Mukiri è tornato a Casa

 


Fr. Giuseppe ARGESE, IMC, conosciuto come Mukiri – il silenzioso – il 20 settembre 2018 a Maua – Meru – Kenya è tornato alla casa del Padre. Chiediamo le vostre preghiere per il suo eterno riposo.

“Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia,
voi che cercate il Signore;
guardate alla roccia da cui siete stati tagliati,
alla cava da cui siete stati estratti”.
Isaia, 51, 1

“La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine”.
1 Cor. 13, 4-7

Carissimi,
il nostro missionario FRATEL GIUSEPPE ARGESE è morto il 20 settembre 2018 nella sua amata terra del Kenya, a Mukululu dove ha vissuto e realizzato la gran parte della sua missione. Era conosciuto come Mukiri, il silenzioso, per le poche parole che diceva nella giornata e il tanto lavoro che faceva. In un mondo dove si parla molto fratel Argese ci ha insegnato il valore del silenzio e del lavoro generoso. Ha amato la sua gente fino a dare la vita per loro, fino a morire a Mukululu dove ha vissuto. Possiamo dire che in lui la missione si è fatta persona. Grazie carissimo Fratello per quanto sei stato e per quanto ci hai dato, dal cielo prega per noi ed aiutaci ad essere dei degni figli della Consolata. Buon viaggio, riposa in pace!

Padre Stefano Camerlengo

Clicca sulle foto per conoscere di più di Mukiri

Partecipanti alla festa per i 50 anni di Kenya di fratel Mukiri, Giuseppe Argese

Una goccia di rugiada (Mc settembre 2010)




Modica: Per correre insieme la vita


Incontro cittadini e rifugiati. «Pensavo alla morte, ma la vita mi ha voluto. Grazie per il sostegno». Le storie di Zaikary e di altri rifugiati sono state narrate all’incontro promosso dalla Caritas alla Domus Sancti Petri di Modica, in un incontro per conoscere la bellezza del mondo che ci raggiunge.

«Vengo dal lontano, ma non so dove sto andando… vengo da lontano e ho attraversato il mio Paese crivellato… mio padre si è perduto in una guerra che ha tanta fame e tanta sete. Mia madre si è ritrovata sola in mezzo a tanti lamenti. Sono fuggito dalla mia terra che beve sangue invece di acqua. Ho abitato prigioni di tante città diverse, tutte sporche. Ho camminato nella sabbia rovente dei deserti. Pensavo alla morte, ma la vita mi voleva con sé… Vengo da lontano nonostante la barca ballasse tra le onde, i corpi gonfi hanno fatto la mia salvezza. Sono molto contento di essere in Italia, mi trovo bene… ci sono persone che si prendono cura di noi… niente si fa senza aiuto, e ringrazio l’Italia per avermi dato la possibilità di cambiare vita e rendere migliore il futuro. Che Dio benedica l’Italia!». Le parole di Zaikary, giovane proveniente dal Burkina Faso, hanno espresso il senso dell’iniziativa promossa dalla Caritas diocesana e tenutasi ieri sera a Modica, nello spiazzo antistante la Domus Sancti Petri. Coi ragazzi dei sei centri di accoglienza per minori stranieri di Modica, i volontari, cittadini modicani e qualche turista di passaggio: tutti insieme per rinnovare un appello, restare umani! Un anno fa la bella accoglienza dei ragazzi ospitati nei centri, con una passeggiata di benvenuto per la città di Modica. Ieri un momento per conoscersi meglio. Partendo da un gioco, guidato dal missionario don Gianni Treglia. Insieme a lui altri due religiosi della comunità intercongregazionale, don Vittorio Bonfanti e suor Giovanna Minardi. Una serie di corde e un bastone. Un segno semplice ed efficace, perché a due a due, tutti i presenti, si sono conosciuti, scambiandosi informazioni sulla loro vita, sui loro desideri per il futuro. Poi hanno annodato i fili, a formare una rete. «È il filo delle nostre presenze – ha detto don Gianni -. Mali, Gambia, Ghana, Burkina Faso, Modica… Siamo qui per un momento insieme, per percorrere insieme un pezzettino di vita. Ma per percorrerlo insieme dobbiamo conoscerci». Ciascuna coppia si è poi presentata, ma in un modo particolare: l’uno ha parlato dell’altro, in prima persona. E sono venute fuori così briciole di vita: il giovane del Bangladesh che ama disegnare bandiere, quello della Costa d’Avorio che è cuoco. Il ragazzo che nel suo Paese, la Guinea Bissau, studiava Economia. Ora qui ha preso la terza media ma vuole studiare per portare a termine gli studi economici. A settembre andrà al Linguistico un giovane del Gambia, che a giugno ha preso il diploma di terza media con la media del 9. Sabir ha 26 anni, lavora nelle serre. Anche se cerca qualcosa di più stabile, perché il lavoro che ha è precario. «Nodo dopo nodo – ha ribadito don Gianni – potremo costruire qualcosa di bello, come in una rete». Ciascun ragazzo ha realizzato un disegno, per raccontare la propria terra. I maestosi elefanti della Costa d’Avorio, lo stemma della Guinea e una mano con tanti colori, nella consapevolezza che «L’unione fa la forza». Un sentimento comune di gratitudine per l’accoglienza e l’affetto ricevuti in Italia, a Modica, e la volontà di potere aiutare anche gli altri. «Studio scienze umane perché voglio essere d’aiuto ad altre persone», ha detto Zaikary. La serata si è poi conclusa con una cena comunitaria, con prodotti preparati da volontari, cittadini e dagli stessi giovani dei centri di accoglienza. Non poteva mancare la musica, a ritmo di bongo, per una serata pensata per abbattere i muri dell’indifferenza e per costruire ponti di umanità e fratellanza. Spiega Giorgio Abate, responsabile Immigrazione della Caritas di Noto: «Abbiamo pensato a questo momento chiedendo ai ragazzi di portare con sé e di condividere con i modicani qualcosa del proprio Paese. Perché la cosa fondamentale è conoscerci: storie, motivazioni del viaggio, aspirazioni. Per eliminare i pregiudizi, che nascono proprio dalla mancanza di conoscenza delle storie di vita, delle situazioni che queste persone sono state costrette a vivere. È la nostra risposta all’appello di Papa Francesco, all’iniziativa Share the Journey – Condividi il viaggio. Per questo abbiamo chiesto loro di portare poesie, disegni e testimonianze».

