1967-2007, l’attualità della Populorum Progressio

Fa un certo effetto rileggere oggi, a quarant’anni di distanza, l’enciclica Populorum progressio, promulgata da Paolo vi il 26 marzo, domenica di pasqua, del 1967. Essa rappresenta uno dei vertici più alti del magistero della chiesa, per certi versi segna uno spartiacque nel cammino della pastorale universale.
Lo sviluppo integrale dell’uomo, inserito nel più vasto sviluppo dell’umanità, viene indicato da papa Montini come via privilegiata verso la crescita della grande famiglia dei popoli e delle nazioni che abitano la terra e, in modo più specifico, vengono indicati i cammini da percorrere, per costruire questa nuova prospettiva internazionale. Il sollecito papale viene rivolto indistintamente sia alle ricche e opulente nazioni dell’Occidente come alle nazioni appena affrancate dal colonialismo, unitamente ad altre, imbrigliate dai legacci del sottosviluppo: tutte vengono indicate da Paolo vi come artefici di un nuovo cammino, in grado di cambiare il corso della storia.
Lo sviluppo è il vero nome della pace, recita il leit motiv, continuamente ripetuto dall’enciclica; ma accanto a questa felice espressione non mancano indicazioni concretissime perché questo principio, apparentemente astratto e irraggiungibile, si concretizzi nella vita dei cattolici e, più in generale, degli uomini di buona volontà. Paolo vi, difatti, lancia un appello alle coscienze degli abitanti dell’opulento mondo occidentale, che ci sembra opportuno ricordare. Dice papa Montini al numero 47: «È l’uomo (del Primo Mondo) pronto a sostenere col suo denaro le opere e le missioni organizzate in favore dei più poveri? A sopportare maggiori imposizioni affinché i poteri pubblici siano messi in grado di intensificare il loro sforzo per lo sviluppo? A pagare più cari i prodotti importati onde permettere una più giusta remunerazione per il produttore? A lasciare, ove fosse necessario, il proprio paese, se è giovane, per aiutare questa crescita delle giovani nazioni?».

S ono interrogativi di un’attualità sconvolgente, soprattutto se si tiene conto che a tutt’oggi si centellinano gli aiuti destinati allo sviluppo dei paesi poveri. I grandi della terra nei periodici incontri dei vari G7 e G8 (l’ultimo è stato in Germania lo scorso giugno ) si riempiono la bocca con affermazioni solenni di solidarietà verso i paesi emergenti, mentre poi, nel concreto della real-politik dei loro interessi, questi stessi capi di stato chiudono i cordoni della borsa.
A volte assistiamo, scoraggiati, alle uscite estemporanee di una certa classe politica nostrana, in cui si afferma che il non pagare le tasse non è proprio un delitto, anzi è consigliabile a chi vuole arricchirsi; così pure le politiche protezionistiche messe in atto per tutelare i prodotti del Primo Mondo, sono la vera causa dell’impossibilità di tante nazioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, di poter competere ad armi pari sul libero mercato internazionale.
Ultimo, il fatto di veder sempre più diminuire la propensione a un impegno di vita al servizio dei fratelli e sorelle più poveri la dice lunga su quanto il liberismo sfrenato sia entrato ormai nell’orizzonte di vita di molti giovani. Come si vede, sono appelli alla coscienza che diventano interrogativi stimolanti ancora oggi: rileggere la Populorum progressio, ma soprattutto per tradurla in scelte concrete di vita, ci sembra un cammino più che mai attuale da percorrere.

Mario Bandera

Mario Bandera




«Forgiare le lance in falci e le spade in vomeri»

Lo stillicidio delle notizie e delle immagini televisive dei militari italiani caduti in Afghanistan ed in Iraq, hanno riempito i notiziari radiotelevisivi ed i giornali di questi giorni. I volti dei familiari, le lacrime strazianti delle persone care che accolgono i loro morti, il vecchio presidente che appoggia le mani sulle bare coperte dal tricolore, non possono lasciarci indifferenti. Di fronte alla morte ci si raccoglie in silenzio ed in preghiera.
Con la mente riandiamo ad altre scene simili avvenute in un recente passato, con altri giovani riportati a casa nelle bare coperte dal tricolore; e mentre a ogni morte subentra quasi un sentimento di assuefazione, non possiamo fare a meno di interrogarci sul perché di queste morti.
Nel Discorso della Montagna (Matteo cap. 5) vengono chiamati beati coloro che costruiscono la pace, perché come dice il testo, saranno chiamati figli di Dio. Costruire la pace, quindi, è vivere la figliolanza del Padre; operare per costruire la frateità degli uomini è molto di più che enunciare fredde dottrine.
Ogni anno il 24 di marzo, anniversario dell’assassinio di mons. Oscar Romero, la grande famiglia missionaria fa memoria di coloro che, in diversi paesi del mondo, impegnati in un lavoro di promozione umana e di evangelizzazione, pagano con la vita la loro fedeltà agli ideali proposti dal vangelo. Scriveva padre Christian Marie de Chergè, priore della Comunità trappista di Tibhirine, in Algeria, massacrato insieme ai suoi confratelli 10 anni fa, presagendo la tragica fine che l’aspettava: «Se mi capitasse un giorno di essere vittima del terrorismo…, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese. Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita, non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale… Allora potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla Gloria di Cristo… E anche a te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quello che facevi; si, anche per te voglio dire questo grazie e questo “ad-Dio”. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni, beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro di tutti e due. Amen! Insciallah». Queste parole illuminano meglio di qualunque altro discorso quanto sia fondamentale per chi crede nel vangelo di Gesù, saper donare la propria vita per costruire un mondo di giustizia, di libertà e di pace.

