare come lei dice «un riassunto storico della situazione»: bisogna partire, ascoltare, condividere, con pellegrinaggi ed esperienze che ci mettano in contatto diretto con la reale situazione in cui si vive, sia in Israele che in Palestina. Bisogna però avere il coraggio e la pazienza di ricordare al mondo o a chi ci vuol stare a sentire che «in Terra Santa non c’è una guerra tra due eserciti, ma c’è uno stato occupante e un popolo occupato», come ripete sempre il patriarca latino di Gerusalemme mons. Sabbah.
È quello che cerca di fare anche il testo «Bocche Scucite», che Missioni Consolata, secondo lei, proprio non doveva pubblicizzare, ma che io volentieri le invierò, per restituire la parola (ed è davvero urgente) a chi possa gridare quello che ci ostiniamo a non voler sentire.
Cordiali saluti.

don Nandino Capovilla




Cari missionari

Missionario del cuore

Carissimi missionari,
ho 30 anni e da 7 conoscevo padre Alex Signorelli attraverso la corrispondenza. Sapevo che non stava bene, ma la sua morte mi addolora molto: ho perso il mio missionario del cuore, colui che sapeva far fruttare al meglio l’offerta che gli inviavo; sono rimasta orfana.
All’epoca del primo contatto epistolare volevo solo aiutare un missionario, ma attraverso lui ho conosciuto il mondo della Consolata e sono stata catapultata nelle vostre missioni: una finestra aperta su una parte del mondo che troppo spesso fingiamo non esista. Non ringrazierò mai abbastanza la Provvidenza per questo incontro, fortuito quanto fortunato.
Ma ora cosa debbo fare? Vorrei continuare a sostenere i suoi progetti in Kenya, ma voglio un nome:  quello di chi si occupa di quelle missioni oggi o, in alternativa il nome del missionario più disagiato e in difficoltà. Voglio un nome, una storia, un volto, perché sostenere le missioni non è solo inviare denaro; quasi che attraverso un’offerta si possa lavarci la coscienza, sentirci a posto. Non potremo mai sentirci con la coscienza a posto. Voglio partecipare a quella missione, conoscere le difficoltà, essere parte attiva anche e soprattutto con la preghiera.
Mi rendo conto che la vita mi ha dato molto, e non parlo di denaro; sarei la più grande egoista e ingrata se non condividessi con gli altri ciò che il Signore, generosamente, mi ha donato. Vi prego, quindi di segnalarmi quel nome. Anche se non potrà sostituire padre Alex, per me impresso nel cuore, sarò lieta di aiutarlo come e quanto più posso.
Patrizia De Angelis
via e-mail

Grazie per il suo affetto verso padre Alex e i missionari della Consolata. Ho inviato il suo messaggio al superiore del Kenya e spero che le sia stato comunicato il nome di un nuovo «missionario del cuore».  

Buona o mala… fede?

Spett. Redazione,
ho letto sul numero di dicembre 2007 l’intervista a don Capovilla e mi ha colpito la totale noncuranza verso i problemi dei bambini palestinesi: non una parola sul fatto che nelle scuole venga loro insegnato a combattere e siano indottrinati sul bello del farsi esplodere; non una parola sui miliardi destinati alla gente, ma che la vedova di Arafat si gode all’estero.
La semplificazione dei problemi è una bella cosa, ma tacere sugli attentati e guerre subite da Israele (che è sempre stato attaccato dagli arabi, mai viceversa) e sul fatto che la spianata delle moschee non sia uno dei tre luoghi sacri dell’islam, ma «semplicemente» la spianata del tempio, quindi sacro per tutti i «popoli del libro», ma da molti anni frequentabile solo dai musulmani, fa sospettare una mancanza di buona fede.
Mi risulta che il papa Giovanni Paolo ii sia potuto andare a pregare al Muro del pianto, ma non sulla spianata; sono stati i palestinesi a entrare in armi nelle chiese di Betlemme, non i soldati israeliani. Quindi sembra che non ci sia quell’enorme tolleranza verso i cristiani.
Mi sarei quindi aspettato un riassunto storico della situazione, o comunque un’altra voce, oltre alla pubblicità, neppure velata, dei libri dell’intervistato. Certa che la parzialità sia stata casuale e non finalizzata alla suddetta pubblicità, cordiali saluti.
Luisa Pellegrino
via e-mail

L’intervista in questione vuole solo far conoscere una iniziativa a sostegno degli arabo-cristiani ancora presenti in Israele-Palestina, ugualmente mal sopportati da ebrei e musulmani. Ad onor del vero, più di una persona ha telefonato in redazione per conoscere meglio tale iniziativa. Una risposta di don Capovilla sarà pubblicata su MC il prossimo mese.

