IL BUON SAMARITANO… COMUNISTA

Il comunista, che
ha giustamente
votato contro la
guerra in Afghanistan,
dove si trovava
quando l’Urss
invadeva quel paese?
Ha protestato contro le mine disseminate
dai sovietici, che hanno
amputato le gambe al povero contadino
e ai suoi figli intenti a «coltivare
un campicello nelle vicinanze di
Kabul»?
Perché quel comunista, seduto in
parlamento nella precedente legislatura,
ha votato a fianco degli americani
per la guerra nel Kosovo?
Ho sempre pesato con diffidenza
le affermazioni dei politici di destra
e di sinistra… Ma a voi posso chiedere
di parlarci di più dell’amore di
Dio, il Buon Samaritano, e dei vostri
santi missionari?… Non cadete nella
trappola, dando spazio a chi si
presenta in veste d’agnello. «Dai loro
frutti li riconoscerete».

Sacrosanto! E vi sono pure «lupi»…
che poi si comportano da agnelli.

V. MARIN




ARROTONDANDO, ma per difetto

Erano i
giorni tragici dell’esodo dal Rwanda, luglio 1994. Ricordo una donna con
un cesto in testa, un fagotto sotto il braccio destro e sul sinistro un
bimbo di pochi mesi, che tentava di succhiare qualche goccia di latte dal
seno vuoto. Accanto, un bambino di tre anni sorreggeva con la manina il
fagotto della mamma: un po’ di farina, una coperta per proteggere tutti e
tre di notte…

In Etiopia
rivedo quella manina nei piccoli malati di Aids: ogni giorno mi tendono le
mani nel saluto mattutino. Avverto in loro il bisogno di essere
accarezzati, e lo faccio. È bello sentire le loro braccia sul collo. Mi
sento come Gesù, che coccolava i piccoli.

Mi sento
quasi un po’ Dio. Un Dio che prende per mano gli ultimi, ma che non riesce
a cancellare la loro condanna a morte.

Mentre li
stringo con tenerezza, interrogo con lo sguardo la missionaria infermiera:
manca qualcuno? «Lui è morto stanotte» mormora la suora. La frase mi
trafigge come un coltello tagliente.

Ebbene
Tzehaie (che significa «mio sole») non apparirà più in mezzo al gruppetto
giornioso dei compagni, che mi ricevono festanti sul cortile.

Entro in
chiesa (un vecchio container, adibito a cappella) e interpello il mio Dio:
«Mi stai prendendo in giro? Mi fai sentire come se fossi tu stesso ad
accarezzarli, e poi… Sono un giocattolo nelle tue mani?». E risento la
bruciante risposta: «Il rimedio per l’Aids c’è. Ma non è colpa mia se non
viene distribuito a tutti equamente». «È vero, Signore – commento -. Tu
hai fatto tutti gli uomini uguali. Ma è anche vero ciò che si legge ne La
fattoria degli animali di George Orwell: “Tutti gli animali sono uguali,
ma alcuni sono più uguali degli altri”. Siamo stati noi a rendere alcuni
“più uguali” degli altri?».

Inizio la
messa e invito: «Riconosciamo i nostri peccati». Poi guardo i bambini
colpiti da Aids. Nessuno di loro ha peccato, ma stanno pagando per i
peccati altrui. Mi viene in mente il profeta Amos: «Odio le vostre feste,
non gradisco le vostre riunioni, né i vostri doni. Piuttosto, scorra come
acqua la giustizia, come un torrente perenne» (cfr. Am 5, 21-24).

Penso ai
cristiani che vanno in chiesa senza capire che il popolo di Dio è formato
da «poveri in spirito», che sopravvivono anche nella miseria. E, mentre
continuo l’eucaristia, risento l’impotenza di rimediare allo scandalo di
troppi cristiani: orgogliosi di essere figli di Dio, ma fratelli solo a
parole. Mi affido alla preghiera.

p.
Salvador Del Molino


Post scriptum
. Ho appreso che,
nel dicembre scorso, il parlamento italiano ha votato all’unanimità un
aumento mensile di stipendio per gli onorevoli, pari a 1.162 euro
(2.250.000 lire). Così essi percepiscono 4.648 euro di indennità, 3.873 di
diaria, 4.028 per i portaborse (spesso familiari), 774 per spese-viaggio.
Totale: 13.323 euro (arrotondando per difetto), pari a 26 milioni di lire
al mese.

