Onorevoli di tutto il mondo unitevi!

Acqua e politica

Dall’Africa e dall’Europa. Parlamentari ed eletti di enti locali. Si riuniscono per dare voce ai cittadini. No alla mercificazione dei «servizi alla cittadinanza»: acqua, educazione, sanità, trasporti, energia.

Bamako. Sono tra quelli meglio organizzati gli incontri del Contratto mondiale sull’acqua, e sempre gremiti di gente. Ma la sala del Museo nazionale di Bamako dove si tengono è troppo piccola e gli aspiranti partecipanti si accalcano fuori.

Riccardo Petrella e il suo gruppo sono riusciti a coinvolgere parlamentari africani (Mali, Burkina Faso, Togo), belgi, francesi ed europarlamentari nell’idea di costruire una rete di onorevoli di tutto il mondo in grado di rappresentare realmente i desideri della popolazione. Soprattutto per quanto riguarda i «servizi alla cittadinanza», ovvero acqua, educazione, sanità, trasporti, energia.
Si deve creare un «Collegamento dei parlamentari tra loro e parlamentari e società civile» sostiene Soumane Touré, deputato del Burkina Faso, per poter fare in modo strutturato «pressioni sulla regolamentazione per la gestione dell’acqua. Perché l’insieme dei cittadini deve farsi ascoltare. Che siano i parlamentari o gli eletti degli enti locali, devono prestare attenzione ai problemi della popolazione per poi cercare di risolverli. Un deputato eletto deve poter introdurre leggi in questo senso».

Padroni dell’acqua

Presente all’incontro anche Danielle Mitterand (moglie del defunto presidente francese François Mitterand), presidente della Fondazione France et Liberté. Nel suo intervento sottolinea che le preoccupazioni sull’acqua non sono solo relative a quella potabile, ma, in senso più largo «intesa come bene dell’umanità, per la sopravvivenza stessa della specie umana». La constatazione della Mitterand è che siamo il risultato di un sistema, per cui ogni stato non può portare avanti la propria politica, ma sono tutti sottomessi a una dittatura mondiale economica e finanziaria.
Il pensiero unico, che ci è stato imposto da molti anni, predica il profitto come motivazione di tutto, senza alcuna considerazione per l’essere umano. E la corsa al potere per controllare il mondo passerà dall’acqua: «Chi sarà il padrone delle risorse in acqua (falde acquifere, sorgenti, fiumi) sarà il padrone del mondo. Questo ci porterà alla guerra dell’acqua».

Ma la Mitterand vede una reazione positiva nelle società civili, anche africane «esistono molte associazioni portatrici di progetti e composte da persone responsabili verso l’ambiente che stanno costruendo un’altra politica per un mondo con solidarietà popolare. Le associazioni – continua – sono coscienti della possibilità di riuscire a convincere gli eletti, coloro che hanno potere di decisione affinché agiscano in questo senso». È quanto è successo in Belgio, spiega il deputato Pierre Galan, dove grazie a pressioni del parlamento, il governo di quel paese è stato l’unico ad opporsi, nel marzo 2005, alla liberalizzazione del mercato dei servizi in sede Ue.

Un impegno comune

Un deputato verde francese chiede ai rappresentanti dei paesi presenti di intensificare la comunicazione, affinché in Europa si conoscano quali imprese europee stanno tentando di privatizzare l’acqua in Africa. Avranno così gli elementi per interpellanze e inchieste parlamentari.

I partecipanti, parlamentari e rappresentanti di associazioni, sottoscrivono la Dichiarazione di Bamako, nella quale si impegnano su tre punti fondamentali. Primo: il Fsm considera l’accesso gratuito all’acqua in termini di 40 litri al giorno per persona come uno degli obiettivi per i prossimi 10 anni. Per questo è prioritario creare delle reti continentali di «difensori dell’acqua» (movimenti, cittadini, sindacati, ecc.) contro la mercificazione e la privatizzazione di questa risorsa. Secondo: i parlamentari presenti si impegnano a creare associazioni nazionali, continentali e inteazionali di eletti con lo scopo di favorire l’accesso all’acqua per tutti. Spingeranno, inoltre, affinché il Parlamento panafricano faccia di una nuova politica dell’acqua una delle sue priorità. Terzo: organizzazioni e imprese pubbliche dell’acqua dei vari paesi si impegnano a creare un’alleanza mondiale delle società pubbliche per promuovere la proprietà e la gestione pubblica di questo bene comune e controbilanciare le azioni delle compagnie multinazionali (1), che hanno creato la FederAcqua (Federazione internazionale degli operatori privati).

Di Marco Bello

(1) Si veda il dossier «Le mani sull’acqua», MC giugno 2006.

PARLA RICCARDO PETRELLA:

VERSO L’ASSEMBLEA MONDIALE

Il segretario generale del Comitato internazionale per il Contratto mondiale sull’acqua ci spiega le priorità delle battaglie per i prossimi mesi. Per una vasta mobilitazione di cittadini, enti locali e parlamentari.

In primo luogo bisogna rigettare la direttiva europea Bolkestein (direttiva sui servizi nel mercato unico dell’Ue in iter di approvazione, ndr). Per riaffermare il carattere pubblico dei servizi di cittadinanza, che questa direttiva vuole trasformare in merce: l’acqua, l’educazione, il trasporto, il solare nell’energia. L’attuale testo, anche modificato, è chiaramente una specie di abbandono di ogni senso di vivere insieme gestito con meccanismi pubblici collettivi, rappresentativi, non burocratici e non corrotti. Non vogliamo che questi servizi ubbidiscano alla semplice logica del prezzo minore, quindi più competitività, che pretenderebbe anche miglior qualità. Anche se fosse vero, come si può accettare che la logica del mercato governi l’accesso ai servizi di base per la cittadinanza? Questo significa aver completamente mercificato la vita e la società: è uno degli attacchi più feroci che la logica della società capitalista sta portando alla civiltà.
Attualmente ogni stato ha le sue leggi in materia. In alcuni paesi i servizi sono totalmente pubblici, in altri sono stati privatizzati. La direttiva Bolkestein, dietro alla scusa del mercato unico europeo, vuole applicare il principio della liberalizzazione, deregolamentazione quindi privatizzazione dei servizi alla cittadinanza.

Secondo. Vogliamo riaffermare il concetto dell’acqua pubblica sia sul piano di proprietà, sia su quello della gestione. Si vuole evitare questa distinzione, che molta gente fa, sostenendo che la proprietà della rete deve restare pubblica, mentre la gestione del servizio può essere data al privato. Dietro al principio assai strambo, non confermato dalla realtà, che il privato necessariamente deve essere più efficiente, efficace ed economico del pubblico.

Terzo. A settembre ci saranno gli stati generali dell’acqua delle regioni meridionali (italiane, ndr), per tentare di definire e far mettere in opera una visione e una politica dell’acqua pubblica. Per evitare che nei prossimi anni le pressioni verso le tendenze delle politiche regionalistiche di tipo nazionalista anche sull’acqua si rinforzino, invece di andare verso una visione più cornoperativa, solidale ed efficace a livello dei bacini del meridione. E, inoltre, l’utilizzo del territorio e dell’acqua per una politica di ristabilimento del sistema idro-geologico oggi completamente dissestato in queste regioni. Far sì che i servizi idrici di distribuzione, depurazione e fognatura possano sempre rispondere a elementi di qualità elevati attraverso un intervento di governo pubblico dell’acqua.

Quarto. Stiamo organizzando dal 3 al 6 dicembre, a Bruxelles, la prima Assemblea mondiale dei cittadini per l’acqua, alla quale tenteremo di far venire i responsabili di città, villaggi, associazioni e parlamenti locali. L’obiettivo è che si prenda l’impegno a far sì che nessuno, almeno nella propria città, sia sprovvisto di accesso all’acqua potabile entro i prossimi 15 anni. Affinché la gente si impegni non solo a dichiarare che l’acqua è un bene comune o un diritto, ma a concretizzare questi due principi. Inviteremo le città del Sud e del Nord, dall’Africa e dall’America Latina. Come finanziarci? La provvidenza è chiamata a intervenire.

Per tutto questo il Forum sociale è un luogo di concertazione dove, a partire dallo scambio di interessi, analisi, critiche e valutazioni su ciò che è stato fatto o deve essere fatto, si elaborano strategie comuni per raggiungere in maniera più efficace gli obiettivi per i quali ci battiamo da tanti anni.
a cura di M.B.

(1) Riccardo Petrella è già stato intervistato sulle pagine di MC di settembre 2001.

Marco Bello




Quale futuro per il Forum Sociale?

Il personaggio (1): François Houtart

François Houtart, sacerdote, è presidente del Centre Tricontinental di Louvain-la-Neuve, in Belgio e membro del Consiglio internazionale del Forum sociale mondiale.

