DOSSIER TRAPIANTI Testimonianza (1)

Un trapiantato di fegato

"AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO"


Un vescovo riflette a voce alta sul suo percorso terreno. Che un trapianto

di fegato ha contribuito ad allungare. Con felicità di tutti.

È importante, anche se accade spesso solo in età matura, rendersi conto che la propria vita spirituale, culturale e fisica deve essere custodita e curata perché è dono di Dio da donare agli altri, senza mettere però da parte la saggia consapevolezza che «siamo tutti utili, nessuno è necessario».
E così un’epatopatia trascurata, un’Hcv aggressiva, un’iperattività continua ed altri fattori contingenti, mi hanno portato alla decisione, guidato da amici medici, di ricorrere a quello che vedevo come un surplus di grazia, un dono che molte persone (anch’io) hanno preventivato o i parenti permettono: il trapianto di fegato.
Ero controllato, consigliato e seguito da alcuni professionisti del settore nell’isola di Ischia, dove svolgo il ministero pastorale anche se il paziente scalpitava e continuava imperterrito la sua missione, secondo l’indicazione biblica «zelus domus tuae comedit me» (lo zelo della tua casa mi divora).
E così tra Giubileo 2000, visita pastorale 2001-2003 inframmezzata dalla visita del papa a Ischia (2002) e il lavoro ordinario diocesano senza soluzioni di continuità, sono arrivato alla fase terminale per fare il pre-olt di controlli clinici per il trapianto all’Ospedale delle Molinette di Torino e susseguente chiamata secondo l’ordine di prenotazione.
Le motivazioni che mi hanno guidato in questo periodo sono state: il dovere di continuare a servire la chiesa, la cura degli altri ma anche di se stessi («Ama il prossimo tuo come te stesso»), l’obbedienza ai medici nella consapevolezza però di un compito affidatomi che poteva essere in scadenza. Il tutto vissuto con grande serenità di spirito.
Questa serenità partiva certamente dalla fede, ma anche da una buona dose di… incoscienza non avendo mai affrontato un’operazione chirurgica. Comunque ripetevo a me e agli altri le parole di san Paolo «Ho combattuto la buona battaglia (nonostante varie sconfitte), ho conservato la fede, altro non mi resta che…» e così ero spiritualmente pronto all’eventuale tramonto della mia giornata terrena, dopo 64 anni di esistenza pienamente vissuta.
Ho affrontato così l’impegnativo trapianto di fegato nel reparto del dottor Mauro Salizzoni e della sua équipe di medici ed infermieri/e, apprezzando l’alta competenza e professionalità coniugate a tanta umanità.
La degenza è stata per me abbastanza lunga: quasi un mese, vivendo le varie vicende di sofferenza, difficoltà e contrattempi fisici con ottimismo, anche se ero «disorientato nello spazio, nel tempo e nelle persone» durante il periodo post-operatorio.
E così dal 5 dicembre al 31 dello stesso mese, pur ricevendo numerose visite, mi confortava l’eucaristia quotidiana e la santa messa ricominciata la sera della vigilia di Natale, sul tavolino della mia stanzetta di terapia semintensiva che mi sembrava una cattedrale.
Il giorno dopo scrissi alla mia gente di Ischia questa lettera:

«Carissimi, questo Natale è un insieme di gioia e sacrificio, di tenerezza e sofferenza. È il primo Natale che passo lontano “da casa” e da voi tutti dal giorno della mia venuta ad Ischia, sei anni or sono.
Invece del tepore della nostra cattedrale c’è la corsia anonima di un ospedale, invece dei nostri suggestivi presepi, il freddo luccichio di una grande città addobbata per l’occasione di queste feste, al posto di strade profumate di salsedine in riva al mare, i grandi viali gelati con le Alpi lontane, invece delle nostre case isolane e dei giardini con luci multicolori, i grandi palazzi dell’antica capitale della Sabaudia. Avverto una grande nostalgia ma Natale è Natale, è l’incarnazione di Gesù nel mondo, è l’inizio della nostra redenzione.
Natale è la contemplazione di un Dio che, per amore dell’uomo, ha assunto il volto di un bambino che Maria, madre dolcissima, avvolse in poche fasce, lo depose in una mangiatornia di legno, rivestita di paglia.
Ma Natale è anche sacrificio e sofferenza perché il legno della mangiatornia evoca il futuro lavoro del carpentiere di Nazareth e soprattutto il legno della croce dove Dio ha sofferto l’abbandono totale.
Questo è il Natale che sto vivendo… Sarà per me un vero Natale, perché misto a gioia, attesa, sacrificio e sofferenza, nell’attesa di una realizzazione di speranza, con pieno abbandono alla volontà di Dio.
A voi tutti auguro tutto il bene di questo mondo mentre la lontananza acuisce l’affetto per tutti.
Mi accorgo di volervi sempre più bene».

Ora, grazie al dono ricevuto, ho ripreso a pieno ritmo il lavoro pastorale e con scarsa obbedienza agli amici medici che mi dicono di «lavorare di meno, per durare di più». Non ci riesco e mi affido alla vostra preghiera e alla loro pazienza esprimendo a tutti la mia gratitudine.

P. Filippo Strofaldi


padre Filippo Strofaldi




DOSSIER TRAPIANTI Testimonianza (2)

Un trapiantato di rene

"IL MIO BELLISSIMO RENE"

Un giorno i reni smettono di funzionare ed inizia la schiavitù della dialisi. Un calvario che si chiude con un trapianto. E con esso l’occasione di nascere una seconda volta.

Tutte le volte che accarezzo il mio fianco destro, dove ha trovato sede questo «bellissimo» rene, stento ancora oggi, a distanza di quasi 7 anni, a credere in questo miracolo di cui sono testimone.
La vita, la mia, di giovane donna che a trent’anni si accingeva a conquistare il mondo, un possibile grande amore e ad accogliere i figli che Dio mi avrebbe voluto donare, questa vita è stata infranta da una crudele ed ingiusta sentenza: dialisi per insufficienza renale cronica, provocata da un reflusso vescico ureterale bilaterale.
Occorrerebbe un libro per raccontare tutte le mie vicissitudini, al termine delle quali vi era una sola speranza, il trapianto, la possibilità di una seconda vita. Non avrei mai pensato che mi sarebbe capitata l’occasione di rinascere una seconda volta. Una grande occasione!

Ho trascorso l’esistenza, prima del miracolo, tra le inquietudini e le serenità di una ragazza che, osservando il proprio corpo, si torturava all’idea di non avere i capelli lisci piuttosto che ricci, di non pesare qualche chilo in meno, di non avere gli occhi azzurri. E intanto maturavo, attraverso le esperienze e le conoscenze che mi formavano il carattere e la personalità.
Nonostante non abbia mai fatto uso di droghe, di alcornol o quant’altro di nocivo, nonostante tutto questo, un bel giorno i reni, i miei reni hanno deciso di non funzionare più.
Quindi? Dialisi. E che cos’era, dov’era, com’era? Possibile che non sapessi a trent’anni cosa fosse la dialisi? Eppure era così, non la conoscevo e non conoscevo il mondo che ruota attorno ad essa, invisibile e muto, un mondo che viene filtrato attraverso una macchina e a te restituito sotto forma di precaria vita in attesa. Attesa che la dialisi giornaliera finisca per fare posto a quella del giorno dopo, e poi del giorno dopo ancora e poi ancora… fino a quando?
Fino a quando non realizzi che, per riprendere a vivere, qualcun altro dovrà lasciare questa dimensione terrena. Ed è proprio allora che la tua vita cessa di esistere ed insieme ai tuoi reni, anche il tuo cuore, la tua essenza viene filtrata… come le emozioni, i desideri, le speranze. Attraverso quel filtro ti rispecchi e rivedi la vita che avevi e che ora non hai più. Naturalmente ti imponi di non pensare e non desiderare il trapianto a discapito della vita di un tuo fratello, ma poi il calvario aumenta e il desiderio di un organo che funzioni e ti liberi dalla schiavitù della dialisi si insinua nel tuo cuore, portandoti ad invocare quasi con disperazione il trapianto. Ti imponi allora un calmo e rassegnato silenzio e ti avvii lungo la strada dell’accettazione. Cosa dovevo comprendere, che significato dovevo leggere in quell’esperienza non voluta e subita?
Ad esempio questo: il trapianto è l’occasione di nascere un’altra volta con la consapevolezza che questa volta la vita ti è donata direttamente da Dio perché te la sei conquistata con la rassegnazione, ma anche con l’amore e la passione per quel po’ di vita che ti resta.
Qualcuno ci lascia, qualcun altro è rimasto per custodire. Si nasce e si muore e il miracolo si compie tutte le volte.

