Una notizia incredibile per l’uomo

 

 

Un vecchio adagio popolare recita: “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi” facendo così risaltare il Natale come festa della famiglia mentre la Pasqua viene presentata come una festa un po’ più allargata con amici e parenti da trascorrere magari con la tradizionale gita “fuori porta”. Inutile aggiungere che per i cristiani la Pasqua è la Festa per eccellenza! Anzi a rigor di logica, ogni domenica (ma ancor più, sarebbe il caso di dire) ogni Eucaristia celebrata in un qualunque giorno feriale, è una Pasqua vissuta e celebrata dalla comunità (grande o piccola che sia) che si ritrova attorno all’altare.

La liturgia lungo i secoli ha elaborato, oltre al tempo di preparazione alla Pasqua, cioè la Quaresima, una settimana (definita per l’occasione Santa) ricca e piena di significati simbolici, tutti tesi a ricordare, valorizzare e celebrare il mistero della Passione, della Morte e Risurrezione di Cristo. Non solo la spiritualità cristiana, ma tutta la nostra cultura artistica, letteraria e musicale sarebbe molto più arida e povera, senza l’ispirazione che il Mistero Pasquale ha offerto lungo i secoli ai geni dell’arte, della poesia e della letteratura.

Ma oggi che significato ha la Pasqua? Per i credenti “dietetici” ovvero per coloro abituati ad accostarsi alle celebrazioni liturgiche con la mentalità della cura dimagrante, cioè prendere il minimo indispensabile per poi passare ad altre vivande più succulente, che senso ha la Pasqua? Per i cristiani “mordi e fuggi” cosa può significare una festa così pregnante dal punto di vista simbolico evocativo? Focalizzando ancor più la nostra attenzione sui tempi di crisi in cui ci troviamo a vivere, la Pasqua cosa può dirci? Può una ricorrenza così importante nel calendario annuale ridursi ad una domenica da cui ricavare qualche pia esortazione per vivere un po’ più morigeratamente o peggio ancora dedue un asettico “volemose bene” che si può adattare a Pasqua, a Natale, alla Festa della mamma, ecc. Per i credenti non dovrebbe essere molto difficile recuperare il senso più profondo della Croce, della Morte e della Resurrezione di Cristo, non limitandosi semplicemente a ricordare agli altri che è Pasqua, ma cercando di testimoniare la Resurrezione di Gesù nel concreto impegno di costruire una umanità nuova dove tutti possano partecipare al banchetto della Creazione.

Già gli ebrei celebravano la Pasqua ricordando la liberazione che JHWH aveva operato a favore d’Israele liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto, una liberazione che non fu istantanea e immediata, ma che ebbe bisogno di passare dal crogiuolo del deserto, della prova, dell’abbandono, per poter alla fine approdare alla Terra Promessa. La Pasqua fu pertanto per il popolo ebraico un cammino verso la libertà, la stessa libertà che Cristo offre a chiunque decida di seguirlo cercando di vivere il messaggio di amore e tenerezza che Egli da sempre propone ad ogni persona, in ogni tempo, sotto ogni latitudine.

Scrive Sant’Agostino: “Tre sono le cose incredibili e tuttavia avvenute: è incredibile che Cristo sia risuscitato nella sua carne, è incredibile che il mondo abbia creduto ad una cosa tanto incredibile, è incredibile che pochi uomini, sconosciuti, inermi senza cultura, abbiano potuto far credere con tanto successo al mondo, e in esso anche ai dotti, una cosa tanto incredibile!” (Sant’Agostino – “La città di Dio” XXII, 5).

Forse lo stupore di Agostino è la miglior chiave interpretativa per la festività della Pasqua ai nostri giorni in quanto da credente egli sottolinea un avvenimento straordinario che si è imposto all’attenzione del mondo romano ma allo stesso tempo, anche alle persone di buona volontà, coloro che sono in ricerca, coloro che non accettano di subire passivamente le crisi periodiche del modello economico imperante. I commenti dei personaggi della politica e dello spettacolo, possono trovare in questa “buona notizia” le radici di una speranza che non costringe l’uomo contemporaneo al grigiore di una esistenza passiva e senza senso, ma lo proietta verso il vasto orizzonte del futuro con la consapevolezza che solo sperando l’inimmaginabile e contro ogni speranza si può davvero gettare le fondamenta per una società più giusta e solidale in cui tutti possano vivere con carità fratea nella giustizia e nella pace.