Ma è
proprio vero?… Dopo 35 mesi di parlamento, l’onorevole ha diritto alla
pensione, mentre il cittadino vi accede (se vi accede) dopo 35 anni.
Inoltre per lor signori sono gratis telefono cellulare, cinema e teatro,
viaggi in treno e aereo (nazionali), circolazione su autostrade, piscine,
palestre…

Nemmeno
Bertinotti e Pannella hanno protestato?

E non è
finita, perché pure il ristorante è gratuito. Nel 1999 gli onorevoli hanno
mangiato e bevuto per 2.850 milioni di lire, a spese del popolo.

Cari
amici, ditemi che sono tutte balle. Altrimenti… Buona quaresima!

Salvador Del Molino




Alla fiera dell’est

Scesi da
cammello, i tre si inchinano e formulano subito il quesito, concordato
dopo accese dispute durante l’estenuante marcia sul deserto.

«Gesù, sei
tu veramente “il” liberatore, salvatore e redentore di tutti i popoli?».

«Perché me
lo domandate?».

«Perché io
sono “l’illuminato” – risponde Budda -; ma la mia luce spesso si spegne…

Io sono
“il profeta” – aggiunge Muhammad -; ma la mia profezia spesso scatena
odio…

Io sono
“il poeta” – conclude Muyaka -;

ma la mia
poesia spesso si perde fra le nuvole».


L’illuminato, il profeta e il poeta sono “re magi”. Dopo di loro,
sopraggiungono altri personaggi, anch’essi con un interrogativo.

«Gesù, tu
da che parte stai?».

«Perché me
lo domandate?».

«Perché
noi siamo i padroni del mondo. Come l’imperatore Augusto, abbiamo ordinato
il censimento dei nostri sudditi. Oggi tutti devono sapere che chi non è
con noi è contro di noi. Nessuna pietà per gli infedeli, i terroristi e i
loro fiancheggiatori: ricorreremo alla pena di morte e alla guerra per
stabilire l’ordine mondiale».

Ecco
alcuni personaggi del presepio 2001, proposto da Sara e Daniele, animatori
nella parrocchia di don Pietro. È stato lo stesso “don” a richiedere ai
giovani qualche idea al riguardo. Ora però il sacerdote è preoccupato.

«Ragazzi,
dove finiremo con questi personaggi?».

«Don, nel
presepio ci sono pure i “genitori” di Gesù, cioè Fatima e Francesco. Lei,
musulmana del Marocco, ha sfidato la scomunica dell’imam per sposare il
cattolico Francesco; e questi, quando passa per strada, si sente insultare
dai bambini: Sei un…».

Il parroco
interrompe gli animatori con la domanda che gli sta maggiormente a cuore.

«E Gesù
chi sarà?».

«Gesù non
si tocca. È il figlio di Dio, e basta: “con” e per “noi”. Solo Lui è la
risposta a illuminati, profeti, poeti e grandi del mondo».

Fra i
pastori del presepio c’è anche Rosalia, la giovane figlia di un noto
mafioso assassino, ucciso a sua volta da un boss rivale. Rosalia suona la
chitarra e canta:

«Ragazzi,
per piacere, non trasformiamo il presepio in farsa!».

«Don
Pietro, scusa! La filastrocca descrive la spirale di violenza, che da
sempre attanaglia l’umanità. E Rosalia, figlia di un assassino
assassinato, intende spezzare la catena infeale. Canta e rende omaggio
al figlio di Dio, che è la pace: Egli ha trasformato in un unico popolo
ebrei e pagani, demolendo il muro di ostilità che li separava».

«Ma la
gente capirà questo messaggio?».

«Se non lo
capirà, glielo spiegherai tu durante la messa di natale».

«Senza
tante prediche, basta ricordare l’articolo 11 della Costituzione: l’Italia
ripudia la guerra».

«Bravo,
don! E per noi cristiani c’è soprattutto una ragione divina. Poiché la
guerra uccide, è peccato. Sempre e dovunque».

Sara Daniele




Giustizia infinita?

 

New York e Washington.
Mi è impossibile esprimere il dolore e l’orrore provati di fronte alle stragi, a
sette giorni dalla tragedia. È un evento che segna per sempre la storia di un individuo,
e non solo di una nazione. Non c’è chirurgia plastica che possa sanare la
coltellata-sfregio, inferta dall’atto terroristico dell’11 settembre. Un
abisso fisico e morale.
Presto avremo la conta definitiva delle vittime. Saranno
troppe: una cifra superiore alla capacità umana di sopportazione, come ha ricordato il
sindaco di New York, Rudy Giuliani.