Ma gli interrogativi restano e si fanno brucianti di fronte al prezzo di vite umane sacrificate sull’altare di una politica, il più delle volte al servizio di potentati e interessi economici estranei alla vita di ogni giorno. Come mai siamo in terre così lontane per contrastare tiranni e dittatori, mentre manteniamo ottime relazioni con altri personaggi che da tanti anni tiranneggiano i loro paesi? Come mai ad alcuni paesi non vendiamo armi perché calpestano i diritti umani e ad altri che fanno esattamente le stesse cose, li rifoiamo delle più sofisticate tecnologie belliche, come fu fatto con i talebani afghani e Saddam Hussein? Come mai per chi è impegnato in «discutibili azioni di pace» gode di una considerevole reputazione, mentre altri volontari e operatori laici, giornalisti, operatori umanitari come lo sono i missionari italiani, vengono giudicati improvvide e incaute presenze in regioni instabili e poco sicure?
La mente è confusa di fronte a certi avvenimenti e davanti a delle bare che racchiudono giovani ragazzi morti, perché anche loro credevano di andare a portare pace, lo sgomento ci assale e ci sembra persino doveroso sognare un mondo di pace, dove non ci sia più la guerra, perché come afferma il Nuovo Catechismo degli adulti della Cei (pagg. 493/494): «La guerra è il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti. Il mondo civile dovrebbe bandirla totalmente e sostituirla con il ricorso ad altri mezzi, come la trattativa e l’arbitrato internazionale. Si dovrebbe togliere ai singoli stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come già è stato fatto ai cittadini… Appare sempre più urgente promuovere nell’opinione pubblica il ricorso a forme di difesa nonviolenta. Ugualmente meritano sostegno le proposte tendenti a cambiare struttura e formazione dell’esercito per assimilarlo ad un corpo di polizia internazionale».
Commissione Giustizia e Pace, Diocesi di Novara e Vercelli

Commisione giustizia e pace




La terra a rischio siccità e desertificazione

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2006 «Anno Internazionale dei deserti e della lotta alla desertificazione». Gli autorevoli rappresentanti di tutti gli stati presenti all’Onu sono giunti a questa considerazione, consapevoli del fatto che ormai quasi il 40% della superficie del pianeta è a rischio siccità e che irreversibili processi di desertificazione nel mondo, uniti a una continua diminuzione della portata d’acqua dei grandi fiumi, sta portando la terra verso una soglia critica, da cui difficilmente si potrà far ritorno. Varrà inoltre la pena di ricordare che il problema acqua sta diventando uno degli aspetti più preoccupanti per le generazioni future. Non è un caso che nel mondo, già adesso, siano in atto diverse guerre per il controllo delle risorse idriche: oltre al problema dell’«oro nero», sta prendendo piede il problema dell’«oro blu» (*).
Nei paesi poveri, afflitti da aree toccate dalla siccità, la situazione si va sempre più deteriorando. Un argine alla desertificazione viene significativamente dal lavoro delle donne: sono loro nei paesi in via di sviluppo a fornire buona parte della mano d’opera in agricoltura, che serve a fermare l’avanzata della desertificazione; varrà la pena di segnalare che là dove anche ai più poveri viene offerta la possibilità di accedere al mini credito, nascono le opportunità, non solo per acquistare la terra da cui ricavare il necessario per vivere, ma anche, attraverso il loro lavoro, trasformare il clima e l’ambiente stesso.
Contribuire quindi a dare opportunità di sviluppo e creare le condizioni perché le donne possano accedere a una istruzione sempre più incisiva, significa dare la possibilità a questa gente di camminare con le proprie gambe e diventare protagonisti del loro futuro.