Oggi «accarezzo» questo rene nuovo che mi aiuta a comprendere più profondamente la vita. A volte, disorientata, rifletto sulla mia vita, cercando di capire il perché di questa mia esistenza, chi sono, dove sono e perché ho potuto essere ancora…
Il trapianto è una sensazione meravigliosa; non ho i capelli lisci, gli occhi azzurri, ma mi sento meravigliosa, più di prima ed ogni giorno di più.
Accudisco questo rene nel nome del mio donatore al quale è stata interrotta la vita terrena per completare il suo percorso nell’amore di Dio.
Donate, in nome dell’amore, perché in principio fu la vita e da allora non fu mai interrotta… ed il mio rene trapiantato ne è una testimonianza.

Giuseppina Rossi, architetto

Giuseppina Rossi




DOSSIER TRAPIANTI Testimonianza (3)

Un trapiantato di cuore

"IO E IL MIO NUOVO CUORE STIAMO BENE INSIEME"

Dall’«alito freddo della morte» al «gusto della vita»: dolore, sofferenza
e rinascita dei trapiantati.

Parlando con alcuni trapiantati, ci scambiamo spesso le nostre sensazioni. Come è facile capirsi quando si è percorso lo stesso cammino, quando si sono provati gli stessi sentimenti, le stesse paure, le stesse speranze. Gli altri possono sforzarsi di capire, ma bisogna aver sentito l’alito freddo della morte che ti sfiora, che ti passa così vicino da farti venire i brividi, per riuscire a comprendere fino in fondo. Me ne sto accorgendo ora, quando osservo gli altri trapiantati, i giovani soprattutto. Abbiamo tutti le stesse sensazioni, la stessa voglia di assaporare attimo dopo attimo il gusto della vita. Quanti pensieri strani e contrastanti, quante emozioni nuove, quante speranze si affollano nelle nostre menti stanche. Noi trapiantati siamo una grande famiglia, siamo stati tutti fratelli nel dolore, nella sofferenza e nella rinascita.
La verità è che non c’è scelta: o si lotta o si soccombe. Io semplicemente ce l’ho messa tutta. Ho dato tutto ciò che mi era possibile dare. Ho scavato in fondo a me stessa chiamando a raccolta tutte le mie forze. Non avrei potuto fare di più. Non ho mai perso di vista ciò che volevo ottenere, e se per raggiungere il traguardo finale è stata necessaria anche una buona dose di pazienza, che per una impulsiva come me è sinonimo di costrizione, non ho disdegnato nemmeno quella. L’obiettivo era chiaro, e non potevo permettermi di mancarlo: dovevo sopravvivere. E l’ho raggiunto.
Non so nulla del mio donatore, né voglio sapere. Voglio che resti il mio cavaliere sconosciuto. La scelta che ha fatto quando era ancora in vita, confermata dalla decisione difficile e coraggiosa dei suoi familiari, mi basta per sapere che doveva trattarsi di una splendida persona, e il fatto di portare nel mio petto una parte di una persona così speciale mi rende estremamente fiera e orgogliosa. So che, ovunque sia, mi sta guardando. Mi ha passato il testimone e io non lo deluderò mai: correrò per me e per lui. Grazie a lui ho già vinto una volta, e ogni mia conquista futura sulla vita sarà anche sua.
Penso spesso alla persona che me l’ha donato. Nei momenti di felicità riconquistata mi metto una mano sul «nostro» cuore e gli sussurro un grazie.

Con il trapianto ho imparato a volermi bene. E poi io e il mio nuovo cuore stiamo bene insieme. Ci siamo piaciuti subito. Sin dal primo momento ho sentito che faceva parte di me. Non l’ho mai considerato un estraneo.
A volte si fa sentire, quando sono troppo stanca, troppo stressata o agitata. Lui batte un colpo più forte, talvolta anche più di uno, e mi mette in guardia: «Guarda che stai tirando troppo la corda. Non hai il cuore di Hulk». Allora cerco di darmi una calmata. In fondo è lui che comanda, come sempre del resto. E io gli obbedisco volentieri: lui sicuramente sa meglio di me cosa sta succedendo là dentro.
La malattia e il trapianto hanno modificato troppo la mia vita e il mio modo di pensare. Oggi vedo il mondo con occhi diversi. La lotta per la vita mi ha cambiata, mi ha messa alla prova. Ho l’impressione di essere un’altra persona. Mi sento profondamente diversa. Rinata e rinnovata nel corpo e nella mente.
Forse a volte è necessario perdere qualcosa di prezioso per rendersi conto di quanto valesse e per poter assaporare il piacere di riconquistarlo.

Cristina Bono


(*) da: Cristina Bono, Con il cuore in sospeso. Diario di un trapianto, Bollati Boringhieri, Torino 2000

Cristina Bono




DOSSIER TRAPIANTI La legislazione italiana (2)

Il silenzio-assenso

UNA QUESTIONE DI VOLONTÀ

In Italia, la legislazione in tema di trapianti parte dall’articolo 32 della Costituzione. Su una materia tanto delicata la normativa deve essere chiara. Anche per evitare che incomprensioni ed incertezze frenino la cultura della donazione e la crescita della medicina dei trapianti.

Nei paesi in cui la pratica dei trapianti ha raggiunto un notevole grado di sviluppo, si è percepita la necessità di una appropriata regolamentazione giuridica, che cerchi di dipanare le molteplici questioni nodali che tale attività comporta e crea.
Per quanto riguarda l’Italia, la legislazione in materia ha conosciuto, ovviamente, una notevole evoluzione lungo un arco di tempo di circa mezzo secolo.
L’articolo 32 della Costituzione afferma che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», ma allo scopo di rispettare la volontà del singolo, ha stabilito che «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Partendo anche da questi presupposti nasce la legislazione italiana in materia di trapianti.

La prima legge ad hoc (n.235 del 3 aprile 1957), Trapianti con l’uso di parti di cadavere, consentiva solamente riscontri diagnostici ed autopsie. Il prelievo da cadavere delle coee e del bulbo oculare era consentito quando il soggetto aveva dato in vita l’autorizzazione, e poteva comunque effettuarsi solo dopo aver accertato la morte, trascorse 24 ore dal decesso.
Il Dpr n.300 del 20 gennaio 1961 (ed i successivi Dpr n.1156/1965 e n.78/1970) arricchì l’elenco delle parti prelevabili da cadavere, rendendo anche possibile il prelievo di ossa, muscoli, tendini e vasi sanguigni.
Una legge particolarmente innovativa fu quella del giugno 1967 nella quale si estese la possibilità di prelievo da vivente a scopo terapeutico, limitando però tale possibilità al solo rene e sancendo rigidamente la gratuità dell’atto.
La materia, a fronte anche dell’evolvere di una crescente sensibilità sociale, sempre più attenta alle esigenze della collettività, è stata riordinata con la legge n.644 del 1975. Tale legge ha aperto la strada al trapianto di quasi tutte le parti del corpo, escludendo encefalo e gonadi, e rendendo ammissibile il prelievo «qualora l’estinto non abbia disposto contrariamente in vita, in maniera non equivoca e per iscritto». Nonostante questa modifica, analogamente a quanto avveniva in molti paesi europei, permaneva purtroppo un duplice criterio di accertamento della morte: il «criterio cardiaco» e quello «cerebrale», facendo sorgere spesso incomprensioni con i parenti del defunto e rendendo le opposizioni al prelievo molto frequenti.
Per ovviare a questi dilemmi, venne istituita una Commissione di tre medici, cioè un medico legale, un anestesista-rianimatore ed un neurologo, con il compito di accertare l’exitus secondo questi nuovi parametri.
La successiva legge n.198 del 1990 semplifica le indicazioni sul luogo del prelievo per agevolare il reperimento degli organi da destinare al trapianto terapeutico. Tali operazioni possono ora verificarsi presso le strutture pubbliche ospedaliere anche senza preventiva autorizzazione, ferme restando le licenze del ministero della sanità. I medici autorizzati ad effettuare il prelievo delle parti di cadavere ed il successivo trapianto devono essere diversi da quelli della commissione che accerta la morte.
Le difficoltà e le questioni correlate alla duplice definizione di accertamento della morte sono state invece superate con la legge n.578 del dicembre 1993. Viene ammessa un’unica definizione di morte, quella cerebrale, che si identifica con la «cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo».