Inizieremo a conoscere le storie di manager, commessi, pompieri,
poliziotti, donne delle pulizie, turisti… che si sono "persi"
nell’inferno di cristallo del World Trade Center. Che vigliaccheria schifosa è mai
questa? Eppure chi l’ha commessa vi ha sacrificato la vita! Ma ha ammazzato migliaia
di innocenti. Quale Allah è così sfrontato da richiedere tanto sacrificio?

Qualcuno pagherà il conto. Speriamo che si individuino i responsabili
giusti e non capri espiatori. Il timore è che a versare il dazio siano innocenti di altra
bandiera, di altro credo religioso. La parola "guerra" echeggia sempre più
forte nelle dichiarazioni dei politici americani. Ma contro chi? Si respira aria da
legge del taglione.

Perdono? Sembra irrispettoso oggi, a week after. Sembra
offendere la sensibilità di tanti che non hanno più lacrime. Giustizia… infinita
allora? La CNN ha mostrato un giovane prete che si aggirava fra le rovine delle torri
gemelle, sporco al punto da sembrare nudo. Girava come chi sa che quello era il posto in
cui Dio lo chiamava, senza capire la ragione. Era silenziosamente presente
nell’oceano della morte. "Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada;
se percorro la città, ecco gli orrori della fame. Anche il profeta e il sacerdote si
aggirano per il paese e non sanno che cosa fare" (Ger 14, 18). Ma padre Judge,
cappellano dei vigili del fuoco, sapeva cosa fare: si è sacrificato dando la vita nel suo
servizio sacerdotale.

I vescovi statunitensi hanno provato ad incoraggiare i cristiani alla
pace; invitano tutti a rinnovare la fiducia in Dio, a rifiutare la tentazione
dell’odio,
la vera causa della tragedia. Che la caccia ai responsabili
dell’atto scellerato non si tramuti in una spirale di violenza, in cui i poveri
pagano il prezzo più alto! Come sempre.

Leggo su internet che Francesco Cossiga avrebbe dichiarato:
"Adesso ci sarà certamente qualcuno che dirà: gli americani se la sono
meritata!".
Purtroppo qualcuno ci sarà, perché la madre dei cretini è
sempre gravida…
Preghiamo che i morti servano, almeno, a renderci conto del disagio
mondiale che i sistemi politici non controllano più. La politica statunitense non si è
dimostrata particolarmente illuminata sul rapporto Nord-Sud del mondo. Gli americani (che
ora chiamano a raccolta tutti gli alleati contro il terrorismo) dimenticano le loro prese
di posizione unilaterali,
che li hanno esposti a critiche anche da parte degli amici
europei. C’è stata arroganza nelle scelte riguardanti l’ambiente, il nucleare,
gli armamenti, per non parlare dell’embargo contro Iraq e Cuba. È davvero così
strano che qualcuno non ami l’America?

Tutti siamo consapevoli che molto, nell’immediato futuro del
mondo, è nelle mani degli Stati Uniti. Una leadership illuminata tiene conto di chi
lavora a fianco, lo promuove, lo guida per ottenere i risultati migliori nel bene comune.
Questa è la leadership che il mondo si aspetta dagli Usa a livello economico, politico e
militare. Tale è la leadership che potrà sconfiggere con successo ogni tentativo
terrorista di minare i valori della democrazia e libertà, di cui gli Stati Uniti si
dichiarano paladini.

A Washington e New York il mondo intero è stato colpito
l’11 settembre. Ciò che unisce tutti i popoli di fronte a quell’eccidio è il
male, che colpisce l’innocente. E quanti morti innocenti in ex Jugoslavia, Rwanda,
Burundi, Congo, Liberia, Sierra Leone, Timor Est, Sudan, Medio Oriente!…
Ad essi si
aggiungono le vittime del disinteresse o interesse di chi vuole mantenere
intatti i suoi privilegi.

Suggerirei agli amici statunitensi di cogliere l’esempio splendido
di alcuni loro giovani, che in questi sette giorni hanno offerto la vita per salvae
altre. Se chiamati alle armi, faranno anche la guerra. Ma quanto sarebbe più bello se
questi ed altri ragazzi, in ogni parte del mondo, avessero l’opportunità di provare
quanto valgono sul terreno della pace e della solidarietà internazionale!

La chiesa ha il difficile compito di creare ponti di pace fra
"distanze grandi" e "terreni impervi". Non si può prescindere da una
presenza di consolazione in questi giorni di disperazione. È necessario il
dialogo con le altre fedi religiose, in primis con la comunità islamica ed ebraica.

