
Sono poco conosciute, ma molto importanti: le donne che nell’ultimo secolo hanno contribuito con i loro studi a rinnovare la scienza e, insieme, la società. Un libro ne presenta dieci, con le loro impostazioni «visionarie» e innovative.
L’interesse del pubblico verso le storie di donne scienziate cresce nel tempo, stimolato anche da diversi libri.
Per esempio, nel 2018 è uscito Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie, volume curato da Sara Sesti e Liliana Moro.
Come sottolinea Adriana Giannini nella sua recensione del libro, «ci si rende subito conto che le scienziate selezionate […] oltre alle doti intellettuali fuori dall’ordinario, dovevano possedere una grande tenacia e sete di sapere per riuscire a evadere dal ruolo che la società prevedeva inesorabilmente per le donne che non volevano essere emarginate: occuparsi della famiglia o chiudersi in convento».
Molte di quelle donne hanno incontrato grossi ostacoli per realizzare i loro progetti, per farsi riconoscere e trovare spazio in un mondo dominato dal potere e dai pregiudizi maschili.
Tra il 2023 e il 2024 sono usciti altri tre titoli su donne scienziate, ciascuno dei quali presenta alcune figure femminili, scelte sulla base di specifiche caratteristiche: si sono occupate di scienze naturali, ambientali, mediche. Tutte con un approccio trans disciplinare, attento ai contesti sociali e alle relazioni interpersonali.
Tra «ribelli», «prime» e «visionarie», queste donne hanno introdotto nuovi modi di vedere, pensare e agire nel loro lavoro.
Visionarie
Ci soffermiamo qui sul libro di Cristina Mangia e Sabrina Presto, Scienziate visionarie, del 2024.
Le due autrici sono ricercatrici del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) che da anni studiano questioni ambientali e di salute pubblica.
La scelta delle dieci figure è in sintonia con il vissuto professionale delle autrici, e con la loro riflessione sulla scienza come impresa collettiva, immersa in un tessuto sociale che condiziona le domande di ricerca, le metodologie di lavoro, gli obiettivi.
Il filo ideale che connette tra loro le studiose presentate nel volume è proprio la convinzione che la scienza debba smettere di essere percepita (e praticata) come lo studio neutrale e oggettivo di una realtà esterna. Deve essere invece riconosciuta come una pratica collettiva e intersoggettiva di esplorazione delle relazioni tra umanità e natura, dipendente dal contesto storico in cui è fatta, dai mezzi tecnici e, soprattutto, dagli obiettivi dell’indagine. Gli obiettivi, infatti, orientano le domande di ricerca, le quali, a loro volta, condizionano la raccolta e interpretazione dei dati che contribuiscono a costruire una visione del mondo per l’intera società.
Un aspetto comune delle studiose presentate è la loro «visionarietà»: la capacità di proporre delle trasformazioni sociali tali da proteggere la sicurezza ambientale, la giustizia e la pace.
Un altro elemento è l’impegno politico. Tutte sono state protagoniste di varie forme di contestazione del maschilismo (spesso razzista) che caratterizzava le leggi, le abitudini, le regole, i vincoli del loro tempo dominato dalla tecno-scienza. Tutte hanno fatto ricorso a metodologie empatiche e nonviolente per sovvertire quella forma insidiosa di patriarcato che impediva alle donne di esprimere le loro potenzialità, e ostacolava la loro attitudine a indagare il mondo naturale con l’obiettivo d’imparare, anziché di usarlo e dominarlo.
L’esigenza di trasformare il modo di pensare e praticare la scienza si è manifestata gradualmente, a partire da quando una minoranza della comunità scientifica (soprattutto femminile) ha fatto emergere la coscienza che la complessità del mondo non può essere esplorata dalle singole discipline separate tra loro, e che occorre far collaborare visioni diverse, non solo scientifiche ma trans disciplinari.