La legge del 1° aprile 1999, n.91 appare la conclusione logica di questo lungo iter legislativo. Stato, regioni e territorio collaborano in sinergia per rimuovere gli ostacoli che, in vari modi, frenano la cultura della donazione e la crescita della medicina dei trapianti.
La costituzione di strutture tra loro cornordinate come il Centro nazionale trapianti (Cnt), la Consulta tecnica, i Centri regionali e locali sono necessari per evitare, come finora troppo spesso è accaduto, che sterili complicazioni e interminabili iter burocratici determinino la perdita di organi idonei all’espianto.
Gli obiettivi dell’atto normativo sono contenuti nell’articolo 1: «La presente legge disciplina il prelievo di organi e tessuti da soggetti di cui sia stata accertata la morte ai sensi della legge 29 dicembre 1993, n.578, e regolamenta le attività di prelievo e trapianto di tessuti e di espianto e trapianto di organi». Una disciplina, quindi, che si occupa del prelievo di organi da cadavere a scopo solo terapeutico (art. 6) ed esclude la materia della donazione da vivente. Altri elementi qualificanti della legge sono: la regolamentazione di ogni aspetto giuridico correlato al prelievo e al trapianto e la necessità di accrescere l’informazione a tutti i livelli, non solo tra gli addetti ai lavori.

Il punto, comunque più dibattuto e oggetto di un lungo e tortuoso cammino parlamentare, è stato l’articolo 4 che regolamenta la dichiarazione di volontà in ordine alla donazione: «I cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione».
È la formula del cosiddetto «silenzio-assenso» scelta dal legislatore come forma di manifestazione della volontà dei cittadini di donare o meno gli organi, e si pone quale elemento qualificante della legge stessa. Il prelievo, cioè, non è possibile nel caso vi sia un esplicito dissenso del defunto in vita o il rifiuto dei parenti fino al secondo grado; altrimenti vige la formula del consenso presunto.
Scrive Ignazio Marino: «Attualmente il principio del silenzio-assenso non è ancora in vigore e fino all’emanazione dei decreti attuativi previsti, valgono delle norme transitorie per cui si possono verificare i seguenti casi: il soggetto ha espresso in vita la volontà positiva di donare gli organi, in questo caso i familiari non possono opporsi alla donazione; il soggetto ha espresso volontà negativa alla donazione, in questo caso non c’è prelievo d’organi; il soggetto non si è espresso, in questo caso il prelievo è consentito solo se i familiari non si oppongono» (1).
Una materia così complessa non ha potuto trovare, purtroppo, una risoluzione esauriente e definitiva in questa, seppur ricca, normativa. Alcuni dei problemi sollevati necessitano di ulteriori approfondimenti, altre questioni devono ancora essere affrontate, quali, ad esempio, il trapianto di rene da donatore vivente (già oggetto della legge n.458 del 1967) e della legge n.2483 del 16 dicembre 1999, che ammette il prelievo, sempre da donatore vivente, di parte di fegato a scopo di trapianto.
Una tematica così delicata ed in continuo divenire necessita di un’appropriata e attenta legislazione che si proponga di risolvere i quesiti sempre nuovi e incalzanti di ordine medico, politico-sociale, economico ed etico.

Enrico Larghero

(1) S. Privitera e coll., La donazione di organi. Storia etica legge, Città Nuova, Roma 2004, p. 40

Enrico Larghero




DOSSIER TRAPIANTI La legislazione italiana (1)

Il dibattito sul consenso

IL CADAVERE: FONTE DI ORGANI?

Consenso esplicito, consenso presunto, consenso tacito. Queste sono le tre possibilità per ogni cittadino, potenziale donatore. Come deve comportarsi lo stato? Un cadavere appartiene alla società, che può dispoe per il bene comune? O si rischia un abuso di potere e, di conseguenza, una violenza sulla volontà altrui?

Il problema del consenso, al fine di poter procedere legittimamente al prelievo di organi da cadavere, ha costituito spesso oggetto di vivaci discussioni, sia in sede parlamentare che tra l’opinione pubblica. L’eterogeneità e la conflittualità delle varie posizioni ha dato luogo a soluzioni legislative diversificate, riconducibili ad alcune grandi linee tematiche.
La prima sostiene la necessità di un consenso manifestato precedentemente dal soggetto stesso e, mancando questo, la necessità del consenso dei familiari. La manifestazione di consenso esplicito da parte del soggetto costituisce, secondo l’opinione di esperti, la soluzione migliore, anche sotto l’aspetto morale. Si realizza in questo modo una vera donazione e vengono rispettati i diritti di tutti coloro che sono coinvolti in un trapianto.
È una decisione personale, ispirata alla generosità che viene posta quando la persona è ancora in vita, ma che può essere attuata solo dopo la sua morte. Il testamento biologico (living will) potrebbe rispondere a questo tipo di disposizione.
Una simile norma, tuttavia, nei paesi in cui è ancora carente una cultura della donazione, rischierebbe di tradursi in una scarsità di organi.
Altra posizione è il consenso presunto, deducibile in base alle convinzioni etiche, religiose e allo stile di vita del defunto. Infine vi è il consenso tacito o implicito, altrimenti detto, silenzio-assenso.

Tra i paesi che hanno adottato la norma del silenzio-assenso vi è anche l’Italia. La legge n.91 del 1999 definisce in modo efficace la modalità di donazione e di trapianto di organi. Nelle disposizioni generali, l’articolo 2 stabilisce la messa in opera di una campagna di informazione in cui sono coinvolte le regioni e le aziende ospedaliere, ma anche le scuole, le associazioni di volontariato, i medici di base. Si vuole cioè che l’intera popolazione sia correttamente informata sui vari aspetti del trapianto, compreso quanto riguarda l’accertamento della morte. Partendo da questi presupposti, ovvero la piena e consapevole conoscenza della materia, si pone la normativa circa la dichiarazione di volontà da parte di ogni cittadino (art.5). Questi, sapendo che la sua mancata risposta equivale ad un consenso al prelievo dei suoi organi e sceglie di continuare a tacere, manifesta con il silenzio la sua approvazione all’espianto.
Se tali disposizioni legislative troveranno effettiva applicazione, anche il coinvolgimento dei familiari nella decisione riguardo al prelievo di organi, sarà superato.
Lo stato potrebbe cioè stabilire che ogni cadavere può e deve essere fonte di organi. Alla base di questa impostazione vi è il concetto che un defunto sia res nullius, e quindi se ne possa disporre liberamente. Il cadavere, cioè, appartiene alla società (res communitatis), che può dispoe per il bene comune.
Scrive Salvino Leone: «In una rigorosa gerarchia di valori la vita di un uomo è superiore al rispetto per un cadavere. Il valore simbolico… di una persona che è stata… non può ritenersi superiore al diritto di un’altra persona che potrebbe avvantaggiarsi della sua organicità» (1).
Non si devono ignorare le volontà del vivente, ma non si può parlare di diritti in senso stretto. Già Pio XII nel 1956 affermava: «Il cadavere non è più, nel senso proprio della parola, un soggetto di diritto, perché è privo della personalità che sola può essere soggetta di diritto».
Infine una terza argomentazione è quella relativa alla «presunzione di bene», cioè si deve presumere, come atteggiamento più ragionevole per ciascuno, la volontà di mettere a disposizione i propri organi dopo la morte per il bene di un’altra persona.

Tuttavia, è doveroso sottolineare anche qualche obiezione a queste argomentazioni. Considerare il silenzio come un assenso potrebbe rappresentare, da parte dello stato e degli organi competenti, un abuso di potere, in quanto si va ad interferire in un ambito delicato e sacro dell’animo umano e si lede il principio di autonomia. Viene meno il potere che gli individui hanno sul proprio corpo e se ne disconoscono i diritti postumi, non tenendo neanche conto dell’opinione dei parenti.
Inoltre l’approvazione di una tale prassi vanificherebbe il senso sostanziale della «donazione» insito nel consenso al prelievo dei propri organi. Un punto imprescindibile che dovrebbe essere previsto dalla legislazione è la formalizzazione del consenso o dell’eventuale dissenso: nessuno può essere violentato nella sua volontà.
Per ovviare a queste obiezioni, molti concordano sulla necessità di inviare ad ogni cittadino un modulo sul quale esprimere la decisione di donare i propri organi. Nella carta sanitaria elettronica, usata in Italia per ora solo in via sperimentale in alcune regioni, potrebbe trovare spazio anche il consenso all’espianto degli organi.
L’obiettivo è quello di monitorizzare l’eventuale disponibilità alla donazione o alla sua negazione, grazie ad un circuito anagrafico informatizzato (decreto ministero della sanità, 8 aprile 2000).
Questo sistema nel quale si è obbligati ad esprimersi risolverebbe il problema del consenso presunto. Sono purtroppo pochi i cittadini che portano con sé, insieme ai documenti personali, il tesserino inviato qualche anno fa dal ministero della salute.
Anche perché a molti questo tesserino non è mai arrivato..

Enrico Larghero

(1) S. Privitera e coll., La donazione di organi. Storia etica legge, Città Nuova, Roma 2004, p. 65

Enrico Larghero




DOSSIER TRAPIANTI Il dibattito attorno all’etica

EDUCARE AL DONO


È possibile conciliare il rispetto della volontà del donatore e la necessità

della solidarietà? Sì, attraverso l’educazione. Perché il fine è un fine superiore: sottrarre altri a morte sicura.