Preghiamo perché il mondo rifiuti ogni violenza e ognuno apra
(finalmente) mente e cuore. Che Dio accolga le vittime delle stragi di New York e
Washington, consoli le loro famiglie!

padre Ugo Pozzoli




Ma la violenza e le bugie non fermeranno i sognatori

Genova, 21 luglio.
"Vedrete, domani saremo tutti dei criminali". Sul pullman che ci riporterà a
casa si respira un’atmosfera pesante. Delusione, sconcerto, malinconia sono i
sentimenti più diffusi. Qualcuno è più ottimista: "Ma no. Sapranno distinguere. Le
violenze di certe multinazionali non fanno dimenticare che altre imprese lavorano con
coscienza. Le esecuzioni capitali degli Usa non fanno dire che tutti gli statunitensi sono
dei barbari. I teppisti degli stadi non vengono confusi con i tifosi veri. Sì, sapranno
dividere chi è venuto per contestare con una maglietta colorata, uno striscione, uno
zainetto pieno soltanto di acqua e panini".

Alcuni di noi sono stati in cima al corteo dei duecentomila (o più) manifestanti,
venuti da ogni regione d’Italia e da decine di altri paesi (Francia, Grecia, Spagna,
Inghilterra, ecc.). "Il corteo si è trovato spezzato in due tronconi. Piovevano
candelotti lacrimogeni sulla gente. Molti, impauriti, indietreggiavano, incrementando il
panico. Altri riuscivano a mantenere il controllo, alzando le mani imbiancate e gridando
"Calmi, calmi. Non scappate". Abbiamo visto gruppetti di tute nere, sbucati
all’improvviso da chissà dove, dare l’assalto a banche e negozi. Con sassi,
spranghe, bastoni, calci. Chi doveva fermare questi teppisti scatenati? Dove erano le
forze dell’ordine?".

"A tirare i loro lacrimogeni sui pacifisti", grida qualcuno dal fondo del
bus; "a difendere George il texano", aggiunge un altro; "ad ammirarci
dall’alto", ironizza amara una signora, riferendosi agli elicotteri che, per
tutto il giorno, hanno volteggiato sulle teste dei manifestanti.

Il pullman entra a Torino poco dopo la mezzanotte. I saluti sono veloci. Stremati nel
fisico e nello spirito, tutti vogliono tornare a casa. Ma – questo è certo – nessuno si
è pentito della scelta operata, né smetterà di sognare un mondo diverso
dall’attuale.

Domenica, 22 luglio. Le previsioni si stanno avverando. Alcuni
quotidiani e diverse televisioni si scatenano in un impudico travisamento dei fatti. Che
tristezza leggere: "Vogliono cambiare il mondo. Così hanno cambiato Genova"
(prima pagina de il Gioale). E Libero di Vittorio Feltri rincara la dosa: "Sono
solo dei criminali. I pacifisti devastano e incendiano Genova". Si dà fondo al
dizionario degli insulti: lanzichenecchi, nazi-comunisti, terroristi, rivoluzionari
deliranti, mandria allo sbando, catto-comunisti, turisti della violenza, pessimi alunni di
cattivi maestri. Chissà come si sentirà la ragazza di Mani Tese, l’ambientalista
del Wwf, l’iscritto della Fiom, la signora francese di Attac, il comunista greco o il
missionario della Consolata?

Sui canali televisivi scorrono le devastazioni del "popolo di Seattle" e i
sorrisi di circostanza degli otto cosiddetti "grandi" che, nei palazzi della
città proibita (la famigerata "zona rossa"), raccontano alla stampa mondiale
cosa hanno deciso in questa tre giorni di discussioni. "Abbiamo lavorato per il bene
dell’umanità". Ci sarà un fondo per la lotta all’Aids, alla malaria, alla
tubercolosi (3 mila miliardi di lire, poco più di un’elemosina). Per ridurre la
povertà (e aumentare i profitti delle multinazionali), i commerci saranno ancora più
liberi. C’è l’ennesima promessa di aiutare l’Africa. Nessun accordo,
invece, sul trattato di Kyoto, sullo sviluppo diseguale, sulle energie rinnovabili, sullo
scudo stellare di George il texano, sulla cancellazione totale del debito. Della finanza
speculativa e della "Tobin Tax" non si è parlato perché, come si dice, non
erano temi in agenda. Insomma, ancora una volta, tante chiacchiere, ma pochissimi
risultati. Ma che importa? I cattivi sono gli altri. Le banche devastate, le vetrine
infrante, le auto bruciate, la città messa a ferro e fuoco sono lì a dimostrarlo. Il
mondo può andare avanti così.

