Mondo. Uccisi perché difendevano il pianeta

I dati del report «Missing voices»

Un garimpo (miniera illegale) sul rio Couto Magalhães, Kayanau, nella Terra indigena yanomami (Tiy). (Foto Bruno Kelly - HAY).
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Mattia Gisola

 

Sono 196 le persone che sono state uccise nel 2023 per aver difeso l’ambiente e la terra su cui vivevano. Provavano a resistere a uno sfruttamento incondizionato delle risorse naturali del proprio paese e per questo hanno perso la vita. È questo il numero che emerge dal rapporto «Missing voices» pubblicato a settembre dall’Ong Global Witness che,da 30 anni, si occupa di investigare e riportare gli abusi nei confronti di chi difende ambiente e diritti umani.

«Con l’accelerazione della crisi climatica, coloro che usano la loro voce per difendere coraggiosamente il nostro pianeta si scontrano con violenze, intimidazioni e omicidi» – ha affermato Laura Furones, autrice principale del report – «I nostri dati mostrano che il numero di uccisioni rimane allarmante, una situazione semplicemente inaccettabile».

Centonovantasei uccisioni in un anno significano più di una ogni due giorni, ma l’atto estremo di togliere la vita è sempre accompagnato da più larghe operazioni di intimidazione, minacce e oppressioni di vario tipo alle persone che contrastano gli interessi economici di aziende, gruppi criminali e governi spregiudicati.

Il rapporto sulle uccisioni dei difensori ambientali (dalla definizione in inglese «environmental defenders») viene realizzato dal 2012 e in questi anni ha registrato un totale di 2.106 morti, la grande maggioranza delle quali avvenuta in America Latina. La Colombia in particolare è il paese dove si registrano il maggior numero di casi, sia storicamente, visto che dal 2012 se ne stimano 461, che nel corso del 2023 dove le uccisioni sono state 79. Seguono Brasile, Honduras, Messico e Filippine.

Il rapporto mostra che, in ogni regione del mondo, chi si oppone alle industrie estrattive e richiama l’attenzione sui danni ambientali che provocano rischia di subire repressioni, ritorsioni e a volte perfino la morte. Nel mondo industriale il settore più coinvolto è sicuramente quello minerario, nel 2023 sono infatti 25 i difensori dell’ambiente assassinati mentre si opponevano ad operazioni minerarie, soprattutto in America Latina e in Asia.

Analizzando chi viene colpito da questi brutali attacchi si riconosce un altro elemento chiave, il 6% sono afrodiscendenti e ben il 43% delle vittime, ovvero 99 persone, appartengono a popolazioni indigene. Gli indigeni, infatti, vivono in aree ancora ricche di risorse naturali che industriali spregiudicati e gruppi criminali non vedono l’ora di sfruttare per le loro attività economiche. Anche quando i governi non la appoggiano direttamente, l’espropriazione e la devastazione di queste aree naturali accade comunque per vie nascoste e illegali. I minatori prendono il controllo delle zone interessate con la forza e con le armi, spesso poi corrompono o minacciano gli stessi indigeni per costringerli a lavori forzati o addirittura a imbracciare le armi contro le altre tribù.

Quest’ultimo è stato il caso che ha portato, il 3 luglio 2023, al ferimento di 5 membri della comunità Yanomami con la morte di una bambina di appena 7 anni. Da tempo infatti gli Yanomami di Roraima (stato a nord del Brasile) subiscono le violenze dei minatori d’oro illegali e situazioni simili sono diffuse in diverse aree dell’America Latina. Il record mantenuto dalla Colombia dove, nel 2023, ben 31 delle 79 uccisioni hanno riguardato persone indigene. Le comunità indigene ricoprono infatti un prezioso ruolo nella difesa degli ecosistemi naturali e della biodiversità, questo è uno dei punti principali con cui è stata aperta la Cop16 sulla biodiversità (diversa dalla Cop29, che si terrà in Azerbaijan dall’11 al 22 novembre) che si è tenuta proprio a Cali, in Colombia dal 21 ottobre al 1° novembre. La cooperazione con gli indigeni è anche uno dei pochi punti su cui sono stati fatti passi avanti concreti, portando alla formazione di gruppi di lavoro permanenti che coinvolgano popoli indigenti e comunità locali nei negoziati della Convenzione sulla diversità biologica. Questi potranno dunque contare su risorse permanenti e godere finalmente di una reale rappresentanza.

Bisognerà quindi continuare a monitorare la situazione, gravissima, in cui versano i difensori ambientali in tutto il mondo, per valutare se gli strumenti adottati e le promesse dei governi avranno un reale impatto nel fermare le vessazioni che subiscono.

Mattia Gisola

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