«È estremamente importante riflettere sulla memoria, la storia dei Forum e la loro evoluzione, per porsi il problema delle sfide del futuro» sostiene François Houtart (1).
«Si è sviluppato a causa dell’allargamento della logica del capitale all’insieme dei gruppi umani, che ha originato la convergenza di movimenti di protesta e resistenza. Gruppi che non avevano nulla a che fare l’uno con l’altro. Luogo di incontro e scambio, con obiettivi comuni definiti dalla Carta del Fsm, la lotta al neoliberismo, contro l’egemonia mondiale del capitale e la ricerca di alternative. È un soggetto pluralista sotto vari aspetti: diversità di provenienza geografica, di settore sociale, genere, di tipologia (movimenti sociali, Ong, intellettuali, ecc.) e pluralità ideologica. Si, perché c’è chi pensa che si possa umanizzare il sistema capitalista, chi invece vuole cambiarlo radicalmente.
Importante è restare insieme. Il fatto di poter resistere in una convergenza sta progressivamente costruendo un nuovo rapporto di forza con l’altro polo, quello mondializzato, fortemente costituito».

Quali sono i principali risultati dei Forum?
Primo: c’è stata una crescita di coscienza collettiva mondiale alla quale noi abbiamo realmente contribuito. Secondo: i Forum sono stati luoghi di formazione e di appoggio di reti, alcune sono nate nei Forum, altre si sono rinforzate.
Terzo: l’esistenza dei Forum è un fatto politico in sé.

In che senso il Forum è politico? Che potere ha di influenzare le decisioni dei governi?
Non so se abbiamo già influenzato, ma conosco alcuni partiti politici in Europa i cui dirigenti vengono ai Forum perché si rendono conto che aumenta la loro credibilità politica. Non dico che abbiano sempre le migliori intenzioni. Ma stimano che non è più possibile non tenere conto di questi eventi e che i temi dibattuti sono importanti dal punto di vista politico. Organismi come la Bm, l’Fmi o la riunione di Davos, è vero che non li abbiamo cambiati, ma sono stati obbligati a modificare i loro discorsi. Sentiamo che è una forza che si costruisce. È un processo, dobbiamo continuare. Quello che succede in Venezuela oggi, non voglio dire sia frutto dei Forum, ma è un cambiamento. Bisogna poter arrivare in molti luoghi per attuare dei cambiamenti di quel tipo.

Quali sono le sfide attuali?
Si deve passare dall’elaborazione di una coscienza collettiva, alla costruzione di attori politici. Che esistono già ma devono essere rinforzati se vogliamo avere un’efficacia contro il sistema e la sua organizzazione. Questo per costruire poco alla volta un nuovo soggetto storico. Se la classe operaia lo è stata durante il XIX e XX secolo, oggi credo che il soggetto che si costruisce progressivamente è più largo perché non c’è un gruppo sociale al mondo, che siano i popoli autoctoni, oppure i contadini, che non sia sottomesso alla logica del capitale.
Ma attenzione, i Forum devono restare unicamente dei punti di incontro e di scambio, non luogo di decisione collettiva. In questo modo è possibile restare non gerarchici, e ascoltare tutte le diversità di sensibilità di organizzazioni diverse.
Importante sarà incontrare la strategia dell’avversario, che sta cercando di cornoptarci, riutilizza i nostri concetti e lo stesso nostro linguaggio ma dandogli un altro senso, come ad esempio la lotta contro la povertà. Ma finalmente mette in marcia il suo apparato repressivo, poliziesco o militare, per criminalizzare soprattutto i movimenti sociali nel Sud.

Quando parla di nuovi attori collettivi, a cosa pensa?
Penso ad esempio al movimento della pace, all’opposizione alla guerra in Afghanistan e Iraq. Se riusciamo a far sì che in mille città del mondo ci siano manifestazioni contro la guerra, eventualmente ampliando le prospettive, come la distruzione di tutte le atomiche o la soppressione di tutte le basi militari all’estero, avremo creato un attore collettivo in un settore. Possiamo fare la stessa cosa contro la privatizzazione dell’acqua. Se in ogni settore si creano degli attori collettivi, poco a poco questi possono costituire un nuovo soggetto storico pluralista.

Come far rientrare gli esclusi nei Forum? Ad esempio l’Africa della città è molto diversa da quella dei villaggi, e questa seconda qui a Bamako non sembra molto rappresentata.
È una sfida intea, che necessita di una lunga preparazione del Forum con un intervento locale nei villaggi. Occorre avere un contatto reale con la gente, e poi bisogna far venire, alloggiare, essere presenti fisicamente un certo numero di persone della base, in modo che non si dimentichi che si discute di loro. In India c’era stato un grande sforzo da quel punto di vista (il Fsm del 2004 si è tenuto in India, ndr.). C’erano 20.000 «intoccabili». Questo aveva creato una certa atmosfera: non si potevano dimenticare. In India tutto era sullo stesso sito, mentre qui c’è una certa dispersione, quindi è molto più difficile organizzare una presenza. E non basta parlare a nome loro, bisogna averli presenti in modo tale che si possano trasformare in attori.

Come possono i Forum avere una buona visibilità e non essere criminalizzati?
La visibilità dipende essenzialmente dai media. Ci sono giornalisti dei media tradizionali che sono qui con noi e poi ci sono tutti i media alternativi. È una nostra preoccupazione. Poi dipende anche dal fatto che ci siano ogni tanto atti realmente visibili, ad esempio la manifestazione di apertura del Forum. Oppure far sì che molti parlamenti votino la Tobin Tax (proposta di tassa sulle transizioni finanziarie inteazionali, ndr.): non sarà questo che distrugge il capitalismo ma va contro il sistema mondiale ed è visibile.

DI MARCO BELLO


(1) MC aveva già intervistato François Houtart sul numero di aprile 2002.

Marco Bello




Orgoglio africano

Il personaggio (2): Aminata Traoré

Aminata Traoré è uno dei personaggi storici del Forum Sociale Mondiale. Da Porto Alegre a Mumbai e finalmente qui, nel «suo» Mali. Donna, africana, ex ministro della cultura, Aminata sprigiona una grande energia, e allo stesso tempo ispira saggezza e rispetto. Con la sua associazione Foram, si batte da anni per un’alternativa tutta africana alla globalizzazione e anche per questo è tra gli organizzatori del Fsm policentrico di Bamako. Le abbiamo posto qualche domanda.

Qual è la sua impressione su questo Forum e che lezioni si possono dedurre per la preparazione di quello di Nairobi?
Penso che abbia il merito di essersi svolto, il che è una buona cosa per l’Africa. Ha mostrato che i problemi africani non hanno nulla di così specifico all’Africa nell’epoca della globalizzazione. Il fatto che centinaia di organizzazioni si siano incontrate a Bamako per constatare la stessa devastazione del sistema neoliberale, è una maniera di interpretare la storia e i problemi africani senza discriminazione. Questa porta a far credere che gli africani siano responsabili di tutto quello che viviamo in Africa, e che sia essenzialmente dovuto alla povertà, come se questa fosse generata in modo spontaneo, senza delle precise cause. Possiamo, ad esempio, constatare che i flussi migratori sono le conseguenze degli stati liberali in Europa e del Nord in generale. Penso che il gioco politico debba avere altri contenuti, non solo la questione delle elezioni organizzate bene o male, ma l’occasione di dire che il mondo intero è in fase di ristrutturazione e questo si fa sovente con l’esclusione e a scapito dei popoli.

Pensa che potrete influenzare i decisori africani?
I dirigenti africani sono gli allievi, ma bisogna chiamare in causa i loro maestri. Localmente noi ci battiamo nelle elezioni per i nostri governanti, ma qualsiasi essi siano, hanno sempre una potenza internazionale dietro che chiede loro di mettere in opera una certa politica economica. Dobbiamo quindi batterci su due punti: all’interno per dire ai nostri governi che si sbagliano sulla scelta delle priorità, all’esterno per dire ai dirigenti dei paesi ricchi di agire in modo diverso rispetto ai governi africani altrimenti sono inevitabili questi flussi migratori, causati dalla sofferenza per la miseria nei nostri paesi, creata dalle loro politiche.

Quali sono stati i temi principali di questo Forum?
Tutti i temi. Perché, come un rullo compressore, la globalizzazione ha toccato tutto: agricoltura, commercio, educazione, donne, giovani. Su tutte queste questioni si è discusso. Compresa l’immigrazione. Il Mali è un paese di origine di migranti, e come gli altri paesi limitrofi, è particolarmente toccato dalle politiche migratorie scelte dall’Unione europea. È quindi legittimo che ci appropriamo di questa problematica e la interpretiamo in maniera che non ha nulla a che vedere con l’approccio dell’Europa.

