Le storie di alcune donne cristiane impegnate per la liberazione propria e delle loro comunità narrano di un modo di essere Chiesa. Incontriamo l’autrice di un libro che, descrivendo alcune esperienze del passato, vuole aprire a buone pratiche per oggi e domani.
Neide Furlan, nata il 14 marzo 1957, è una donna brasiliana. Quando Viviana Premazzi, autrice del libro Per una società e una Chiesa senza esclusioni, la incontra nel 2005, vive nella diocesi di Lages, nello stato di Santa Catarina, zona Sud del Paese: uno dei territori più poveri dove la terra è nelle mani di pochi latifondisti.
L’ingiustizia è la radice dell’impoverimento della popolazione, e la condizione subalterna delle donne fa parte della situazione generale di oppressione.
Neide, moglie di un sindacalista camponeso (contadino), ha capito che la lotta per la terra e la dignità è diversa se si è donne o uomini. E, osservando la situazione attorno a sé, ha deciso di impegnarsi anche lei per i diritti dei contadini, in particolare per quelli delle donne camponesas.
Per anni è coordinatrice regionale del Movimento de mulheres camponesas (Movimento delle donne contadine).
Il suo impegno l’ha portata a prendere una laurea in storia. Pensa, infatti, che per lavorare nei movimenti sociali sia necessario conoscere il passato e i meccanismi che hanno generato l’ingiustizia. Non una storia generale, però, ma una storia specifica, di un luogo e di persone precisi. In particolare, pensa che la riscoperta delle storie di alcune donne che in passato hanno avuto ruoli di liberazione per i loro popoli possa aiutare la lotta delle donne del presente.
Data la sua formazione cattolica e il suo impegno nelle comunità ecclesiali di base (Cebs) approfondisce anche le figure femminili presenti nella Bibbia, perché crede che la Parola liberi.
Neide, Romilda e le altre
La storia di Neide è contenuta nel libro di Premazzi, pubblicato nel 2023 da Effatà editrice con il sottotitolo Teologia e femminismo in Brasile.
Assieme alla sua, l’autrice racconta anche la storia di Romilda che, a sua volta ispirata dall’esperienza delle Cebs, dalla teologia della liberazione e dalle donne della Bibbia, si impegna nella società e nella Chiesa per la liberazione della donna nelle vesti di leader di comunità, catechista, ministra della Parola e dell’eucaristia, animatrice di un gruppo famiglia.
Marione, invece, è una suora della Divina Provvidenza che lavora con le donne del barrio São José proponendo corsi di cucito, di teologia e di Bibbia, perché esse acquistino maggiore dignità e rispetto da parte degli uomini della comunità.
Proprio come Neide, anche Viviana Premazzi, lombarda, 43 anni, ha raccolto e raccontato le storie di alcune donne brasiliane per fare – ci dice – la sua parte nella costruzione di una società e una Chiesa senza esclusioni.
Pur pubblicandolo nel 2023, l’autrice ha lavorato sul materiale del libro nel 2005. Ha conosciuto Neide, Romilda, Marione e molte altre persone impegnate per la liberazione degli oppressi, durante un viaggio in Brasile per la sua tesi di laurea in Scienze politiche. Una volta laureata, ha lasciato decantare il testo finché non ha incrociato una ragazza induista e il suo scoraggiamento nei confronti della condizione delle donne nelle religioni. «In occasione di un evento interreligioso a Roma – scrive Premazzi nell’introduzione -, una ragazza di religione induista […] ha detto che non ci sarebbe mai stato nulla da fare per le donne nelle religioni, perché sono intrinsecamente misogine ed escludenti, perché perpetuano una cultura di sottomissione, violenza ed oppressione […]. Le sue parole mi hanno catapultato a vent’anni fa […]. Ho chiesto la parola […] e le ho detto che […] capivo benissimo quello che stava vivendo e che l’avevo vissuto anche io e che questa ricerca mi aveva portato in Brasile a cercare, scoprire e trovare un altro modo di vivere la religione e di essere Chiesa per le donne […]». A quel punto ha deciso che valeva la pena riproporre quelle esperienze ai lettori di oggi.
Tanti «Brasili»
Ci colleghiamo online con Viviana Premazzi poco prima dell’inizio dell’estate. Si trova a Malta, dove vive dal 2018, ma è in procinto di «scappare»: quando l’isola si riempie di turisti, preferisce andare altrove.
Nata a Venegono Inferiore (Va), Viviana è da sempre impegnata in ambito sociale ed ecclesiale.
