Giappone. Nuovo premier a sorpresa

 

«Ho gravato enormemente sui miei sostenitori e non sono riuscito a soddisfare le aspettative. È un fallimento». Shigeru Ishiba pronunciava queste parole di fronte a una manciata di giornalisti il 23 ottobre del 2020, dopo essere arrivato ultimo alle elezioni per la leadership del Partito Liberaldemocratico, la forza politica che governa il Giappone quasi ininterrottamente dal secondo dopoguerra.

Era la sua quarta sconfitta, la più umiliante, perché non avvenuta contro il suo storico e potente arcirivale Shinzo Abe, ma contro il grigio Yoshihide Suga. Appariva finita, i giorni migliori di Ishiba sembravano alle sue spalle. Quando nell’agosto scorso si è candidato per la quinta volta, subito dopo l’annuncio delle dimissioni di Fumio Kishida, in pochi prevedevano che stavolta la storia avrebbe potuto avere un finale diverso. E, invece, quella che lui stesso ha definito la «battaglia finale» è stata quella giusta. Venerdì 27 settembre Ishiba ha vinto le elezioni interne al partito, ricevendo automaticamente l’investitura a 102esimo premier del Giappone dal Parlamento nella seduta del 1° ottobre.
Ishiba ha un passato da banchiere, prima dell’ingresso in politica nell’ormai lontano 1986. Attestatosi su posizioni moderatamente riformiste, negli anni Novanta trascorre un periodo all’esterno di un partito che ritiene troppo conservatore. Salvo rientrare all’alba del terzo millennio, per ricoprire i ruoli di ministro della Difesa prima e di ministro dell’Agricoltura poi. In tanti prevedono per lui l’ascesa a posizioni apicali. Previsioni stoppate dal dominio di Abe, con cui Ishiba entra ripetutamente in rotta di collisione. Le sue posizioni critiche lo rendono un personaggio scomodo all’interno del partito, ma parecchio popolare nell’opinione pubblica.
Eppure, i maggiori favoriti alle elezioni della scorsa settimana sembravano altri. Secondo diverse previsioni dell’inizio della campagna elettorale, in pole position parevano in particolare Shunjiro Koizumi e Sanae Takaichi. Il primo, figlio dell’ex premier Junichiro, pareva il più apprezzato dal campo allargato al di fuori degli iscritti al partito. Coi suoi 43 anni e la sua aperta ostilità verso il sistema delle fazioni, i sondaggi lo davano come referente della voglia di cambiamento, fattasi più forte anche dopo il grande scandalo sui finanziamenti che ha costretto Kishida a sciogliere la maggior parte delle correnti interne. Nonostante le diverse dissoluzioni, la logica delle fazioni (vero pilastro della politica nipponica) non è scomparsa del tutto. L’inesperienza di Koizumi gli è costata il terzo posto al primo turno di votazioni, aperte a parlamentari e in egual numero a una parte degli iscritti.

Giunto secondo, Ishiba partiva sfavorito al ballottaggio contro Takaichi, aperto solo a parlamentari e gruppi partitici locali delle diverse prefetture. La ministra della Sicurezza economica uscente, che puntava a diventare la prima premier donna di sempre, aveva d’altronde l’appoggio di tutti gli ex adepti di Abe. Ma anche la fazione dell’ex premier Taro Aso, l’unica rimasta ufficialmente in piedi, aveva optato per lei. Alla fine, però, Ishiba ha prevalso per soli 21 voti. Uno scarto minimo per la tradizione del voto interno al Partito liberaldemocratico. A premiarlo i dubbi del cuore moderato del partito, guidato da Kishida, per le posizioni ultranazionaliste di Takaichi, assidua frequentatrice del santuario Yasukuni, luogo a dir poco controverso dove tra centinaia di caduti si commemorano anche 14 criminali di guerra dell’era coloniale nipponica. Una sua vittoria avrebbe rischiato di far saltare il delicato disgelo con la Corea del Sud, acuito le tensioni con la Cina e portato molte incognite anche sul fronte interno. Le sue posizioni radicali sono state viste come un serio rischio di esposizione alle critiche dell’opposizione, che nelle scorse settimane è peraltro riuscita a riorganizzarsi intorno all’influente figura dell’ex premier Yoshihiko Noda.
Ed ecco allora che la scelta è caduta su Ishiba, nonostante lui stesso non garantisca una continuità assoluta con le politiche di Kishida. Anzi, sul fronte interno il neo premier si oppone all’utilizzo del nucleare nel processo di transizione energetica, al contrario del suo predecessore. In politica estera, manterrà senz’altro l’alleanza con gli Stati Uniti ma ha il dichiarato obiettivo di ridefinirla. Secondo Ishiba, i rapporti sono troppo squilibrati. Per questo, mira a rivedere l’accordo sullo status delle forze armate e a ottenere una condivisione del deterrente nucleare. Non solo. In campagna elettorale ha dichiarato più volte che vorrebbe la costituzione di una Nato asiatica. Alla base del suo desiderio, non c’è solo la necessità di elevare la sicurezza regionale di fronte alle turbolenze con Cina, Russia e Corea del Nord, ma anche quella di mettere a punto un meccanismo militare in grado di fare parzialmente a meno degli Usa. Ishiba (e non solo lui) ha infatti dei dubbi sulla tenuta dell’impegno americano in Asia-Pacifico, soprattutto qualora alla Casa Bianca dovesse tornare Donald Trump. In una parola, Ishiba mira a un certo grado di autonomia strategica. Obiettivo che non piace a Washington e che potrebbe causare qualche attrito nel futuro prossimo tra i due alleati.

Intanto, la prima sfida di Ishiba saranno le elezioni generali del 27 ottobre. In una mossa a sorpresa, il neo premier ha infatti dichiarato che intende sciogliere le camere e procedere al voto anticipato, nonostante in campagna elettorale avesse assicurato il contrario. L’opposizione si è arrabbiata, ricordando che Ishiba aveva stabilito che il voto si sarebbe fatto solo dopo aver «consentito agli elettori di giudicare il suo operato». Ma il Partito Liberaldemocratico ha consigliato a Ishiba di provare a far fruttare subito il gradimento dell’opinione pubblica, prima di dover mettere mano agli spinosi dossier economici, i più urgenti da aprire e risolvere. E prima che Noda riesca a strutturare l’opposizione.
Mancando solo poche settimane, l’esito delle elezioni generali potrebbe apparire scontato. Ma il Giappone sta insegnando che anche a Tokyo e dintorni di scontato c’è ormai ben poco.

Lorenzo Lamperti, da Taipei