Di fronte alla gravità dei problemi relativi ai trapianti, emerge, oggi più che mai, l’esigenza di avere un quadro etico di riferimento, il più possibile unitario e convincente, in grado di dissipare i pregiudizi emotivi mediante i dati scientifici e la rigorosa riflessione razionale. Le questioni etiche si traducono anche in questioni bio-giuridiche. In tale ambito gli interessi coinvolti in un trapianto d’organo sono essenzialmente:
• la libertà della determinazione del donatore da vivo e la certezza della irreversibilità del processo del suo morire nel caso di espianto da cadavere;
• la libertà di scelta;
• la dignità e la salute del donatore nel caso di espianto da vivente;
• l’interesse alla salute del ricevente e quindi adeguata probabilità dell’efficacia terapeutica dell’intervento;
• la tutela dei sentimenti dei parenti;
• un criterio di giustizia nella assegnazione della risorsa «organo trapiantabile».
Alcune problematiche etiche si impostano e si risolvono in relazione a scelte tecniche, alla luce delle scienze biologiche e mediche (es. corrette procedure di espianto e di reimpianto). Altre sono di natura propriamente bioetica, sia per i principi che per le regole giuridiche (es. scelte circa la necessità dell’assenso del donatore prima della sua morte).
Altre, infine, mescolano conoscenze scientifiche, suscettibili per loro natura di revisione, e presuppongono antropologie filosofiche e posizioni morali (es.definizione del momento in cui il processo del morire diventa irreversibile e la sua connessione con il concetto di persona umana).

Il dibattito sul consenso è strettamente legato alla modalità di reperimento degli organi.
Sotto il profilo squisitamente etico è necessario elaborare una tesi che si orienti verso il rispetto della libertà del soggetto donatore, ma anche in spirito di solidarietà verso chi ha bisogno degli organi per la sua sopravvivenza. A questi risultati, prima che attraverso atti coercitivi e complesse legislazioni, si deve giungere con l’educazione.
Il corpo diventa lo spazio e il momento in cui la persona si rivela e si realizza come dono. Spendendo il proprio tempo, le energie, la salute, ed anche la vita, la persona incarna la sua identità di dono. Non solo in vita, ma anche con la possibilità di disporre (o permettendo che altri decidano) del proprio corpo e dei propri organi anche dopo la morte.
Sul piano etico non è soltanto l’intenzionalità oblativa che rende tale atto straordinario, ma soprattutto è la persona stessa che viene donata affinché altri siano sottratti a morte sicura e riacquistino la salute.
Il dono esige strutturalmente la gratuità più assoluta e l’altruismo come forma squisita di solidarietà non tanto per filantropia, umanitarismo o legami parentali, quanto come espressione trasparente di offerta.
Scriveva Giovanni Paolo II: «Il trapianto presuppone una decisione anteriore, esplicita, libera e consapevole. È una decisione di offrire, senza alcuna ricompensa, una parte del corpo di qualcuno per la salute e il benessere di un’altra persona. In questo senso, l’atto medico del trapianto rende possibile l’oblazione del donatore, quel dono sincero di sé che esprime la nostra essenziale chiamata all’amore e alla comunione. Amore, comunione, solidarietà e rispetto assoluto per la dignità della persona umana costituiscono l’unico legittimo contesto del trapianto d’organi» (1).
La scelta morale del trapianto trova unanime e trasversale consenso all’interno delle diverse religioni. Essa costituisce un atto di alta qualità morale, perché pone la cura dell’altro come fine ultimo. Il criterio fondamentale, cui fare riferimento, è il rispetto e la promozione dell’uomo in quanto uomo.
L’essere umano deve intendersi sempre e solo come un fine, mai come un mezzo. Qualunque intervento medico, deve volgersi, pertanto, al bene dell’uomo, ma non deve mai strumentalizzare un uomo al servizio di un altro.
Nel caso, ad esempio nel trapianto di rene, il donatore si sottopone a grandi disagi e sacrifici, che vengono accettati nella logica del dono di sé, per il bene e la vita del prossimo.
Alla luce dei criteri di priorità, scelte drammatiche e tragiche si presentano agli operatori sanitari nella assegnazione degli organi, che si rendono disponibili per i trapianti.
Alcuni ritengono che in queste decisioni debbano essere esclusi o penalizzati nella lista di attesa coloro che attendono un organo per una patologia riconducibile alle loro abitudini di vita (ad es. gli alcornolisti da trapianti di fegato e i tabagisti da trapianto di polmone). Questa strada eticamente discutibile condurrebbe soltanto ad un’eccessiva intromissione nella vita privata dei pazienti e sottoscriverebbe una spiegazione scientificamente erronea dell’insorgenza delle malattie, che dipendono da molteplici fattori e non da una sola causa. La valutazione che presiede all’individuazione di priorità deve essere legata a considerazioni di ordine strettamente clinico e, dunque, al beneficio dell’intervento per il malato.
La necessità di disporre di criteri, a cui uniformarsi e a cui fare riferimento, rende di grande utilità l’accesso ed il potenziamento dei Comitati etici e bioetici presso le istituzioni sanitarie.
Il trapianto si pone al servizio della vita, nel senso di difenderla e di favorirla. È questa la logica positiva che ne ha favorito l’enorme progresso registrato in questi ultimi anni.

Ciononostante, alcuni aspetti necessitano di essere tenuti costantemente presenti.
Ad esempio, può sembrare scontata la liceità del trapianto che viene fatto e motivato per un prolungamento della vita di un malato non altrimenti curabile. Si deve però considerare che, anche nell’ipotesi di un beneficio per il paziente che riceve l’organo, si viene talora a richiedere una qualche menomazione del donatore nel caso in cui questo sia vivente.
Si afferma nell’ultimo catechismo: «Il trapianto di organi è moralmente accettabile col consenso del donatore e senza rischi eccessivi per lui» (2).
Salvatore Privitera aggiunge: «Abbiamo il dovere morale di non compiere l’azione moralmente errata, ma non quello di compiere l’atto moralmente retto, quando non compiendolo, non provochiamo conseguenze negative. Nessuno è tenuto a mutilare, fisiologicamente o psicologicamente, se stesso per recare beneficio ad altri» (3).
Diversa ovviamente è la donazione dei propri organi da morto. In questo caso essa è moralmente doverosa, in quanto non vi è più alcun danno nel donatore, mentre grandi sono i benefici di chi riceve. Inoltre, l’etica dei trapianti è indispensabile che coinvolga l’équipe medica. A prescindere dalla sua preparazione e dalla sua formazione tecnico-scientifica, alta deve essere potenzialmente la possibilità di riuscita dell’intervento; il sacrificio del donatore non deve essere inutile.
La vita è sacra e, come tale, può venir sottoposta ad un trattamento rischioso ed invasivo soltanto se vi sono fondate speranze di successo. Sono, pertanto, da bandire quelle finalità esclusivamente sperimentali, in cui si antepone la ricerca all’attenzione nei confronti del malato.
La donazione, per sua natura, rimanda alla libertà e alla responsabilità. È in tale contesto che deve essere letta, partendo da una adeguata interpretazione della fisicità. Il corpo non può essere inteso semplicemente come un complesso di organi, tessuti, funzioni, senza un ulteriore riferimento alla dimensione psichica e spirituale.
Le attuali scienze antropologiche sono particolarmente efficaci nel presentare il corpo come manifestazione dell’individuo, anzi come strumento della sua realizzazione. E poiché l’identità della persona è di essere «dono» e la sua finalità è «donarsi», il corpo è veramente umano quando diventa lo spazio nel quale la persona si rivela e si realizza come dono che si fa dono.
La strada che conduce a questo atteggiamento libero e responsabile passa attraverso una continua educazione al significato della donazione. Rientra in questa opera educativa favorire e alimentare il senso umano della solidarietà.
La visione cristiana dell’esistenza offre un contributo nuovo ed originale: la donazione di organi, in vita e dopo la morte, è una forma secondo la quale vivere concretamente il comandamento della carità: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Giovanni, 15,13).

Enrico Larghero


Note:
(1) Giovanni Paolo II, su L’Osservatore Romano, 21 giugno 1991.
(2) Compendio catechismo della chiesa cattolica, n.476, San Paolo, LEV 2005.
(3) S. Privitera e coll., opera citata, p.108.

Enrico Larghero




DOSSIER TRAPIANTI Diagnosi ed accertamento della morte

QUANDO MUORE IL CERVELLO


Quando è possibile procedere all’espianto di un organo? L’accertamento

della morte deve essere rigoroso per evitare abusi (in nome della scienza
o del profitto) e sbagli. Oggi si ritiene che il sistema migliore sia quello
della «morte cerebrale»: un individuo è morto quando muore il suo cervello.