La coca non è un affare… privato

Cari missionari,
vedo con piacere che il dottor Sandro Calvani continua a collaborare attivamente con la vostra redazione. Ho molta stima di quest’uomo: per me era già un personaggio speciale all’inizio degli anni ‘80, quando, invitato dai direttori dei centri missionari diocesani di Fano e Urbino, veniva a parlarci delle sue esperienze in Etiopia e far conoscere il mondo del  volontariato internazionale.
La scorsa estate l’ho rivisto, dopo tanto tempo, in televisione (Superquark Rai Uno 23/8/07) e spero che tante altre persone abbiano ascoltato il messaggio che, dalla martoriata Colombia, ha rivolto a tutti gli italiani: siamo il paese dove il consumo di cocaina sta aumentando più velocemente; tale consumo, oltre a devastare i cervelli e arrecare danni incalcolabili alla nostra salute ed economia (pensiamo a ciò che accade quando un cocainomane si mette alla guida di un automezzo…), sta portando la Colombia al collasso ecologico: per coltivare la coca, vengono spazzate via decine di migliaia di chilometri quadrati di foresta equatoriale e, per raffinarla, si usano sostanze chimiche che inquinano fiumi, laghi e falde con conseguenze irreparabili per tutto l’ecosistema.
Alla voce di Calvani si è unita quella di un capo indio: anche lui ha ribadito il concetto che chi si droga, in Europa e altri paesi cosiddetti sviluppati, contribuisce al degrado dell’Amazzonia colombiana, boliviana, peruviana, brasiliana e deve smetterla; deve smettere di pensare al consumo di stupefacenti come a un fatto privato!
Mi auguro che le parole di Calvani, del capo indio e di coloro che li hanno intervistati siano prese in attenta considerazione anche dai nostri legislatori, magistrati, avvocati, deputati e senatori, specie da quelli che si definiscono… verdi. Spero che il verde che sono impegnati a difendere sia quello delle foreste naturali, non quello delle piantagioni di coca. Difenderli tutti e due non è possibile: la storia raccontata della Colombia lo insegna.
Il discorso vale anche per i paesi asiatici produttori di marijuana e papavero da oppio (Afghanistan, Birmania, Laos, Thailandia) perché anche lì droga vuol dire deforestazione, perdita del patrimonio di biodiversità, degrado delle risorse idriche, dissesto del territorio… oltre che, manco a dirlo, allontanamento delle prospettive di riconciliazione e di pace. No, cari amici verdi, anticapitalisti e no global: non è possibile far coesistere antiproibizionismo e impegno ecologista, così come non è possibile conciliare il libero commercio degli armamenti con la pace.
No, cari amici della sinistra alternativa: non si può fare opposizione credibile ed efficace al neoliberismo se si rinuncia all’opzione fondamentale per la non violenza (che vuol dire, tra l’altro, no all’abortismo, agli atti di teppismo e vandalismo…), e all’opzione fondamentale per la sobrietà, che vuol dire anche no all’alcornol e no alla droga, pesante e leggera.
Sono d’accordo con voi quando criticate la Legge Biagi, il Pacchetto Treu e l’estealizzazione (ultimo elegante modo per non dire – o dire senza creare troppa apprensione – che anche chi ha un contratto a tempo indeterminato può ritrovarsi precario, sottoccupato, disoccupato…); lo sono anche quando invocate pene più severe per chi incendia i nostri boschi e uccide i nostri orsi, lupi, delfini, tartarughe; non lo sono invece quando dite che drogarsi non è un reato.
Ci sono tanti modi per provocare la morte dei boschi e del mare, uomini e animali. Dopo aver visto e sentito Calvani e il capo indio della Colombia, non vedo per quale motivo dovrei considerare la cocainomania meno grave – anche sotto il profilo delle ricadute ecologiche – della piromania e il consumatore di sostanze stupefacenti prodotte e magari anche raffinate in un paese asiatico, africano e latinoamericano, meno colpevole degli scellerati che a Peschici e a Patti (senza dimenticare gli incendi in Grecia, Spagna, Portogallo, Australia, Califoia…) hanno provato tanto lutto e tanta distruzione.
Grazie per l’attenzione.
Silvano Montenigri
Fano (PU)

OCCHIO A… FRUTTA E VERDURA

Spett.le Redazione,
sono meravigliato che una rivista come Missioni Consolata possa ospitare un articolo sugli antiparassitari, come quello pubblicato sul n. 9 di settembre 2007, senza sentire il dovere di pubblicare contemporaneamente un altro articolo in contrapposizione a quante ragioni ci sarebbero a smentita dei cata- strofisti di professione e da parte di esperti di notorietà nazionale e internazionale! Non si può spaventare la gente con un quadro così terrificante, come è evidenziato nell’articolo!
La frutta e la verdura fanno bene alla salute (lo dicono gli esperti, lo dicono tutti), e, grazie anche ad esse, l’età media della vita degli italiani è aumentata notevolmente; e questo vorrà dire pure qualcosa, con buona pace di chi, incredibilmente, voleva (e vuole) bandire la chimica dai campi.  Tra l’altro, frutta e verdura di produzione italiana sono considerate (e non sono io a dirlo) tra quelle più sicure in Europa. Certo, ci sono e ci saranno sempre dei casi di chi produce, colpevolmente, non secondo regole e coscienza. Ma questo è un altro discorso. Cordiali saluti.
Ottavio Molinaroli
San Giovanni Lupatoto (VR)