Ma un tema come il deserto (questa volta inteso nella sua accezione più conosciuta) ci offre l’occasione di avvicinarci e gustare quella spiritualità che nasce proprio da un’ambiente così difficile e ostile. Nella scrittura la traversata del deserto, conduce Israele verso la Terra promessa; è nel deserto che ci sono le prove e le tentazioni ed è nel deserto che vengono superate; è nel deserto che Dio parla al suo popolo e al cuore dell’uomo, ed è nel deserto che si affina il colloquio e il dialogo tra la persona e il suo Creatore. Chi non ricorda la grande tradizione di spiritualità che ci viene dai padri del deserto dei primi secoli della chiesa, con il loro umorismo sottile e tagliente anche per l’uomo d’oggi. E per restare ai nostri giorni, come non ricordare l’apostolo del deserto, Charles De Foucauld, che proprio in un angolo sperduto del Sahara indicò la strategia ecumenica per avvicinare popoli e religioni diverse, una strategia basata più sulla testimonianza personale che su documenti e prese di posizione radicali.
L’opportunità che ci offre questo anno dedicato al deserto, può essere quindi sfruttata in questa duplice occasione: riscoprire quel tenero colloquio tra l’uomo e Dio, che avviene solo laddove l’ambiente stimola la contemplazione, e nel contempo leggere la carta geografica per capire quali impegni assumere per evitare il degrado di questo nostro splendido pianeta.

Mario Bandera

Mario Bandera




Occhio e tieni d’occhio

Nei mesi scorsi la Fesmi (Federazione stampa missionaria italiana) ha lanciato l’iniziativa «Notizie, non gossip», con l’obiettivo di raccogliere e incanalare, con una proposta positiva, la profonda insoddisfazione, diffusa nel mondo missionario e in larghi strati dell’opinione pubblica italiana, per come l’informazione televisiva tratta i temi legati al Sud del mondo. In modo particolare l’attenzione si appunta sulla Rai: non perché la sua offerta informativa sia peggiore di quella delle tv commerciali, ma per il fatto che al servizio pubblico il cittadino – che paga il canone – ha diritto a chiedere di più e meglio. Di qui è nata, nel novembre scorso, l’idea di un editoriale comune, apparso sul numero di gennaio o febbraio delle riviste aderenti. Il 24 gennaio scorso l’editoriale è stato diffuso alle agenzie e ai media, che l’hanno rilanciato in modo significativo. L’appello ha avuto buona accoglienza su varie testate.
L’iniziativa Fesmi si inseriva sulla scia di un impegno avviato da tre riviste (Nigrizia, Missione oggi e Mosaico di Pace) che, assieme ai rappresentanti della Tavola della pace (e, in un secondo tempo, di Usigrai e Fnsi), nei mesi scorsi avevano esercitato una sorta di pressing sulla Rai, nella persona del direttore generale, Alfredo Meocci, chiedendo che la Tv di stato aprisse una sede in Africa.
All’indomani del lancio dell’editoriale, in un incontro con alcuni direttori di riviste missionarie, lo stesso Meocci annunciava la prossima apertura di una sede Rai a Nairobi, in Kenya. Il CdA della Rai ha inoltre deciso di aprire una sede anche in India, a Nuova Delhi. Il corrispondente designato per l’India è Agostino Mauriello (Tg2), quello per l’Africa è Enzo Nucci (Tg3). Tali decisioni non vanno messe in relazione – sic et simpliciter – al «polverone» suscitato dalla Fesmi. Resta il fatto che qualcosa si muove, nella direzione, da noi auspicata, di un miglioramento del servizio.

Come impegno concreto, un nuovo passo sulla via di una diversa informazione, la Fesmi propone ai lettori delle riviste associate di focalizzare la propria attenzione sull’area dei Grandi Laghi (Rd Congo, Rwanda, Burundi e Uganda). Il Congo si appresta a vivere una stagione importante (a giugno si terranno le prime elezioni democratiche dopo 40 anni).
L’appello che rivolgiamo ai lettori è duplice:
• informarsi su quanto sta avvenendo in quell’area;
• «monitorare» come i media (in particolar modo la Rai) daranno conto degli eventi in Congo e dintorni da qui all’estate.
Perché tutto questo abbia un impatto anche all’esterno, chiediamo ai lettori che condividono il senso dell’iniziativa di aderirvi apponendo la propria firma nello spazio apposito e inviando copia alla segreteria della rivista corrispondente (oppure compilando il modulo in internet).
Le adesioni raccolte saranno la prova che nel paese c’è una diffusa domanda di informazione di qualità, nel segno del rispetto dei popoli, delle culture, della dignità integrale della persona.

FESMI




RAI: «DI TUTTO, DI PIÙ»?