Secondo il comune pensare, la concezione prevalente di morte è essenzialmente di tipo «cardio-respiratorio». Un individuo è morto quando non respira ed il cuore non batte più. Tale criterio appare oggi superato. La nuova definizione di morte integra e supera questo primo concetto con una nuova definizione, quella di «morte cerebrale»: l’individuo è morto quando muore il suo cervello.
Alla fine degli anni ’60 il trapianto di cuore realizzato da Baard segnò una trasformazione radicale della riflessione sui problemi etici dei trapianti: l’espianto del cuore doveva essere realizzato, per la riuscita dell’intervento, con un organo mantenuto in vita, sia pure artificialmente attraverso la circolazione extracorporea. Diveniva in questo modo essenziale poter ricorrere, per l’accertamento della morte, al criterio della cessazione totale dell’attività cerebrale e non del battito cardiaco.
Uno dei quesiti che fu posto all’attenzione della ricerca medica nel 1968 dalla «Commissione Harvard» fu la revisione dei criteri per la definizione di morte.
Tali criteri sono stati poi codificati in Italia dalla legge n.578 del 29 dicembre 1993 e dal relativo regolamento di esecuzione del 22 agosto 1994, n.582.

Il sospetto di morte cerebrale può esser avanzato quando si rilevano: stato di incoscienza; assenza di riflessi del capo e del collo (ossia corneale, fotomotore, oculocefalico ed oculo-vestibolare), nonché reazioni a stimoli dolorifici nel territorio di innervazione del nervo trigemino; assenza di respirazione spontanea dopo sospensione della ventilazione artificiale; silenzio elettrico cerebrale documentato mediante elettroencefalogramma.
Il decreto applicativo n.582 del 1994 consente di stabilire con certezza quali siano i parametri cui fare riferimento per accertare l’avvenuto decesso. Dopo sei ore di accertata morte cerebrale (12 per i bambini e 24 per i neonati) si può dar luogo ad una sicura definizione e certificazione di morte, anche nei casi in cui, grazie al supporto medico rianimatorio, altri fenomeni vitali, come quelli cardiocircolatori e respiratori, sono ancora in atto.
Per accertare la morte clinica non sono sufficienti di per sé la perdita di coscienza per l’insorgere del cosiddetto «coma profondo» (che non comporta necessariamente la previsione di irreversibilità), né la cessazione dell’attività elettrica del cervello («elettroencefalogramma piatto»), perché tale segnale si riferisce soltanto all’attività della parte estea, della corteccia cerebrale. Occorre l’inattività dei centri interni, più profondi, dell’encefalo (bulbo, ponte, ecc.), ovvero di quei centri responsabili dell’unificazione delle funzioni organiche: è il caso, detto dagli esperti, «coma dépassé», nel quale non esiste più speranza di ripresa della vita cosciente e di relazione.
Ha ben scritto Elio Sgreccia: «Si ha morte clinica quando si constata la cessazione irreversibile delle attività non soltanto della corteccia cerebrale per un certo numero di ore, ma anche dei centri cerebrali interni cornordinatori delle funzioni organiche, quali la respirazione, il battito cardiaco, i riflessi nervosi» (1).
Pazienti in tali condizioni cliniche vengono mantenuti in vita grazie all’esistenza di strutture sanitarie complesse, quali le terapie intensive. In tali reparti il monitoraggio dei parametri vitali, il controllo ed il mantenimento del battito cardiaco e della funzione circolatoria, l’utilizzo di ventilatori per il supporto alla respirazione, tengono in vita malati in condizioni gravissime.
In tal modo, pazienti clinicamente morti, ovvero con morte cerebrale, possono essere sottoposti ad un eventuale espianto.

È necessario fugare molte perplessità sollevate riguardo ad una condizione affine alla morte cerebrale, cioè il quadro definito di coma. In questa situazione, causata da molteplici fattori patologici o traumatici, si verifica un obnubilamento dello stato di coscienza, per cui il paziente non reagisce più agli stimoli estei, compresi quelli dolorosi.
Il coma non deve esser considerato una malattia: è sempre l’espressione di un processo, che direttamente o indirettamente ha coinvolto il cervello e ne ha causato una riduzione funzionale tale da produrre incoscienza.
Un primo elemento da porre in evidenza è, in questi casi, l’incompletezza della compromissione funzionale: un’attività cerebrale residua è infatti sempre presente e può essere registrata tramite elettroencefalogramma. Un secondo elemento è la reversibilità: dopo alcune settimane alcuni pazienti ricominciano ad aprire gli occhi e riacquistano funzioni, come quella respiratoria ed intellettiva, la consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante.
Nei casi restanti, invece, il coma può divenire irreversibile e lo stato di vigilanza apparente prende il nome di stato vegetativo persistente (Psv). Ciò avviene quando le lesioni riportate danneggiano le funzioni più complesse del cervello, ma risparmiano le strutture, sede delle funzioni vegetative. In quest’ultimo caso si verifica talvolta il recupero funzionale della corteccia cerebrale prima silente e quindi la ripresa, seppur lenta e graduale, delle funzioni superiori. Alla luce di questi dati, appare quanto mai pericoloso il dibattito attuale circa la possibilità di ritenere questi soggetti candidabili all’espianto.

La morte quindi deve identificarsi con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
«L’espianto… senza rispettare i criteri oggettivi ed adeguati di accertamento della morte del donatore… è una delle forme più subdole di eutanasia» (2).
Oggi, oltre all’elettroencefalogramma, molti esami strumentali, più modei e sofisticati, permettono di documentare l’assenza di flusso ematico cerebrale. Tali metodi sono: l’angiografia, la scintigrafia, il doppler trans-cranico, la Tac e infine la Pet (tomografia ad emissione di positroni). L’assenza di flusso implica inequivocabilmente la morte cerebrale, cioè del centro unificatore e cornordinatore dell’organismo.
Tale definizione, strettamente scientifica, trova conferma in un’affermazione della Pontificia Accademia delle scienze: «Una persona è morta quando ha subìto una perdita irreversibile di ogni capacità di integrare e di cornordinare le funzioni fisiche e mentali del corpo».
In queste condizioni, però, un essere umano, con l’estremo dono di sé, può diventare ancora una volta sorgente di vita.

Enrico Larghero


Note:
(1) E. Sgreccia, Sono tre i principi che vanno rispettati, su Avvenire, 14 novembre 1985.
(2) Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 1995.

BOX: Opinione pubblica e trapianti

Quali sono i limiti?

Esistono dei limiti nella medicina? Esiste un limite ai trapianti? Questi gli interrogativi che frequentemente ci poniamo, quando constatiamo che il progresso scientifico abbatte barriere sino a ieri insuperabili. Sono interrogativi elementari, ma non per questo privi di buon senso, di quella sapienza che è sollecita nel custodire il valore della vita ed il suo significato.
A tutti è nota la situazione attuale: le possibilità di trapianto si estendono sempre di più, nuove frontiere si schiudono sotto i nostri occhi. Al di là delle tecniche ormai convalidate, pare di essere talvolta di fronte ad una «medicina trapiantista», frutto di una «mentalità trapiantista».
Diversi aspetti, tuttavia, inquietano l’opinione pubblica. Ad esempio, la necessità di avere a disposizione un maggior numero di organi può indurre medici senza scrupoli a non essere rigorosi nell’accertamento della morte. Le ragioni della medicina dei trapianti possono generare una «cultura della predazione».
Molte sono ancora le paure ancestrali della profanazione dei corpi, molti i timori su possibili abusi compiuti in nome della scienza. La confusione, spesso derivante anche dalla disinformazione e da una certa malasanità, può essere parzialmente superata con l’educazione e richiamando i principi etici fondamentali della questione.
La vera soluzione al problema è da ricercarsi in una capillare opera di sensibilizzazione che serva alla diffusione di una nuova cultura, affinché la donazione divenga sempre più un atto libero, gratuito e spontaneo, a cominciare dalla donazione del sangue.
Il trapianto è forse l’unico settore della sanità che non può esistere senza la partecipazione di tutti. Inizia e termina nell’ambito della società, è talmente complesso da non poter essere lasciato ad una libera interpretazione, necessita di un’attenta regolamentazione, rappresenta una «cartina di tornasole» per poter definire il valore di una società.
La diffusione della cultura del dono può condurre al superamento, eticamente problematico, del silenzio-assenso, coinvolgendo tutti, indipendentemente dalle convinzioni personali, a praticare questa nobile forma di solidarietà nella ricerca del bene comune.

