Debito e pace secondo papa Francesco

La giornata mondiale della pace all'inizio del Giubileo della speranza

Foto in CC da United Nations Photo_flickr. 22/03/2007. Mazar-i-Sharif, Afghanistan. Foto ONU/Helena Mulkerns.
Mondo
Luca Lorusso

Eliminare il debito estero dei paesi poveri che strangola interi popoli; abolire la pena di morte in tutto il mondo; estirpare la fame e perseguire lo sviluppo sostenibile destinando allo scopo una percentuale dell’attuale (esorbitante) spesa militare globale.
Ecco i tre suggerimenti che papa Francesco elenca nel suo messaggio, intitolato «Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace», per la 58a giornata mondiale della pace che si celebra il 1 gennaio, all’inizio del Giubileo del 2025.

Al centro c’è il tema del debito, sia individuale che collettivo, sia con Dio che con gli altri e l’ambiente. Riconoscere il proprio debito come premessa per condonare il debito altrui e, quindi, come risorsa per la pace.
Il filo rosso che percorre il messaggio del Papa è la speranza. Non tanto quella che «tutto andrà bene», quanto la speranza che tutto, anche quello che non va bene, è ricapitolato in Cristo, morto e risorto per noi, che ha posto il seme della risurrezione in ogni situazione della vita umana.

Il papa traccia il percorso del suo messaggio aprendolo con l’augurio di pace rivolto a «ogni donna e uomo, in particolare a chi si sente prostrato dalla propria condizione esistenziale, condannato dai propri errori, schiacciato dal giudizio altrui e non riesce a scorgere più alcuna prospettiva per la propria vita», e lo chiude con la richiesta di pace al Signore, mentre porge i suoi auguri per il nuovo anno «ai capi di stato e di governo, ai responsabili delle organizzazioni internazionali, ai leader delle diverse religioni, ad ogni persona di buona volontà».
In mezzo sviluppa un itinerario articolato in quattro paragrafi.

Nel primo il papa invita tutti ad ascoltare il grido dell’umanità minacciata, così come l’antico popolo di Israele era chiamato ad ascoltare il suono del corno di ariete (in ebraico yobel, da cui «giubileo») che ogni 49 anni ne annunciava uno di clemenza e liberazione per tutti, di remissione dei debiti, di restituzione delle terre al Signore perché venissero redistribuite in maniera equa a tutti i figli di Giacobbe.
«Anche oggi – scrive il Papa -, il Giubileo è un evento che ci spinge a ricercare la giustizia liberante di Dio su tutta la terra. Al posto del corno […], noi vorremmo metterci in ascolto del “grido disperato di aiuto” che […] si leva da più parti della terra e che Dio non smette mai di ascoltare. A nostra volta ci sentiamo chiamati a farci voce di tante situazioni di sfruttamento della terra e di oppressione del prossimo. Tali ingiustizie assumono a volte l’aspetto di quelle che S. Giovanni Paolo II definì “strutture di peccato”, poiché non sono dovute soltanto all’iniquità di alcuni, ma si sono per così dire consolidate e si reggono su una complicità estesa».

Nel secondo, esorta a un cambiamento culturale nel quale ci si riconosca tutti debitori, sia come individui che come comunità e paesi, nei confronti di Dio e degli altri, e quindi ci si riconosca come legati gli uni agli altri e interdipendenti.
«Può essere utile – sottolinea Francesco – ricordare quanto scriveva S. Basilio di Cesarea: “Ma quali cose, dimmi, sono tue? Da dove le hai prese per inserirle nella tua vita? […] Non sei uscito totalmente nudo dal ventre di tua madre? Non ritornerai, di nuovo, nudo nella terra? Da dove ti proviene quello che hai adesso?”». E prosegue: «Il cambiamento culturale e strutturale per superare questa crisi avverrà quando ci riconosceremo finalmente tutti figli del Padre e, davanti a Lui, ci confesseremo tutti debitori, ma anche tutti necessari l’uno all’altro».

Nel terzo paragrafo propone un cammino concreto per dare corpo alla speranza umana attraverso tre azioni:

  1. l’eliminazione del debito estero dei paesi impoveriti (anche tramite il riconoscimento del debito ecologico che i paesi «ricchi» hanno nei loro confronti), accompagnata dallo «sviluppo di una nuova architettura finanziaria, che porti alla creazione di una Carta finanziaria globale, fondata sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli»;
  2. l’abolizione della pena di morte come segno concreto di una cultura di speranza che valorizza la dignità della persona e la possibilità del riscatto;
  3. l’eliminazione della fame e la promozione dello sviluppo sostenibile tramite l’uso di una percentuale dell’enorme spesa militare globale che, nel 2023, ha raggiunto il record di 2.443 miliardi di dollari.

Nel quarto paragrafo il Papa torna alla dimensione individuale del cammino di costruzione di società capaci di pace, e invita ciascuno a disarmare il cuore. «Che il 2025 sia un anno in cui cresca la pace! Quella pace vera e duratura, che non si ferma ai cavilli dei contratti o ai tavoli dei compromessi umani. Cerchiamo la pace vera, che viene donata da Dio a un cuore disarmato: un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo.
Il disarmo del cuore è un gesto che coinvolge tutti […]. Infatti, la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli».
E conclude: «Concedici, la tua pace, Signore! […].
Rimetti a noi i nostri debiti […],
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e in questo circolo di perdono concedici la tua pace,
quella pace che solo Tu puoi donare
a chi si lascia disarmare il cuore,
a chi con speranza vuole rimettere i debiti ai propri fratelli,
a chi senza timore confessa di essere tuo debitore,
a chi non resta sordo al grido dei più poveri».

Luca Lorusso

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