Paolo Moiola




SE OSPEDALI E SCUOLE DIVENTANO IMPRESE

Vivo
nella periferia di Lima, con due figli piccoli e mia moglie peruviana. Pur
essendo qui da 9 anni, ancora non riesco a farmi una ragione di ciò che
vedo. Non mi abituo a considerare gli ospedali, anche i più umili, come
luoghi proibiti per molta gente, perché, se vi entrassero, dovrebbero
pagarsi tutto… Due anni fa donai il sangue per una ragazza con cancro
terminale. Nell’ospedale «pubblico» dovetti pagare 20 dollari… per
donare il sangue!… Quattro anni fa una donna incinta arrivò all’ospedale
per un parto d’emergenza; le cose si complicarono e si rese necessario il
taglio cesareo. Ma, sorpresa, il medico non poteva operare, perché la
donna non aveva i soldi per le spese dell’intervento. Morì sia lei sia la
creatura che portava in grembo. Sconvolto, chiesi spiegazioni. Il medico
rispose che situazioni così erano comuni. Se avesse deciso di operare la
donna, avrebbe dovuto pagare lui l’intervento, perché l’ospedale non
fornisce neppure il bisturi.

Non mi
abituo ad ascoltare i bambini che non vanno neppure alla scuola pubblica,
perché non possono comprarsi il grembiule. O perché non hanno tempo,
dovendo lavorare per aiutare la famiglia. E continuo a domandarmi: perché
succede questo? Nel centro di Lima, mi capita di passare tra grandi ville
con piscina, campo da tennis, governanti e guardiani. Non posso non
chiedermi: perché tanto sfarzo?

A parte
l’eterna e crescente differenza tra ricco e povero, ho scoperto che
ospedali e scuole sono delle imprese e, come tali, devono chiudere il mese
in attivo. Tutto rientra nei programmi del Fondo monetario internazionale,
che partono dall’assioma: lasciare tutto al Mercato perché Lui regolerà
ogni bisogno. E così, negli ultimi 10 anni di impero del mercato, si è
consumato di più in cosmetici che in alimenti. Ed è rispuntata la TBC, che
in America Latina chiamano «malattia della nuova economia». Nella nostra
zona ha già colpito oltre la metà dei bambini. L’assistente sociale
vorrebbe mettere su un programma per prevenirla. Però mancano i fondi e lo
stato rimane a guardare in attesa che il mercato regoli anche questo
bisogno… A meno che non si ricorra alla carità (si parla infatti di
«capitalismo compassionevole»). Questo è l’unico spazio che ci lascia il
sistema neoliberista, che così prende due piccioni con una fava: da una
parte toglie ai poveri la dignità e, dall’altra, permette ai ricchi di
sopire i problemi di coscienza che di tanto in tanto affiorano, nonostante
l’overdose di indifferenza.

D ico:
«Cambiamo i politici. Votiamo per quelli più vicini ai problemi della
gente». Poi scopro che tutti devono obbedire alla nuova trinità: un unico
dio (il neoliberalismo) in tre entità (Fondo monetario internazionale,
Banca mondiale, Organizzazione mondiale del commercio). Questi hanno
deciso che tutto deve essere riducibile a merce acquistabile sul mercato,
anche i servizi basici (salute, educazione, cibo, casa). Lo stato
interventista è scomparso; resiste solo come esercito per difendere i
confini, come polizia per la sicurezza intea e come ufficio per pagare
il debito estero. Alcuni, con tanta ipocrisia, parlano di «neoliberalismo
dal volto umano». Io non riesco a vederlo.

Credo che
occorrerà fare un enorme lavoro educativo. Partendo dall’antidoto della
solidarietà (che fa rima con dignità, non con elemosina), si potrà pensare
a nuovi rapporti nella società e nel mondo. Ma queste conclusioni (così
ovvie in una realtà latinoamericana) non sono tanto scontate per altri in
altri luoghi (in Italia, per esempio). A volte, anche per chi dice di
condividere un discorso missionario a servizio di una vita degna per tutti
i figli di Dio.

Sarà che
ormai io sono troppo distante dalla realtà italiana e, in generale, dal
Nord del mondo?