Enrico Larghero




DOSSIER TRAPIANTI Riflessioni

LA SOFFERENZA E IL TABU’ DELLA MORTE


Aumenta l’aspettativa di vita e, allo stesso tempo, la cronicizzazione delle malattie, nonché l’eventualità dell’accanimento terapeutico. Ciò che non cambia mai è la nostra paura di fronte alla sofferenza. E, in ultima analisi, l’impreparazione dell’uomo davanti alla malattia, alla morte e alla fragilità umana.

Tra le varie conquiste dell’ultimo secolo, un posto di rilievo spetta alla medicina ed ai suoi progressi. La scienza, se da un lato ha prolungato le aspettative di vita, dall’altro ha generato problematiche relative alla cronicizzazione delle malattie e questioni inerenti le fasi cosiddette «terminali» dell’esistenza.
È emersa quindi, in modo sempre più crescente, l’esigenza di disciplinare adeguatamente le condizioni estreme della vita, per evitare i pericoli dell’accanimento terapeutico, che l’incalzante sviluppo tecnologico rende sempre più possibile.
La crescente paura di fronte a situazioni di sofferenza che si protraggono senza alcuna speranza, il diminuito senso di fede, l’enfatizzazione dei mass media di casi limite hanno ulteriormente favorito la diffusione del living will.
L’espressione living will (o testamento biologico, o direttive anticipate) indica le manifestazioni di volontà con le quali gli individui possono decidere a quali trattamenti sanitari essere sottoposti, qualora dovessero trovarsi privi della capacità di esprimere direttamente la propria volontà al personale sanitario.
Fondate sul principio di autonomia e nate come conseguenza alla diffusione del consenso informato, le direttive anticipate sono sempre revocabili. Talvolta l’interessato nomina un tutore come interprete delle sue volontà circa le cure accettate e le eventuali modalità della propria morte.
Possono rientrare, invece, tra le terapie rifiutate, la rianimazione cardio-polmonare, la respirazione meccanica, la nutrizione e l’idratazione artificiale e, meno frequentemente, la terapia antibiotica, le emotrasfusioni, l’emodialisi.

I diversi testamenti vigenti nel mondo variano notevolmente sia nello spirito che nello stile e risentono dei diversi orientamenti antropologici di fondo. Mutano anche le disposizioni contenute in ogni documento: si va dalla domanda dell’eutanasia attiva (Olanda), alla richiesta di terapie intensive per il prolungamento della vita (stato dell’Indiana), passando per il rifiuto sia dell’eutanasia che dell’accanimento terapeutico (Conferenza episcopale spagnola).
La promozione del testamento biologico negli Stati Uniti e in altri paesi anglosassoni viene quasi sempre fatta dai promotori dell’eutanasia e dalle associazioni che lavorano per la sua legalizzazione. Sembra più che giustificato, dunque, il sospetto che molte volte il living will venga proposto e interpretato come una «punta di lancia» per promuovere la «cultura della morte». Negli ultimi anni è stato utilizzato in base a ragioni anche economiche, per giustificare la sospensione dei trattamenti medici in pazienti inabili, ma che non sono malati terminali.
In molti paesi, invece, tra cui l’Italia, le direttive anticipate non hanno ancora trovato codificazione legale e sono, invece, oggetto di controversie e di accesi confronti.
Intanto il termine testamento per questi documenti è improprio perché si riferisce ad un comportamento da realizzare prima della morte del testante. Inoltre, il consenso informato e la figura del rappresentante fiduciario, costituiscono due punti controversi e di difficile interpretazione. Non potendo evidentemente prevedere tutte le possibili situazioni e condizioni in cui si potrà trovare il paziente, le dichiarazioni scritte si tengono necessariamente sul generico, offrendo indicazioni di massima che dovranno essere variamente interpretate ed applicate dai sanitari. La legge non può codificare tutta la realtà medica, molte condizioni cliniche sono imprevedibili, il divenire della scienza presenta continuamente situazioni inedite, apre scenari inquietanti un tempo inimmaginabili, quali gli stati vegetativi permanenti.

Una sovramedicalizzazione della malattia e della morte porta a conseguenze anche sul piano etico. I conflitti morali inerenti a questi problemi sono frequenti ed inevitabili, ma necessitano di risposte concrete: garantire il diritto alla vita di ogni malato attraverso «cure proporzionate», rendere il dolore più sopportabile, ricorrendo alla terapia antalgica e alle cure palliative, garantire la libertà di scelta del paziente (articolo 32 della Costituzione italiana), ma non legalizzare la richiesta di porre fine alla sua esistenza.
Secondo l’insegnamento della chiesa, alla «qualità della vita» devono anteporsi la «sacralità della vita» e la sua dignità. Non vi sono esistenze prive di valore. Il testamento biologico può essere affrontato solo inserito in questo contesto più ampio e l’orizzonte nel quale lo si deve collocare è principalmente culturale. La società contemporanea ha creato il tabù della morte, quasi che questo momento non faccia più parte dell’esistenza. Tale concetto è bandito nei luoghi di cura, non solo tra i malati ed i loro parenti, ma anche tra i sanitari.
I temi della malattia, della fragilità umana ci colgono oggi impreparati. Accompagnare la sofferenza e trae da essa un senso resta comunque un dovere di tutti, a prescindere dalla fede religiosa o dell’ideologia, anche in un mondo che tende a rimuovere questa realtà ricorrendo, ad esempio, alle direttive anticipate, vissute come antidoto alla sofferenza, ma che diventano, invece, se strumentalizzate, anticamera dell’eutanasia.
Alcuni anni fa erano in molti a pensare che il testamento biologico avrebbe risolto alcune importanti questioni inerenti alle problematiche di fine vita. Oggi quell’ottimismo è lontano.
Il diritto prioritario del paziente a gestire la cura della sua esistenza va coniugato con il dovere di tutelare la propria vita, poiché questa non si possiede, ma si identifica con la stessa persona e, per il credente, è un dono di Dio che l’individuo deve valorizzare e non può arbitrariamente distruggere: «Le leggi che autorizzano l’aborto e l’eutanasia si pongono… contro il bene del singolo e contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n.72).

BOX 1

Il commercio di organi

Le cause del commercio di organi (*) sono molteplici, ma si possono ricondurre ad una sola: la carenza di organi disponibili.
Nonostante tutte le proibizioni dei governi, degli organismi inteazionli come il Parlamento Europeo e l’ONU, il traffico di organi è tuttora in certi Paesi del Terzo Mondo una pratica molto diffusa. Rapporti di organizzazioni nazionali e di organizzazioni non governative, lo confermano. I mass media, pur meno di quanto dovrebbero, se ne occupano.
La disponibilità di chirurghi senza scrupoli ha consentito la nascita di un traffico illecito, probabilmente limitato ai reni. Questi vengono acquistati a costi irrisori (indicativamente 1000 dollari a Bombay, 2000 a Manila, 3000 in Moldavia, 10.000 in America Latina) e poi rivenduti, insieme al costo dell’intervento eseguito clandestinamente, a cifre che oscillano tra i 100.000 e i 200.000 dollari.
Tale fenomeno, un vero e proprio crimine contro l’umanità, dovrebbe essere punibile e perseguibile in ogni paese del mondo. Chiunque accetti, anche se sofferente, di sfruttare la povertà altrui, si rende egualmente colpevole di un gravissimo reato.
Alcuni propongono, come via d’uscita alla carenza di organi, un compenso economico, legalmente riconosciuto per il donatore. Tale strada, oltre che moralmente riprovevole, è anche molto pericolosa, poiché può aprire la porta ad un’allocazione iniqua degli organi, fondata cioè sulla possibilità di pagare da parte di pazienti più abbienti e non sulla reale urgenza medica.
L’atto della donazione deve scaturire da una libera scelta, escludendo ogni costrizione e deve essere evitata ogni forma di speculazione (opportunamente la legge italiana sancisce che in vita si possa cedere un rene, ma solo a titolo gratuito).
Il corpo umano o le sue parti non possono essere oggetto di commercializzazione. La selezione dei riceventi deve fondarsi sulle necessità dei pazienti e non sulla base di criteri economici o di qualsivoglia altra natura.

(*) Sull’argomento si leggano gli articoli pubblicati sulla monografia di MC di ottobre-novembre 2005 a firma Guido Sattin ed Enrico Larghero.

Enrico Larghero




DOSSIER TRAPIANTI Alcune considerazioni conclusive

IL FUTURO E LE SUE FRONTIERE


Oggi il trapianto non è più un «tentativo estremo». Per il domani le maggiori aspettative sono riposte nelle cellule staminali e negli organi bio-artificiali. Senza dimenticare che scienza ed arte medica non sono sovrane assolute.