«Pronto? Pronto? Sono un lettore di Missioni Consolata. Voglio aderire alla vostra campagna “Rai: dateci notizie, non gossip!”. Cosa devo fare? Avete le cartoline già confezionate o possiamo usae altre normali? A che indirizzo dobbiamo spedirle?».
Telefonate del genere ne abbiamo ricevute molte, in seguito alla pubblicazione nel numero di gennaio della nostra rivista dell’editoriale della Federazione della stampa missionaria italiana (Fesmi) dal titolo provocatorio: «TG Rai: dateci notizie non gossip!». Identiche richieste ci sono pervenute via e-mail. Qualcuno ha spedito direttamente alla nostra redazione cartoline e fotocopie dei versamenti per l’abbonamento Rai con la scritta suggerita. Senza contare le adesioni pervenute attraverso il nostro sito www.missioniconsolataonlus.it. A tali richieste abbiamo risposto che avremmo chiarito, in un seguente editoriale, i dettagli della campagna avviata dalla Fesmi.
Prima di tutto ringraziamo i nostri lettori per la loro sollecita adesione a tale campagna, anche se presentata con una mancanza di chiarezza. E di questo ci scusiamo. L’inconveniente è dovuto a un eccesso di zelo da parte nostra. Pensavamo che l’editoriale pervenutoci all’inizio di dicembre fosse definitivo. Nel frattempo, però, sono avvenuti altri fatti: la direzione della Rai ha chiesto un incontro con la direzione della Fesmi e alcuni enti hanno chiesto di partecipare alla campagna. Ciò ha consigliato la direzione della Fesmi di tramandare la pubblicazione dell’editoriale a febbraio, come hanno fatto le altre riviste missionarie, di sospendere la raccolta di cartoline e la spedizione dei riscontri del versamento per l’abbonamento Rai, dato che con la fine di gennaio scadeva la data utile per tale pagamento. Delle decisioni scaturite dall’incontro con la direzione della Rai e dell’adesione di altri enti daremo conto nel prossimo numero della nostra rivista.

I ntanto la mobilitazione continua. Le adesioni inviate dai nostri lettori le conserviamo tutte e le utilizzeremo al momento opportuno. Al tempo stesso chiediamo a tutti di non abbassare la guardia e di continuare a sostenerci nella nostra campagna di sensibilizzazione.
In fondo non chiediamo la luna, ma semplicemente quello che tutti gli utenti della Rai si aspettano da un servizio pubblico: un’informazione corretta, partecipe, rispettosa sul Sud del mondo. Chiediamo maggiore attenzione ai popoli, alle culture extraeuropee, abbandonando un certo provincialismo che caratterizza i nostri Tg, che non di rado indugiano in argomenti di corto respiro e danno più spazio ai pettegolezzi di casa nostra che agli eventi che capitano nel mondo.
Chiediamo solo che l’informazione televisiva, alla quale la maggioranza degli italiani attinge la propria «visione del mondo», dia conto in maniera meno approssimativa e più veritiera della realtà del Sud che, come mondo missionario, ogni mese raccontiamo sulle nostre pagine. Spesso registriamo un abisso tra il Sud che va in video e quello che ci sforziamo di rappresentare. Vorremmo accorciare questa distanza.
La Federazione della stampa missionaria italiana rappresenta oggi 42 testate, con una tiratura complessiva di oltre 400 mila copie, raggiungendo non meno di 600 mila lettori. Siamo la voce di oltre 12 mila missionarie e missionari italiani sparsi nei vari continenti. Negli anni passati, con il sostegno dei nostri lettori, abbiamo promosso campagne contro la fame nel mondo, la mala-cooperazione, la guerra e il commercio delle armi; ci siamo schierati in difesa della pace, dei diritti alla terra dei popoli indigeni e delle aspirazioni umane dei poveri e degli oppressi…
Anche questa campagna ha bisogno del sostegno dei nostri lettori.

Benedetto Bellesi




Urgenza di agire

I nostri missionari e missionarie che operano nei paesi dell’Africa subsahariana con ospedali, dispensari, orfanotrofi e altre iniziative di sviluppo, continuano a lanciare drammatici appelli per salvare il continente dalla pandemia dell’Hiv/Aids. Parlano di moribondi al ciglio delle strade, di orfani in aumento, di scomparsa di un’intera generazione, soprattutto la classe dirigente e produttiva, di fantasmi ancestrali alla ricerca del colpevole. Siamo di fronte a un dramma che distrugge il tessuto sociale, economico e culturale di interi paesi, già minati da povertà, carestie, malattie, annullando ogni possibilità di costruire un futuro e coinvolgendo nella tragedia l’intera umanità.
Senza contare che l’Aids sta mettendo a rischio il loro lavoro di evangelizzazione e di formazione di comunità cristiane. «Siamo stanchi di procurare bare e impartire benedizioni funebri – dicono -. Ci stiamo impegnando in iniziative di educazione alla prevenzione, di attenzione e cura delle gestanti, perché nascano bambini senza il virus, di lotta contro i pregiudizi, la paura e l’emarginazione».
Tale appello è stato raccolto e concretizzato nel giugno 2004, con la costituzione del comitato «Salute Africa», per volontà degli Istituti dei missionari e missionarie della Consolata, l’ospedale Koelliker, le associazioni Amici Missioni Consolata e Impegnarsi Serve Onlus. Scopo del comitato è lanciare programmi finalizzati alla lotta contro l’Aids, nell’ambito di una Campagna la cui chiusura è prevista per la fine del 2006, ma che potrà essere prolungata, se le condizioni lo richiederanno.
Il 2004 doveva servire a preparare le basi e gli strumenti di tale Campagna; invece si sono già concretizzati alcuni risultati, sia in termini di diffusione, sensibilizzazione e apertura di segreterie in varie regioni d’Italia, sia sotto l’aspetto economico, con la raccolta di fondi che hanno già finanziato diversi progetti.