Gianni
Vaccaro, Lima (Perù)

Gianni Vaccaro




ANCHE LUI DEVE QUADRARE

Torino, 27 aprile, ore
22,30. In Corso Ferrucci 14, ci imbattiamo in un

picciotto di Messina, un
toso di Padova, un guaglió di Napoli e un bagai di Como. Con
altri 230 camerati, partecipano al Convegno nazionale «Santità è missione»
dei seminaristi diocesani. Tutti sui 22-25 anni. A Torino, dal 26 al 29
aprile, sono ospiti dei missionari della Consolata, anche per celebrare
insieme i loro 100 anni di vita.


Il

picciotto ci domanda: «È
possibile far quadrare Dio?». Strabuzziamo gli occhi. Al che, il

guaglió racconta: «Oggi pomeriggio, dalle 15 alle 22, abbiamo percorso
il quadrilatero della santità». E il toso precisa:
«Abbiamo visitato i luoghi dove hanno operato quattro grandi personaggi:
il rondó della forca di Giuseppe Cafasso, l’oratorio di Giovanni Bosco, la
casa della provvidenza di Benedetto Cottolengo, il santuario della
Consolata di Giuseppe Allamano». «È questo il quadrilatero della santità»
conclude il
bagai.


Ed è così che, secondo il
quartetto, si può «far quadrare» anche Dio.

Ossia renderlo vicino,
interessato, operoso, alla portata di tutti, specialmente dei poveri.

Non distante e isolato sul Monte Kenya, come

Ngai dei kikuyu
tradizionali. Né chiuso in un tabeacolo, come una cassaforte o un
fortino.


Per far quadrare Dio
,
il Cafasso accompagnava al patibolo i condannati a morte: non solo li
incoraggiava, ma li rendeva persino felici di fronte ad una sorte infame.
Don Bosco giocava con i ragazzi più difficili e, soprattutto, li
coinvolgeva con grandi ideali. Il Cottolengo si chinava sugli ammalati,
per «lavare loro i piedi». L’Allamano «ha globalizzato un santuario buio e
stretto», per farci entrare e cantare anche i «pagani» e gli «incivili»
dell’Africa.



Globalizzare il santuario: è
un’altra originalissima espressione del quartetto seminaristico. Forse è
nata ascoltando Giovanni Paolo che, proprio durante il Convegno
missionario (il 27 aprile), è ritornato a parlare di globalizzazione. Il
fenomeno, a priori, non è né buono né cattivo. Sarà ciò che gli individui
ne faranno.


Qualcuno ne ha fatto
un’alleanza fra società
e dio-mercato, con sei comandamenti.


1. Non impedire la costruzione
del mercato mondiale. 2. Lascia che il mercato si autoregoli e aiutalo a
svincolarsi dallo stato. 3. Liberalizza.


4. Privatizza. 5. Sii
competitivo. 6. Non ostacolare l’espropriazione.


Sono comandamenti anche
pericolosi: rispondono troppo alla logica del profitto individuale.


Alla globalizzazione il papa
pone due limiti invalicabili:

la persona
,
fonte di ogni diritto e ordine sociale, nonché

il rispetto della diversità di
tutte le culture.

Comprese quelle nel sud del mondo. Altrimenti la globalizzazione è
colonialismo.



Francesco Beardi



Francesco Beardi




Anche lui deve quadrare

T orino, 27 aprile, ore 22,30. In Corso Ferrucci 14, ci imbattiamo in un picciotto di Messina, un toso di Padova, un guaglió di Napoli e un bagai di Como. Con altri 230 camerati, partecipano al Convegno nazionale «Santità è missione» dei seminaristi diocesani. Tutti sui 22-25 anni. A Torino, dal 26 al 29 aprile, sono ospiti dei missionari della Consolata, anche per celebrare insieme i loro 100 anni di vita.
Il picciotto ci domanda: «È possibile far quadrare Dio?». Strabuzziamo gli occhi. Al che, il guaglió racconta: «Oggi pomeriggio, dalle 15 alle 22, abbiamo percorso il quadrilatero della santità». E il toso precisa: «Abbiamo visitato i luoghi dove hanno operato quattro grandi personaggi: il rondó della forca di Giuseppe Cafasso, l’oratorio di Giovanni Bosco, la casa della provvidenza di Benedetto Cottolengo, il santuario della Consolata di Giuseppe Allamano». «È questo il quadrilatero della santità» conclude il bagai.
Ed è così che, secondo il quartetto, si può «far quadrare» anche Dio.Ossia renderlo vicino, interessato, operoso, alla portata di tutti, specialmente dei poveri. Non distante e isolato sul Monte Kenya, come Ngai dei kikuyu tradizionali. Né chiuso in un tabeacolo, come una cassaforte o un fortino.
Per far quadrare Dio, il Cafasso accompagnava al patibolo i condannati a morte: non solo li incoraggiava, ma li rendeva persino felici di fronte ad una sorte infame. Don Bosco giocava con i ragazzi più difficili e, soprattutto, li coinvolgeva con grandi ideali. Il Cottolengo si chinava sugli ammalati, per «lavare loro i piedi». L’Allamano «ha globalizzato un santuario buio e stretto», per farci entrare e cantare anche i «pagani» e gli «incivili» dell’Africa.