Silvia Crepaldi
Da «La Sicilia», 9 agosto 2018


Rifugiati: «Un’altra storia è possibile».

È stato il tema dell’incontro che ha dato inizio, ieri sera (7 agosto 2018), nella Parrocchia di Marina di Modica, ai festeggiamenti dell’Assunzione di Maria con una serata di testimonianze e di riflessioni sul tema della migrazione e dell’integrazione. “I cristiani hanno la responsabilità di portare una voce diversa nel mondo – ha detto don Christian Barone che ha curato l’organizzazione della serata in collaborazione con la comunità missionaria intercongregazionale di Modica, la Caritas diocesana e l’associazione We care -, la voce dei testimoni che anche questa sera ci hanno raccontano la loro vita e la loro storia, la storia dei loro paesi ancora oggi sotto scacco agli interessi di multinazionali che non vanno a casa loro per aiutarli, ma per depredarli. Per questo è necessario rifiutare le narrazioni parziali e interessate, e cercare di entrare in una riflessione che tenga conto di una visione più ampia, che guardi alla migrazioni come un fenomeno naturale che può essere una benedizione in un paese dove la curva demografica è decrescente senza nel contempo sottovalutare le cause di questo fenomeno e le responsabilità di questo fenomeno”.
Sulle cause e sulle responsabilità si è soffermata Irene Cerruto, operatrice della Caritas diocesana, che ha parlato del debito che i paesi europei hanno contratto con il popolo africano a partire dall’undicesimo secolo quando gli europei iniziarono a “invadere” il continente africano e a depredarlo e a destabilizzarlo. “Ancora oggi non si riconosce questo debito e non si chiede scusa al popolo africano – ha aggiunto l’operatrice Caritas – ma si cerca di criminalizzare la richiesta di aiuto che viene da chi si è messo in cammino per sfuggire alle cause della nostra presenza secolare in Africa”. Anche per questo la Caritas diocesana ha raccolto l’appello di Caritas Italiana per creare una rete di amicizia tra i paesi del Mediterraneo. Lo scorso giugno don Christian, padre Gianni Treglia e Irene Cerruto sono stati in visita presso la Caritas di Tunisi per dare inizio a un gemellaggio con una Chiesa fragile ma coraggiosa, che opera in silenzio in un Paese che non permette la predicazione. Successivamente le testimonianze di Buba, un giovane della Guinea costretto a fuggire a 16 anni dal suo Paese perché l’etnia a cui appartiene è perseguitata, e di Elias e Leandra, una coppia mista che fa i conti giornalmente con il clima difficile di insofferenza e pregiudizi e, in alcuni casi, anche di intolleranza. Testimonianze che hanno contribuito a raccontare una storia diversa, una storia che non corrisponde ai tanti slogan, ai luoghi comuni, alle fake news che ci raccontano di crociere, di taxi e di hotel, ma di morte e di violenze, di prigioni, nei paesi di transito, nel deserto, e poi nel mare, l’unico tratto a noi visibile e dove spesso arriva solo una minima parte di coloro che avevano iniziato il viaggio. Ma hanno raccontato anche un’altra storia, una storia possibile, della loro voglia di fare del proprio meglio, dei loro successi nelle scuole italiane, della loro integrazione, dei primi amici italiani, della speranza di un futuro di pace per loro, per le comunità che li accolgono e per i loro paesi di origine.

Dalla pagina FB della Caritas della diocesi di Noto

 

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Mali elezioni: verso il secondo turno ma accuse di brogli


In Mali lo scorso 29 luglio si è svolto il primo turno delle elezioni presidenziali. In attesa dei risultati definitivi, che saranno pubblicati dal Corte Costituzionale, si profila un ballottaggio senza sorprese tra il presidente in carica, Ibrahim Boubakar Keita e l’oppositore Soumaila Cissé, che si dovrà tenere domenica 12 agosto.

Ma l’opposizione non ci sta, e accusa il governo di «Colpo di stato elettorale». Diciotto candidati dell’opposizione si sono infatti uniti per chiedere il riconteggio dei voti. Le accuse sono di frodi elettorali, compra vendita di voti, e impossibilità di recarsi alle urne in alcune regioni del paese (ad esempio a Timbuctu). Diversi candidati hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale.

L’opposizione chiede pure le dimissioni del ministro dell’Amministrazione territoriale e del decentramento, incaricato dell’organizzazione delle elezioni. Lo stesso Soumaila Cissé, arrivato secondo, qualifica lo scrutinio di «dittatura della frode». Ma per il governo «queste accuse di frodi non sono giustificate», e il presidente del Mali, Keita, si felicita per il processo elettorale in corso. (MB)


Leggi l’articolo di Marco Bello in MC 8-9/2018 su Mali, LVIA, una Ong contro la guerra, per un analisi approdondita della situazione del paese.

Nord Mali, regione di Gao. Foto Archivio LVIA




Bolivia, il 5° Congresso Missionario Americano (CAM 5) /2

Testo e foto dal CAM 5 di Jaime C. Patias e Geraldo Martins |


La Chiesa di essere “decisamente missionaria”, non autoreferenziale, ma impegnata “per trasformare le strutture di morte e di corruzione, che sono all’origine di così tante violenze”.

CAM 5: essere una chiesa decisamente missionaria

11 luglio 2019 – Il presidente della Conferenza Episcopale della Bolivia, Mons. Ricardo Ernesto Centellas Guzman è stato molto chiaro nel parlare delle sfide della Chiesa, alla sessione di apertura dei lavori del 5° Congresso Missionario Americano (CAM 5) tenuta il mercoledì, 11 luglio, al Collegio Don Bosco, a Santa Cruz de la Sierra in Bolívia. Il vescovo ha sottolineato la sfida per la Chiesa di essere “decisamente missionaria”, non autoreferenziale, ma impegnata “per trasformare le strutture di morte e di corruzione, che sono all’origine di così tante violenze”.