Qualcuno dice che i Forum sono per le élite africane, per i ricchi. Secondo lei è vero?
Mi faccia vedere i ricchi. Io sono originaria di una famiglia povera. Non è perché io scrivo libri o mi esprimo correttamente in francese che sono parte di un’élite. Questo è un approccio miserabilistico all’Africa: si preferisce che gli africani che non sono in grado di esprimersi siano presi in carico dalle istituzioni del Nord, ma quando c’è un africano che sembra conoscere quello di cui parla, lo si chiama ricco.
Abbiamo fatto tutto il possibile per coinvolgere la popolazione: i contadini sono rappresentati, hanno uno spazio tutto per loro, i sindacati pure, i giovani hanno il campo dei giovani, le donne sono mobilitate. È la prima volta che un Forum di questo tipo ha avuto luogo e ha innanzitutto il merito di essere stato realizzato, nonostante le difficoltà. Le persone che sono venute divulgheranno quanto si è detto, e continueremo a batterci. Se si vuole vedere in questo un approccio d’élite, posso dire lo stesso per il movimento del Nord.

Ma chi sono stati i partecipanti?
Molti sono arrivati dall’interno del Mali. L’appoggio dello stato ci ha permesso di far venire delegazioni da tutte le regioni del paese. Altri sono venuti via terra da Niger, Burkina Faso, Guinea, Senegal, Mauritania. Gli occidentali vorrebbero che prendessimo i loro soldi e non quelli dei nostri stati. Ma questi sono i soldi dei contribuenti che pagano le tasse, preferisco prendere queste risorse piuttosto che continuare a dire «grazie» al Nord.
L’apporto dello stato maliano è stato molto importante: 150 milioni di franchi cfa (circa 230 mila euro, ndr.) e tutte le infrastrutture. Senza di esso non ci saremmo riusciti. Le risorse che i partner estei hanno fornito ci hanno permesso di far venire partecipanti da diversi paesi, come dall’Africa dell’Est. L’importanza è anche politica, perché vuol dire che non siamo combattuti, sono pronti ad ascoltarci. In effetti oggi, più che in passato, hanno capito che le nostre critiche sono fondate.

Di Marco Bello

Marco Bello




Verso Nairobi

La signora Wahu Kaara è una delle principali organizzatrici del Fsm
che si terrà a Nairobi (Kenya) a gennaio 2007.
A Bamako ha preso il testimone. Di seguito fa il punto per MC sull’organizzazione.

L’obiettivo del Fsm è quello di mostrare la forza delle organizzazioni di base che sono i veri agenti di trasformazione sociale. Questo non può essere distorto perché i movimenti hanno la loro storia e un impegno per mutare la realtà affinché ci sia giustiza per tutti. Sarà l’occasione per mostrare le nostre lotte globali e celebrarle tra cittadini di tutto il mondo. Mostreremo che non esiste una forza in grado di cambiare il percorso della storia.
L’unicità dell’Africa farà la differenza. Non un continente senza speranza, dilaniato dalle guerre, povero e perso. L’Africa è viva! Rifiutiamo la vittimizzazione. Demistificheremo miti e differenze sulla gente africana.
Mostreremo anche che non siamo solo noi ad avere a che fare con le esigenze della globalizzazione ma siamo tutti cittadini globali.
Con la nostra elasticità e le strade innovative che percorriamo per controbattere le strutture dominanti mostreremo che la questione principale che tutti dobbiamo affrontare è una: distribuzione e gestione delle risorse in equità. Abbiamo quindi bisogno di organizzarci come cittadini utilizzando la nostra diversità come una forza.
A livello pratico stiamo seguendo il modello delle passate edizioni, in termini di pianificazione orizzontale. Cerchiamo di raggiungere più possibili gruppi organizzati e associazioni a livello nazionale e regionale, ma anche di coinvolgere singoli individui impegnati nel cambiamento politico.
La più grossa difficoltà è la ricerca dei fondi. Riceviamo molte offerte e promesse, ma in termini reali stiamo ancora aspettando. Questo rallenta molto il processo e la nostra paura è che i partner vogliano liberare le risorse solo a fine anno, a ridosso del Fsm. Ma sarà tardi, perché molto del lavoro organizzativo va fatto prima. Noi abbiamo già il budget e la pianificazione pronta. Il rischio è che così anche lo spirito dei volontari che animano questa struttura si affievolisca perché non si riescono a realizzare le azioni previste.
La gente e le organizzazioni di base sono la manifestazione dello spirito del Fsm. Questo sarà effettivo se saremo capaci di stimolare continuamente le azioni di queste gruppi inducendoli a fare le loro richieste e a prendere il loro spazio nel Fsm. Le condizioni sono mature.

Di Wahu Kaara da Nairobi

Wahu Kaara




Acqua del rubinetto? Si, grazie!

Lo scandalo dell’acqua (3): l’acqua di casa

La strategia è chiara: diffondere diffidenza verso l’acqua del rubinetto, un tempo foita da società pubbliche. Un tempo, perché da qualche anno è in corso il tentativo di vendere le infrastrutture idriche pubbliche a società private. La scelta di privatizzare anche l’acqua del rubinetto si inserisce nel consueto schema neoliberista. Ma è una scelta inaccettabile, a cui molti movimenti nati dalla società civile, a Sud come a Nord, si stanno opponendo strenuamente, pur tra mille difficoltà.

L’acqua che scorre dal rubinetto di casa non è un fatto scontato. Al contrario: solo 16 persone su 100 possono aprire un rubinetto e veder scorrere acqua potabile. Nella maggioranza dei paesi del Sud del mondo, soprattutto in Africa, l’acqua non arriva in casa, ma occorre procurarsela ai pozzi, alle sorgenti, ai fiumi, ai laghi. Si calcola che 18 milioni di bambine e bambini sono costretti a fare i portatori d’acqua a causa della mancanza o dell’inaccessibilità degli acquedotti.
Precisato questo, cosa sta avvenendo dove esiste un sistema di distribuzione, nei paesi del Sud come in quelli del Nord? Si assiste al tentativo di privatizzare gli acquedotti, sottraendoli cioè alla gestione pubblica.
Il tutto accade senza fare troppo rumore, per evitare l’opposizione delle popolazioni. Per fortuna, l’operazione non sempre riesce.

RUBINETTI… D’ORO

Come a Cochabamba ed El Alto, ma anche a Napoli, Caserta, Arezzo: due città boliviane ed alcune città italiane idealmente unite nel combattere contro la privatizzazione dei loro acquedotti.
A Cochabamba e ad El Alto hanno combattuto e vinto, sconfiggendo niente di meno che due multinazionali del calibro della statunitense Bechtel e della francese Suez. Nelle città della Campania e della Toscana si sta ancora discutendo, dopo che la decisa opposizione dei movimenti civici per l’acqua ha fermato la macchina della politica e del business.
A Cochabamba l’eroe della prima «guerra dell’acqua» (la seconda è stata quella di El Alto, sempre in Bolivia) è stato Oscar Olivera, operaio e sindacalista.
A Napoli la rivolta è capeggiata da padre Alex Zanotelli, missionario comboniano molto noto per le sue battaglie a fianco della società civile, prima in Kenya, ora in Italia.
A Sud come a Nord la motivazione addotta per giustificare la privatizzazione dei servizi idrici è sempre la solita: l’inefficienza della gestione pubblica. Invece di correggere il pubblico si pensa subito al privato, facendo finta di non ricordare che il privato ha come primo obiettivo il guadagno e per ottenerlo subito è disposto a tutto, indipendentemente dal consenso della clientela.
A Cochabamba, prima della vittoriosa rivolta, le tariffe della Bechtel-Aguas del Tunari, erano aumentate del 68 per cento! Identicamente sono aumentate le tariffe nei comuni italiani che hanno rinunciato ad una gestione pubblica dei servizi idrici. Ad Arezzo, ad esempio, le bollette sono aumentate del 200 per cento.
L’ordinamento italiano prevede 3 modalità di affidamento dei servizi pubblici locali: la gestione interamente pubblica (definita in house providing), la gestione mista (cioè con capitale pubblico e capitale privato) e la gestione interamente privata. Dopo l’elettricità, il gas, i rifiuti, i trasporti urbani, adesso si è giunti alla privatizzazione dell’acqua e dei servizi ad essa collegati (captazione, depurazione, distribuzione, eccetera).
Ma l’acqua non è un bene come un altro; è un bene vitale a cui tutti debbono avere accesso. Data la sua natura di diritto umano fondamentale, la sua gestione dovrebbe sempre essere esclusivamente ed interamente pubblica. Escludendo dunque realtà come l’Acea di Roma, che è una società pubblico-privata, dove tra i soci di minoranza c’è il gruppo Caltagirone (cioè un pezzo da novanta del capitalismo privato).
Questo chiedono i movimenti civici per l’acqua sorti in tutta Italia. Questo chiede la legge di iniziativa popolare per la quale si stanno raccogliendo le firme.
Sta ottenendo molte attenzioni l’esperienza dell’acquedotto pugliese, società a capitale interamente pubblico, il cui presidente è addirittura il professor Riccardo Petrella, notissimo per le sue battaglie in favore dell’acqua come diritto, nonché presidente dell’«Università del bene comune» (che ha una facoltà dell’acqua).
In Italia ogni persona consuma mediamente 250-300 litri al giorno, ma i litri prelevati sono molti di più a causa delle perdite (tabella 4). Un buon governo pubblico dell’acqua dovrebbe avere come obiettivo anche un uso sostenibile della risorsa, riducendo i consumi e gli sprechi.