G lobalizzare il santuario: è un’altra originalissima espressione del quartetto seminaristico. Forse è nata ascoltando Giovanni Paolo che, proprio durante il Convegno missionario (il 27 aprile), è ritornato a parlare di globalizzazione. Il fenomeno, a priori, non è né buono né cattivo. Sarà ciò che gli individui ne faranno.
Qualcuno ne ha fatto un’alleanza fra società e dio-mercato, con sei comandamenti.
1. Non impedire la costruzione del mercato mondiale. 2. Lascia che il mercato si autoregoli e aiutalo a svincolarsi dallo stato. 3. Liberalizza.
4. Privatizza. 5. Sii competitivo. 6. Non ostacolare l’espropriazione.
Sono comandamenti anche pericolosi: rispondono troppo alla logica del profitto individuale.
Alla globalizzazione il papa pone due limiti invalicabili: la persona, fonte di ogni diritto e ordine sociale, nonché il rispetto della diversità di tutte le culture. Comprese quelle nel sud del mondo. Altrimenti la globalizzazione è colonialismo.
E i conti… non quadrano affatto.
Francesco Beardi

Francesco Bermardi




E tu farai 13?

Gli italiani amano dare i numeri. Li sognano persino. I più popolari sono i numeri del lotto, del «lotto alle otto», del totogol e totocalcio… Un tempo, per fare quattrini, c’era pure il «gratta e vinci». Ma, per varie ragioni (non escluso l’imbroglio), il gioco non ha retto. Forse perché ai nostri connazionali non piace «grattare»?
Nell’ancora gettonato totocalcio, nonostante il totonero delle partite truccate, se fai «11», ti mordi le labbra, perché per un solo punto… «Martin ha perso la cappa». Ma te le mordi ancora di più indispettito con «12»: sbraiti e imprechi, perché per un «1» pidocchioso hai mancato il colpaccio con la fortuna. E perché, quando fai «13», resti muto come un pesce e tremi come un fuscello?
Con il «13» non si scherza. Anche politicamente. Ecco perché alcuni leader di partiti italiani hanno versato lacrime e sangue per votare il 13 maggio. In quel giorno sul Belpaese ritoerà – si dice – a splendere il sole della libertà e prosperità, della moralità e dignità, dell’efficienza, della voglia di futuro… finalmente!

P ochi giorni ci separano dal fatidico 13 maggio, che dovrebbe recare successo ad alcuni e iella ad altri. Noi, però, non amiamo simili contrapposizioni. Invitiamo i vincitori (chiunque essi siano) alla moderazione e, soprattutto, a mantenere le promesse della campagna elettorale. Sono state tante, troppe e quasi tutte miopi. Mentre il sud del mondo, con gli enormi problemi che riguardano anche noi, è rimasto ancora più… sud, lontano e dimenticato.
Tuttavia al sud si è pensato per sistemare le vacche pazze. O smaltire i rifiuti, che rappresentano però affaroni da miliardi, visto che persino la Germania non li disdegna. Ma sono pur sempre pattume, spesso inquinante.
Non basta produrre. Bisogna produrre bene, rammentando che le esigenze dell’attuale sistema produttivo e la salvaguardia dell’ambiente non sono tra loro compatibili. La sopravvivenza dell’umanità è in pericolo come non mai: non solo per le guerre, ma anche per il conflitto tra cose prodotte e biosfera, o natura. Il conflitto può essere superato solo modificando uno dei belligeranti. La natura non è modificabile: può essere solo distrutta. «Natura non facit saltus»: ammoniva ieri Leibniz. «Dio perdona, ma la natura no»: rincarano la dose altri oggi.
Per scongiurare il collasso dell’ecosistema, l’unica strada percorribile resta il ridimensionamento dell’attuale sistema di produzione. E qualcuno, tra lo squallore del barbone e il lusso del bellimbusto, caldeggia la sobrietà felice.