Mons. Ricardo ha ricordato in particolare la difficile situazione vissuta nella Nicaragua e nella Venezuela. “Le esperienze della Nicaragua e del Venezuela nel nostro Continente Americano non possono essere ripetute”, ha detto tra gli applausi dei 2.500 delegati al Congresso provenienti da 24 paesi del Continente. “Dobbiamo lavorare affinché politiche dei Governi che gestiscono lo sviluppo umano promuovano e sostengano i diritti umani e costituzionali nelle nostre società in qualsiasi circostanza”, ha aggiunto il vescovo.

Il presidente della Conferenza ha poi esortato i partecipanti del Congresso a impegnarsi per rendere la Chiesa più misericordiosa, audace nella testimonianza e nel farsi una Chiesa povera per i poveri. “[Sia] una Chiesa che cammina con la sua gente e non che usa la sua gente, centrata sul servizio umile e non sul potere e sull’ambizione che uccide il cuore umano”, ha concluso Mons. Ricardo.

Condividere i missionari

CAM 5 Cardinal Filoni

L’inviato speciale del Papa Francisco al CAM 5, il Cardinale Fernando Filoni, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di rispondere alla carenza di vocazioni missionarie con “una generosa volontà di condividere missionari con le Chiese più povere … Lasciarci guidare “da un amore profondo e generoso

al servizio delle comunità più svantaggiate per proclamare il Vangelo”.

Il Cardinale ha sottolineato come la generosità dei missionari che hanno annunciato il Vangelo in America nel passato continua ancora adesso. “In molte parti dell’America, c’è bisogno di autentici ministri del Vangelo. Tutti dobbiamo la nostra fede, all’impegno generoso dei missionari che sono venuti prima di noi e non credo che questa generosità si sia esaurita “, ha osservato.

Filoni ha anche detto che il Papa Francesco vuole che tutta la Chiesa si ponga in uno stato di missione permanente. “Preghiamo perché Dio invii evangelizzatori e missionari felici ed entusiasti di portare il nome del Signore alle periferie in vista di un mondo più giusto”, ha aggiunto.

Perché la missione e quale il suo contenuto?

CAM 5 – l’arcivescovo Giampietro Dal Toso

Secondo il presidente delle Pontificie Opere Missionarie (PP.OO.MM), l’arcivescovo Giampietro Dal Toso, la missione dipende dalla risposta a queste due domande. “La missione della Chiesa nasce dalla stessa vita di Dio. Il Padre, il creatore, che ha mandato suo Figlio, e ora vuole chiamarci ad essere suoi collaboratori nella missione salvifica”, ha spiegato. “Il primo atteggiamento a cui desidero invitarvi all’inizio di questo Congresso è quello che suggerisce Papa Francesco: guardiamo a Gesù, il missionario del Padre, con un cuore aperto, lasciandoci contemplare da Lui”.

L’arcivescovo ha poi ribadito che lo Spirito Santo è il protagonista della missione e che “l’ardore, la creatività, la fedeltà alla missione rimangono vivi solo quando rinnoviamo la decisione di avere fiducia nello Spirito Santo”.

Il presidente delle PP.OO.MM ha aggiunto che Gesù Cristo, morto e risorto, è il contenuto della missione e che la croce non è solo un simbolo, “ma una realtà viva e presente in mezzo a noi. Cristo, morto e risorto, è allo stesso tempo soggetto e oggetto della nostra missione. L’annuncio del Cristo morto e risorto è il cuore della missione, è il kerygma. Non possiamo parlare di missione senza fare riferimento a questo nucleo della nostra fede”, ha spiegato Dal Toso.

“Se la fede come virtù, non si nutre del contenuto della fede, diventa sentimentalismo. Cioè se la fede intesa come contenuto dottrinale non è nutrita da una esperienza di fede viva, diventa ideologia. La fede come atteggiamento descrive l’abbandono di se stesso a Dio da parte del credente. La fede come contenuto mostra chi è questo Dio in cui crediamo, che è il Dio che ha rivelato se stesso “.

Alla fine del suo intervento, Mons. Giampietro Dal Toso ha sollecitato la platea dei missionari con diverse domande, particolarmente provocatoria  e radicale è stata quest’ ultima: “Perché dovremmo rafforzare la dimensione missionaria e in modo particolare, la missione ad gentes?

P. Geraldo Martins e P. Jaime C. Patias, IMC

CAM 5




Bolivia, il 5° Congresso Missionario Americano (CAM 5) /1

Testo e foto dal CAM 5 di Jaime Carlos Patias, IMC |


10 luglio 2019 – La Missione “ha un cuore, un centro, un nome: Gesù Cristo”. Il lavoro missionario non è “filantropia”, nemmeno è nato “dalle nostre opere di buona volontà”, ma è prima di tutto una “benedizione” per tutti coloro ai quali il Vangelo è annunciato.

CAM 5 messa di apertura

Questo è il cuore del messaggio che il Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha pronunciato, martedì 10 Luglio, durante la Messa di inaugurazione del 5° Congresso Missionario Americano (CAM 5), nella città de Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia.

Dal 10 al 14 luglio circa 3.000 missionari provenienti da tutta l’America si incontrano per riflettere sulla “gioia del Vangelo, cuore della missione profetica, fonte di riconciliazione e di comunione”. Sono laici, sacerdoti, diaconi, vescovi, religiosi e seminaristi che, durante il Congresso, saranno accolti dalle famiglie di Santa Cruz in 55 parrocchie e in alcune case religiose.

“La storia della salvezza porta sempre la benedizione di Dio”, ha detto il Cardinale Filoni, inviato speciale del Papa Francesco al Congresso. “Nel nome di Gesù si trova tutta la benedizione di Dio per l’umanità. E, quindi, il lavoro missionario è soprattutto un servizio di benedizione per tutti coloro ai quali viene annunciato il nome del Signore. Le stesse opere di educazione, di sostegno e di difesa degli oppressi, insieme alle opere di carità, di giustizia, di scelta preferenziale dei poveri e degli emarginati, insomma l’uscita verso le varie periferie esistenziali, come dice il Papa Francisco, sono legate tra loro indissolubilmente dal nome di Gesù, e per questo, sono una benedizione”, ha aggiunto il Cardinale Filoni mentre ricordava che il lavoro missionario è, nello stesso tempo, annuncio e testimonianza. “Annuncio di Gesù e testimonianza della vita ricevuta in Cristo”.

