Applausi e inchini hanno caratterizzato il rientro alla Casa Bianca di Donald Trump. Il 20 gennaio non tutto, però, è filato liscio come il tycoon sperava. L’inconveniente è capitato nella Washington National Cathedral, la chiesa che, dal 1933, nel giorno inaugurale ospita la preghiera ufficiale per i presidenti eletti. È accaduto che una donna abbia rotto l’incantesimo della celebrazione.
Il suo nome è Mariann Edgar Budde, vescovo della Chiesa episcopale di Washington. Sposata e madre di due figli, 65 anni, Budde è la prima donna a guidare la diocesi episcopale della capitale statunitense, una posizione che ricopre dal 2011. Sovrintende a 88 comunità tra il Distretto di Colombia e il Maryland, per un totale di 38mila membri.
«Mi consenta di fare un ultimo appello, signor Presidente – ha detto il vescovo dal pulpito della cattedrale -. Vi chiedo di avere pietà delle persone nel nostro Paese che ora sono spaventate». Tra queste, ha citato le famiglie composte da persone gay, lesbiche e transgender e poi ha fatto riferimento agli immigranti: «La stragrande maggioranza di loro – ha aggiunto Mariann Budde – non sono criminali, ma buoni vicini e membri fedeli delle comunità religiose».
Visibilmente contrariato, Trump non ha gradito la predica, affermando: «Non penso che abbia fatto un buon servizio». Il sermone critico del vescovo è stato soltanto un piccolo intoppo, ma non è stato dimenticato. Tanto che due giorni dopo il presidente è intervenuto su Truth, la piattaforma social di cui è proprietario, definendo Budde, «il cosiddetto vescovo», una persona di «estrema sinistra che odia Trump» e chiedendo pubbliche scuse per «le sue dichiarazioni inappropriate».
L’interessata non è indietreggiata. In un’intervista con la Associated Press, il vescovo ha detto che avrebbe continuato a pregare per il presidente, com’è sua consuetudine. «Non condivido molti dei suoi valori e presupposti sulla società americana e su come rispondere alle sfide del nostro tempo – ha spiegato -. In realtà, sono fortemente in disaccordo, ma credo che possiamo essere in disaccordo con rispetto mettendo in campo le nostre idee e continuando a sostenere le nostre convinzioni senza ricorrere alla violenza della parola».
Nel suo primo giorno da presidente, Donald Trump ha firmato 26 ordini esecutivi (contro i 9 che firmò Joe Biden), uno dei quali per cancellare 78 ordini esecutivi del suo predecessore.
Nei giorni successivi all’insediamento, il tycoon ha dato il via a quanto ampiamente propagandato: retate e deportazioni dei migranti irregolari presenti sul territorio statunitense. Martedì 28 gennaio la neo segretaria del Dipartimento della sicurezza interna (Homeland security), Kristi Noem, ha annunciato che gli agenti federali dell’immigrazione avevano avviato un’azione di contrasto a New York. La ministra ha, quindi, postato su X il video di un arresto con una frase di commento: «Rifiuti come questo continueranno a essere rimossi dalle nostre strade».
Paolo Moiola