I trapianti d’organo, superata la fase pionieristica degli anni ‘60, costituiscono ormai una realtà. Oggi il trapianto è a tutti gli effetti un’opzione terapeutica, pur molto sofisticata e complessa, ma che deve essere considerata un intervento di routine, non un «tentativo estremo». Oggi l’80% dei pazienti che ha subìto un trapianto di rene, a cinque anni dall’intervento conduce una vita normale, libera dalla schiavitù della dialisi.
La sopravvivenza a lungo termine nei Centri all’avanguardia è ormai significativa: 75% a 5 anni per il trapianto di cuore; 80% per il trapianto di fegato nell’adulto. Questi dati confortanti ci dimostrano come la costante ricerca clinica e sperimentale ha condotto al perfezionamento e alla standardizzazione della tecnica chirurgica, all’affinarsi delle modalità di trattamento perioperatorio e della terapia del rigetto. In particolare per quest’ultimo aspetto, eccezionale è stato il ruolo svolto dall’introduzione della ciclosporina (in eventuale associazione ai corticosteroidi) che, rivoluzionando gli schemi immunosoppressivi precedenti, ha permesso di controllare il rigetto e di limitare in modo considerevole gli effetti collaterali negativi dei farmaci precedentemente utilizzati.
Ad esempio, la ciclosporina in microemulsione, ultima evoluzione del farmaco, consente di ridurre di un ulteriore 15-20% i casi di rigetto acuto.
In tutto il mondo sono attualmente operativi più di 1.650 Centri che hanno effettuato oltre 350.000 trapianti di rene, 1.600 di pancreas, 5.600 di rene e pancreas, 40.000 di fegato, 189 di intestino e multiviscerali, 36.000 di cuore e 4.200 di polmone. Per quanto riguarda la sopravvivenza, la maggiore è stata di 32 anni nella chirurgia sostitutiva renale, di 25 anni in quella epatica e di 21 in quella cardiaca, di 16 anni in quella di pancreas, di 14 anni in un trapianto combinato di rene e pancreas, di 12 anni per cuore e polmone, di 10 anni per il polmone singolo e di 8 dopo trapianto bilaterale del polmone.
Questi valori sono molto significativi soprattutto in relazione al fatto che, ad esempio per le patologie cardiache, mentre il 100% dei pazienti selezionati non trapiantati muore entro 6 mesi, l’80% di quelli trapiantati riprende a lavorare e a condurre una vita normale entro un anno.
I progressi nel settore dei trapianti si susseguono rapidamente e, mentre si allunga la lista degli organi e di altre parti del corpo trapiantabili, aumentano le conoscenze per il trapianto da vivente di parte del fegato (split-liver = fegato diviso), con l’asportazione di una porzione del lobo destro del fegato del donatore e successivo trapianto nel ricevente. Dal momento che il tessuto epatico è capace di rigenerarsi, nel giro di poche settimane le due parti divise ricostituiscono un organo pienamente funzionante.
Recenti sono i trapianti di mani e di avambracci, anche a distanza dalla loro amputazione, e dei multitrapianti (rene-pancreas; cuore-polmoni o addirittura trapianto della quasi totalità degli organi addominali).
Si profilano interventi ingegneristici, come impianti di porzioni di DNA e di geni, nel tentativo di risolvere l’incompatibilità genetica ed il rigetto. Si va inoltre elevando l’età clinicamente idonea sia per il donatore che per il ricevente, e quindi aumentano i soggetti coinvolti.

Quale è dunque l’ostacolo all’ulteriore diffusione dei trapianti? La risposta è ormai ben nota a tutti: la scarsità di organi disponibili. Rispetto alle esigenze ed anche con miglioramenti legislativi e sanitari, pare, a giudizio degli addetti, che non si giungerà mai al pareggio tra domanda e offerta. Questo elemento ha determinato a cascata una serie di problemi drammatici ed a forte contenuto etico, quali la donazione a pagamento, il commercio di organi, l’uso di tessuti fetali.
L’occhio del futuro si rivolge, da un lato alla costruzione di organi artificiali impiantabili e miniaturizzati, dall’altro all’utilizzo di organi di animali, anche se in questi ultimi casi di xenotrapianto, incombe minaccioso il pericolo del rigetto acuto.
Ricerche a tal proposito sono attualmente in corso, anche in relazione alle nuove scoperte tecnologiche della modea genetica, con l’eventuale utilizzo di animali transgenici, in particolare dei suini.
Secondo l’autorevole parere dei clinici del settore, l’avanzamento della ricerca e la prospettiva di sviluppo degli xenotrapianti costituiranno probabilmente il futuro della trapiantologia.
Anche la chiesa cattolica ha accettato, come via sperimentale per tentare di sopperire alla grave carenza di organi, gli xenotrapianti. Lo stesso Giovanni Paolo II, nell’agosto del 2000 nel corso di un Convegno a Roma organizzato dalla Transplantation Society aveva definito «moralmente accettabili» i trapianti da animale a uomo. La medesima posizione era stata ribadita dalla Pontificia accademia per la vita in un documento ufficiale, frutto di una serie di incontri tra i maggiori esperti di trapiantologia e di bioetica, laici e cattolici. Durante un incontro nel 2001 in Vaticano, si era giunti alla conclusione di accettare gli xenotrapianti dopo una accurata sperimentazione pre-clinica (da animale a animale), fino al raggiungimento di risultati sufficientemente positivi, tali da poter accedere alla sperimentazione sull’uomo.

Ancora più affascinanti sono gli studi che mirano alla creazione di tessuti e di organi, a partire dalle cellule staminali.
Tali cellule, venute alla ribalta in occasione del recente referendum sulla fecondazione medicalmente assistita, rappresentano, almeno potenzialmente, la terapia di molte patologie attualmente incurabili, quali ad esempio il morbo di Parkinson e l’Alzheimer. La loro peculiarità consiste nell’essere in grado di riparare danni tessutali in ogni organo. La tecnica a cui si potrebbe ricorrere è appunto quella del cosiddetto «trapianto cellulare», analogo al procedimento utilizzato per il midollo osseo. La fonte principale delle cellule staminali è l’organismo dell’adulto; vengono escluse quelle embrionali, per problemi legislativi (legge n.40 del 2004), etici (l’embrione è persona e come tale non manipolabile) e scientifici, (in quanto potenzialmente cancerogene).
L’ultima frontiera da esplorare sarà quella degli organi bio-artificiali. Nei laboratori all’avanguardia si lavora alla progettazione ed alla realizzazione di organi artificiali, o al perfezionamento di quelli già esistenti, come nel caso del cuore e del fegato. Tali apparecchiature, sempre più perfezionate, saranno in grado di sostituire, temporaneamente o addirittura in modo permanente, organi irrimediabilmente malati.
Tuttavia, queste innumerevoli possibilità tecniche, seppur entusiasmanti, rischiano di diventare criterio, misura e contenuto di ogni scelta, se non interagiscono con l’etica.
Un «corpo», infatti, non è semplicemente un complesso di organi e di tessuti manipolabili arbitrariamente con interventi demolitori-sostitutivi, ma è il corpo di una persona.
Da un lato l’uomo con le sfide tecnico-scientifiche è espressione della sua vocazione a continuare nel tempo la creazione. È mediante questa azione che egli riuscirà a completare e a finire ciò che di incompiuto, di labile e di imperfetto resta nel suo essere, in ordine alla sua piena realizzazione, lottando contro ogni limitazione e imperfezione.
Dall’altro, emerge un referente etico fondamentale che è la persona umana, nella totalità della sua esistenza, della sua dimensione corporea, psichica e spirituale, nei suoi valori di ragione, libertà, coscienza, affettività, religiosità, solidarietà sociale, nella sua capacità di formare una comunità in spirito d’amore e di giustizia.
Anche per i trapianti, come per le altre frontiere della vita, la scienza e l’arte medica non sono sovrane assolute, ma trionfano nella loro grandezza solo nel momento in cui si pongono umilmente al servizio dell’uomo, nel rispetto della sua dignità.
Dietro ai trapianti non vi sono soltanto problemi medici, ma ancor più morali. In futuro i trapianti occuperanno un posto sempre più importante, ma ciò richiede che si sviluppi una cultura della solidarietà e del dono, realizzando un singolare e talora eroico servizio alla vita.
Come scrisse Giovanni Paolo II: «Grazie alla scienza e alla formazione professionale e alla dedizione di medici e operatori sanitari… si presentano nuove e meravigliose sfide. Siamo sfidati ad amare il nostro prossimo in modi nuovi; in termini evangelici ad amare sino alla fine».

Enrico Larghero

Enrico Larghero




DOSSIER TRAPIANTI Glossario minimo

GLOSSARIO MINIMO

Anencefalia: mancato sviluppo del cervello durante lo sviluppo fetale. La difficoltà di reperire piccoli organi da utilizzare per il trapianto nei bambini ha suggerito il ricorso al prelievo di organi da feti o da neonati anencefalici. Non si tratta in generale di «buoni donatori», sia per l’immaturità degli organi che per l’elevata incidenza di malformazioni. Tuttavia, non vi sono remore di ordine etico al prelievo di organi dopo la morte, una volta che sia stato superato il problema dell’accertamento della stessa, data l’obiettiva difficoltà ad utilizzare dei criteri convenzionati nell’adulto e nel bambino.