Una delle più importanti iniziative della Campagna è stato il convegno «Pandemia Aids: Africa chiama Italia», organizzato a Torino il 1° dicembre scorso, giornata mondiale dell’Aids, per far conoscere la malattia dell’Hiv nella sua complessità e gravità, affrontando ed esaminando le variabili di ordine economico, etico, giuridico, sanitario e politico che influiscono sul suo dilagare, e trovare contemporaneamente risposte concrete anche dall’incontro tra esperti africani e italiani, che dedicano la loro professionalità alla lotta contro la diffusione.
In questo numero monografico della rivista Missioni Consolata troverete gli estratti del convegno uniti ad altri documenti, testimonianze, riflessioni e previsioni sull’argomento. Potrete inoltre documentarvi sulle attività già svolte e sulle iniziative in programma della Campagna e su tutti gli strumenti a disposizione per prendee parte in prima persona, ciascuno secondo le proprie possibilità.
Abbiamo parlato delle sciagure che affliggono l’umanità, come le guerre e le nuove schiavitù: di fronte a questo genocidio strisciante, che minaccia l’umanità e, soprattutto, il continente africano, non possiamo tacere, sia come missionari che come cristiani. Anche in coloro che sono colpiti dalla sindrome di immunodeficienza Cristo continua la sua passione, morte e risurrezione: «Ero malato e…». Dipende da noi la capacità di riconoscerlo e servirlo nei nostri fratelli e sorelle colpiti dalla pandemia.

Silvia Perotti




TG RAI: DATECI NOTIZIE, NON GOSSIP!

Siamo sconcertati e indignati nel constatare la sostanziale indifferenza dei telegiornali verso fatti e problemi che toccano una vasta fetta del mondo. Conflitti e disastri naturali fanno sì notizia, ma gli abusi e lo sfruttamento costante del Sud del mondo quasi mai bucano lo schermo. Come missionari siamo a contatto ogni giorno con la povertà, le carestie, le violazioni dei diritti di molte popolazioni del pianeta, ma anche con la creatività e la freschezza di tanti Paesi. Eppure, tornando in Italia e guardando il telegiornale, è come se d’incanto ci apparisse un nuovo mondo, fatto di divi dello spettacolo, sfilate di moda e così via. Con amarezza abbiamo appreso dall’Osservatorio sui media di Pavia, ad esempio, che, nei mesi di luglio e agosto 2005, a fronte di 11 ore e 35 minuti dedicati al gossip sui vip, solo 19 minuti sono stati dati alla gravissima emergenza alimentare in Niger.
Non ne possiamo più del gossip sui vip! Vogliamo che il Tg, la cui funzione è portare nelle case le vicende dell’Italia e del mondo, dia spazio anche a ciò che accade nel sud del pianeta, dove la gente è spesso vittima di violazioni, ma anche promotrice di fermenti e di iniziative dai quali avremmo tanto da imparare.
Come cittadini che pagano regolarmente il canone, ci rivolgiamo in particolare alla Rai che ha l’obbligo di essere «servizio pubblico». È nostro diritto esigere un’informazione aperta al mondo, senza dover ricorrere a canali esteri. È nostro diritto un’informazione di qualità che non sia relegata negli speciali (a volte anche molto interessanti) in onda in fasce orarie da sonnambuli.

Attualmente la Rai non dispone di un corrispondente fisso in ogni continente. Colmare questa lacuna ci pare un passo nella direzione giusta, di un’informazione più equilibrata e attenta al mondo. Una richiesta in tal senso è già stata avanzata da tre riviste (Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia) e altri enti in occasione della Tavola della Pace a Perugia (settembre 2005 ); il direttore della Rai, Alfredo Meocci, ha promesso di aprire sedi Rai in Africa e in India. Ora la Fesmi (Federazione della stampa missionaria italiana) intende far pressione perché sia dato seguito a tale promessa. Non è vero che i telespettatori non sono interessati a conoscere le notizie di altri Paesi. Crediamo anzi che molti italiani, in primis i nostri lettori, condividano questa nostra indignazione, anche perché, pagando il canone Rai, contribuiamo al mantenimento del servizio pubblico di informazione.
Invitiamo tutti i contribuenti a mandare una cartolina di adesione a questa campagna all’indirizzo della Fesmi, segnalando l’avvenuto pagamento del canone. Sulla causale del versamento va scritto il seguente testo: Tg Rai: dateci notizie, non gossip!
Le cartoline pervenute alla sede della Fesmi entro fine giugno saranno consegnate al Direttore generale della Rai, accompagnate dalla richiesta di esercitare la sua funzione di garante di un’informazione più globale e a servizio dei contribuenti.