Buona Pasqua a tutti.

Don Mario Bandera

PASQUA 2016




il martirio delle suore in yemen

YEMEN

La superiora della comunità di Aden ha affidato a una consorella le drammatiche fasi dell’assalto alla casa di cura per anziani e disabili. Le suore sono morte per la “fedeltà” alla loro missione, facendosi trovare pronte “ad accogliere lo sposo”. Un sacrificio di sangue nella speranza che sia “germoglio di pace per il Medio oriente e perché serva a fermare l’Isis”. La lettera autografa (Pdf).

da Aden (AsiaNews)

“A causa della loro fedeltà, esse si sono trovate al posto giusto e al momento giusto, e si sono fatte trovare pronte per accogliere il loro sposo”. Con queste parole, suor Rio ha descritto il sacrificio delle consorelle missionarie della Carità massacrate ad Aden, nello Yemen, il 4 marzo scorso per “motivi religiosi”. La religiosa ha raccolto la drammatica testimonianza di suor Sally, superiora della casa per anziani e disabili teatro dell’attacco dei miliziani dello Stato islamico (SI). Unica sopravvissuta, suor Sally ha affidato alla consorella suor Rio il racconto dell’attacco, le violenze dei miliziani, le violenze perpetrare in nome e a causa della fede. 

Il racconto è stato trascritto in un secondo momento da una terza religiosa, suor Adriana, che ha diffuso il testo (che trovate pubblicato in questa pagina) fra le varie comunità religiose degli Stati Uniti. Nei giorni scorsi mons. Edward Rice, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Saint Louis, ha citato diversi passaggi del drammatico racconto di suor Rio, elogiando il sacrificio compiuto dalle suore per la fede e il loro servizio per gli altri. Un servizio che riflette il carisma della fondatrice dell’ordine, Madre Teresa di Calcutta. 

Ecco, di seguito, il drammatico racconto della mattinata dell’attacco, raccolto dalle missionarie della Carità e pubblicato dal National Catholic Register. Traduzione a cura di AsiaNews: 

Come tutte le mattine, le suore hanno ascoltato la messa e poi hanno fatto colazione. Secondo consuetudine, il sacerdote è rimasto in cappella a pregare, e poi ha iniziato a sistemare le cose rimaste in sospeso nella struttura.

Alle 8 del mattino le suore hanno recitato l’apostolato della preghiera secondo le intenzioni e poi si sono dirette verso la casa.

Alle 8.30 un gruppo di miliziani dello Stato islamico vestiti di blu hanno fatto irruzione, uccidendo una guardia e l’autista.

Cinque giovani etiopi, di religione cristiana, hanno iniziato a correre in direzione delle suore per dire loro che membri dell’Isis avevano fatto irruzione ed erano lì per ucciderle. I cinque sono stati uccisi uno ad uno. I miliziani li hanno legati agli alberi, gli hanno sparato alla testa e poi gli hanno fracassato il cranio a colpi.

Le suore hanno iniziato a correre, a due a due, in direzioni diverse dato che all’interno della struttura vi erano in quel momento ospiti uomini e donne. Quattro donne che lavoravano nel compound hanno iniziato a urlare: “Non uccidete le suore! Non uccidete le suore!”. Una di loro è stata la cuoca per 15 anni del centro. I miliziani hanno ucciso anche loro.

Essi hanno preso per prime suor Judith e suore Reginette, le hanno legate, hanno sparato loro alla testa e hanno fracassato loro il cranio. Mentre le suore correvano in direzioni diverse, la superiora è corsa all’interno del convento per cercare di avvertire p. Tom.

In un secondo momento hanno catturato suor Anselm e suor Marguerite, le hanno legate, hanno sparato loro alla testa e poi l’hanno sepolta sotto la sabbia.

Intanto la superiora, pur provandoci, non riusciva ad accedere al convento. Non era dato sapere quanti uomini dell’Isis ci fossero nella struttura.

Ha visto tutte le consorelle e gli aiutanti uccisi. I miliziani dell’Isis volevano accedere al convento, per questo la suora ha cercato riparo nella cella frigorifera, perché in quel momento la porta era aperta. Vi erano membri dell’Isis dappertutto, in cerca della superiora, perché sapevano che le suore presenti nella struttura erano cinque. Sono entrati almeno tre volte nella stanza frigorifera. Suor Sally non si è nascosta, ma è rimasta in piedi, dietro la porta, e loro non l’hanno mai vista. Questo è un vero e proprio miracolo.