L’INDIA E LE DONNE
DELL’ACQUA

In Italia si spreca, in altri luoghi del mondo per avere l’acqua si deve combattere. In India due donne, due personalità come Arundhati Roy e Vandana Shiva, si sono messe alla guida di movimenti popolari che contestano le autorità per le loro scelte in materia di acqua.
La scrittrice Arundhati Roy (famosa soprattutto per il romanzo Il Dio delle piccole cose) sta combattendo a fianco delle popolazioni che si oppongono alla costruzione di un’enorme diga sul fiume Narmada, una diga che sommergerà 91 mila ettari di terra, 249 villaggi e la città di Harsud.
La scienziata Vandana Shiva è al fianco delle popolazioni indiane che stanno battendosi (in Kerala, Rajahstan, Utar Pradesh) contro lo scriteriato pompaggio delle falde acquifere da parte della Coca Cola, che nel paese possiede decine di stabilimenti. Si calcola che per produrre un litro di Coca Cola siano necessari ben 9 (!) litri di acqua potabile.
In India, considerata una potenza economica emergente, 500 milioni di persone non sanno cosa sia l’acqua potabile.

Paolo Moiola


ACQUA-DIRITTO O ACQUA-MERCE?

• l’acqua come diritto
L’acqua è un diritto umano essenziale e pertanto inalienabile. Trarre profitto (privato) dall’acqua dovrebbe essere vietato.

• l’acqua come merce
Come sempre accade quando un bene o un servizio sono gestiti da privati, il beneficio di quel bene o di quel servizio andrà soltanto a chi può permetterselo. Ma allora l’acqua smette di essere un «diritto umano» per diventare una «merce».

• le conseguenze dell’acqua come merce
Abbiamo visto che alla lunga dalle ingiustizie derivano sempre conseguenze negative per le società (si veda quanto accaduto dopo la privatizzazione dell’acqua in Bolivia) e l’intera collettività umana. Per questo la mercificazione dell’acqua va fermata subito.

Pa.Mo.

Paolo Moiola




Acqua in bottiglia? No, grazie!

Lo scandalo dell’acqua (4): l’acqua in bottiglia (di plastica

Abbagliati da una pubblicità ossessiva ed invadente, gli italiani sono i primi consumatori mondiali di acqua in bottiglia: 184 litri a testa! Eppure la logica direbbe di non comprare o almeno di limitare l’acquisto di questo prodotto. Che costa uno sproposito, impoverisce lo stato, inquina il mondo e da ultimo non è proprio detto che faccia così bene…

Un famoso calciatore e una giovane miss Italia: sono loro i testimonial più utilizzati in questi mesi del 2006. La pubblicità, invero simpatica, è quella di due note marche di acqua minerale.
I produttori di acque minerali spendono cifre da capogiro sui media e in particolare in televisione per pubblicizzare i loro taumaturgici prodotti: 300 milioni di euro nel 2004, 600 miliardi di vecchie lire (fonte Nielsen).
Dato che gli introiti della pubblicità sono sacri e spesso fondamentali è difficile leggere o vedere qualcosa contro le acque minerali (1). Trovare qualche notizia libera da condizionamenti è un’impresa, soprattutto sui media importanti, come riconosce, con amarezza, Giuseppe Altamore nel suo libro Qualcuno vuol darcela da bere.
«È (…) un tema – si legge – dai risvolti oscuri tale da suscitare una certa indignazione in chi pensa che la libertà di stampa sia un diritto inderogabile. Purtroppo, l’informazione economica è sottoposta a pressioni e contaminazioni il più delle volte ignorate dai lettori. Nel campo delle acque minerali prevalgono gli interessi dei grandi gruppi del comparto alimentare che aderiscono a Mineracqua, organizzazione aderente a Confindustria. (…) i produttori di minerale fanno parlare di sé a ogni spot televisivo, invadono le pagine dei giornali, rimpinguano gli esausti bilanci delle case editrici che accettano ben volentieri milioni di euro di pubblicità in cambio di un tacito silenzio».
Anche la rivista Altroconsumo vive senza pubblicità ed infatti sul numero 126 dell’aprile 2000 si legge: «“Coccola i reni”, rende la vita leggera, aiuta a fare ping! ping!, reintegra il giusto equilibrio di minerali… le teste d’uovo della pubblicità usano tutta la loro fantasia per convincerci che l’acqua minerale è poco meno di una panacea. Dato che in Italia se ne bevono fiumi, c’è da stupirsi che ci sia ancora in giro qualche malato.
La verità è diversa. L’acqua in bottiglia fa bene, sì, esattamente come quella di rubinetto. Non ci sono motivi fondati per aspettarsi chissà quale vantaggi per la salute dall’acqua minerale, così come non ce ne sono neanche per diffidare sistematicamente di quella foita dagli acquedotti (…). In linea di massima, l’unico motivo per preferire l’acqua minerale è il gusto: vi piace di più di quella che passa il rubinetto di casa».
La conclusione dell’inchiesta di Altroconsumo è ironica: «È proprio vero che l’acqua minerale rende più leggeri, soprattutto i nostri portafogli».

ITALIANI: SORDI E CIECHI

Nel 2003 un rapporto di Legambiente (2) scriveva: «In Italia si consuma più acqua minerale che in qualsiasi altro paese del mondo: circa 172 litri l’anno pro-capite, con un giro d’affari attorno ai 3 miliardi di euro (6.000 miliardi di vecchie lire). Nella sola ristorazione si utilizza il 35% del mercato totale nazionale, settore in crescita per effetto dell’aumento dei pasti fuori casa.
Ma l’iperconsumo di acqua minerale in bottiglia non è proprio un comportamento virtuoso. L’impatto ambientale dell’acqua in bottiglia, per cominciare. Se ogni italiano consuma 172 litri di acqua minerale in un anno, vuol dire che consuma in media 90 bottiglie di plastica e una trentina di vetro. La popolazione italiana conta 55 milioni di abitanti. Dunque ci sono quasi 5 miliardi di bottiglie di plastica da smaltire ogni anno. Tenendo conto che la raccolta differenziata della plastica ne intercetta il 20% circa, almeno 4 miliardi di bottiglie finiscono in discarica. Ogni anno bere ci costa circa 1 milione di metri cubi di discariche. Oltre a questo c’è il problema dell’impatto ambientale dovuto al trasporto su gomma delle bottiglie, con spostamenti del tutto irrazionali che portano acque del sud al nord e viceversa».
Intanto, dopo questo rapporto di Legambiente, il consumo è ulteriormente aumentato. Nel 2004 il consumo di acqua in bottiglia sarebbe stato di 184 litri per italiano: un primato mondiale. Il dato proviene dal prestigioso Earth Policy Institute di Lester Brown (3).