Relazione umanità natura
Le due autrici presentano per prima la figura di Donella Meadows (Usa, 1941-2001), che negli anni 70 del Novecento, insieme ai suoi colleghi, propose l’idea che la Terra sia un sistema complesso, interconnesso e, soprattutto, «finito», ossia con risorse limitate, e limitate capacità di ripristinare gli ecosistemi alterati dalle azioni umane.
Il libro I limiti alla crescita, di cui Meadows fu prima autrice, segnò uno spartiacque nella percezione della relazione tra umanità e natura, anche se alla nuova comprensione delle cose non seguì una sufficiente consapevolezza, né furono prese adeguate misure per ridimensionare l’impatto umano sul pianeta.
Seguono le presentazioni di altre scienziate: Alice Hamilton (Usa, 1869-1970) a partire dall’inizio del Novecento, esplorò per prima le conseguenze dei processi industriali e della produzione di sostanze tossiche sui lavoratori. Aprì la strada alla moderna medicina occupazionale.
Nello stesso periodo Sara Josephine Baker (Usa, 1873-1945) avviò una rivoluzione nella sanità pubblica, introducendo e applicando norme di igiene e prevenzione soprattutto con i bambini e le fasce di popolazione più disagiate.
Un altro esempio significativo della diversa prospettiva delle donne di fronte ai problemi è quello di Alice Stewart (Regno Unito, 1906-2002): mentre ingenti finanziamenti erano destinati a sviluppare prodotti industriali sempre nuovi, pochi fondi venivano assegnati alla medicina sociale, cioè all’indagine degli effetti dei nuovi prodotti sulla salute delle persone.
Fu Alice Stewart a scoprire gli effetti della tecnologia nucleare (dalle radiografie ai fallout delle esplosioni) e a denunciare i rischi dell’esposizione alle sostanze radioattive.
Anche la giapponese Katsuko Saruhashi (1920-2007) fu coinvolta nelle indagini sugli effetti delle radiazioni e ne denunciò le gravi patologie. Non esitò a mettere le sue competenze scientifiche al servizio di una intensa attività pubblica antinucleare, e a incoraggiare le giovani ad approfondire le conoscenze scientifiche a difesa di scelte politiche consapevoli.
La statunitense Rachel Carson (1907-1964), diventata famosa a livello mondiale non solo per i suoi studi, ma anche per le sue doti di scrittrice, ha avuto il merito di opporsi coraggiosamente alla potente industria chimica che, senza scrupoli e senza controlli, stava spargendo pesticidi nelle campagne e nei campi coltivati, con effetti devastanti su ambiente e salute.
Meno famosa, ma altrettanto combattiva, fu Beverly Paigen (1938-2020), anch’essa statunitense, ricercatrice impegnata nello studio di varie forme di cancro. Raccogliendo le segnalazioni di mamme residenti nella città di Niagara Falls a riguardo di malattie e malformazioni nei loro figli, rilevò la presenza di sostanze tossiche nell’area. Dopo anni ottenne di far riconoscere una grave contaminazione nei terreni della zona.
Le ricerche di Carson e Paigen furono ostacolate da scienziati, politici e industriali che screditarono il lavoro scientifico delle due studiose e le attaccarono personalmente in quanto donne.
Solo dopo molti anni, e grazie alla loro competenza e tenacia, furono approvate importanti leggi e create istituzioni nazionali a difesa dell’ambiente e della salute.
Delle altre studiose presentate nel libro, due in particolare, Wangari Maathai (1940-2011), keniana, prima donna africana a ricevere il Nobel per la pace, e Suzanne Simard, canadese, nata nel 1960, sono ricordate soprattutto per l’attenzione che hanno dedicato alle foreste.
Wangari, con il movimento di donne da lei fondato (il Green belt movement), promosse e realizzò la riforestazione di ampie aree del Kenya, recuperando alberi autoctoni e il ripristino di eco-agro-sistemi in grado di sviluppare una agricoltura di sussistenza per le comunità locali.