Gentile sig. Molinaroli,
è del tutto estraneo al nostro pensiero il concetto di bandire frutta e verdura della nostra tavola: esse apportano vitamine, oligoelementi e fibre, essenziali per la nostra salute; in questo senso, non possiamo che essere concordi con lei.
Pur nel rispetto della sua opinione, ci permettiamo di dissentire sulla sua difesa dell’uso della chimica in agricoltura, uso talvolta del tutto privo di controllo, correttezza e buon senso. La chimica ha sicuramente contribuito al progresso dell’uomo in molti settori, compreso quello farmaceutico. È innegabile l’aiuto dato da molti composti nell’eliminazione o limitazione di certe patologie, ma si tratta appunto di patologie, per le quali l’uso di un farmaco è mirato. Con la frutta e la verdura trattate con fitofarmaci, ci ritroviamo ad assumere inconsapevolmente delle sostanze chimiche presenti in tali alimenti e queste sostanze non solo non hanno lo scopo di preservare la nostra salute, ma molto spesso la possono danneggiare. Chi può garantire che tracce di pesticidi, una volta nel nostro organismo, non provochino patologie imprevedibili? Nessuno! Inoltre, perché rischiare di ammalarci con frutta e verdura trattate, solo per favorire gli interessi di certe multinazionali, nonché di agricoltori e commercianti senza scrupoli?
È da considerare, poi, che l’uso dei fitofarmaci in agricoltura non si è rivelato quella panacea per tutti i mali, che alcuni scienziati (spesso al soldo delle multinazionali dei pesticidi) ostentano nelle loro pubblicazioni. Basta dare uno sguardo ai risultati di certe ricerche, come quelle condotte per conto dell’Indian Council for Agricoltural Research, le quali sono giunte alla conclusione che in India, nonostante il massiccio impiego di pesticidi, attualmente il 35% del raccolto risulta danneggiato, mentre negli anni precedenti all’uso di tali sostanze, la percentuale di prodotti danneggiati oscillava tra il 5% e il 10%. Inoltre, a seguito dell’uso dei pesticidi, si sono moltiplicate le varietà di insetti nocivi; ad esempio, gli infestanti del riso sono passati da 40 specie nel 1920 a 299 nel 1992, grazie al fenomeno della resistenza ai prodotti chimici. E tutto questo, nonostante la produzione e l’impiego dei pesticidi siano continuati ad aumentare.
Ciò che auspichiamo è una maggiore informazione sul trattamento che i prodotti ortofrutticoli hanno subito, perché il cittadino ha il diritto di sapere cosa mette in tavola e, soprattutto, di tutelare la propria salute a partire da una scelta ragionata al momento dell’acquisto. In ogni caso, ci pare oltremodo discutibile anteporre alla salute delle persone gli interessi economici dei produttori e commercianti sia dei pesticidi che dei prodotti ortofrutticoli con essi trattati. Cordiali saluti.
Dr. Roberto Topino
Dr.ssa Rosanna Novara




CARI MISSIONARI

Il 5 per mille
(trasparente)

Spett. Direzione,
In questi giorni i giornali hanno riportato i dati della destinazione del 5 per milla. Avendo destinato la mia parte al «nostro» Istituto, mi farebbe piacere che, in un prossimo numero della rivista, sia data notizia dell’importo totale devoluto.
Grazie per l’attenzione e complimenti.
Giovanni Pirovano
Via e-mail

UN SENTITO GRAZIE a tutti coloro che generosamente hanno devoluto nel 2006 a favore della nostra Fondazione Missioni Consolata Onlus il 5 per mille dell’imposta sul loro reddito dichiarato per l’anno 2005.
Informiamo i nostri gentili lettori che le preferenze pubblicate nell’elenco definitivo dell’Agenzia delle Entrate sono state di n. 2.770 per un importo complessivo di  95.578,26 Euro. Tale importo è destinato ai vari progetti di aiuti umanitari nelle nostre missioni sparse nel mondo.
Nella speranza che, anche per l’anno in corso, ci siano state nuovamente così tante preferenze per la destinazione del 5 per mille, ringraziamo tutti per questo grande gesto di solidarietà e cordialmente vi salutiamo.
rag. Guido Filipello,
Amministratore
MC Onlus

Lettera al Padreterno

Eteo Padre,
mi dispiace scomodarti per un problema che non riesco a risolvere; e tu sai quanto sia tosta a portare avanti le lotte per la pace e aiutare tutti. Si tratta del trasferimento dalla sperduta missione di Matiri, nel cuore del Tharaka in Kenya, di padre Orazio Mazzucchi, quel grande missionario dall’accento lombardo, accompagnato da un simpatico intercalare anglosassone che accarezza le parole di chi gli sta di fronte.
Il mio pensiero va in particolare ai tanti bambini che vivono nel circondario della missione, che seguono il padre come se fossero la sua ombra. Mi pare di vederli quando la domenica se ne stanno seduti sulle panche di legno ad ascoltarlo silenziosi e immobili, attratti dalla lettura del vangelo nella loro lingua. Quanta folla e quanto entusiasmo nonostante il lungo percorso, a volte di chilometri a piedi, per raggiungere quella chiesetta e partecipare alla messa celebrata da padre Orazio.
Dopo la lunga funzione si ritrovano tutti sul sagrato, punto d’incontro per raccontarsi le notizie della settimana. I ragazzini sperano di trovare qualche wasungu di passaggio alla missione, che estragga dalle tasche qualche caramella, che resta in bocca e nella mente il più possibile. Noi qui, dall’altra parte del mondo, seguiamo questi bambini, indirizzando le nostre forze in adozioni a distanza e aiuti concreti, coinvolgendo più gente possibile come se si trattasse dei figli di Noela e i miei tantissimi nipotini. In questa missione ai limiti del mondo, hanno meno di niente e penso che per il loro necessario basterebbe il nostro superfluo.
Padre Orazio ha già fatto molto. Sta portando a termine il progetto che doterà il villaggio di acqua. Un lavoro immenso che sta per concludere come ha fatto per la costruzione dell’ospedale, opera realizzata attraverso il volontariato dei medici di Ferrara.
Ho nelle orecchie la preghiera dei bambini, il «Baba yetu», che implora il tuo aiuto affinché tu consenta di far restare con loro il bravo padre Orazio, in quella missione di frontiera. Privati della sua presenza si sentirebbero degli orfani, come soffrirebbero pure quelli che giacciono inerti nei lettini bianchi dell’ospedale, nato per salvare i loro corpicini provati da fame e malattie. Le loro anime sono già state redente.
Anch’io ti prego con tutta la fede che ho nel cuore, grande Baba yetu: Padre nostro che stai nei cieli, fai in modo che resti a Matiri nella sua e nostra missione. Mi risponderai di mettermi in fila, rivolgendomi al tuo segretario, padre F. C. a Nairobi. Col cuore colmo di speranza proverò a comporre il 34618000000000… per sentire la voce amica che mi offra il suo ascolto, come sempre il capo tra le mani e la pazienza infinita e poi ti trasmetterà la mia domanda per la firma.
Ti supplico di ripensare al suo provvedimento di trasferimento, se questo non fosse proprio possibile, sono certa che tu farai del tuo meglio, affinché un altro tuo servitore possa garantire la continuità a parità di entusiasmo, esperienza, capacità e grande lavoro quasi portato a termine dal nostro missionario.
Grazie, Signore, supremo Dio del cielo e della terra, confido fiduciosa di ottenere una tua favorevole risposta attraverso il tuo insostituibile segretario. Tua fedelissima e devotissima
Ines Levi
Milano