N umeri. Li troviamo anche nella bibbia: 12, ad esempio, sono le tribù di Israele e altrettanti sono i discepoli di Gesù. Ma… occorre fare 13. Ecco allora che, accanto a Pietro e compagni, spunta il tredicesimo apostolo: san Paolo. È con lui che la chiesa diventa missionaria e fa 13.
Paolo, in una del sue 13 lettere, al capitolo 13 della prima lettera ai Corinti, raccomanda la carità-solidarietà-giustizia: ossia l’amore paziente, generoso e giornioso, che non si gonfia di orgoglio né cerca il proprio interesse. L’amore che non tramonta mai. «Il 13 della fortuna».
La Redazione

La redazione




Per chi suona la campana?

Anch’io sto con Noè e accolgo con gioia le notizie riguardanti lo sviluppo di tecnologie non inquinanti (Missioni Consolata, gennaio 2001). Ritengo altresì che, nella valutazione del degrado ambientale attribuito all’industria automobilistica e a chi fa uso di autoveicoli, si debba considerare con maggiore attenzione il forte impatto della componentistica.
Già alcuni anni fa, gli ecologisti, i movimenti per i diritti umani, i gruppi ecclesiali più sensibili al tema del Sud ridotto a pattumiera del Nord del mondo, dimostravano che, anche quando sono fermi e non consumano carburante, tutti gli autoveicoli sono dei monumenti allo spreco, uno spreco che può avvenire solo con uno sfruttamento indiscriminato di risorse, vite umane e animali. Non dobbiamo dimenticare che la gomma per i pneumatici, il cotone per il rivestimento dei sedili, i metalli per la carrozzeria, il motore, la batteria, il radiatore sono tutti materiali che vengono prelevati nelle terre dei paesi poveri, con danni spesso gravissimi per gli ecosistemi e vantaggi praticamente nulli per le popolazioni locali.

Esaminiamo il caso della gomma. Non si dica che la tecnologia ha diminuito la pressione sugli ecosistemi e, se vi sarà ulteriore progresso tecnologico, questa pressione è destinata a diminuire ancora. Come ha scritto Andrew Revkin, «anche con l’avvento della gomma sintetica l’ineguagliata elasticità della gomma naturale e la sua capacità di disperdere il calore dell’attrito hanno fatto sì che continuasse a essere richiestissima. Oggi i copertoni radiali più sofisticati hanno le parti laterali di gomma naturale e i pneumatici delle navette spaziali sono di gomma naturale al cento per cento».
Un perentorio invito a non farsi troppe illusioni arriva anche dal mondo della Formula Uno. Fino a non molti anni fa tutte le monoposto, comprese quelle della Ferrari (Gruppo Fiat), partivano col loro carico di carburante, facevano le fermate ai box solo se qualcosa non funzionava e, salvo improvvisi acquazzoni, raramente avevano bisogno di sostituire i pneumatici. Oggi, nonostante l’elevatissimo livello tecnologico, la benzina non basta mai, le gomme vengono cambiate due o tre volte a gara, le soste vengono rigorosamente programmate.
Luca di Montezemolo, presidente della Ferrari campione del mondo 2000, ha lasciato chiaramente intendere che essere più tecnologici non vuol dire necessariamente essere più rispettosi dell’ambiente: maggiore tecnologia significa innanzitutto migliore strategia per vendere più auto e aumentare i profitti delle aziende. Impronta ecologica, erosione del patrimonio ecologico, tutela della biodiversità sono concetti estranei alla sua cultura, a quella degli italiani innamorati della Ferrari e a quella di chi è alla guida di molti paesi del Terzo Mondo. Pensiamo alla Malaysia che è tuttora un leader nella produzione della gomma e le cui foreste hanno pagato un prezzo salatissimo alla incontenibile voglia di auto. Il circuito di Sepang, realizzato a tempo di record, è stato costruito proprio dove sopravvive un bel pezzo di foresta tropicale.
La prossima volta che giorniranno davanti alle telecamere dei Tg e suoneranno le campane delle chiese per festeggiare le vittorie di Schumacher e Barrichello, i preti tifosi della Ferrari pensino all’osservazione di una lettrice del Corriere della Sera: «Con Cristo abbiamo compreso che il divino entra nell’umano e che l’umano è accolto nel divino così che tutto ciò che è autenticamente umano è in Dio. Ma l’uso delle campane a festa per la Ferrari è stato fuori luogo. Perché suonare le campane per festeggiare un mondo in cui i miliardi si bruciano nello spazio di un giro di pista?».
Francesco Rondina

Francesco Rondina