Suzanne, contrariata dall’abitudine dell’industria del legno di piantare monocolture di alberi e di utilizzare diserbanti chimici per tenere «pulite» le radure, incominciò a indagare se ci fossero delle relazioni, degli scambi di informazioni tra i singoli alberi. Grazie ai suoi studi scoprì che le foreste sono ecosistemi interconnessi, le cui radici, associate a reti di funghi, costituiscono una fittissima rete sotterranea, che sarebbe stata poi chiamata «wood wide web».
L’interpretazione che Simard fornì delle relazioni scoperte dentro l’ecosistema foresta era che tra le diverse forme di vita ci sia cooperazione e mutuo sostegno: una spiegazione che fu accolta con diffidenza e scetticismo dalla comunità accademica.
È lo stesso tipo di reazione che incontrò Lynn Margulis (1938-2011), biologa statunitense, quando propose che, all’interno di singole cellule, siano attive complesse forme di cooperazione tra i corpuscoli intracellulari.
Lo sguardo femminile delle due studiose avrebbe portato a una radicale reinterpretazione di molti scambi tra gli organismi, a tutti i livelli.
Foreste e cellule, e, in generale, tutti i viventi, non sono solo in competizione tra loro, ma elaborano anche raffinati dialoghi e strumenti di cooperazione, che in certi casi portano all’evoluzione di nuove forme di vita.
Al termine della carrellata di presentazioni viene ricordata l’unica scienziata italiana del gruppo, Laura Conti (1921-1993). Come ricordano le due autrici, fu «partigiana, medica, studiosa instancabile, politica, scrittrice, divulgatrice».
Laura Conti riuscì a intrecciare competenze scientifiche e impegni sociali, e a porre alla comunità scientifica domande cruciali sugli intrecci tra scienza, etica, democrazia e condizioni sociali. Domande che – come fanno notare le due autrici – sono ancora oggi di grande attualità.
Trasformare la scienza
La mancanza di fiducia nella capacità delle donne di contribuire allo sviluppo della scienza ha accompagnato tutto il Novecento, e ancora oggi molte studiose fanno fatica a entrare in gruppi di ricerca e farsi ascoltare. Sono portatrici di modi diversi di guardare il mondo, di affrontare i problemi, di svolgere le ricerche: le loro prospettive, quando riescono a farsi sentire, possono aprire la strada a nuove piste, offrire soluzioni innovative a problemi irrisolti.
Questo approccio all’idea di scienza, ormai presente da alcuni decenni a livello internazionale, viene individuato con il termine «scienza post normale» (Pns): propone una metodologia di indagine per affrontare problemi complessi e controversi, tipici dell’interfaccia tra scienza, politica e società, ed è parte di un interessante movimento di democratizzazione della scienza. Tuttavia, è condivisa finora da una componente minoritaria della comunità scientifica, ed è contrastata dalla crescente influenza dei poteri forti (economici, politici, finanziari) e dell’apparato industriale militare in favore della competitività e della guerra.
Elena Camino
Suggerimenti di lettura
- Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers, I limiti alla crescita, Editoriale scientifica, Napoli 2023, pp. 252, 16 €.
- Laura Conti, Una lepre con la faccia di bambina, Fandango libri, Roma 2021, pp. 144, 13 €.
- Laura Conti, La condizione sperimentale, Fandango libri, Roma 2024, pp. 256, 17 €.
- Laura Conti, Discorso sulla caccia. Dove si parla anche di evoluzione, antropogenesi, anatomia femminile, agricoltura. Di coccolamenti durati milioni di anni. Di primati, gatte e lupi. Della dubbia compatibilità tra uomo e pianeta Terra. Di possibili catastrofi. E dei rischi di facili rimedi, Altreconomia, Milano 2023, pp. 144, 13 €.
- Laura Conti, Il tormento e lo scudo. Un compromesso contro le donne, Fandango libri, Roma 2023, pp. 272, 18 €.
- Laura Conti, Cecilia e le streghe, Fandango libri, Roma 2021, pp. 176, 16 €.
- Wangari Maathai, Solo il vento mi piegherà. La mia vita, la mia lotta, Sperling & Kupfer, Milano 2012, pp. 393, 17,50 €.