Nel frattempo, al convento, il sacerdote sentendo le urla ha consumato tutte le ostie. Egli non ha avuto il tempo di far sparire anche l’ostia più grande e ha disperso l’olio della lampada gettandolo nell’acqua.

Un vicino ha visto [gli assalitori] gettare p. Tom all’interno della loro auto. E di lui non si è più ritrovata alcuna traccia. Tutto il materiale sacro e gli oggetti di carattere religioso erano gettati a terra e distrutti – la Madonna, il crocifisso, l’altare, il tabeacolo, il sostegno per il libro delle letture – e anche i libri di preghiera e le Bibbie, completamente devastate.

Fra le 10 e le 10.15 i miliziani dello Stato islamico hanno concluso il loro raid e se ne sono andati.

Suor Sally è rientrata per raccogliere i corpi delle consorelle uccise. Le ha riunite tutti insieme. Poi ha visitato i pazienti e gli ospiti, uno ad uno, per verificare che stessero bene. E tutti erano sani e salvi. Nessuno aveva riportato ferite.

Un figlio della cuoca (uccisa nell’assalto) la stava chiamando sul cellulare. Dal momento che non riceveva risposta, egli ha chiamato la polizia e con gli agenti si è recato al compound, dove gli si è presentata agli occhi la scena del massacro. La polizia e il figlio sono arrivati verso le 10.30 del mattino.

La polizia ha cercato di portare via suor Sally, ma lei ha opposto un netto rifiuto dicendo che non avrebbe abbandonato queste persone in lacrime. “Non abbandonarci, resta con noi” le gridavano gli ospiti della struttura. Tuttavia, la polizia l’ha portata via con la forza perché i miliziani dello SI sapevano che, all’interno, vi erano cinque suore ed era pressoché certo che non si sarebbero fermati fino a che non avrebbero ucciso pure lei. Per questo, alla fine, ha dovuto accettare il fatto di andarsene. Ha preso un ricambio di abiti e i corpi delle consorelle; la polizia le ha trasportate fino a un ospedale gestito da personale di “Medici senza frontiere”, all’interno del quale avrebbe ricevuto protezione. Dato che non vi era spazio a sufficienza nella camera mortuaria dell’ospedale, la polizia ha portato i cadaveri delle religiose nell’obitorio di una struttura più grande.

Suor Sally ha detto a suor Rio di essere triste perché ora è sola non ha potuto morire con le sue consorelle. Suor Rio le ha risposto che Dio l’ha voluta come testimone, perché riferisse del massacro e le ha aggiunto: “Chi avrebbe potuto ritrovare i corpi delle suore e chi ci avrebbe potuto raccontare quello che è successo? Dio voleva che sapessimo”.

Il segretario particolare di papa Francesco ha contattato a più riprese le autorità dello Yemen, almeno una volta settimana per sincerarsi delle condizioni delle suore e rassicurarle circa la sua vicinanza. Oggi, il segretario del papa ha inviato un messaggio: “Voglio ringraziarvi, piccole missionarie della Carità oggi martiri”. Egli ha anche aggiunto che offre a loro le 40 ore di preghiera che iniziano il primo venerdì del mese.

Suor Sally ha raccontato a suor Rio che p. Tom diceva loro ogni giorno: “Siamo pronti al martirio”.

Suor Judith: hanno cercato in tutti i modi di farle compiere studi di alto livello, ma non sono riusciti a farla uscire dallo Yemen.

Suore Reginette: per lei erano previsti dei corsi di primo livello, ma non è stato possibile portarla via. Dio voleva che restassero lì.

