Il nome scelto è ambizioso: «Patto per il futuro» è stato, infatti, chiamato. È l’accordo globale più rilevante discusso e adottato nella 79.ma Assemblea delle Nazioni Unite (Unga), tenutasi a New York dal 24 al 30 settembre, alla presenza dei rappresentanti di 193 paesi. Come spesso accade (ad esempio, per l’«Agenda 2030» varata nel 2015), il testo è meritorio e suadente, ma è nato in tempi grami per i rapporti tra i paesi del mondo con una divisione profonda tra un Occidente in crisi e un’alternativa autocratica capeggiata da Russia e Cina.
L’incipit dell’accordo è solenne: «Noi, capi di Stato e di Governo, in rappresentanza dei popoli del mondo, ci siamo riuniti presso la sede delle Nazioni Unite per proteggere le esigenze e gli interessi delle generazioni presenti e future attraverso le azioni previste da questo Patto per il futuro». Il Patto si articola in 5 aree principali e 56 azioni: sviluppo sostenibile e suo finanziamento; pace e sicurezza internazionale; scienza, tecnologia e innovazione e cooperazione digitale; gioventù e generazioni future; trasformazione della governance globale. Include anche due documenti aggiuntivi: uno dedicato al superamento del divario digitale e uno relativo alle generazioni future.
Davanti a un mondo dove le controversie tra i paesi sfociano sempre più spesso in conflitti, viene affermato che «il sistema multilaterale e le sue istituzioni, con le Nazioni Unite e la sua Carta al centro, devono essere rafforzati». Questo rafforzamento dovrebbe passare anche attraverso una riforma del Consiglio di sicurezza: «Riformeremo – si legge nell’azione 39 – il Consiglio di sicurezza, riconoscendo l’urgente necessità di renderlo più rappresentativo, inclusivo, trasparente, efficiente, efficace, democratico e responsabile». Fin dall’inizio, il Consiglio di sicurezza dell’Onu (Unsc) è stato bloccato dai veti incrociati dei suoi membri permanenti.
Il Patto – inoltre – conferma in più passaggi l’impegno per l’Agenda 2030 e per il raggiungimento dei suoi obiettivi, la gran parte dei quali rimangono lontani.
«Questo Patto per il futuro – ha detto Charles Michel, presidente del Consiglio europeo – invia un forte segnale di fiducia che, nonostante le nostre differenze, nonostante le sfide che affrontiamo, possiamo lavorare insieme e vogliamo lavorare insieme. Potete contare sull’Ue come partner forte e affidabile per rendere questo Patto un successo». Peccato che l’Unione europea (indebolita dai partiti della destra populista) sia, da tempo, il grande assente dal panorama geopolitico internazionale, con una rilevanza ridotta ai minimi termini e un’assoluta povertà d’idee condivise.
L’accordo per il futuro, che – va ricordato – non è vincolante, ha avuto un iter travagliato. Alla fine, è stato adottato, nonostante i tentativi della Russia di far saltare il banco. La votazione sugli emendamenti russi ha visto, infatti, 143 voti favorevoli al Patto, 7 contrari e 15 astensioni. A votare contro sono stati la Russia e alcuni dei suoi principali alleati (Bielorussia, Corea del Nord, Iran, Nicaragua, Sudan e Siria), mentre tra gli astenuti troviamo Cina, Cuba, Arabia Saudita e Irak. I restanti paesi – tra cui l’Argentina dell’anarco capitalista Javier Milei – hanno deciso di non partecipare.
Tutti numeri, questi, che fanno intuire quanto difficile sarà l’effettiva messa in atto del Patto per il futuro oltre al recupero di un ruolo centrale per le Nazioni Unite.
Paolo Moiola