VITA DA CONSUMATORE

Immaginiamo che il nostro consumatore vada al supermercato a comprare l’acqua. Il primo problema da affrontare sarà la scelta: le marche sono decine. Prendere quella che aiuta la digestione o quella che fa andare in bagno? Comunque sia, dalla più famosa alla meno cara, tutte regaleranno al nostro compratore un bel peso (difficile che si acquisti un solo litro) da trasportare, prima alla cassa del negozio, poi a casa (dove magari manca l’ascensore).
Arrivate a destinazione, le bottiglie di acqua saranno consumate. Senza certo soffermarsi sulla lettura dell’etichetta, tra l’altro di solito scritta con lettere minuscole. Residuo fisso a 180 gradi mg/l (milligrammi per litri) e poi una lista di sostanze disciolte in un litro d’acqua espresse in ioni e mg. Tra i pochi che leggeranno, quanti sapranno interpretare queste informazioni? La cosa più comprensibile sarà, probabilmente, il nome di quel dipartimento universitario o di quella Asl che hanno svolto l’analisi chimica e chimico-fisica. Quando? Il 22 marzo 2004. Siamo nel giugno 2006 e dunque sono passati più di 2 anni. Un periodo certo non breve in un mondo dove tutto cambia molto rapidamente. Ma, per una volta, cerchiamo di non essere troppo maligni: quella sorgente è sicura, al riparo da contaminazioni.
Il nostro consumatore ha terminato l’acqua. Che ne farà della bottiglia in Pet? Se rientra nel gruppo del 20% degli italiani che fa regolarmente la raccolta differenziata, cercherà un contenitore per depositare le bottiglie vuote (magari dopo averle accartocciate per non occupare spazio inutilmente). Se invece rientra nel gruppo, purtroppo ben più consistente, di coloro che non fa la raccolta differenziata, getterà le bottiglie nel contenitore della spazzatura (magari anche lamentandosi del servizio di nettezza urbana e dei suoi costi crescenti).
Il nostro consumatore è convinto del prodotto acquistato. Televisioni, radio, giornali gli ricordano in continuazione che l’acqua minerale è più sana, più controllata, più salutare dell’acqua del rubinetto.
Non è vero. Svariate inchieste (ad esempio, Altroconsumo n. 160 del maggio 2003) hanno dimostrato che l’acqua del rubinetto è sottoposta a severi controlli e nella maggioranza dei casi è più garantita di quella in bottiglia. Certamente occorrerebbe investire soldi pubblici negli acquedotti, nel trattamento delle acque reflue, nei controlli sugli scarichi industriali ed agricoli. Costi elevati per casse pubbliche sempre più vuote. Ma siamo certi che non sarebbero soldi ben spesi?

PROFITTI PRIVATI,
PERDITE PUBBLICHE

Già, i soldi. Toiamo al nostro consumatore per capire quanto gli costa comprare quei litri di acqua diuretica, leggera, frizzante, briosa, quasi senza sodio, eccetera eccetera. Il prezzo varia dai 20 ai 50 centesimi al litro. Moltiplicate questo per 184 litri all’anno a persona e otterrete un bel costo. E l’acqua che sgorga dal rubinetto di casa? Costa circa un euro. Però non al litro, ma al metro cubo, cioè per 1.000 litri!
Ma l’argomento costi non si esaurisce qui. La bottiglia in plastica (che in Italia è il 77 per cento del totale) (4) fa risparmiare le imprese ma grava – tanto per cambiare – sulle casse pubbliche. Il costo di una bottiglia in Pet è di circa un centesimo contro i 25 centesimi per una bottiglia di vetro. I costi dello smaltimento del le bottiglie in plastica ricadono però sulle regioni che spendono molto di più di quanto incassino dai canoni delle concessioni per lo sfruttamento delle fonti. Per capire l’entità della questione: su un giro d’affari delle aziende produttrici pari a 2,8 miliardi di euro (5.500 miliardi di vecchie lire) il canone di concessione arriva a circa 5,16 milioni di euro (un miliardo di lire) (5). In sintesi: profitto per le imprese, costi per lo stato e la collettività.
L’Earth Policy Institute ha calcolato l’ammontare di plastica usata ogni anno per produrre le bottiglie per l’acqua: 2,7 milioni di tonnellate! Consumata l’acqua, le bottiglie vengono riciclate in minima parte (le percentuali variano molto da paese a paese); le restanti vanno ad incrementare le discariche o, qualora siano incenerite, ad aumentare le scorie tossiche.
Insomma, ogni volta che andiamo al supermercato, prima di comprare dell’acqua minerale, pensiamo un attimo se ne valga veramente la pena.

Paolo Moiola

Note:
(1) Informazione libera si può trovare sui giornali delle associazioni ambientaliste (Legambiente, Wwf, eccetera), altromondiste (Mani Tese, Unimondo, ecc.) o dell’economia equa e solidale (Altreconomia, Valori, ecc.).
(2) Legambiente, H2Zero. L’acqua negata in Italia e nel mondo, giugno 2003.
(3) Emily Aold, Bottled Water: Pouring Resources Down the Drain, Earth Policy Institute, febbraio 2006.
(4) Anche in questo l’Italia è in ritardo. In Germania, sono in Pet soltanto il 24 per cento delle bottiglie; ben il 75 per cento sono in vetro.
(5) Si veda il Dossier Acque minerali (2005), curato dal «Comitato italiano per il contratto mondiale sull’acqua».


ACQUA DEL RUBINETTO O ACQUA IN BOTTIGLIA?

• il costo
L’acqua del rubinetto costa molto (molto) di meno di quella in bottiglia.

• la salubrità
Non è affatto detto che l’acqua del rubinetto sia qualitativamente inferiore all’acqua in bottiglia. Anzi…

• i costi per la collettività
A fronte di ricavi collettivi molto esigui (le concessioni di sfruttamento vengono rilasciate alle imprese private per pochi spiccioli) ci sono enormi e crescenti costi collettivi, a cominciare dallo smaltimento delle bottiglie di plastica.

• i costi per il pianeta
L’impatto ecologico dell’acqua in bottiglia di plastica è incalcolabile. Non va, inoltre, dimenticato l’impatto sociale che nasce dal diffondersi dell’idea dell’acqua come merce e non come diritto umano.

• la scala dei valori
Bere acqua del rubinetto sottende anche una scelta valoriale. Bere acqua in bottiglia è infatti una risposta individualistica, un comportamento questo che si traduce nella rinuncia alla ricerca dell’acqua come «bene comune» fornito dal servizio pubblico (*).

Pa.Mo.

(*) Si legga il Dossier Acque minerali curato dal «Comitato italiano per il Contratto mondiale sull’acqua».

Paolo Moiola




Per approfondire

BIBLIOGRAFIA

a) per conoscere:

• Giuseppe Altamore, I predoni dell’acqua, Edizioni San Paolo 2004.
• Giuseppe Altamore, Qualcuno vuol darcela da bere, Fratelli Frilli Editori, 2003.
• Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, Feltrinelli 2004.
• Oscar Olivera, Cochabamba! Water war in Bolivia, Usa 2005.
• Luca Mercalli – Chiara Sasso, Le mucche non mangiano cemento, Sms 2005.
• Aa.Vv., L’acqua come cittadinanza attiva, Emi 2003.
• Andrea Palladino e Astrid Lima, L’acqua invisibile, Boker Media e Associazione Liblab 2005 (un film sulla privatizzazione dell’acqua a Manaus).

b) per agire:

• Andreas Schlumberger, 50 piccole cose da fare per salvare il mondo e risparmiare denaro, Apogeo 2005.
• Ugo Biggeri – Valeria Pecchioni – Anne Rasch, Quotidiano responsabile. Guida per iniziare giorno per giorno a prendersi cura del mondo e degli altri, Emi 2004.
• Marinella Correggia, Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori 2000.

c) per tenersi aggioati:

• «Altreconomia», L’informazione per agire, rivista mensile, racconta in maniera facile i problemi dell’economia, proponendo vie alternative alle attuali.
• «Valori», rivista mensile di economia sociale e finanza etica; è più specialistica di «Altreconomia», rivolta a chi non crede alle pagine finanziarie ed economiche dei giornali.
• «Altroconsumo», rivista mensile per i consumatori; si riceve per abbonamento e costa abbastanza cara ma per un’ottima ragione: non contiene una sola riga di pubblicità e, di conseguenza, non è da questa condizionata.

SITI INTERNET

a) siti di informazione critica:

• www.contrattornacqua.it – con accurati dossier in formato Pdf
• www.legambiente.com – un sito ricco di informazioni ed idee
• www.acquabenecomune.org – con le principali leggi in materia
• www.waterobservatory.org – un sito internazionale
• www.worldwater.org – un sito internazionale

b) siti commerciali:

• www.aquafed.org – il sito delle multinazionali dell’acqua
• www.mineracqua.it – il sito italiano dei produttori di acqua in bottiglia: molta autopromozione (e, ovviamente, nessuna autocritica)

PaMo




Sorella acqua

Siccità, sprechi, business

Qualche anno fa il presidente statunitense Bill Clinton dichiarò che un quarto della popolazione mondiale non ha mai tenuto in mano un bicchiere d’acqua potabile. I dati sembrano dargli ragione: il 97 per cento dell’acqua del pianeta si trova negli oceani e nei mari salati e solo il rimanente 3 per cento è adatto al consumo umano, ed esso è di difficile accesso, le riserve d’acqua dolce infatti sono costituite in gran parte dalle calotte polari e dai ghiacciai e solo il 20 per cento da riserve e correnti sotterranee. Questi semplici dati confermano che l’acqua è un bene prezioso, dall’equilibrio fragile e delicato, ma se visto sotto l’aspetto economico il tutto diventa un grande affare. L’idea economica legata all’utilizzo delle acque sta prendendo sempre più piede, tant’è che nel mondo attualmente già 10 grandi multinazionali sfruttano, gestiscono e commerciano acqua a pagamento. Grazie al controllo dei mezzi di informazione sempre più si instilla nell’opinione pubblica l’idea che l’acqua dovrebbe essere privatizzata al fine di rendere più agibile e fruibile un bene che in realtà è destinato a tutti e non può essere consegnato nelle mani di pochi. Questo è il nodo della questione, non possiamo permettere che l’acqua venga da una parte inquinata e dispersa e dall’altra accaparrata da pochi potentati economici in grado di aprire i rubinetti a loro piacimento, ovviamente dietro pagamento di bollette sempre più salate.