Ha fatto bene, signora Ines, a indirizzare la sua lettera a colui che guida tutta la nostra storia, e non al direttore della nostra rivista, che in problemi del genere non ha alcuna voce in capitolo. Siamo sicuri che anche nel caso da lei sottoposto egli saprà risolvere la faccenda, tramite il suo ottimo «segretario», nel modo migliore sia per padre Orazio che per la comunità in cui lavora da tanti anni.
Da parte nostra ringraziamo di cuore per la stima e la solidarietà che continuate a dimostrare verso il nostro caro confratello e la sua dedizione missionaria.

 Speciale «Donne…»
(anche alla RAI)

Caro Direttore,
sebbene con ritardo, vorrei esprimere la mia gratitudine a tutti voi per il magnifico numero monografico di ottobre: è un piacere imparare nuove cose, basate sul realismo, ma animate dalla fiducia e dalla speranza.
Un saluto cordiale.
Alessandra Verde
Torino

Grazie anche a lei, signora Alessandra, che ha contribuito al successo del numero speciale con la traduzione di vari testi.
Il 25 ottobre 2007, Radio3, nella rubrica «Uomini e profeti» (www.radio.rai.it/podcast/A0020228.mp3), lo ha definito «numero molto bello, da recuperare». Per chi fosse interessato, abbiamo ancora copie disponibili.

Una madre speciale

Egregio Direttore,
ringrazio per il prezioso servizio svolto da Missioni Consolata con competenza e profondità dei contenuti. Purtroppo la rivista ha perso un’assidua e interessata lettrice quale è stata mia madre: da anni e ogni mese la sfogliava indicandomi qualche articolo importante, a suo parere, da prendere in considerazione.
Le dolorose sofferenze, che l’hanno afflitta dal mese di gennaio le ha offerte, in particolare, per i missionari impegnati nella diffusione del bene nel mondo.
Sicuramente ora è nella gioia e può aiutare più di prima, non solo i familiari, ma anche tutti coloro che lei sosteneva in varie forme nelle loro opere di solidarietà, assistenza, diffusione della cultura.
Affido la carissima mamma a qualche missionario, affinché la ricordi nella preghiera. Ringrazio e porgo i più cordiali saluti.
Milva Capoia
Collegno (TO)

Grazie, signora Milva, per la testimonianza sulla sua mamma (vedi riquadro). La ricorderemo in modo speciale al Signore, come facciamo ogni giorno per i sostenitori del nostro lavoro missionario. Siamo certi che anche  lei dal cielo continuerà a sostenerci.

Lettore… devoto

Egregio Direttore,
sono un lettore di Missioni Consolata, che ricevo da mio figlio, prete diocesano, e che leggo con vero entusiasmo e di cui condivido pienamente i contenuti. Essendo nato a Torino, sono un devoto della Madonna Consolata, dove negli anni ‘50 conoscevo il rettore del santuario. Pur essendo impegnato con diverse associazioni nella lotta contro la fame e per lo sviluppo dei popoli, vorrei potere aiutare, sia pure con piccole offerte, i vostri missionari che stanno svolgendo lavori meravigliosi e concreti nei paesi poveri, sia nel campo dell’evangelizzazione che dello sviluppo. Per questo chiedo di mandarmi dei moduli Ccp prestampati.
Una preghiera alla Consolata per tutta la mia famiglia e i più cordiali saluti.
Eugenio Ceruti
Conegliano (TV)

Il suo «entusiasmo» e la sua devozione alla Consolata ci incoraggiano a continuare nel nostro lavoro, sia qui in redazione che nei vari continenti dove sono presenti i nostri confratelli.