Aden è una città portuale e ricca. Aden voleva crearsi una propria autonomia statale e amministrativa, per questo hanno favorito l’ingresso dei miliziani dell’Isis per combattere contro le autorità dello Yemen. Ecco perché l’Isis ha vinto ad Aden. Questo è stato il risultato della guerra dello scorso anno, con tutti quei bombardamenti. Hanno vinto, è finita così, ma l’Isis non se ne andrà. Essi vogliono impadronirsi del potere e sradicare la presenza cristiana. Essi non hanno ucciso le suore nel contesto della guerra, perché non avevano alcun interesse politico a perdere tempo con loro. Ma oggi, che sono l’unica presenza cristiana, l’Isis vuole sbarazzarsi di ogni minima traccia o presenza della cristianità. Ecco perché le suore sono delle vere martiri, perché sono morte per il solo fatto di essere cristiane. Avrebbero potuto morire molte volte durante la guerra, ma Dio ha voluto così perché fosse chiaro che esse sono delle martiri per la fede.

Suor Rio racconta che suor Sally si è completamente lasciata andare. La polizia ha cercato di farla andare via, perché i miliziani resteranno sulle sue tracce fino a che non l’avranno uccisa. Si è lasciata andare e ha detto a suor Rio che Dio faccia di lei ciò che vuole. Ha detto anche che gli altri musulmani le trattavano con rispetto. Ha detto anche di pregare perché il loro sangue sia germoglio di pace per il Medio oriente e perché serva a fermare l’Isis.

Ha detto anche che se hanno rapito p. Tom [di cui non si hanno notizie certe a distanza di due settimane dall’attacco, ndr] di aspettare un paio di giorni, e poi avrebbero chiesto un riscatto in denaro per liberarlo oppure il rilascio di alcuni miliziani detenuti in prigione.

Suor Rio ha detto che erano così fedeli, per questo l’Isis sapeva benissimo quando andarsene e quando fare irruzione. E a causa della loro fedeltà, esse si sono trovate al posto giusto e al momento giusto, e si sono fatte trovare pronte per accogliere il loro sposo.

Suor Adriana ritiene che l’aver spaccato loro il cranio potrebbe avere un legame malvagio con il passaggio biblico “e lei schiaccerà la testa del serpente”, in segno di disprezzo o come segnale ulteriore della loro malvagità.

Di seguito i nomi corretti delle suore:

Suor M. Sally, MC (Superiora, unica sopravvissuta al massacro)

Suor M. Anselm, MC (Bihar, India)

Sister M. Marguerite, MC (Rwanda)

Sister M. Judith, MC (Kenya)

Sister M. Reginette, MC (Rwanda)

 




perche no alla guerra in libia

Noi rappresentanti di movimenti, associazioni e gruppi del mondo della pace e della nonviolenza siamo preoccupati delle pressioni esercitate sul nostro governo perché assuma un ruolo guida nell’intervento militare in Libia a fianco di altre potenze occidentali. Il Presidente del Consiglio ha detto che “non è in programma una missione militare italiana in Libia”. Ne prendiamo atto. Ma i problemi restano:

  • il contrasto all’espansione del terrorismo del sedicente Stato islamico;
  • una minaccia alla sicurezza del nostro paese;
  • la stabilizzazione della nazione nordafricana.

La guerra non è il mezzo adeguato per sconfiggere il terrorismo né tantomeno per portare stabilità alla Libia. Basterebbe guardare alla storia di questi ultimi anni per capire che gli interventi militari non hanno risolto i problemi, li hanno invece aggravati.

A partire dalla dissennata guerra lanciata dalla Nato nel 2011 contro il regime di Gheddafi che avrebbe dovuto inaugurare un’era nuova di pace e democrazia. Invece la Libia è precipitata nel caos e nella guerra intestina. Non solo. Quella guerra ha posto le basi per altri conflitti. È ormai risaputo e documentato che il saccheggio di vasti arsenali di armi del colonnello durante l’operazione della Nato ha alimentato la guerra civile in Siria, rafforzato gruppi terroristici e criminali dalla Nigeria al Sinai e destabilizzato il Mali.

Di fatto nessuno dei conflitti iniziati dal 1991 ad oggi – Iraq, Somalia, Balcani, Afghanistan, Siria – ha risolto i problemi sul campo, anzi sono tragicamente aggravati. Il fallimento di tali operazioni è sotto gli occhi di tutti: milioni di profughi abbandonati al loro destino che fuggono a causa delle nefaste conseguenze delle recenti guerre.

Oggi poi, un eventuale secondo intervento armato in Libia avrebbe gravi ripercussioni anche sulla vicina Tunisia che teme il debordare della crisi libica oltre i suoi confini, mettendo a repentaglio il suo fragile equilibrio politico e il faticoso cammino verso la democrazia avviato in questi ultimi anni.