Madre Maria Ignazia de Jesus

CAM 5 – Madre Maria Ignazia de Jesus

A questo proposito, il Cardinale ha citato l’esempio della Beata Madre Maria Nazaria Ignazia di Gesù, autentica “missionaria del nostro tempo”, le cui reliquie erano presenti alla messa. Una donna spagnola che ha vissuto tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo, in Bolivia, dove ha scoperto un grande passione per l’apostolato missionario e per questo ha fondato la Congregazione delle Missionarie Crociate della Chiesa, dedicata al servizio dei poveri e degli emarginati. La Beata sarà canonizzata il 14 ottobre da Papa Francesco.
Alla fine, il Cardinal Filoni ha espresso l’augurio che questo Congresso possa, “rafforzare il nostro impegno missionario e dare un nuovo impulso nello zelo e nella passione per Cristo. Questa è la vera benedizione”.

A nome del Papa, il Cardinale ha ringraziato i vescovi della Bolivia e il direttore delle Pontificie Opere Missionarie (PP.OO.MM) per l’impegno profuso nell’organizzazione del Congresso.

Partecipano al Congresso in Bolivia, 12 missionari e missionarie della Consolata, tra cui il Superiore Generale, P. Stefano Camerlengo, Il Consigliere Generale per l’America, P. Jaime C. Patias e la Consigliera Generale per l’America, suor Maria Conceição. Sono presenti anche i vescovi colombiani, Mons. Luiz Augusto Castro, arcivescovo di Tunja e Mons. Francisco Javier Munera Correa, del Vicariato Apostolico di San Vicente del Caguán.

Congressi Missionari Continentali

Nel 1977, il Messico ha celebrato il suo 7° Congresso Missionario Nazionale, a Torreón. Su iniziativa del Cardinale Agnelo Rossi, allora Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, sono stati invitati al Congresso i vescovi responsabili delle Commissioni missionarie e i direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie (PP.OO.MM.) di diversi paesi dell’America Latina, che in questo modo ha conferito un carattere continentale all’evento. In quel Congresso fu presentata la proposta di ripetere l’esperienza a livello Latino Americano ogni cinque anni. Così, il Congresso Missionario di Torreón (Messico) nel 1977, è diventato il 1° Congresso Missionario Latino Americano (Comla 1). Nel 1999, in occasione del 6° Comla nella città di Paranà, Argentina, il Congresso ha aperto i suoi confini a tutto il Continente Americano, diventando il 1° Congresso Missionario Americano (CAM 1) e il 6° Congresso Missionario Latino Americano (Comla 6). Mettendo insieme i due eventi, è diventato (CAM 1 – Comla 6).

CAM 5

Cronologia

  • 1977 – Comla 1, Torreón (Messico);
  • 1983 – Comla 2, Tlaxcala (Messico)
  • 1987 – Comla 3, Bogotá (Colombia)
  • 1991 – Comla 4, Lima (Perù)
  • 1995 – Comla 5, Belo Horizonte (Brasile)
  • 1999 – CAM 1 – Comla 6, Paraná (Argentina)
  • 2003 – CAM 2 – Comla 7, Guatemala (Guatemala)
  • 2008 – CAM 3 – Comla 8, Quito (Ecuador)
  • 2013 – CAM 4 – Comla 9, Maracaibo (Venezuela).
  • 2018 – CAM 5, Santa Cruz de la Sierra (Bolivia). Viene abbandonato definitivamente l’acronimo Comla, per essere conosciuto unicamente come CAM.

Jaime C. Patias, IMC

CAM 5 – concelebrazione iniziale


Celebrazione di apertura

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La testimonianza di mons. Eugenio Scarpellini, vescovo di El Alto, sul V CAM

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=WLP1DB1A70g?feature=oembed&w=500&h=281]

La parola di padre Stefano Camerlengo, superiore generale dei Missionari della Consolata

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=6O3HF0LURik?feature=oembed&w=500&h=281]




Migranti: a Pozzallo, in preghiera, veglia per non dimenticare

Dalla veglia sul lungomare di Pozzallo |


“Non ti allarmare fratello mio, dimmi, non sono forse tuo fratello? Perché non chiedi notizie di me?”.

Sono parole tratte da una poesia di Tesfom Tesfalidet, il ventiquattrenne eritreo ripescato in mare e portato a Pozzallo il 13 marzo scorso, ricoverato in condizioni disperate per la fame, la tbc e le percosse subite dai trafficanti e morto dopo 24 ore di agonia. Queste stesse parole hanno dato il tono alla veglia di preghiera celebrata il 6 luglio a Pozzallo, all’aperto, davanti al mare che negli ultimi anni è diventato tomba di oltre 34.000 morti tra uomini, donne e bambini, annegati nelle drammatiche traversate del Mediterraneo, nella ricerca di una vita più dignitosa.

Pensieri ed immagini forti che scuotono le coscienze, per svegliarci dall’indifferenza. Dopo la poesia di Tesfom, un video tanto toccante quanto sconvolgente: i corpi senza vita, di uomini donne e bambini, le urla strazianti di paura, il mare, via di salvezza per alcuni, tomba per molti altri che cercavano semplicemente una vita migliore. Ha lasciato senza fiato.

Una veglia per non dimenticare, una richiesta di perdono a Dio per l’indifferenza che “ci ha tolto la capacità di piangere” (omelia di Papa Francesco a Lampedusa), per la mancata presa in carico della sofferenza di questi fratelli, una disattesa risposta di carità, che in quanto cristiani ci deve inquietare; un momento di riflessione per tanta ingiustizia sociale che è causa di sfruttamento e di povertà per questi popoli.

Una veglia organizzata dalla diocesi di Noto, insieme con la Caritas diocesana, la fondazione Migrantes, l’associazione We Care e il comune di Pozzallo. In tanti hanno riempito l’anfiteatro pietrenere del lungomare di Pozzallo. P. Gianni Treglia, missionario per 16 anni in Tanzania, ha introdotto il momento di preghiera, ricordando il dolore di queste morti innocenti e l’impegno dei cristiani a non lasciare da soli questi fratelli, senza chiudersi nell’egoismo e nella paura.