Fesmi




Generò, generò, generò…

A bramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe… Aram generò Aminadàd, Aminadàd generò Naassòn e Naassòn generò Salmòn. Salmòn generò… «Ah, don Marcello! E che è tutto ’sto casino de nomi?» sbottò Valentino interrompendo la lettura del vangelo (cfr. Mt 1,2ss).
Marcello, già missionario in Congo e ora parroco nella periferia di Roma, sorrise alla provocazione di Valentino, animatore della comunità. «Sì, è un casino, ma un bel casino!» pensò il sacerdote, dall’alto dei suoi 74 anni.
D’improvviso si rivide giovane prete alle prese con la messa in latino, curvo su un messale istoriato, mentre sillabava faticosamente quei nomi astrusi anche per lui. Poi, con l’eucaristia in italiano, la filastrocca del «generò, generò, generò» rimase solo sulla carta, perché i preti la dribblavano seduta stante. Ma, in preparazione al Natale, don Marcello la rispolverò, perché era straordinaria.

G enerò, generò, generò… È la sequela degli antenati di Gesù di Nazaret, tra i quali spiccano anche quattro donne: Tamar, Raab, Betsabea e Rut, protagoniste di storie incredibili. Tamar adesca l’ignaro suocero Giuda, che la rende incinta; Raab è una prostituta di Gerico; Betsabea diventa moglie del re Davide e madre del saggio Salomone in una scandalosa vicenda di adulterio e omicidio. E Rut? Appartiene al popolo pagano di Moab. Per anni moabiti e israeliti si guardano in cagnesco. Tuttavia Rut, per affetto verso la suocera Noemi, emigra proprio nella infida Betlemme…
Valentino ascoltò queste spiegazioni del «don», stralunando gli occhi increduli. Alla fine esclamò:
– E mo’, er Cristo è pure un…».
– È pure figlio di Dio! – tagliò corto il sacerdote.
– Come no! Però, voio dì: Gesù è pure un gaiardo… meticcio!
Allora: perché tanta strizza per gli stranieri?

M eticciato culturale-religioso. Al riguardo, don Marcello citò Joseph Ratzinger, alias papa Benedetto xvi.
Secondo l’ex professore tedesco, nei cinque secoli che separarono l’esilio degli israeliti a Babilonia dalla comparsa di Gesù, nell’ebraismo si sviluppò il fenomeno della «Sapienza». Così, accanto a «Legge» e «Profeti», sorse un terzo pilastro: la Sapienza appunto. Essa subì l’influsso religioso dell’Egitto e poi manifestò il rapporto con la filosofia greca, in particolare quella platonica e stornica. A partire dal 3° secolo a. C., si tradusse persino in greco la bibbia dell’Antico Testamento, nota come «Settanta» (cfr. J. Ratzinger, Verità, fede, tolleranza, Cantagalli, Siena 2005, pp. 157-160)…
Valentino capì poco del dotto riferimento del parroco. Ma un punto era lampante: anche la bibbia è meticcia! E ritornava il quesito: perché in Italia stracciarsi le vesti di fronte al reciproco influsso religioso-culturale, causato dall’impatto islam-cristianesimo? Perché temere di diventare «diversi» vivendo con «diversi»?
Valentino, fresco laureato in scienze politiche, tentò una risposta con un riferimento alla nostra storia.
Francesco Crispi, mangiapreti, aveva sempre osteggiato la chiesa cattolica, con un codazzo di liberali e massoni. Però, verso la fine del 1800, i nemici da temere apparivano soprattutto i socialisti, meno i cattolici. A Napoli, il 10 settembre 1894, il baffuto Crispi tuonò: «Dalle più nere profondità della terra è sbucata una setta infame, la quale scrisse sulla sua bandiera: né Dio né capo… Stringiamoci insieme per combattere codesto mostro e scriviamo sul nostro vessillo: con Dio, col re e per la patria!».
Quando ci sentiamo minacciati – ragionò Valentino -, i nemici di ieri diventano gli amici di oggi. Al presente, anche per gli agnostici, la minaccia è rappresentata dai musulmani. E certi laici ritengono che i cattolici non facciano il loro dovere di occidentali se non li combattono.
– Don Marcé, tu che dici?
– A me «combattere» non piace in alcun modo. Io sono orfano di guerra. In Congo, poi, di «battaglie» ne ho viste troppe, con milioni e milioni di amazzati.

T amar generò, Raab generò, Betsabea generò… Anche Maria generò. Diede alla luce Gesù, chiamato Cristo (cfr. Mt 1,16).
Per la consolazione di tutti.
Francesco Beardi

Francesco Beardi




Negativo anche il buon Gesù?