INDIMENTICABILE MADRE

Venerdì 14 settembre 2007, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, è scomparsa la mia carissima mamma, Cleofe Scapin, che leggeva regolarmente Avvenire, La Vita del Popolo, Famiglia Cristiana, La Voce del Popolo, Il Nostro Tempo, Città Nuova, Popoli e Missione e Missioni Consolata ai quali sono abbonata. Non mi dilungo sul dolore dei figli e tutti i parenti per tale perdita, quanto sulle specialissime qualità che l’hanno caratterizzata come mamma premurosa, sposa fedele, donna coraggiosa e dignitosa, coltivatrice con il «pollice verde», instancabile riparatrice di tutto, dagli indumenti ai mobili, persona generosa e attenta alle necessità degli altri, cristiana coerente e dalla fede profonda e incrollabile. Tali qualità e altro hanno reso la convivenza con lei un particolare privilegio di cui essere orgogliosi e da onorare.
Fin da giovane ha dovuto affrontare problemi di salute di ogni genere, che l’hanno accompagnata nel corso di tutta la vita. Tali problemi non le hanno impedito di occuparsi dei familiari e della casa, con volontà sovrumana e ininterrotto spirito di dedizione, non privo di sofferenze fisiche e anche morali, a causa di qualche incomprensione. Con un coraggio inaudito, infatti, ha mirato al miglioramento delle condizioni di vita dei suoi cari, promuovendo, fra l’altro, l’istruzione dei figli e l’acquisto dell’abitazione. Ha conservato sempre il piacere per l’ordine, la cura degli ambienti e delle cose, consapevole del loro valore e della loro rilevanza estetica.
Ha ereditato dalla terra veneta in cui era nata l’interesse e il piacere per i fiori e piante con cui aveva riempito balconi, veranda e davanzali, occupandosene tutti i giorni con particolare perizia e garantendo a molte una durata pluriennale impensabile. Alcune varietà di gerani sono ancora quelle portate dal Veneto, nell’avventuroso viaggio del 1951.
N on aveva potuto studiare da giovane per le condizioni di povertà della famiglia d’origine, ma ha coltivato permanentemente la curiosità per la cultura, l’interesse per l’approfondimento dei problemi e l’analisi delle situazioni socio-politiche attraverso la lettura di quotidiani, riviste e testi; spesso utilizzava le ore nottue per leggere i libri che i figli avevano portato a casa dalla biblioteca scolastica e che dovevano essere restituiti al più presto. Tale attività di documentazione le ha consentito di fornire suggerimenti e indicazioni ai figli per iniziative di formazione e aggioamento per migliorare la loro professione.
Ha mantenuto sempre un radicato senso del dovere nei confronti dei familiari, dei vicini di casa, delle istituzioni pubbliche, della parrocchia e della chiesa, insegnando a essere puntuali e precisi negli impegni, nei pagamenti, nel sostegno morale ed economico in caso di difficoltà; ha tenuto per moltissimi anni, tra l’altro, contatti con alcuni missionari dell’India, inviando loro regolarmente aiuti in denaro.
La salute precaria e le avversità non le hanno compromesso la dignità con cui le ha affrontate, la finezza e delicatezza dei sentimenti, nobiltà d’animo valorizzata dalla purezza di cuore e fede incrollabile; è stato un suo motto «mai disperare», sostenuto dalla certezza che la fede e la preghiera operano miracoli e trasformano il mondo.
Pur con le lacrime e il cuore lacerato non posso non ringraziare Dio per averla avuta accanto a lungo, per aver condiviso progetti e sofferenze, per aver superato insieme tante difficoltà, per la sua presenza che ora continua in cielo, nel cuore e della ricerca quotidiana di essere all’altezza ed erede degna di tale meraviglioso esempio.
Milva Capoia




Cari missionari

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Conoscere l’Allamano

Caro Direttore,
congratulazioni per la bella rivista, che leggo sempre con tanto interesse e piacere. Ho appena ricevuto il numero di maggio 2007, insieme all’allegato Giuseppe Allamano, bella figura di missionario-fondatore-animatore di anime generose, consacrate e laici.
Vorrei conoscere più a fondo questa bella anima sacerdotale: approfitto dell’invito a pag. 5 dell’allegato, per chiedervi il libro «Così vi voglio».
Da qualche anno mi trovo a Verona, reduce dalla missione in Uganda, dove ho passato una quarantina di anni di vita missionaria. Oggi che si presenta l’occasione, vorrei proprio approfondire la vostra spiritualità, trasmessa «alla buona, ma con tanta incisività» dal beato Giuseppe Allamano. Sarà un lavorare un po’ più da vicino in questa meravigliosa avventura del regno di Cristo.
Padre Luigi Varesco
Verona

Grazie, padre Luigi, per la simpatia verso il nostro fondatore. Le assicuriamo che anche noi della Consolata vediamo in san Daniele Comboni una fonte d’ispirazione per la nostra «avventura» missionaria.

Diamanti… sporchi

Cari Missionari,
ho letto sul n.7/2007 di MC la lettera di Carlo Occhiena e la vostra risposta, relative all’operato della De Beers in Botswana e la joint venture tra la stessa e il governo. Non credo per nulla alla bontà della suddetta operazione, perché, come voi giustamente dite, la De Beers è campione nelle operazioni «diamanti insanguinati».
Per quanto riguarda la Central Kalahari Game Reserve, terra da sempre dei boscimani, oggi riserva, che si trova al centro del Botswana, dal 2002 è in corso una persecuzione da parte del governo, tesa ad allontanare con tutti i modi possibili e legittimi proprietari della terra a beneficio della De Beers e di chi godrà le royalties sull’estrazione dei diamanti.
Sono socia di Survival, l’Ong che difende i popoli tribali del mondo, portando a conoscenza dei propri soci e della società civile i soprusi, violenze, espropriazioni, quando non lo sterminio programmato, che molti gruppi subiscono dal governo del proprio paese o da chi, avendo interessi sulla zona, agisce col beneplacito o la noncuranza del governo stesso.
Ebbene è dal 2002 che è in corso la campagna di sostegno ai boscimani del Kalahari, ma i loro problemi continuano e la loro situazione rimane sempre drammatica. Lo scorso anno l’Unione europea ha pagato una cifra enorme affinché nella riserva venisse inviata l’acqua: il governo del Botswana, infatti, ha fatto distruggere tutte le fonti d’acqua. Il pretesto «ufficiale» del governo per il trasferimento forzato dei boscimani è che, essendo la zona diventata riserva, non è più possibile cacciare: i boscimani preleverebbero troppa selvaggina.
I diamanti della De Beers sono veramente sporchi!
Lelia Zizioli
Conegliano (TV)