Padre Gianni Treglia

Nel corso della veglia, sono state lette alcune poesie del giovane Tesfom e alcuni interventi di Papa Francesco, sempre così attento, dall’inizio del suo pontificato, al dramma degli immigrati. Francesco, che nello stesso giorno ha celebrato in San Pietro la Messa per loro, ha affermato nella sua omelia che la solidarietà e la misericordia sono le uniche risposte sensate a fronte di questa emergenza.

Papa Francesco in una sua preghiera ci ricorda che possiamo onorare il loro sacrificio con le opere più che con le parole. Bisogna farsi carico di ogni povero e disperato, altrimenti no, altrimenti non ci deve essere dato di dormire sonni tranquilli. L’Africa è terra ricca di risorse costantemente depredate, ognuno di noi ha il dovere di sentirsi coinvolto per questo, mentre godiamo di privilegi costruiti sullo sfruttamento di beni dei quali ci arroghiamo la proprietà, è un’ingiustizia e da troppo tempo ne siamo complici silenziosi. Il cristiano non può far finta di niente, altrimenti semplicemente non è cristiano.

Il Vicario generale della diocesi di Noto, Mons. Angelo Giurdanella

Nella sua riflessione, il Vicario generale della diocesi di Noto, Mons. Angelo Giurdanella, ha rimarcato la responsabilità dei cristiani verso questa crisi umanitaria, esortando tutti, credenti e non, a farsi promotori di una cultura più “umana” – quella “cultura dell’incontro”, così centrale nell’insegnamento del Papa -, e di non chiudere i porti, ma soprattutto i cuori e le menti.

Davanti al mare di Pozzallo, città simbolo degli sbarchi, un piccolo ma deciso segnale di umanità, proprio da questa città che ha dato i natali a Giorgio La Pira (di cui il Papa ha nei giorni scorsi ha dichiarato le “virtù eroiche”, primo passo verso la beatificazione), profeta dell’incrollabile speranza e dell’ineluttabilità della pace, poiché  …la storia è intrinsecamente mossa ed orientata -malgrado tutte le resistenze del peccato- verso l’unità, la pace e la liberazione dei popoli di tutta la terra.” (Giorgio La Pira).

Ma in questo momento storico, quando sembra che i cuori impietriti stiano prendendo il sopravvento, la veglia è stata segno di speranza. L’anfiteatro era gremito di gente, perfino fuori le persone erano numerose. Questa presenza massiccia è segno che noi restiamo umani!

Da testi di don Alessandro Paolino e Federica Puma

Il video usata durante la preghiera.

http://https://youtu.be/4Ma4a4wKjIQ

“l numero dei morti nel Mediterraneo aumenta, ogni giorno. Vogliamo ricordarli, nostre sorelle, nostri fratelli, la cui unica colpa è il sogno inseguito, sogno di pace, … mai raggiunto. Una Veglia Penitenziale per chiedere a Dio perdono per l’INDIFFERENZA che non ci fa chiedere notizie del fratello, per ogni forma di INGIUSTIZIA SOCIALE causa dell’impoverimento dei popoli, per la mancata PRESA IN CARICO dei poveri che tendono a noi la mano”. (padre Gianni Treglia, imc).

“La memoria dei morti ci aiuti a difendere i vivi e a scegliere con intelligenza, determinazione ed efficacia quella umana via per cui ero straniero e mi avete accolto” (mons. Matteo Zuppi)

Veglia organizzata dalla diocesi di Noto, insieme con la Caritas diocesana, la fondazione Migrantes, l’associazione We Care e il comune di Pozzallo. Con il Vicario generale della diocesi di Noto, Mons. Angelo Giurdanella




Aquarius: dai Missionari italiani appello al Presidente del Consiglio


Dai Missionari italiani appello al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte

11 giugno 2018 – Come cittadini e cristiani siamo esterrefatti e indignati della decisione del ministro degli interni Matteo Salvini che impedisce alla nave Aquarius di portare in salvo nei porti italiani 629 migranti, salvati in acque territoriali libiche.

Il rifiuto di prestare soccorso ai migranti non ha precedenti nella nostra storia ed è in flagrante violazione delle convenzioni internazionali, di cui anche l’Italia è firmataria, che obbligano il soccorso in mare a chi è in pericolo di morte.

Tra i migranti sulla nave ci sono oltre cento minori non accompagnati e sette donne incinte. Una cinquantina di migranti sono stati salvati mentre erano a rischio di morire annegati.

Deploriamo la decisione di Malta, prima destinazione di sbarco, che si è rifiutata di accettare l’attracco della nave Aquarius. Così come la chiusura della Francia e della Spagna (che all’ultima ora si è detta disponibile a ricevere la nave nel porto di Valencia) ad ogni possibilità di accoglienza dei migranti. Ma è deplorevole e vergognoso che l’Italia decida di allinearsi, facendo così pagare a persone innocenti bisognose di aiuto il prezzo di una diatriba tra stati su chi si debba assumere la responsabilità di accogliere i migranti.

Chiediamo pertanto che il nuovo governo italiano ritorni sulla decisione presa dal ministro Salvini e dia immediatamente il benestare alla nave Aquarius di approdare a uno dei porti italiani più vicini a dove si trova ora la nave.

È vero, l’Italia non può essere lasciata sola di fronte a un fenomeno migratorio che ha una portata enorme e implicazioni internazionali (specie nel bacino del Mediterraneo) che chiamano in causa l’attenzione e il peso geopolitico dell’Unione Europea. È quindi corretto e giusto che il governo italiano faccia sentire la propria voce a Bruxelles, chiedendo ai partner europei di farsi carico, anche loro, del dossier migranti.

Ma nello stesso tempo l’Italia non può sottrarsi al dovere di accogliere persone che, in gran parte, cercano di costruirsi una vita migliore in Europa e che, in alcuni casi, fuggono da guerre e da regimi dittatoriali.