Autotrapianto: tessuto trasferito da una sede all’altra dello stesso organismo (ad esempio, trapianto di osso per stabilizzare una frattura).

Cellula Staminale: si definisce staminale una cellula ad uno stadio precoce di sviluppo, la quale può dare origine sia ad altre cellule staminali che a una progenie di cellule differenziate di tessuti specifici (ad esempio cellule ematiche, nervose, muscolari). Le cellule staminali possono essere totipotenti, se sono in grado di generare qualsiasi tessuto, oppure pluripotenti, se possono dare vita a progenie cellulari solo di alcuni specifici tessuti. Il trapianto di cellule staminali rappresenta una potenzialità terapeutica per molte malattie attualmente difficilmente curabili (morbo di Parkinson, Alzheimer, diabete), o per le quali le terapie sono poco efficienti o caratterizzate da una scarsità di risorse (come i trapianti d’organo).

Ciclosporina: farmaco immunosoppressore che agisce bloccando la risposta anticorpale (azione dei linfociti T) utilizzato soprattutto per la prevenzione del rigetto.

Coma: dal greco koma, sonno profondo. Stato di incoscienza, a volte irreversibile in cui è assente qualsiasi risposta a stimoli estei. Il soggetto è privo di contatto con l’ambiente circostante, non ha consapevolezza di se stesso e può perdere alcune funzioni vegetative.

Donatore: organismo umano da cui si preleva un organo a scopo di trapianto.

Emodialisi: (o rene artificiale) procedura attraverso la quale è possibile la depurazione del sangue da tutte le scorie in esso contenute, mediante un apposito macchinario. È utilizzata nell’insufficienza renale.

Eterotrapianto o xenotrapianto: trapianto di un organo prelevato da un organismo appartenente a un’altra specie e detto anche trapianto eterologo (ad esempio: tra scimpanzé e uomo).

Immunosoppressori: farmaci che sono somministrati per controllare la reazione del rigetto. Prototipo di una nuova generazione di tali farmaci è la ciclosporina introdotta nella pratica clinica nel 1978, che ha permesso di combattere con maggiore efficacia rispetto al passato il fenomeno del rigetto. L’associazione tra questi farmaci ed i corticosteroidi ha notevolmente migliorato le prospettive di successo in questo campo.

Ingegneria genetica: scienza che studia ed applica tecnologie avanzate allo scopo di manipolare geni per studiae funzioni e interazioni, ottenere combinazioni non presenti in natura e combattere i problemi legati al rigetto.

Isotrapianto: trapianto tra individui geneticamente uguali (gemelli omozigoti).

Istocompatibilità, (antigeni di): complesso di molecole presenti sulla superficie cellulare che condizionano l’istocompatibilità, ossia la capacità di convivenza di cellule di organismi differenti. Tali geni costituiscono il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) che codifica la produzione di proteine leucocitarie. Durante la crescita embrionale, l’organismo impara a riconoscere le proteine proprie (self) ed evita così di mettere in atto meccanismi di difesa verso queste. Nel corso della vita, qualsiasi proteina estranea (non self) verrà aggredita ed eliminata dal sistema immunitario. Tale fenomeno si verifica a carico degli organi trapiantati con il rigetto. Per tale motivo il donatore deve essere «compatibile» al massimo grado con il ricevente ed i consanguinei hanno perciò maggiori possibilità di esserlo.

Morte cerebrale: stato di morte del cervello che coincide con la morte del soggetto, cioè con la cessazione dell’insieme delle funzioni vitali.

Omotrapianto: trapianto di un organo prelevato da un organismo appartenente alla stessa specie, cioè quella umana.

Protocollo chirurgico: descrizione delle tecniche e delle modalità relative alle operazioni di espianto, conservazione e trapianto di un organo e di un tessuto.

Ricevente: paziente beneficiario dei tessuti o degli organi da parte del donatore.

Rigetto: reazione immunitaria che si verifica nei confronti di un tessuto trapiantato e che ne determina l’incapacità di sopravvivere. La reazione di rigetto è tanto più forte quanto maggiore è la differenza genetica tra donatore e ricevente.
• Rigetto iperacuto: si manifesta immediatamente dopo il trapianto a seguito di una risposta immunitaria intensa e precoce conseguente a una pregressa sensibilizzazione degli antigeni del soggetto donatore da cui è stato prelevato l’organo da trapiantare.
• Rigetto acuto: si verifica quando la morte dei tessuti trapiantati avviene ad una settimana circa dal trapianto, è questo infatti il periodo di tempo necessario perché si sviluppi la risposta immunitaria.
• Rigetto cronico: in questo caso il fenomeno ha un decorso più lento e dilatato nel tempo.

Tipizzazione: identificazione delle caratteristiche della tipologia delle cellule o di un tessuto corporeo attraverso l’identificazione di alcuni antigeni in essi presenti. Le differenti combinazioni di questi antigeni permettono di distinguere le differenti tipologie da trapiantare.

Transgenico: organismo vegetale o animale modificato mediante l’introduzione di geni che provengono da specie simili o differenti.

Trapianto: intervento chirurgico con cui si innesta in un organismo detto «ospite» un organo o tessuto prelevato da un altro organismo detto «donatore».

(a cura di Enrico Larghero)


ASSOCIAZIONI PER LA DONAZIONI DI ORGANI

• Aido, Associazione italiana donatori di organo
nata a Bergamo il 26 febbraio del 1973, ha la sede nazionale in via Novelli 10/a, 24122 Bergamo – tel. 035.222167
• Admo, Associazione donatori midollo osseo
via Aldini 72 – 20157 Milano –
tel. 02. 39001170
• Aned, Associazione nazionale emodializzati
sede nazionale in via Hoepli 3,
20121 Milano – tel. 02.8057927

• Anerc, Associazione neuropatici emodializzati e trapiantati
via Scudillo 24, 80131 Napoli –
tel. 081.5453322
• Aitf, Associazione italiana trapiantati di fegato
fondata a Torino nel 1988,
ha sede presso l’Ospedale Molinette, corso Bramante 88, 10126 Torino –
tel. 011.6336374
• Anto, Associazione nazionale trapiantati di organo
via Vittorio Emanuele II 27,
25122 Brescia – tel. 030.2971957

Bibliografia essenziale:

• Aramini M., Di Nauta, Etica dei trapianti di organi, Edizioni Paoline, Milano 1998
• Bollettino dell’Associazione Anestesisti, Rianimatori Ospedalieri Italiani (AAROI), nn.1-8- 2005
• Bompiani A.,Sgreccia E., Trapianti d’organo, Vita e Pensiero, Milano 1989
• Casciani C.U., Valori etici e scientifici nella ricerca del trapianto d’organo, in Ghetti V. (a cura), Etica nella ricerca biomedica, F.Angeli, Milano 1991
• Civetta J.M., Trattato di rianimazione e terapia intensiva, Antonio Delfino Editore, Roma 2000
• Crepaz P, La donazione di organi, Città Nuova, Roma 2003
• Lamb D., Il confine della vita. Morte cerebrale ed etica dei trapianti, il Mulino, Bologna 1987
• Morris P., I trapianti. Uno sguardo etico, Sapere 2000, Roma 2003
• Perico G., I trapianti umani verso la nuova normativa, in Id, Problemi di etica sanitaria, Edizioni Ancora, Milano 1992
• S.Privitera e coll., La donazione di organi. Storia etica legge, Città Nuova, Roma 2004
• Puca A., Trapianto di cuore e morte cerebrale del donatore (aspetti etici), Edizioni Camilliane, Torino 1993
• Romano E., Anestesia generale e clinica, UTET, Torino 2004
• Sgreccia E., Bioetica e trapianti d’organo sull’uomo, in Id., Manuale di Bioetica: I. Fondamenti ed etica biomedica, Vita e Pensiero, Milano 1994
• Sherwin B.Nuland, Storia della medicina. Dagli antichi greci ai trapianti d’organo, Mondatori, Milano 2004
• Spagnolo A.G., Bioetica nella ricerca e nella prassi medica, Edizioni Camilliane, Torino 1997
• Tettamanzi D., Il trapianto di organi, in Id., Bioetica. Nuove frontiere per l’uomo, Piemme, Casale Monferrato 1990

Siti internet:
• www.daivaloreallavita.it
• www.trapianto-giornatanazionale.it
• www.donalavita.net (*)
(*) campagna di sensibilizzazione finanziata dalla Regione Piemonte e realizzata dall’agenzia Armando Testa, ideatrice del «cuore infiocchettato»

Enrico Larghero