Ancora un massacro ad Haiti, questa volta una vera carneficina perpetrata in modo selettivo e con l’aggravante della persecuzione religiosa.
Tra venerdì 6 e sabato 7 dicembre sono state uccise 184 persone, secondo dati delle Nazioni Unite e di Rnddh (Rete nazionale per la difesa dei diritti umani ad Haiti). La maggior parte sono anziani, molti dei quali fedeli della religione vudù.
Il tutto è avvenuto a Wharf Jérémie, un sobborgo di Cité Soleil. Questa è la più grande bidonville della capitale Port-au-Prince. Situata tra il mare e la route nationale 1 che corre verso Nord, conta oltre 300mila abitanti.
Già nei primi anni Novanta Cité Soleil era nota come uno dei più grandi agglomerati di baracche delle Americhe. Un’intera città di lamiere arrugginite e cartone. Qui, da circa quattro decenni, vivono i più poveri tra gli haitiani.
Le bande armate controllano quasi totalmente la capitale e la maggior parte delle principali vie di comunicazione per il Paese. Il capo gang Micanor Altès, alias Monel Félix (Wa Mikano in creolo), ha fatto chiudere il sobborgo da venerdì 6 e ha mandato i suoi uomini a cercare i sospetti praticanti vudù in un centro di aggregazione e casa per casa. Sono stati catturati anche sacerdotesse (mambo) e sacerdoti (bokor) vudù. Monel Félix li ha poi fatti giustiziare. I cadaveri mutilati sono stati quindi bruciati nelle strade oppure buttati in mare o sotterrati.
Secondo Rnddh oltre 110 vittime avevano più di sessant’anni (ad Haiti, l’aspettativa di vita è di circa 64 anni).
Tra gli uccisi, molte erano persone note nel quartiere per il loro impegno comunitario, riporta il Combite pour la paix et le développement (Cpd, Comitato per la pace e lo sviluppo), associazione locale presente nella zona.
La motivazione del massacro sembra essere la malattia del figlio di Monel Félix, che lui attribuisce a un malocchio causato da riti vodù (che si ricorda essere una religione a tutti gli effetti, molto seguita ad Haiti, e non stregoneria). Il bambino sarebbe poi deceduto domenica.
Il capo banda non è nuovo a questo tipo di persecuzioni, già nel 2012 aveva fatto cercare e uccidere dodici donne praticanti e mambo.
L’eccidio è stato denunciato anche dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, tramite il suo addetto stampa, lunedì 9 dicembre. Il capo dell’Onu ha espresso le sue condoglianze alle famiglie delle vittime e chiesto alle autorità haitiane di realizzare un’inchiesta approfondita per fare in modo che gli autori di queste violenze e di tutte le altre violazioni dei diritti umani siano tradotti in giustizia.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, è pure lui intervenuto condannando l’atto durante una conferenza stampa lo stesso giorno a Ginevra. Türk ha detto che le vittime di violenze ad Haiti da inizio anno hanno raggiunto le 5mila unità.
Si ricorda che iI 3 ottobre scorso, un’altra gang aveva compiuto un massacro di oltre 70 persone a Pont Sondé, importante mercato e snodo rurale nell’Artibonite. In quell’occasione gli abitanti erano stati sorpresi a casa nella notte e trucidati.
Ad Haiti, dallo scorso giugno, è presente un contingente di 400 poliziotti provenienti dal Kenya, a cui si sono poi aggiunti 24 giamaicani, nell’ambito della Missione multinazionale di appoggio alla sicurezza (Mmas), approvata dalle Nazioni Unite nell’ottobre 2023, ma non sotto suo diretto mandato. In realtà la missione prevista dovrebbe contare circa 3.100 effettivi da diversi paesi dell’area centroamericana e dell’Africa. L’attuale numero è assolutamente insufficiente a contrastare le gang, i cui effettivi conterebbero oltre 10mila uomini ben armati.
Un fiorente traffico di armi dagli Stati Uniti verso Haiti e di cocaina in senso contrario è stato denunciato da un rapporto delle Nazioni Unite.
Attualmente Haiti è governata da un Consiglio presidenziale di transizione (Cpt), composto di 9 membri, che rimpiazza il Presidente (l’ultimo, Jovenel Moise è stato ucciso il 7 luglio 2021). La presidenza del Cpt è a rotazione, e dal 7 ottobre scorso è in carica l’architetto Leslie Voltaire. Ci sono già stati tuttavia problemi, con tre membri del Cpt, indagati per corruzione.
Il governo di transizione, inoltre, ha visto un repentino cambio di primo ministro l’11 novembre scorso. Gary Conille, in carica dal 12 giugno, è stato deposto con una procedura poco ortodossa dal Cpt e sostituito dall’uomo d’affari Alix Didier Fils-Aimé. Un avvicendamento che mostra come tra gli organi di transizione ci siano attriti notevoli, talvolta insanabili.
Le organizzazioni per i diritti umani accusano il Cpt di mancanza di volontà nella lotta contro le gang.
Lo scorso ottobre, il Cpt ha chiesto all’Onu che la Mmas sia trasformata in una missione delle Nazioni Unite con risorse consistenti e l’impiego di militari. Ma gli haitiani hanno già vissuto decenni di presenza dei caschi blu dell’Onu che, lontani dal portare soluzioni, hanno spesso causato problemi.
Marco Bello