È importante che l’Italia mantenga un doppio ruolo: essere un porto sicuro per i migranti e nel contempo non smettere di sollecitare l’Europa a trovare soluzioni percorribili (non semplicemente fondate sul controllo militare delle aree di transito dei migranti, come avviene in Niger e Mali), anche nei paesi di partenza dei migranti.

I partner europei devono essere sollecitati a spostare il baricentro delle proprie politiche verso il Mediterraneo. È qui – in particolare attraverso la pacificazione e la stabilizzazione degli stati nordafricani – che si possono cominciare a costruire nuovi equilibri politici ed economici.

Conferenza degli istituti missionari italiani (CIMI)
Segretariato unitario di animazione missionaria (SUAM)
Commissione Giustizia, Pace e Integrità del Creato (GPIC) della CIMI

Della Cimi e del Suam fanno parte i seguenti Istituti missionari:

  • Comboniani e Comboniane (Pie Madri della Nigrizia)
  • Francescane missionarie di Maria
  • Missionari d’Africa (Padri Bianchi)
  • Missionari e missionarie della comunità di Villaregia
  • Missionari e missionarie della Consolata
  • Missionari e missionarie Saveriani
  • Missionarie dell’Immacolata
  • Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli
  • Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere)
  • Società delle missioni africane
  • Verbiti (Società del Verbo Divino)



Due missionari nominati cavalieri della Stella d’Italia


2 giugno 2018, festa dell’Italia a Nairobi

Grazie ai missionari e ai volontari italiani

Il 2 giugno scorso nella residenza dell’ambasciatore d’Italia a Nairobi, durante la celebrazione per la festa della Repubblica, l’ambasciatore, Mauro Massori, ha voluto ringraziare i missionari e i volontari italiani e ha insignito del titolo di Cavaliere della Stella d’Italia due missionari della Consolata, padre Gerardo Martinelli e suor Michelina Borra. Riportiamo le sue parole in una nostra traduzione.

“Tante grazie alle suore e ai preti italiani che senza stancarsi operano in Kenya seguendo (l’esempio) dei pionieri che arrivarono alla fine del 19° secolo; le vostre iniziative di sviluppo sono una vera testimonianza di quello che la frase impegno per l’umanità significa. Voi siete stati, e lo siete ancora, i migliori testimoni della presenza italiana in Kenya. Attraverso il vostro lavoro e la vostra missione, create davvero il terreno per l’amicizia tra i nostri popoli.

Tante grazie alle Ong italiane: la nostra voce, insieme a quella delle suore e preti italiani, negli angoli più dimenticati e poveri di questo paese. Grazie alla vostra dedizione, l’italia può giocare un ruolo importante che testimonia, anche più dell’impegno (più propriamente) politico, l’amicizia tra le nostre due nazioni. Grazie per la speranza e i sorrisi che voi continuate a mettere sulle facce che incontrate ogni giorno nel vostro lavoro. Forse non lo sapete, ma durante il mio servizio qui in Kenya, ho attinto proprio dal vostro lavoro l’ispirazione per andare avanti anche quando le cose sembravano difficili. Vi voglio dare solo alcuni esempi: le parole degli studenti della scuola Piccolo principe in Kibera (slum di Nairobi, ndr), fondata dall’AVSI, che hanno condiviso con me i loro sogni mentre rappresentavano Pinocchio; i sorrisi degli orfani e dei bambini vulnerabili ospiti in Nanyuki della Ong OSVIC, che grazie a Maria Grazia e al suo team ricevono amore e la possibilità di una vita dignitosa; e l’instancabile attività del dottor Morino nel Nehema Hospital (a Nairobi). Questo sono le cose che mi hanno dato il coraggio e la forza di andare avanti, affrontando le mie attività quotidiane con l’apertura e la gratitudine acquisite solo attraverso tali esperienze.

I Keniani probabilmente non ricorderanno mai quello che io ho detto o fatto negli ultimi quattro anni, ma non possono dimenticare quello che voi avete fatto e continuate a fare qui per loro e con loro”.

Cavalieri della Stella d’Italia

“Ho il piacere adesso di chiamare su questo podio suor Michelina Borra e padre Gerardo Martinelli (missionari della Consolata, ndr). Michelina e Gerardo, è per me un grande onore insignirvi del titolo di Cavaliere della Stella d’Italia per il vostro impegno senza fine qui in Kenya nell’assistere con amore, passione e compassione le persone più vulnerabili. Attraverso le vostre attività voi date un importante contributo a rafforzare i legami di amicizia tra il popolo del Kenya e quello dell’Italia.

Con questa onorificenza data dal presidente italiano Sergio Mattarella su richiesta dell’Ambasciata d’Italia a Nairobi, vogliamo celebrare non semplicemente due singole persone, ma anche l’incalcolabile ruolo giocato da tutti i padri e le suore dell’ordine della Consolata. L’ordine, stabilitosi in Kenya fin dal 1902, ha avuto un ruolo essenziale per lo sviluppo umano e spirituale del popolo di questa regione (permettetemi di ricordare qui la beatificazione nel 2015 di suor Irene che ha speso la sua vita in Kenya all’alba del secolo scorso, e la beatificazione, appena pochi giorni fa [26 maggio] a Piacenza, di suor Leonella Sgorbati, che, dopo aver speso più di trent’anni in Kenya, è stata uccisa nel 2006 a Mogadiscio da un estremista islamico).

Congratulazioni. Grazie. Viva la Consolata. Viva l’Italia. Ogni bene a voi e alle vostre famiglie”.

Massori Mauro
ambasciatore d’Italia in Kenya


Italian Day in Nairobi

Thanks to the Italian missionaries and Volunteers

“Many thanks to the Italian nuns and priests who effortlessly operate in Kenya following the pioneers who came at the end of the 19th century; your development initiatives are a true testament of what the sentence “commitment to humanity” means. You were, and still are, the best witnesses of the presence of Italy in Kenya. Through your work and mission, you do create the ground for the friendship between our peoples.