Eccoli ancora «in vetrina» nel castello di Gleneagles (Scozia). I G8, ossia, i capi dei paesi più industrializzati del mondo, Italia compresa, dal 5 all’8 luglio 2005 si sono ritrovati nella cittadina scozzese per discutere di petrolio, crescita economica, clima, nonché degli affanni dell’Africa. Come in altre occasioni, non sono mancati i contestatori, fra cui i black block con i loro vandalismi. Di fronte all’incivile spettacolo qualcuno ha commentato: «Speriamo che non ci scappi il morto come al G8 di Genova nel 2001».
Speranza vana. Le vittime sono quasi 60. Ma, rispetto a Genova, la strage è differente: è avveunta a Londra il 7 luglio, sui convogli della metropolitana, edè stata rivendicata dalla famigerata Al Qaeda.
Al cospetto delle vittime (innocenti) di ieri e oggi, la «simpatia» è profonda e la condanna totale per gli attentatori. I sentimenti si tramutano soprattutto in preghiera. E non scordiamo l’Africa, che svettava come priorità nell’agenda dei G8. Poi, con l’incalzare della tragedia londinese, l’attenzione è quasi svanita: destino perverso, ricorrente per il continente nero.

N el loro documento finale i G8 hanno proposto un piano di aiuti all’Africa: prevede anche l’azzeramento del debito estero di 14 paesi poveri. Il problema era stato sollevato qualche giorno prima, a Londra, dai ministri finanziari dei G8 (Russia esclusa), groriandosi di «una scelta epocale». Esagerati! La cancellazione di debiti multilaterali è un’iniziativa già in atto da tempo per opera della società civile e religiosa, chiesa cattolica in testa. Pertanto è fuori luogo ascrivere ai G8 una scelta epocale.
E poi, la scelta è largamente insufficiente: sono circa 70 le nazioni gravate dal debito estero. Spesso si va per le lunghe. Ma, se vi sono interessi occidentali in gioco, i debiti si azzerano in fretta. Nel 2004 l’Iraq beneficiò di un condono di 30 miliardi di dollari.
Insufficienti sono pure i 50 miliardi di dollari destinati dai G8, entro il 2010, allo sviluppo dell’Africa. Secondo l’Onu, tale somma dovrebbe essere stanziata ogni anno per realizzare nel 2015 gli obiettivi proclamati nel 2000. Intanto le nazioni ricche sono lontanissime dal devolvere allo sviluppo del Sud del mondo lo 0,7% del loro prodotto interno lordo, promesso da decenni, riaffermato solennemente dai G8 a Genova e sempre disatteso. Oggi l’impegno dello 0,7% viene posposto al 2015, allorché almeno i paesi dell’Unione europea dovrebbero assolverlo.
Nel 2001 i G8 avevano pure deciso di combattere l’Aids in Africa: un’altra promessa da marinaio, rilanciata a Gleneagles. La verità è che, spesso, i G8 non possono né vogliono decidere, né tanto meno agire, ma solo «raccomandare», specialmente quando sono coinvolte istituzioni inteazionali.
I meeting dei G8 sono discutibili anche per il loro regolamento e per numero e identità dei partecipanti. A Gleneagles, dove si intendeva portare alla ribalta l’Africa, i suoi veri portavoce erano pochissimi. Dal G8 si dovrebbe passare al «G-tutti»: parola di Dionigi Tettamanzi nel 2001, arcivescovo di Genova.

A llibiti dalla strage di Londra, i G8 non hanno potuto ignorare il terrorismo internazionale. Tony Blair ha dichiarato che bisogna eliminare le sue cause profonde: la repressione non basta. Il premier britannico lo ha detto anche perché, nelle ultime votazioni, ha rischiato di perdere la poltrona, dato il coinvolgimento armato della Gran Bretagna in Iraq.
La risposta militare ad azioni terroristiche annienta vite in Iraq e Afghanistan, con una instabilità che potrà durare anni. È necessaria una riflessione critica sugli atti di violenza e ingiustizia che alienano milioni di uomini e donne in tutto il mondo. «La pace si costruisce giorno per giorno nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini» Populorum progressio 76).
Noi abbiamo sempre creduto nella trattativa politica e nel dialogo. Però il dialogo non è praticabile con chi parla solo seminando morte e terrore. Ma questo non deve scoraggiare; invece deve intensificare lo sforzo per interloquire con chi, specie nel mondo arabo e islamico, persegue cammini di convivenza, di equa ripartizione delle risorse (patrimonio dell’intera umanità), di solidarietà. Una sfida gigantesca.
Pare che persino Gesù non fosse sempre solidale con gli stranieri. A una madre, sirofenicia, che gli chiese di soccorrere la figlia indemoniata, replicò con arroganza: «Non è giusto buttare ai cani il pane dei figli». «È vero, Signore – replicò la donna -. Ma i cani, sotto la tavola, non possono mangiare le briciole dei padroni?». E Gesù fu sconfitto da «un’extracomunitaria infedele» (cfr. Mt 15, 21-28).
Francesco Beardi