La campagna di Survival in difesa dei boscimani e loro diritti continua. Per ulteriori notizie e per partecipare a tale campagna si può consultare il sito: http://italia.survival-inteational.org.

Caro Direttore,
desidero ringraziare per il prezioso servizio che svolge la rivista per aprire la mente e il cuore nei riguardi delle attività e problematiche missionarie; solo l’approfondimento delle questioni consente di conoscere, comprendere e condividere.
Colgo l’occasione per affidare alle preghiere della vostra comunità la mia adorata mamma, che è in precarie condizioni di salute e sta affrontando tante sofferenze… una persona che ha le caratteristiche delineate dalle beatitudini.
Ringrazio e auguro un buon proseguimento.
Milva Capoia
Collegno (TO)

Grazie per la stima e incoraggiamento. Coloro che sostengono il nostro lavoro con i loro sacrifici e preghiere sono sempre presenti nel nostro ricordo al Signore.

Cari Missionari,
ricevo con gioia la vostra rivista. Prego sempre per i missionari. Fino a poco tempo fa potevo inviare offerte per aiutare il loro lavoro; ma adesso non mi è più possibile e faccio fatica a provvedere a me stessa; sono molto malata e presto avrò 90 anni. Però… le preghiere continuano e continueranno sempre, qui… e quando sarò «di là». Grazie ancora e Dio vi benedica.
Giuliana Imperatori
Roma

Da parte nostra continueremo a inviare la rivista: la sua preghiera per i missionari è l’aiuto di cui abbiamo maggiormente bisogno.

Complimenti vari

Cari Missionari,
in questi giorni mi è capitato di leggere da un’amica la vostra rivista e sono rimasta felicemente impressionata. Ho trovato articoli molto interessanti; mi è piaciuto molto in particolare il servizio sul Benin. Devo dire che reportages come questi ormai sono rarissimi nelle riviste italiane, per non dire assenti. Credo che il vostro giornale sia molto di più che una rivista missionaria; è molto ricca in contenuti e in bellissime immagini. Mi piacerebbe leggere altri reportages se fosse possibile.
Stefania Brizzi
Via e-mail

Caro Direttore,
ho avuto l’onore di una sua risposta sul numero 9 di Missioni Consolata. L’ho letta con emozione e, lo ammetto, con una puntina di orgoglio. Devo fare una piccola precisazione, l’articolo è stato letto anche dal mio figliolo minore, e mi ha detto che vi è un errore; io scrivevo «i miei figli non sono dei geni»; lui vi manda questa correzione di suo pugno: «Io sono un genio», firmato Ermanno. Grazie!
Daniela Inzoli
Milano
Spett. Redazione,
da diversi giorni desidero scrivere, ma corri di qua, corri di là, il tempo passa… Voglio complimentarmi con Missioni Consolata, per il dossier sulle bidonvilles nel mondo. Sto leggendo il libro The planet of slums (Il pianeta di slums): una situazione terribile ed è bene che si conosca. Il vostro servizio è molto ben fatto.
Giulio Santosuosso
Caracas, Venezuela

Si può vivere…
senza Tv?

Cari Missionari,
ho letto la lettera di Gionata Visconti, intitolata «Vivere senza Tv… si può» (MC 6/2007, p.7), e vorrei rispondere ad almeno una delle domande da lui poste: «Sapere che in Indonesia, si è rovesciato un autobus causando decine di morti è importante per la mia informazione?».
Io rispondo sì, caro Gionata e cari missionari; rispondo sì perché credo che  sapere di un autobus che è precipitato in un burrone a Giava, di un jumbo jet che si è schiantato contro una montagna a Sumatra, di un altro jumbo che si è incendiato in un aeroporto dell’Angola, di un treno deragliato in Egitto, in India, in Pakistan, in Thailandia, in Russia o nel vicino Montenegro sia importante per voi, per me, per chiunque si riconosca nell’idea di fratellanza universale e, a maggior ragione per chi crede alla fratellanza non solo come a un bel concetto filosofico, ma come a qualcosa di profondamente connaturato all’essere figli di Dio e consanguinei di Cristo.
Sarei un tantino più cauto nel contrapporre la vita felice senza Tv a quella infelice con la Tv… Io concentrerei le critiche sui reality show e altri programmi sciocchi, frivoli, deleteri per l’anima e per il corpo, non sulla Tv in generale.
Sarei più cauto anche a bollare come «cronaca nera», come «spazio rubato alle tante cose buone che accadono, ma di cui nessuno parla», le notizie riguardanti le guerre, il terrorismo, ma anche le calamità naturali, le stragi dei fine settimana sulle strade, le sciagure ferroviarie e aeree. Per me il più delle volte non sono i giornalisti a esagerare, siamo noi che abbiamo un atteggiamento sbagliato verso le notizie. Sta a noi passare dalla tristezza all’indignazione, dall’assuefazione all’impegno, dal pessimismo alla partecipazione…
Francesco Rondina
Fano (PU)

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Cari missionari

Troppa grazia…!