Many thanks to the Italian NGOs: our voices, jointly with that of the Italian nuns and priests, in the forgotten and poorest corners of this Country.  Thanks to your dedication, Italy can play a critical role which witnesses, even more than the political sphere, the friendship between our countries. Thank you for the hope and smiles you continue to put on the faces you encounter every day in your work. You might not be aware of this, but in the course of my service here in Kenya, I have drawn my inspiration to carry on, even when things seemed difficult, from your work. Just to give you a few examples, they have been the worlds of the students of Little Prince School in Kibera, founded by the Italian NGO AVSI, who have shared with me their dreams as they acted in the play “Pinocchio”, the smiles of the orphans and vulnerable children hosted in Nanyuki by the NGO OSVIC, who thanks to Maria Grazia and her team, receive love and a chance to live a life of dignity, and the tireless activity of Dr. Morino in Nehema Hospital, that have given me the courage and strength to go on, to face my daily activities with openness and gratefulness acquired only through such experiences.

Kenyans may never remember what I said and what I have done in the past four and a half years, but they cannot forget what you have done and continue to do here for them and with them.

New knights of the “Star of Italy”

It is my pleasure, now, to call to the podium Sister Michelina Borra and Father Gerardo Martinelli. Michelina and Gerardo, it is for me a really great honor to present you with the award of the Knight of the Star of Italy for your endless commitment here in Kenya to assist with love, passion and compassion, the more vulnerable people.  Through your activities, you give an important contribution also to the strengthening of excellent and friendly relations between the people of Kenya and the people of Italy.

With these awards, granted by the Italian President, Sergio Mattarella, on the proposal of the Italian Embassy in Nairobi, we intend to celebrate

not only the two single people but also the invaluable role played by all the sisters and fathers of the order of La Consolata. The order, established in Kenya in 1902, since then has played an essential role for the spiritual and human development of the people of this region (allow me just to recall the beatification in 2015 of Sister Irene who spent her life here in Kenya at the dawn of the last century and the beatification, just a few days ago in Piacenza, of Sister Leonella Sgarbati who, after spending more than thirty years in Kenya, was killed in 2006 in Mogadishu by Islamic extremists).

Congratulation!

Thank you. Viva la Consolata. Viva l’ Italia. All the best for you and your families.

Massori Mauro
Italian ambassador in Kenya

Padre Gerardo Martinelli Insignito il 2 giugno 2018 a Nairobi del titolo di Cavaliere della Stella d’Italia




Tanzania: Maria e Consolata sono tornate a Casa

Carissimi, Carissime,

Due anni fa in occasione della festa della Consolata inviai un articoletto dal titolo ‘Maria…Consolata.’ Scrivevo: ‘Non pensate che intenda parlare della Madonna. Mi riferisco a due sorelle siamesi nate al Consolata Mission Hospital di Ikonda il 19 novembre 1997. Non solo erano unite, ma intrecciate in modo anomalo mai visto. Tutti pensavano che sarebbero morte subito, per cui Sr. Magda le battezzo’ con i nomi di Maria e Consolata.’

Ebbene, ieri sera 2 giugno le due sorelle sono ritornate a Casa. Prima Maria e un’ora dopo Consolata, che non aveva notato la dipartita della sorella. Attorno a loro si era creata una catena di solidarieta’ per assisterle. Si prepararano spiritualmente e chiesero perdono per il disturbo recato durante la loro vita. Erano studenti di Legge all’Universita’ Cattolica di Iringa. La loro morte era annunciata. Da dicembre avevano avuto varie complicazioni.

Due anni fa scrivevo: “Maria e Consolata! Un mistero di vita. Un mistero di vita assieme: sempre assieme, tutto assieme. Ch potra’ mai scandagliare questo mistero? E guardando avanti: come sara’ il loro ritorno al Padre? Il Signore sara’ compassione. Credo ci sara’ perfetta comunione in morte, come in vita. Non riesco a immaginare che una possa soppravvivere all’altra anche solo per poco. Il Signore le accogliera’ come ‘martiri.’ Non sangue versato, ma una vita per noi! Dal Signore stesso avranno ricevuto risposta alla loro frequente domanda: ma perche’ noi siamo cosi’? Immagino la risposta: ‘Perche’ poteste essere salvezza per molti.’ Misteriosa verita’!

Senza piu’ ripetermi piu’ vicini alla festa della Consolata, il 20 giurgno, gia’ assicuro il mio grato e affettuoso ricordo. La Consolata terga le nostre lacrime. Ci sia consolazione nelle difficolta’. Ci accarezzi dolcemente. Interceda per noi maternamente.

In Lei un forte-forte abbraccio.

p. Giuseppe Inverardi (IMC)
3 giugno 2018

MC ha pubblicato la loro storia nel gennaio di questo 2018.

Padre Godfrey Msumange, tanzaniano e consigliere generale dei Missionari della Consolata, ha scritto:
“Grazie Signore per il dono di questa vita delle ragazze siamesi Maria e Consolata in mezzo a noi. Avevano 21 anni. Vostra vita è stata una testimonianza forte di santità, (proprio come dice il papa nel esortazione apostolica Gaudete Exsultate), una scuola di coraggio, di pazienza, non lamentarsi, di preghiera, di vita, di comunione, di gioia, di mitezza, di servizio nonostante tutto. Avete lasciato una eredità preziosa umana e spirituale per l’intera umanità. Li, al Gran Capo, pregate anche per noi”.

Baba Godfrey

Foto del 13 settembre 2017, rilasciata dalla Ruaha Catholic University (RUCU). Mostra le due gemelle siamesi Maria (a sinistra) e Consolata Mwakikuti nell’ostello dell’università a Iringa il giorno del loro arrivo per frequentare la stessa università. / AFP PHOTO / THE RUAHA CATHOLIC UNIVERSITY / Mwazarau Mathola




Bangui, ferita, in cerca di eroi

Testo di Federico Trinchero – Notiziario da Bangui |


«Nei momenti più difficili emergono degli eroi e non dubito che degli eroi esistano nella Repubblica Centrafricana per alzarsi, come un solo uomo, per dire no alla violenza, no alla barbarie, no alla distruzione di se stessi». È questo l’appello che l’arcivescovo di Bangui, il cardinal Dieudonné Nzapalainga, ha rivolto alla capitale e all’intera nazione in questi giorni drammatici, carichi di tensione e di tristezza.