In teoria tutti i paesi membri delle Nazioni Unite, concordano sul principio che l’acqua non va considerata come una risorsa economica, bensì come un bene sociale, nella pratica invece essa è una merce come un’altra e ultimamente sta diventando una sorta di «gallina dalle uova d’oro». Molti di quegli stessi paesi che riconoscono all’acqua un valore sociale, nelle ovattate stanze dove si trattano i problemi inteazionali fanno di tutto per privatizzarla e questo sarebbe una sventura proprio per quei paesi del Sud del mondo più deboli di fronte alle pressioni politiche dei grandi di tuo e meno preparati all’assalto delle multinazionali.
Un problema di questo genere non è molto di casa in ambito ecclesiale, se non nella variopinta nicchia dei missionari, ma – come dice la «Gaudium et spes» – ogni problema legato all’ambiente è un problema dell’uomo e quindi è un problema della chiesa.
Mons. Feando Charrier, vescovo di Alessandria, concludendo i lavori di un convegno organizzato a Mortara (1), affermava come siano importanti i valori che mettono al centro l’uomo e non invece gli antivalori che vengono spacciati oggi da una visione economicista e liberista della vita. Dove al primo posto viene messo il profitto e lo sfruttamento irrazionale del Creato.

Mario Bandera

Mario Bandera




Se vince il mercato

Lo scandalo dell’acqua (1): neoliberisti all’attacco

Due miliardi di persone non hanno accesso all’acqua. Milioni muoiono per malattie trasmesse dall’acqua. Mentre si moltiplicano i conflitti per l’«oro blu», governi neoliberisti e multinazionali alla ricerca di nuovi profitti si attrezzano per rendere l’acqua una merce con un prezzo e un mercato. Morale: avrà l’acqua chi potrà pagarla…

Nel mondo ci sono attualmente circa cinquanta conflitti (fortunatamente non necessariamente armati) tra stati, per cause legate all’accesso, all’utilizzo e alla proprietà di risorse idriche.
Ben di più che per il controllo delle fonti di petrolio. Del resto Mark Twain scriveva: «Il whisky è per bere, l’acqua per combattersi».
Ci deve essere una qualche forma di giustizia riparatrice, se è vero che alcuni tra i Paesi produttori di petrolio figurano però agli ultimi posti nella graduatoria mondiale per disponibilità di acqua potabile: in Kuwait 10 metri cubi l’anno pro capite, negli Emirati Arabi 58 metri cubi… contro la Guyana francese, in vetta all’hit parade dell’acqua, con 812.121 metri cubi pro capite l’anno.
Giuseppe Altamore, nell’introduzione al suo libro I predoni dell’acqua, scrive: «Oro blu, un’espressione suggestiva, forse esagerata. Ma dopo aver letto questo libro, probabilmente non riuscirete a trovare una definizione migliore per un affare da 400 miliardi di dollari».
Solo per l’Italia, il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche, nella Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici, ha valutato che l’ammontare del giro di affari nel settore del ciclo dell’acqua (acquedotti, fognature e depurazione) sfiora i 4 miliardi di euro. Notevole anche l’occupazione del comparto: 63.374 addetti.
Che l’acqua sia davvero «l’oro blu», lo hanno ben intuito alcune grandi multinazionali, che si sono prontamente buttate sul mercato dell’acqua potabile.
Nel 1980 solo 12 milioni di persone nel mondo erano rifoite da imprese private; nel 2000 si era già arrivati a 300 milioni, e si prevede che entro il 2015 tale cifra crescerà fino a quota 1 miliardo e 600 milioni.
Il mercato mondiale dell’acqua è dominato da due grandi multinazionali francesi, la «Vivendi» (che ha inglobato la General des Eaux) e la «Suez» (che ha inglobato la Lyonaise des Eaux), che da sole detengono il 40 per cento del mercato planetario dell’acqua.
Un altro ambito è particolarmente attento a fiutare dove si nascondano i possibili «affari»: è quello della criminalità organizzata.

IN SICILIA,
L’ACQUA È… «COSA NOSTRA»

La prima vera guerra di mafia – secondo gli storici di Cosa nostra – inizia nel 1874, a Monreale, quando viene ucciso il guardiano dell’acqua Felice Marchesi. Il delitto si inserisce nel conflitto tra due organizzazioni mafiose rivali, i Giardinieri e gli Stoppaglieri, che è appunto la prima guerra di mafia documentata.
La mafia siciliana fa affari su tutto il ciclo dell’acqua, grandi lavori compresi. Se non esistessero interessi criminali dietro il controllo delle risorse idriche, difficilmente si capirebbero alcune incredibili contraddizioni della realtà siciliana. In Sicilia piovono normalmente 7 miliardi di metri cubi d’acqua l’anno. Il fabbisogno agricolo, civile e industriale è calcolato in 2 miliardi e 482 milioni di metri cubi. La Sicilia, insomma, potrebbe addirittura esportare acqua, invece alcune province (Agrigento, Caltanissetta ed Enna) soffrono di una sete endemica. Nonostante di acqua in Sicilia si occupino in molti, forse troppi: 3 enti regionali, 3 aziende municipalizzate, 2 società miste, 19 società private, 11 consorzi di bonifica, 284 gestioni comunali, 413 consorzi.
Risultato? Una rete idrica-colabrodo. Anche per lavori fatti male, e sui cui appalti la mafia ha sempre detto la sua. Così come nei lavori di costruzione delle dighe e gli invasi, molti mai iniziati, molti mai finiti. E così i proprietari dei pozzi (spesso controllati dalle famiglie mafiose) vendono l’acqua a caro prezzo.

LE PROSSIME GUERRE

Di fronte ai dati allarmanti sullo stato delle risorse idriche del pianeta, molti esperti concordano nel prevedere che le guerre del XXI secolo scoppieranno proprio a causa delle dispute sull’accesso alle risorse idriche.
Non stiamo parlando di uno scenario futuribile, ma della stringente attualità. Non stiamo facendo della fantascienza, ma della cronaca.
Prendiamo la Turchia, che con risorse idriche pro capite superiori a quelle italiane, è da anni ai ferri corti con Siria e Iraq per il controllo di Tigri ed Eufrate. Ma quello turco non è il solo esempio.
Basti pensare alle dispute che oppongono l’Egitto a Etiopia e Sudan per il controllo delle acque del Nilo (un fiume, tra l’altro, che attraversa ben 9 diversi paesi africani). O alla crisi che, sempre per il controllo delle acque, oppone Israele ai suoi vicini arabi.
E proprio il caso israelo-palestinese è forse il più eloquente. Come testimonia la differenza tra coloni israeliani e popolazione araba che, pur vivendo negli stessi territori, usufruiscono di differenti possibilità di accesso e di utilizzazione delle risorse idriche.
Il consumo medio palestinese, in Cisgiordania e a Gaza, è di circa 150 metri cubi pro capite all’anno, mentre quello dei coloni israeliani dei territori occupati si aggira intorno ai 700-800 metri cubi.
E non è un caso se in Israele la gestione delle risorse idriche fa capo al ministero dell’Agricoltura, mentre l’Autorità palestinese ha affidato la stessa competenza al ministero della Difesa…
Toando alla Turchia, poi, l’attuazione di un gigantesco progetto che prevede la realizzazione di 22 dighe e 19 centrali idroelettriche è diventato un tassello importante della strategia geopolitica nell’area.
La Turchia, con questo progetto, punta a due obiettivi: ribadire la sua supremazia rispetto a Siria e Iraq e controllare militarmente (con l’alibi di proteggere i cantieri dagli attentati) i territori dell’Anatolia sudorientale, che da sempre sono la roccaforte dei curdi.
Sul piano mondiale, dei 263 bacini idrici la cui estensione interessa più di un paese, circa un terzo attraversa più di 2 stati e 10 ne coinvolgono 5 o più.
Più della metà delle risorse idriche di gran parte dei Paesi dell’Africa e del Medio Oriente ha origine fuori dei loro confini; altrettanto succede nell’America Latina.
Negli ultimi cinquant’anni le controversie tra stati per il controllo delle risorse idriche sono state 1.831, in gran parte risolte con la firma di 200 trattati di condivisione dell’acqua o la costruzione di nuove dighe o bacini artificiali; 507 casi invece sono stati conflittuali, in 37 casi hanno comportato scontri violenti, in 21 vere e proprie guerre con l’intervento degli eserciti.