Cari missionari,
grazie per la vostra rivista, per i dossier, le notizie, i servizi, perché fate conoscere l’operato dei vostri missionari.
Grazie per la professionalità, competenza e perché ci dite la verità. Grazie per l’impegno di tutti i vostri missionari. Grazie a voi tutti per l’amore con cui amate l’umanità e la terra! E che Dio vi benedica!
Luisa
Via e-mail

Ringraziamo anche noi!

«Nostra madre terra»

Cari missionari,
grazie per la vostra rivista che mi permette di conoscere la vita e l’opera dei nostri sacerdoti che hanno rinunciato alla loro vita per quella del prossimo.
In riferimento alla rubrica «Nostra madre terra», penso che non sia corretto il nome da voi dato, in quanto noi siamo figli di Dio e così pure tutto il creato.
Michele Petracci
Via e-mail

Certamente siamo tutti figli di Dio; ma non c’è nulla di sconveniente nel chiamare la terra «nostra madre»; lo faceva anche san Francesco: «Laudato si, mi Signore, per sora nostra madre terra, la quale ne sustenta e governa…».

Altri ringraziamenti
e una proposta

Cari missionari,
leggo troppe critiche alla nostra rivista, così mi sono deciso a scrivere questa breve mail per ringraziare tutti voi: i missionari, innanzi tutto, i redattori della splendida rivista che leggo dalla prima all’ultima riga, cercando così di cogliere il senso di ciò che accade intorno a noi. Solo Missioni Consolata riporta notizie del sud del mondo così ben documentate, riflessioni su di noi e la nostra (pseudo) civiltà. Continuate ad arricchire il nostro bagaglio di conoscenza, che tende a essere sempre più scao, limitato, desolatamente vuoto.
Bellissimi, tra i tanti, i servizi «alternativi» sulle frecce tricolore e campi da golf… Apprezzo anche i confronti della rubrica «Battitore libero». A tale proposito, vorrei prendere spunto dal disappunto del sig. Andrea Dovio di Torino, che chiedeva al don Farinella cosa suggerisse di fare per «concretare l’impegno dei cristiani nella vita politica». Io un suggerimento l’avrei, neanche originale: riappropriamoci della preferenza! A qualunque schieramento apparteniamo, rivendichiamo il diritto di cittadini di «scegliere» la persona che più rappresenta i propri ideali.
Continuate con il vostro ottimo lavoro, proclamate il vangelo con ogni mezzo e il Signore vi benedica tutti.
Marco Pesce
Albenga (SV)

P.S. Oggi sono particolarmente contento: il mio terzogenito, Giorgio, 7 anni, mi ha detto che da grande non farà l’attore o il calciatore, ma vuol fare… il prete! Non so se è un segno della vocazione, non oso sperarlo, ma mi sento realizzato come padre. Forse il merito è anche di quelle riviste cristiane e missionarie che, tra le altre, circolano in casa nostra. Vi abbraccio.

Prima di tutto: tanti auguri a Giorgio. Per il resto siamo pienamente d’accordo: se gli italiani avessero potuto scegliere i propri rappresentanti, e non quelli imposti dai partiti, in Senato, Parlamento e governo ci sarebbe meno zavorra.

Minaccia nucleare?

Signor Direttore,
per la seconda volta pubblicate gli ostili articoli della Lano contro Israele. Con quale coraggio pubblicate frasi faeticanti come: «Israele è una minaccia nucleare…» («La bomba di Pulcinella», MC maggio 2007 p. 45).
Israele è una minaccia, non già il mare dittatoriale siriano, iraniano, saudita, egiziano, palestinese, ecc. Non una parola per scoprire le tristi realtà di questi paesi; sempre contro l’unica democrazia del Medio Oriente…
Non merita che gente non libera come la Lano scriva in quella che era una rivista missionaria. Io conosco la rivista da quasi 30 anni… Saluti delusi.
Alfio Tassinari
Cervia (RA)

Le parole incriminate non sono inventate dall’autrice, ma sono una citazione di France Press. Come rivista missionaria, abbiamo sempre scritto (e continueremo a farlo) contro guerre, armi, spese militari, terrorismo, violenza… e contro tutte le ipocrisie camuffate da politically correct.  

Dove va la missione?

Cari missionari,
mi unisco ai numerosi lettori che mandano lettere di dissenso sulla linea, che chiamerei «secolarizzata», della vostra rivista. Purtroppo non è la sola: troppe riviste missionarie vanno in questa direzione.
C’è un gruppo numeroso di missionari sul campo (Asia e Africa) che sta denunciando la situazione. È un grido di dolore che sale dal basso e vuole raggiungere chi ha autorità in materia. I primi firmatari: mons. Ambrogio Ravasi vostro missionario e vescovo in Kenya, il padre comboniano Giovanni Marengoni, e il famosissimo missionario e giornalista padre Piero Gheddo del Pime li appoggia. Il manifesto di questi missionari denuncia: «… dubitare che Cristo sia l’unico e supremo salvatore dell’uomo… la tendenza a sostenere che tutto quello che è carità e promozione umana si possa definire ministero di prima evangelizzazione… il diffondersi dell’idea: missionario uguale operatore sociale, ecc.».
Aggiungo io, da laico, non è specifico compito dei missionari risolvere i problemi dell’acqua, della guerra, della giustizia sociale, della fame, ecc. Il compito specifico del missionario è annunciare Cristo che è la vera salvezza del mondo presente e non solo dell’aldilà. Il missionario annunci, preghi, istruisca, formi, aiuti la crescita integrale della comunità cristiana, ossia costruisca la chiesa. La comunità cristiana poi, in proporzione alla conversione a Cristo, crescendo in fede e opere, risolverà i propri problemi umani e sociali. Pensare che il missionario risolva tutti i problemi della gente è ancora una forma di patealismo e clericalismo.
Un’ultima osservazione: tra la rivista e i fascicoli allegati (vita del beato Allamano), ci sono due concezioni diverse di chiesa. Mi appello al vostro padre generale perché vigili e recuperi il carisma del vostro fondatore, anche per la rivista.
Mario Scodes
Stresa (NO)