Inutile e ovvio dire che saranno i civili a pagare il prezzo più alto di imprese militari, anche nel caso di attacchi effettuati dai droni. Per quanto si voglia far credere che la precisione di tale aerei telecomandati non causerà vittime tra la popolazione, i fatti dimostrano l’esatto contrario. Indagini condotte su una lunga serie di attacchi hanno messo in evidenza che per un terrorista colpito i droni uccidono altre trenta persone circa, tra cui donne e bambini.

Se un intervento armato di polizia internazionale in Libia ci dovrà essere, sarà da considerarsi come estrema ratio, fatta nell’ambito delle Nazioni Unite e in seguito alla esplicita richiesta del governo unitario libico. Senza la quale – ammoniscono le autorità del governo di Tripoli – “qualsiasi tipo di operazione militare si trasformerebbe da legittima battaglia contro il terrorismo a palese violazione della nostra sovranità nazionale”.

Va aggiunto che la lotta al terrorismo dello Stato Islamico non potrà mai essere vinta con un dispiegamento di forze militari. Anche la macchina bellica più potente è inefficace di fronte al fanatismo e alla capacità di mimetizzarsi dei terroristi in grado di colpire ovunque nel mondo cittadini inermi con attentati sanguinari. La nostra penisola è in una posizione particolarmente vulnerabile perché è la più esposta per la sua vicinanza geografica alle coste libiche.

Per i motivi esplicitati qui sopra, ci rivolgiamo al governo italiano perché assuma un ruolo guida per indicare alla comunità internazionale la ricerca paziente e perseverante di una soluzione politica alla grave crisi libica.

A tale scopo proponiamo con urgenza che l’Italia si impegni:

  • a ricostruire l’assetto statuale della Libia, sostenendo con la diplomazia e la politica l’iniziativa per un accordo tra le controparti e la formazione di un governo unitario tra i governi di Tobruk e di Tripoli;
  • a coinvolgere gli stati membri della Lega araba e dell’Unione africana anche al fine di bloccare i finanziamenti ai movimenti terroristici islamici che provengono da Arabia saudita e Qatar, dal commercio di petrolio e di droga;
  • a valorizzare la partecipazione della società civile della Libia nel processo di ricostruzione della loro nazione;
  • a garantire da parte dell’Europa l’apertura delle frontiere per accogliere e assistere i profughi, mettendo in campo in campo un’operazione di salvataggio in mare.

Sulla base della nostra Carta costituzionale che sancisce che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie inteazionali» chiediamo al governo di adoperarsi con determinazione e concretamente al fine di promuovere e restituire pace e giustizia al popolo della Libia. Lavoro al quale partecipano da tempo schiere di cittadini che a vario titolo e in diverse organizzazione operano per la promozione della pace e della giustizia tramite l’educazione nelle scuole, con corsi di formazione alla nonviolenza attiva, con la disseminazione di informazione, con la ricerca, il monitoraggio e la denuncia di vendita illegale di armi e con una variegata gamma di iniziative e progetti.

Infine desideriamo rivolgere un appello a papa Francesco che negli anni del suo pontificato non si è stancato di dichiarare la propria ferma opposizione alla guerra. Che anche in questo caso levi la sua voce profetica per denunciare l’assurdità e l’immoralità di un intervento armato in Libia, sollecitando la comunità internazionale a cercare soluzioni pacifiche e giuste.

Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia;
Mao Valpiana, direttore di Azione nonviolenta;
Alex Zanotelli, direttore di Mosaico di Pace;
Mario Menin, direttore di Missione Oggi;
Filippo Rota Martir, direttore di Cem Mondialità;
Marco Fratoddi, direttore di La nuova ecologia;
Riccardo Bonacina, direttore di Vita;
Pietro Raitano, direttore di Altreconomia;
Claudio Paravati, direttore di Confronti;
Michele Bornato, direttore di Gaia;
Pier Maria Mazzola e Marco Trovato, direttori di Africa;
Silvia Pochettino, direttrice di Volontari per lo sviluppo;
Redazione di Mondo e Missione;
Antonio Vermigli, direttore di In dialogo;
Luca Kocci, direttore di Adista;
Luigi Anataloni, direttore di Missioni Consolata e segretario della Federazione Stampa Missionaria Italiana