MILIARDI DI PERSONE
SENZA ACCESSO ALL’ACQUA

L’acqua è oggi il bene più prezioso per l’umanità, quello che decide della vita e della morte, del benessere e della povertà.
A livello mondiale, 1 miliardo e 400 milioni di persone non hanno praticamente accesso all’acqua potabile; 1 miliardo beve acqua non sicura; 3 milioni e 400 mila persone muoiono ogni anno per malattie trasmesse dall’acqua.
Si prevede che entro il 2025 vi saranno almeno 3 miliardi di persone che soffriranno per la scarsità di acqua potabile. L’80 per cento delle malattie nei paesi in via di sviluppo sono provocate dall’impiego e dal consumo di acqua insalubre. Ogni giorno 6.000 bambini di età inferiore a 5 anni muoiono in seguito al consumo di acqua non potabile.
E l’Onu ci avverte: «In meno di 25 anni due terzi della popolazione mondiale sarà colpita dalla crisi idrica».
Il futuro, dunque, non è roseo. Le necessità di risorse idriche sono destinate a salire in proporzione alla crescita della popolazione: secondo l’Unesco in tutto il pianeta ci saranno 8 miliardi e 300 milioni di persone nel 2025 e tra i 10 e i 12 miliardi entro il 2050. Ma se la popolazione aumenta, le risorse idriche potabili, tendono invece a diminuire.

IO SPRECO, NOI SPRECHIAMO

Il consumo di acqua nel mondo, dal 1960 ad oggi è aumentato del 60 per cento. Abbiamo parlato di consumo, ma occorre parlare anche di spreco, dei singoli consumatori e delle industrie. Qualche dato è più eloquente di tante parole: per un bagno in vasca si consumano fra i 120 e i 160 litri, ma questa quantità d’acqua corrisponde a quella disponibile gioalmente per 12 o 16 abitanti del Madagascar!
E ancora: per produrre un chilogrammo di carta sono necessari 325 litri di acqua, 95 litri per un chilo di acciaio, 10 litri per un litro di benzina. Per costruire un’auto del peso di una tonnellata, di litri di acqua se ne consumano addirittura 150 mila.
Senza una radicale svolta nella politica idrica e con gli attuali investimenti, l’acqua non inquinata potrà raggiungere l’intera popolazione africana non prima del 2050, quella latinoamericana non prima del 2040 e quella asiatica non prima del 2025. Nel frattempo, milioni di persone moriranno in questa strage silenziosa.

SEMPRE MENO ACQUA

La situazione è allarmante. Perché il 97,5 per cento dell’acqua della terra è salata e del rimanente 2,5 per cento, soltanto lo 0,007 per cento è a disposizione dell’uomo. E le riserve d’acqua stanno diminuendo (sempre fonte Unesco): tra vent’anni ognuno di noi disporrà mediamente di un terzo di acqua in meno.
La maggior parte dell’acqua dolce viene utilizzata per uso agricolo. Più precisamente, l’agricoltura utilizza il 70 per cento delle risorse, l’industria il 20 per cento, e il restante 10 per cento viene indirizzato verso altri usi.
Tuttavia – tornando all’agricoltura – la gran parte dei sistemi di irrigazione è inefficiente, dal momento che essi perdono circa il 60 per cento dell’acqua a causa dell’evaporazione o di flussi di ritorno verso i fiumi e le falde freatiche sotterranee. L’irrigazione inefficiente non determina solamente uno spreco di acqua, ma causa anche dei rischi ambientali e sanitari, fra i quali la perdita di terreni agricoli produttivi a causa dell’acquitrinizzazione dei suoli, un fenomeno che rappresenta un importante problema in alcune zone dell’Asia meridionale, e del fatto che la superficie delle acque stagnanti facilita la trasmissione della malaria.
In alcune zone del mondo il consumo idrico ha comportato degli impatti ambientali impressionanti. In alcune aree degli Stati Uniti, della Cina e dell’India, le falde freatiche vengono consumate più rapidamente di quanto non riescano a ricostituirsi, e le superfici delle stesse si stanno riducendo costantemente. Alcuni fiumi, come il Fiume Colorado negli Stati Uniti occidentali e il Fiume Giallo in Cina, spesso si prosciugano prima di raggiungere il mare.
Un altro problema considerevole è quello delle dighe, che drenano l’acqua, spesso alterando il corretto equilibrio ecologico. Si calcola che nel mondo ci siano più di 800 mila dighe di varie dimensioni, che immagazzinano 6.000 chilometri cubi di acqua, pari al 15 per cento circa della riserva rinnovabile del pianeta.
Quasi la metà dei maggiori fiumi è stata in qualche modo alterata dalla costruzione di questi sbarramenti artificiali.
In Italia sono state censite circa 11 mila dighe, solo 800 delle quali controllate dal Servizio nazionale dighe. Le altre 10.000 sfuggono alle verifiche del Servizio nazionale per il semplice fatto che non rientrano nei parametri previsti per il controllo obbligatorio: un’altezza superiore ai 15 metri o un invaso della capacità di almeno 1 milione di metri cubi d’acqua.

LA DESERTIFICAZIONE
AVANZA

C’è poi l’incubo della desertificazione. Anche qui qualche dato:
• il 39% circa della superficie terrestre è «affetta» da desertificazione
• 250 milioni di persone sono direttamente a contatto con la degradazione della terra nelle regioni aride
• più di 100 paesi nel mondo sono interessati dal fenomeno
• la perdita di reddito imputabile alla desertificazione è di circa 45 miliardi di dollari ogni anno
• il 70% dei terreni aridi utilizzati in agricoltura sono già degradati
• la desertificazione impoverisce le possibilità di produzione alimentare: ogni anno 12 milioni di ettari vengono così persi
• la desertificazione impoverisce la biodiversità.

ITALIA: INQUINAMENTO,
PERDITE, CONSUMI ECCESSIVI

Il fenomeno della desertificazione riguarda anche l’Italia. Le zone italiane più interessate dal processo di desertificazione sono soprattutto le isole, grandi e piccole, e le coste del Sud: la Sicilia e la Sardegna, le isole Pelage (Lampedusa, Linosa e Lampione), Pantelleria, le Egadi, Ustica e parte delle coste di Puglia, Calabria e Basilicata per un totale di 5 regioni, 13 province per 16.100 chilometri quadrati di territorio pari al 5,35% dell’Italia.
La regione dove più alto è il rischio di terre «aride e desolate» è la Sicilia con il 36,6% del suo territorio sensibile alla desertificazione e 5 province (Siracusa, Enna, Ragusa, Trapani e Agrigento). Segue la Puglia con il 18,9% del territorio ed anche una zona non costiera (l’interno del Gargano); la Sardegna con il 10,8%.
Secondo le previsioni di Legambiente, infatti, la temperatura nel nostro Meridione è destinata a salire di 2-3 gradi nel giro di un secolo, facendo calare le risorse idriche da 6,3 miliardi di metri cubi a 5,1 miliardi.
Secondo le stime del Wwf, ciascun italiano ha una disponibilità teorica annua di 2.700 metri cubi d’acqua, ma la quantità realmente disponibile crolla a 1.100 metri cubi a causa dell’inquinamento delle falde e dei fiumi e della rete idrica vecchia e inadeguata, con una significativa percentuale delle riserve sprecata per via delle perdite e degli allacciamenti abusivi.
I consumi domestici nel nostro paese rimangono a livelli eccessivi, se si pensa che l’italiano medio consuma 250 litri d’acqua potabile al giorno, mentre i nostri vicini svizzeri ne consumano 159 litri e gli svedesi 119.
Le perdite della rete di distribuzione continuano a superare mediamente il 35 per cento, ma raggiungono il 60 per cento in alcune regioni meridionali. In Svizzera e in Svezia la percentuale di tali perdite si attesta attorno al 9 per cento.

ITALIA: EVASIONE FISCALE
E TARIFFE

L’abusivismo è poi diffuso. Siamo di fronte a un vero e proprio «furto d’acqua». Mentre l’uso dell’acqua cosiddetta «produttiva» (cioè per usi agricoli, industriali, energetici e in altre attività del settore terziario) rappresenta il 75 per cento dei prelievi, essa costituisce solo il 10 per cento dell’acqua fatturata. Abbiamo dunque un’evasione pari al 90 per cento del prelievo.
Un’altra anomalia italiana riguarda le tariffe. Le nostre tariffe per la foitura idrica sono tra le più basse in Europa: il costo può variare da 0,15 a 1,55 euro, a seconda delle zone. Questo ha fatto diventare gli italiani i maggiori consumatori europei di acqua per uso domestico, con 250 litri al giorno prelevati da ogni cittadino. Ma, indagando sull’impiego dell’acqua, si scopre che il 39% se ne va in igiene personale, il 20 per il Wc, il 12 per la lavatrice. Appena l’1% è utilizzato per bere.