La lettera meriterebbe una risposta lunga e approfondita. Mi limito ai punti evidenziati.
Il carisma: il nostro fondatore dice che la missione consiste nel «fare prima uomini e poi cristiani». Per cui «compito specifico» dei missionari è pure la promozione umana. Anche Paolo vi afferma che evangelizzazione e promozione umana (sviluppo, liberazione, giustizia, pace e integrità del creato) sono inseparabili (cf Evangelii nuntiandi 31).
Cristo unico salvatore: non ne abbiamo mai dubitato; anzi, crediamo che sarà anche il nostro unico giudice e ci chiederà conto se lo abbiamo o meno «riconosciuto e servito» quando era affamato, assetato, ignudo, senza tetto, ammalato, in prigione.
Per quanto riguarda i firmatari, so che mons. Ravasi ha fatto costruire anche pozzi, scuole, dispensari e altre opere sociali; padre Marengoni non lo conosco; del «famosissimo missionario» lo sanno tutti, e da tanto tempo, come la pensa.

La sola Verità è amare

Egregio Direttore, mi è or ora giunto l’ultimo numero di Missioni Consolata. Sono abbonata da quasi 17 anni, non per mia scelta, ma in quanto ho adottato a distanza dei bambini con voi. La prima sorpresa si è trasformata in piacere e ora la attendo ogni mese e la leggo con grande interesse.
Per mia consuetudine leggo sempre la «piccola posta» di ogni tipo di pubblicazione, anche le riviste modaiole che circolano fra le mie conoscenze. Preciso che, oltre a voi, sono abbonata solo all’Espresso, per farvi capire le mie idee.
Amo molto leggere; e, come tutti gli atei, mi affascinano le sacre scritture e ne ho una discreta conoscenza, cosa che non ho rilevato in tanti credenti. Spesso vorrei scrivervi, per dare il mio parere o per avere chiarimenti, ma non mi sono mai permessa perché sono acattolica, acristiana, e non riesco a credere in un creatore a mia immagine e somiglianza…
Oggi, però, non so resistere alla tentazione, perché ho letto la lettera «Eresia e sciocchezze», in cui il sig. Pugliese, abbastanza sostenuto, stigmatizzava le vostre scelte editoriali, tacciandovi di populisti, terzomondisti e marxisti. A parte l’ultimo, non mi sembrano aggettivi di cui vergognarsi, ma per lo scrivente, evidentemente lo sono. Insomma a lui non aggradano in Missioni Consolata proprio le cose che me la fanno amare. E come in tutti questi casi, provo un grande timore di fronte a chi si sente la verità nelle mani, la certezza assoluta di essere nel giusto; tanto da temere, per chi non è totalmente in linea con i suoi pensieri, la dannazione dell’anima.
Questa è la religione che mi spaventa: chi sono io per credere di avere la certezza? Ho cresciuto due figli da sola… nell’amore e nel rispetto degli altri. Non sono dei geni, non hanno fatto i milioni, non hanno fior di ragazze, ma sono due bravi figlioli, lavoratori e rispettosi degli altri. Nulla di cui vantarsi, ma essere orgogliosi nel profondo del cuore.
Sarò una povera di spirito, ma se Dio esiste, non è a Roma, o in altri luoghi sacri. È ovunque, più che una figura precisa, è l’anima di noi tutti. Sarò insensibile, ma non lo vedo in chiese o davanti a statue piangenti, ma nel volontariato in case di riposo, che ho fatto per anni. A quelli che, sapendo che ero agnostica dichiarata, mi chiedevano: «Se non credi in Dio, come fai a fare volontariato?», non rispondevo neppure.
Non sto dicendo che la mia è la sola verità universale, che Dio non esiste; sto cercando di spiegare che non lo so, che faccio fatica, che mi sforzo di capire tutti, che tento di non essere cattiva, perché farei del male agli altri, indipendentemente da un premio, sono veramente populista, vero?
La sua risposta è stata giusta e mirata, ma non credo che sarà capita e apprezzata: la modestia è proprio la cosa più difficile da accettare. Scusi le mie frasi un po’ a casaccio, sono poco colta, ma mi vanto di capire chi è pieno di amore e chi invece è pieno di amore solo per se stesso. 
Daniela Inzoli
Milano

Cara Daniela, penso che il Signore ti direbbe che «non sei lontana dal regno di Dio» (Mc 12,34). In un dio «fatto a nostra immagine e somiglianza» non credo neppure io. Al contrario, siamo noi fatti a immagine e somiglianza di Dio; e per sapere come è fatto, cosa pensa, come agisce e ama… basta guardare Gesù Cristo: «Chi vede me, vede il Padre» (Gv 14,9).