Cos’è successo a Bangui? La mattina del primo maggio, durante una celebrazione nella parrocchia di Notre Dame de Fatima (a poca distanza dal nostro convento), un gruppo armato proveniente dal quartiere Km5 (un’enclave a maggioranza musulmana, da anni il focolaio principale delle tensioni della capitale) ha aperto il fuoco sulla gente in preghiera provocando morti e feriti. L’incursione è avvenuta come rappresaglia in reazione ad un tentativo da parte delle forze dell’ordine di catturare alcuni elementi di questo gruppo armato che, di fatto, tiene in ostaggio la capitale e alcuni stessi musulmani del quartiere.

I fedeli a Fatima avevano appena proclamato la loro fede e stava per iniziare l’offertorio. Ma la Messa è continuata con il sacrificio di sedici cristiani, tra i quali un sacerdote, l’abbé Albert Tungumale Baba. Lo scontro è poi continuato – per giorni – in altri quartieri della città provocando altri morti, altri feriti e la distruzione di due moschee. L’episodio di Fatima, che ha ferito e lasciato quasi incredula l’intera città, è avvenuto inoltre a poche settimane dell’uccisione a Séko (nel centro del paese) di un altro sacerdote, l’abbé Désiré Angbabata, insieme a undici suoi parrocchiani.

L’abbé Albert, settantun anni e tra i sacerdoti più anziani del clero di Bangui, era un pastore stimato e conosciuto per la sua semplicità e simpatia, e soprattutto per la sua opera discreta e infaticabile in favore della riconciliazione tra cristiani e musulmani. Durante le fasi più acute della guerra aveva accolto per diversi anni, nella sua parrocchia vicinissima al Km5, migliaia di profughi provenienti dai quartieri vicini. L’abbé Albert, inoltre, era a tutti noto per il suo grande amore per il sango, la lingua nazionale del Centrafrica, non particolarmente ricca di vocaboli. L’abbé Albert riusciva a tradurre ogni parola (senza usare il francese), con soluzioni geniali o giri di parole divertenti. Una volta, mentre eravamo in macchina insieme, tradusse pure il mio nome, decretando che mi si doveva chiamare Bwa (che in sango significa sacerdote) Federiki.

In un’intervista l’abbé Albert aveva detto che solo Dio può ormai salvare il Centrafrica. Non aveva tutti i torti. A salvare il Centrafrica ci hanno provato, e ci stanno ancora provando, in tanti: l’esercito nazionale, le truppe dell’Unione Africana, la missione francese (che ha comunque il grande merito di aver impedito che il conflitto diventasse un massacro), i soldati dell’Unione Europea, poi la Minusca, la grande missione dell’ONU (che, pur con tutti suoi limiti, resta al momento l’unica soluzione possibile) e ora sono all’orizzonte anche i russi. Ci ha provato pure papa Francesco che, con la sua visita nel novembre del 2015, era riuscito a regalare una tregua sufficiente per eleggere democraticamente un nuovo presidente. Con il tempo, purtroppo, l’effetto di quella visita è come svanito e l’occasione di voltare pagina è stata per l’ennesima volta sprecata. Gli scontri si sono moltiplicati su tutta l’estensione del paese e quella pace, che avevamo appena accarezzato, sembra quasi più lontana di prima.

Perché è iniziata questa guerra? E perché sembra impossibile arrestarla? Le guerre sono sempre complesse, iniziano per tanti motivi ed evolvono nel tempo. Anche per chi abita qui da anni, è difficile spiegare le vere ragioni del conflitto e, ancor di più, suggerire la soluzione giusta per spegnere l’incendio evitando che si propaghi ora qui, ora là – quasi come i fuochi della savana – lasciando solo morti, distruzione, paura e scoraggiamento. Attualmente i due campi avversari non sono neppure così nettamente distinguibili, come nei primi anni della guerra, tra Seleka (la coalizione delle milizie a maggioranza musulmana, tra cui anche mercenari di altri paesi) e gli anti-balaka (le milizie di autodifesa, sorte a difesa della popolazione del paese, a maggioranza cristiana, ma dalle quali i vescovi hanno sempre preso le distanze). La Seleka è ufficialmente sciolta. Ogni gruppo di ribelli ha il suo capo, i suoi obiettivi e la sua zona d’influenza. Non c’è più quella guerra casa per casa, quartiere per quartiere che Bangui aveva conosciuto nel 2013 e nel 2014. Ora si tratta di battaglie che hanno per protagonisti gruppi di autodifesa, i soldati dell’Onu o le forze dell’ordine. Tre quarti del paese sono come fuori dal controllo dell’autorità dello Stato.

La guerra in Centrafrica, iniziata di fatto già nel 2012, non è uno scontro confessionale o etnico. Si tratta piuttosto dell’ennesimo conflitto per la conquista del potere e per lo sfruttamento delle ricchezze di cui abbonda il sottosuolo. Purtroppo, l’elemento confessionale si è inserito violentemente, avvelenando quella convivenza tra cristiani e musulmani che faceva del Centrafrica – in un tempo ormai lontano – un esempio di coabitazione pacifica. Seko e Fatima confermano che per ritornare alla situazione precedente la strada è ancora lunga.

Durante l’omelia, in occasione dei funerali del sacerdote ucciso e di alcune delle vittime, il Cardinale di Bangui ha messo tutti con le spalle al muro denunciando l’inerzia del governo, la lentezza dell’Onu e il rischio che i cristiani cedano allo sconforto o, peggio ancora, alla logica della violenza e della vendetta. C’è un nemico insidioso che sta distruggendo il Centrafrica. E questo nemico, ha scandito il Cardinale, è il diavolo. Solo le armi della fede possono vincerlo.

Bangui, ferita al cuore della sua fede, non è arrabbiata con Dio. È arrabbiata piuttosto con quegli uomini che non vogliono la pace e, quasi obbedendo a un’agenda nascosta, si ostinano a bloccare il paese, come se fosse ineluttabilmente condannato alla miseria e alla guerra. Bangui e tutto il Centrafrica sono in cerca di eroi – tra i governanti, i soldati, i giovani – che si alzino come un solo uomo e dicano no alla guerra e sì alla pace.

Bwa Federiki
Notiziario dal Carmel di Bangui n° 21 – 8 Maggio 2018