Francesco Beardi




L’eternamente giovane

«Siamo venuti per adorarlo»: è questo il tema della Giornata mondiale della gioventù, che si celebrerà a Colonia (Germania) dal 16 al 21 agosto 2005. Il motto riprende le parole dei Magi, tratte dal vangelo di Matteo, ed esprimono il fine del loro lungo peregrinare che li ha condotti all’incontro con il Salvatore. Sull’esempio dei Magi, le cui reliquie secondo una pia tradizione sono venerate proprio in quella città, i giovani di ogni continente sono invitati a ripercorrere idealmente il loro itinerario per incontrare il Messia di tutte le nazioni.
L’idea della Giornata mondiale della gioventù (Gmg) è una mirabile intuizione di Giovanni Paolo ii. Poco prima della pasqua del 1984, a conclusione dell’anno santo straordinario (1983-84) in memoria della morte e risurrezione di Gesù Cristo avvenuta 1.950 anni prima, il papa invitò i giovani di tutto il mondo a venire a Roma per la domenica delle palme. L’invito fu ripetuto l’anno seguente.
Impressionato dal successo di tali incontri, nel dicembre 1985 il papa annunciò solennemente di voler ripetere l’evento annualmente, prevedendo l’alternarsi di giornate diocesane, celebrate la domenica delle palme a livello di chiesa locale, e Gioate mondiali globali, da celebrarsi in posti sempre diversi del mondo. Numerando le Gmg in modo continuo, senza distinguere tra quelle inteazionali o a livello diocesano, quella di Colonia è la ventesima.
Fin dall’inizio Giovanni Paolo ii è stato il motore degli incontri. La presenza del papa ne è un elemento fondamentale. Per questo Benedetto xvi si è affrettato più volte ad assicurare la sua presenza alla Gmg di Colonia: «Ai giovani, interlocutori privilegiati del papa Giovanni Paolo ii, va il mio affettuoso abbraccio nell’attesa di incontrarli a Colonia… Con voi, cari giovani, futuro e speranza della chiesa e dell’umanità, continuerò a dialogare, ascoltando le vostre attese, nell’intento di aiutarvi a incontrare sempre più in profondità il Cristo vivente, l’eternamente giovane».

L a Giornata mondiale della gioventù è un evento straordinario che contagia tutta la chiesa; è una festa dove gioia e fede si toccano. Oggi più che mai, tutti, giovani e meno giovani, abbiamo bisogno di incontrare «l’eternamente giovane», per testimoniare che la sua buona notizia è fonte di gioia.
Nel messaggio per la 20a Giornata mondiale della gioventù, preparata già l’anno scorso, Giovanni Paolo ii, portando i Magi come esempio, invita tutti a seguire la «stella», cioè a imparare «a scrutare i segni con cui Dio ci chiama e ci guida», a riconoscere il Cristo presente nella povertà e semplicità della vita feriale, a offrirgli «l’oro della propria esistenza, l’incenso della preghiera ardente, la mirra dell’affetto pieno di gratitudine». Soprattutto invita ad adorarlo, «riconoscendogli il primo posto nella propria esistenza».
E continua: «Non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che lasciano non di rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le seduzioni del denaro, del consumismo e della subdola violenza che esercitano talora i mass-media. L’adorazione del vero Dio costituisce un autentico atto di resistenza contro ogni forma di idolatria. Adorate Cristo: Egli è la Roccia su cui costruire il vostro futuro e un mondo più giusto e solidale. Gesù è il Principe della pace, la fonte di perdono e di riconciliazione, che può rendere fratelli tutti i membri della famiglia umana».
Nel suo messaggio il papa si rivolge non solo ai cattolici: «L’invito… è anche per voi, cari amici che non siete battezzati o che non vi riconoscete nella chiesa. Non è forse vero che pure voi avete sete di Assoluto e siete in ricerca di “qualcosa” che dia significato alla vostra esistenza? Rivolgetevi a Cristo e non sarete delusi».

La Gmg di Colonia è per tutti un nuovo stimolo a riscoprire la fede cristiana e a testimoniarla di fronte a un mondo sempre più scristianizzato. «Sono tanti – continua il messaggio – i nostri contemporanei che non conoscono ancora l’amore di Dio, o cercano di riempirsi il cuore con surrogati insignificanti. È urgente essere testimoni dell’amore contemplato in Cristo… La chiesa ha bisogno di autentici testimoni per la nuova evangelizzazione: uomini e donne la cui vita sia stata trasformata dall’incontro con Gesù; uomini e donne capaci di comunicare quest’esperienza agli altri. La chiesa ha bisogno di santi. Tutti siamo chiamati alla santità, e solo i santi possono rinnovare l’umanità».

Benedetto Bellesi

Benedetto Bellesi