La guerra dentro

Angela Dogliotti

Il volume mette in luce le radici affettive della guerra. Quali sono i meccanismi psicologici che inducono a sostenere o rifiutare la violenza armata? Si può considerare tramontata la cultura del «mors tua vita mea»? Alcuni studiosi sostengono di sì.

Il titolo del volume curato da Diego Miscioscia e pubblicato dalle edizioni la meridiana incuriosisce: «La guerra è finita». Ma come? Con tutti i conflitti che ci sono.

«La tesi di questo libro – si legge all’interno – è che sia possibile prefigurare un percorso culturale capace di potenziare alcune funzioni mentali la cui maturazione, in sostanza, possa rendere non più praticabile promuovere o condividere conflitti violenti».

Quello che stiamo vivendo è un tempo in equilibrio sull’orlo di un’estensione incontrollata delle guerre in corso, fino al rischio atomico. È quindi necessaria una riflessione su quali possano essere gli elementi di un percorso diverso che metta la guerra fuori dalla storia e realizzi processi di trasformazione costruttiva dei conflitti e di pace positiva.

Il mondo interno e la guerra

Il testo utilizza punti di vista scientifici diversi (dalla biologia, alla psicologia, alla storia), e parte da un’analisi degli studi psicoanalitici sulle cause della guerra. Questo per mostrare che, nel corso del Novecento, il sistema guerra è entrato in crisi a causa della sua irrazionalità e distruttività, e a causa della sua inefficacia nel risolvere i conflitti. Ma anche per mostrare, allo stesso tempo, che in tale contesto, si sono sviluppate le competenze mentali della pace.

Interessante e opportuno il capitolo di Martina Miscioscia sui conflitti e le pratiche di convivenza tra alcune specie animali. Esso mostra strategie di sopravvivenza orientate più alla cooperazione che alla distruzione del competitore: ci sarebbe molto da imparare dal cervo nobile o dagli scimpanzé bonobo.

Il riferimento teorico più forte è, però, quello ai lavori dei due psicoanalisti italiani Franco Fornari e Luigi Pagliarani che, circa 60 anni fa, elaborarono le prime riflessioni relative a come affrontare il rischio atomico, a partire dall’attivazione delle risorse interiori e dalla presa di coscienza delle responsabilità di ciascuno.

Se la guerra, infatti, «è un fenomeno complesso sostenuto da interessi economici, politici e geopolitici enormi e che muove interessi specifici da riconoscere e da esplorare», essa «si innesta anche su […] dinamiche psicologiche che riguardano i nostri sistemi di relazione ed il mondo interno di ciascuno».

Questa dimensione psicologica ci aiuta a comprendere alcuni processi di sostegno alla violenza e alla guerra, e anche il fatto che, per costruire una solida cultura di pace, è necessario lavorare sul mondo interiore che muove i comportamenti di ciascuno.

Il volume, perciò, mette in luce le radici interiori della guerra, riferendosi alla teoria dei codici affettivi elaborata da Fornari. Essa sostiene che i valori e le motivazioni personali nascono da logiche sentimentali diverse che fanno riferimento al mondo familiare: il codice materno, paterno, fraterno, il codice del bambino e quelli sessuali, virile e femminile.

«In sostanza, l’inconscio, attraverso i codici affettivi, aiuta l’uomo a muoversi nel mondo e a cercare di capire quale sia il valore affettivo più utile alla sopravvivenza», si legge nel testo.

È però importante che si realizzi una sorta di «democrazia affettiva», una «buona famiglia interna» che integri e armonizzi i codici diversi, evitando che qualcuno di essi si radicalizzi, come avviene, ad esempio, nella cultura patriarcale che estremizza il codice paterno.

È questa «condizione intrapsichica di integrazione e armonizzazione tra i codici affettivi che rappresenta l’unica base psicologica per una cultura di pace».

Nel corso dell’ultimo secolo alcuni passi nella direzione di uno sviluppo delle competenze mentali della pace sono stati fatti.

Miscioscia individua tre condizioni significative: il rischio della guerra atomica dopo il 1945, che ha fatto percepire come obsoleto il mito della guerra e dell’eroe guerriero; la crisi della cultura patriarcale; la globalizzazione economica, che ha fatto sentire a molti di essere cittadini del mondo più che di nazioni.

Naturalmente la strada da percorrere è ancora lunga, ma la direzione è segnata: la creazione delle Nazioni Unite e l’articolo 11 della nostra Costituzione ne sono due esempi.

Via la guerra dalla storia

Poiché la mente umana è influenzata da ambiente, educazione e cultura, «un cambiamento interiore orientato verso una cultura di pace […] dovrà essere favorito da profonde riforme sociali e culturali, ma anche da nuovi sistemi di sicurezza nei rapporti tra le nazioni».

Nella terza parte del volume si individuano le azioni collettive che possono incidere sui processi mentali dei singoli: favorire il sentimento di essere parte di una comunità; educare con metodi nonviolenti anziché repressivi; narrare la storia come storia del mondo e delle sue civiltà, delle lotte di resistenza civile e di costruzione della pace con mezzi pacifici, invece che come celebrazione di conquiste ed eroi.

L’ultimo capitolo, di Valeria Cenerini, fornisce indicazioni su come parlare di guerra ai bambini, cosa significa educare alla pace, come coltivare empatia, democrazia e dialogo a scuola.

«Il contributo più importante che abbiamo voluto dare in questo libro è segnalare una necessità […]: quella del cambiamento personale verso la democrazia affettiva. Altrimenti l’idea di pace resterà un’utopia […]. Si tratta di capire che la cultura del passato, quella della guerra e del mors tua vita mea è finita. Si tratta, con l’ausilio di esperti, educatori, psicologi, e sociologi, di acquisire nuovi modelli mentali».

Quello fatto da Diego Miscioscia è un lavoro ricco e importante. La presenza di alcune imprecisioni storico culturali che potevano essere evitate da una più rigorosa revisione delle informazioni, nulla toglie al suo valore. Per fare solo due esempi: Aldo Capitini ha fondato il Movimento nonviolento nel 1962, non nel 1952; il Mean non è tra le associazioni promotrici della campagna «Un’altra difesa è possibile» per la costituzione del Dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta, e nemmeno la Rete italiana pace e disarmo, la quale si sarebbe costituita dopo l’inizio della campagna dall’unione della Rete della pace con la Rete italiana per il disarmo, queste sì promotrici della campagna.

L’augurio è che il libro abbia molto successo e che nelle prossime ristampe si possano rivedere queste sviste, perché è uno strumento davvero prezioso.

Come si legge anche nel Preambolo della Costituzione dell’Unesco (firmata nel 1945): «Poiché le guerre hanno inizio nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che bisogna costruire le difese della pace», ed espellere per sempre la guerra dalla storia.

Angela Dogliotti
Centro studi Sereno Regis

bibliografia

  •  Franco Fornari, Psicanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 2023, pp. 288, 24,00 €.
  •  Luigi Pagliarani, Violenza e bellezza. Il conflitto negli individui e nella società, Guerini e Associati, Milano 2012, pp. 111, 13,50 €.
  •  Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Mondadori, Milano 2011, pp. 634, 11 €.
  •  Erich Fromm, Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano 1992, pp. 656, 13 €.
  •  Antonella Sapio, Per una psicologia della pace, Franco Angeli, Milano 2004, pp. 944, 58 €.
  •  Franco Fornari, Dissacrazione della guerra. Dal pacifismo alla scienza dei conflitti, Feltrinelli, Milano 1969.
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Angela Dogliotti
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