Un fallimento senza se e senza ma. È il risultato della Conferenza delle Nazioni Unite sulla plastica (Cop16) tenutasi a Busan, in Corea del Sud, dal 25 novembre al 1° dicembre. Nel paese asiatico hanno vinto i lobbisti delle imprese chimiche e delle fonti fossili, contrarie a qualsiasi riduzione della produzione di plastica. A Busan, erano 220, più dei rappresentanti ufficiali dell’Unione europea (191). La presenza dei lobbisti alle Cop è diventata talmente prevalente e asfissiante che è stata lanciata una campagna contro di loro, «Clean the Cop».
Inventata all’inizio del Novecento, la plastica ha iniziato a diffondersi negli anni Cinquanta del secolo scorso. La produzione è cresciuta di anno in anno divenendo gigantesca come giganteschi sono i problemi che essa ha generato. Il principale produttore di plastica è, di gran lunga, la Cina con il 33 per cento del totale mondiale, seguita dagli Stati Uniti con il 17 per cento e dai paesi dell’Unione europea con il 12 (Statista, 2023).
Le conseguenze di questa produzione sono drammatiche. Si calcola che, nel 2024, saranno generati 220 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, pari a una media di 28 kg a persona in tutto il mondo. Un terzo di questi rifiuti, ovvero 69,5 milioni di tonnellate, saranno gestiti male e finiranno nell’ambiente naturale (interrati, dispersi o gettati negli ecosistemi acquatici, inquinando laghi, fiumi e mari). Nella classifica di chi riversa rifiuti plastici in oceano ai primi dieci posti ci sono nove paesi asiatici con Filippine, India, Malaysia, Cina, Indonesia e Myanmar a guidare il gruppo.
L’inquinamento da plastica può alterare gli habitat e i processi naturali, riducendo la capacità degli ecosistemi di adattarsi ai cambiamenti climatici, influenzando direttamente i mezzi di sussistenza, le capacità di produzione alimentare e la salute di milioni di persone.
Corea del Sud, Germania e Austria sono i paesi con i tassi di riciclaggio della plastica più alti al mondo. Tuttavia, se è vero che il riciclo è un passaggio fondamentale, è altrettanto vero che esso non è sufficiente per affrontare adeguatamente la questione.
«Non usciremo dalla crisi dell’inquinamento da plastica riciclando: abbiamo bisogno di una trasformazione sistemica per raggiungere la transizione verso un’economia circolare», ha spiegato Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (United nations environment programme, Unep).
L’economia circolare è l’alternativa all’economia lineare, oggi dominante. Secondo la definizione del Parlamento europeo, quella circolare «è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo».
Nella giostra delle conferenze ambientali, si sono già tenute la Cop16 sulla biodiversità e la più nota Cop29 sul clima. Attualmente è in corso (dal 2 al 13 dicembre) la Cop16 sulla desertificazione. È ospitata a Riyad, in Arabia Saudita. In questo caso, essendo molto toccata dalla questione, la petromonarchia saudita potrebbe essere più disponibile al raggiungimento di un accordo.
Paolo Moiola