IL «CONTRATTO MONDIALE SULL’ACQUA»

L’acqua non è una risorsa inesauribile. Sull’acqua, come ricorda Giuseppe Altamore nel suo libro, incombono molti pericoli: la desertificazione di vaste aree, anche nel nostro paese, la salinizzazione delle falde costiere, l’inquinamento e lo spreco stanno compromettendo sia la qualità che la quantità delle nostre risorse.
Si fa dunque indilazionabile una proposta di «governo dell’acqua» che risponda a precisi criteri: garanzia del diritto fondamentale all’acqua concepita non come un mero prodotto commerciale, ma come un servizio pubblico essenziale, e trattato dunque come altri beni fondamentali (l’istruzione, la sanità, l’assistenza sociale) nel quale l’efficacia e l’efficienza si misurano sulla capacità di coniugare la sostenibilità economica e la qualità e diffusione del servizio.
Concretamente ciò significa «rigenerare il bene acqua attraverso un cambiamento strutturale degli usi». Non sono parole mie, le traggo dal Manifesto italiano dell’acqua 2005, stilato dal «Comitato italiano del Contratto mondiale sull’acqua».
La richiesta di un «governo delle risorse idriche» vale su scala nazionale, ma anche tra stati.
Nel Manifesto leggiamo infatti: «Vi sono grandi bacini, come quello del Guaranì, che essendo corpi idrici a valenza globale, dovrebbero essere governati in modo congiunto dai paesi sui quali si estende il bacino. È inaccettabile che il mar Morto stia scomparendo (ha già perso il 30 per cento della sua superficie), come è quasi scomparso il lago Baikal. I grandi laghi dell’America del Nord, come i grandi fiumi dell’Amazzonia, dell’Africa e dell’Asia che attraversano più paesi, costituiscono degli “ecosistemi maggiori” d’importanza vitale per il funzionamento del ciclo integrale dell’acqua e della vita sul pianeta terra».
Per l’Italia, il Manifesto, annota: «Dopo il disastro che è stato fatto in questi anni in Italia del bene acqua, è necessario puntare alla rigenerazione del capitale idrico nazionale adottando severe misure di riduzione drastica delle fonti di inquinamento e di contaminazione, tra le quali restano determinanti i pesticidi, i nitrati, gli idrocarburi, i metalli pesanti e, in maniera crescente le sostanze tossiche di origine umana legate all’alta medicalizzazione delle nostre popolazioni».
Per raggiungere questi obiettivi, il Manifesto suggerisce alcune misure concrete:
• riduzione di almeno il 40 per cento delle perdite in irrigazione legate al metodo di polverizzazione. L’irrigazione rappresenta in Italia il 55 per cento dei prelievi di acqua dolce. Di questi, il 40 per cento si perdono per evapotraspirazione;
• portare al 12-15 per cento i livelli di perdita delle reti di distribuzione;
• effettuare un censimento generale dei pozzi. Si stima che in Italia ci siano circa 1,5 milioni di pozzi illegali, che prelevano acqua dolce dove vogliono, senza nessun controllo;
• riduzione dei flussi negli usi domestici a livello di bagni, tornilette, grazie a sistemi di riciclaggio delle acque reflue.
Naturalmente si tratta solo di alcune indicazioni, tra le tante possibili. Ma il problema è soprattutto politico e di educazione dei consumatori.

IL «CODICE DELL’AMBIENTE»

A febbraio c’è stata la Delega ambientale, chiamata anche Codice dell’ambiente. Che dedica molti dei suoi articoli proprio alla gestione delle risorse idriche.
Mi limito a citare quanto prevede l’articolo 144 (tutela e uso delle risorse idriche), che potremmo definire come un «Manifesto delle risorse idriche»:
• Tutte le acque superficiali e sotterranee ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato.
• Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.
• La disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici.
Sulla carta sembrano principi ampiamente condivisibili, ma sull’impianto complessivo della delega ambientale le polemiche non mancano (da Legambiente, ad es.).
Il Codice dell’ambiente, all’articolo 159, istituisce anche l’«Autorità di vigilanza sulle risorse idriche», con il compito di vigilare perché le norme dettate dalla legge siano rispettate.

L’ACQUA DI SAN FRANCESCO

Il documento della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, dal titolo «Frutto della terra e del lavoro dell’uomo», al paragrafo 25 recita: «Al riguardo (dell’acqua) ci sembra opportuno ribadire alcune convinzioni e orientamenti. L’acqua, anzitutto, è un bene di tutti e per tutti. Il suo valore impareggiabile è ben avvertito dal cuore di san Francesco, per il quale l’acqua “è molto utile et humile et pretiosa et casta”. Essa non va sprecata ma custodita con uno stile di vita sobrio, a cominciare dalle famiglie. È necessario fare adeguati investimenti per salvaguardare tale bene».
Siamo così al punto di partenza. L’acqua è la vita, là dove c’è in misura adeguata e con qualità garantita. L’acqua può diventare la morte, dove manca o è inquinata.
Come tutto il creato, è affidata da Dio alle nostre mani. Possiamo attingere alle sorgenti e fare del nostro pianeta l’Eden tra i grandi fiumi. Oppure trasformarlo in un pianeta devastato, desertificato, un Eden perduto.
Il futuro è, più che mai, nelle nostre mani.

Maurizio De Paoli

Maurizio De Paoli




Un dono da custodire

PIEMONTE/ ACQUA IN RISICOLTURA

Ci sono punti di partenza diametralmente opposti per l’utilizzo dell’acqua nelle pratiche agricole. Prendiamo ad esempio la coltivazione del riso, la principale attività agricola del Piemonte orientale.
L’utilizzo dell’acqua e del territorio visti come una risorsa da sfruttare hanno prodotto guasti che sono destinati a continuare nel tempo e, in ultima analisi, hanno prodotto costi aggiuntivi per la bonifica dell’acqua ed il recupero del territorio.
Infatti l’impiego per più di trent’anni dei diserbanti chimici in un sistema idrico complesso che ha le acque di superficie in equilibrio con le falde sottostanti ha prodotto una contaminazione delle falde profonde costringendo ad attingere l’acqua potabile in falde sempre più profonde.
Inoltre, la non corretta cura degli alvei dei fiumi che nella parte montana sono stati costretti in argini che ne hanno fatto aumentare la velocità di deflusso a valle dove i letti dei fiumi non più opportunamente dragati favoriscono dannose, periodiche e sempre più frequenti esondazioni. Ora di fronte a questa realtà fatta di contaminazioni ed alluvioni che fare?
L’ottimizzazione del terreno di risaia porta ad un risparmio dell’acqua necessaria per la sommersione, la ricerca sui diserbanti si è sicuramente affinata e si dovrà operare alla luce delle vicende trascorse. Così, ad esempio, la vicenda del bentazone, composto impiegato massicciamente per il diserbo può sicuramente insegnare qualcosa per il futuro.
Il bentazone, prodotto a bassa tossicità ma ad alta stabilità, ha contaminato praticamente tutte le falde più o meno profonde a seconda della compattezza degli strati di argilla presenti nella nostra piana risicola. A completare il danno è sopravvenuto il rimescolamento delle falde con l’impiego di pozzi che attingono acqua da tutte le falde poste in collegamento tra loro e l’escavazione in profondità di ghiaia dai terreni risicoli. L’impiego del bentazone in risicoltura è vietato dal 1986 ma a tutt’oggi lo si ritrova nelle acque emergenti del vercellese ed in pozzi di bassa profondità.
L’auspicio è che il controllo dell’impiego di nuove molecole sia puntuale e continuo per evitare altre contaminazioni che recano danno economico per la bonifica e danno, difficilmente sanabile in tempi brevi, al sistema idrico nel suo insieme.
Noi non siamo solamente fruitori dell’acqua ma, essendo essa un dono di Dio creatore, dobbiamo diventae anche custodi attenti e previdenti.
Il sistema idrico della terra da riso è delicato ed importante per tutto l’ecosistema e non può solamente essere «usato» ma si deve avere cura di non alterarlo, non solo in superficie ma anche nelle falde profonde. Non solo per avere l’acqua necessaria per le risaie ma perché i nostri figli e nipoti possano trovare un ambiente non esaurito e non devastato.
Allora l’acqua per le risaie non è un problema solo degli agricoltori, non è un problema di produttività, ma è attenzione per un dono che rischia di rompersi per imprevidenza, disinteresse e cupidigia.

Luciano Vietti

Luciano Vietti