Nella quarta di copertina si legge su di lei che «ha un dottorato in sociologia delle migrazioni e un master in gestione dei conflitti interculturali e interreligiosi. Ha lavorato come ricercatrice, consulente e formatrice per organizzazioni, università e centri di ricerca in Europa, Nord America, Africa e Medio Oriente». Nel 2018 ha fondato a Malta il Global mindset development, una società di consulenza sul dialogo interculturale e interreligioso al servizio di aziende, Ong, enti pubblici, scuole, università, per «aiutare a formare – dice – una mentalità inclusiva e globale».
Le domandiamo come è nata la sua relazione con il mondo missionario e con il Brasile.
«Conosco i missionari Comboniani fin da piccola – risponde -. Quando sono partita per il Brasile per la tesi, sono andata tramite loro. In quegli anni ho incontrato anche i Missionari della Consolata grazie a suor Angela Puricelli che mi ha fatto conoscere i progetti che padre Giordano Rigamonti faceva nelle scuole della mia zona tramite l’Associazione Impegnarsi serve. Poi mi sono trasferita a Torino dove ho lavorato per il Fieri, il Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione, per l’Università di Torino, la Banca Mondiale e l’Oim, sempre sul tema delle migrazioni, seconde generazioni, identità, culture. Nel 2009 sono tornata in Brasile con i Missionari della Consolata per raccogliere materiale da usare poi nelle scuole. Sono stata a Catrimani con gli Yanomami e a Raposa con i Macuxì. Nei miei viaggi ho scoperto che esistono tanti “Brasili”. La prima volta sono andata a Rio Grande do Sul, al forum sociale di Porto Alegre, la seconda volta sono andata per la tesi nella diocesi di Lages, a Santa Catarina, la terza volta in Amazzonia, a Salvador de Bahia, a Fortaleza, a Vittoria, poi in Paranà e infine di nuovo in Santa Catarina».
Chiesa e liberazione
Viviana racconta che la sua ricerca sulla teologia femminista è nata in risposta a un suo sentimento di disagio: «Ero una giovane donna impegnata nel mondo ecclesiale, associativo, ecc. Stavo bene, ma, allo stesso tempo c’era qualcosa che mi mancava, che non mi tornava. Al Forum sociale mondiale di Porto Alegre ho sentito parlare di teologia della liberazione, e ho capito che quella poteva essere una risposta alle mie domande. Ho deciso quindi di fare la tesi su una delle sue declinazioni: la teologia femminista, e mi ci sono buttata. Ho scoperto, così, e approfondito la realizzazione di una Chiesa strumento di liberazione per gli oppressi».
Donne nella diocesi di Lages
La conoscenza di una realtà specifica come quella della diocesi di Lages è stata fondamentale per lei, per vedere come la teologia femminista della liberazione si fosse incarnata nella vita di persone e comunità.
«Un comboniano mi ha messa in contatto con Maria Soave Buscemi, una missionaria laica italiana, una teologa, che ha vissuto tutta la vita in Brasile. A Lages ha lavorato molti anni per la diocesi e poi fondato, insieme ad altri, e anche con il sostegno di realtà italiane, il Centro ecumenico di studi biblici che molto ha fatto e continua a fare.
L’incontro con Soave è stato fondamentale: lei viveva come le persone, tra le quali stava, e io sono potuta entrare nelle comunità da eguale, non come una che andava per aiutare.
È stata Soave a permettermi di conoscere molte donne impegnate a livello ecclesiale che avevano trovato il loro empowerment in una certa modalità di lettura della Bibbia e di vivere la comunità. Donne impegnate a livello sociale. Donne impegnate in politica».
L’accaparramento da parte di pochi ricchi delle risorse fondamentali del territorio, l’acqua e la terra, provoca ancora oggi nella diocesi di Lages un forte impoverimento della popolazione. Ai tempi delle ricerche di Viviana, la Chiesa locale affrontava la povertà tramite l’esperienza delle comunità ecclesiali di base che incarnavano la teologia della liberazione diventando scuole di partecipazione ecclesiale, sociale e politica.
Oggi, ci dice Viviana, la vita delle diocesi è cambiata: quella di Lages era una delle ultime fedeli alla teologia della liberazione, ma nel tempo, per vari motivi, tutti i movimenti si sono raffreddati. Non sono spariti, ma sono diventati più sotterranei, e l’unica esperienza sopravvissuta ufficialmente è il Centro ecumenico di studi biblici, nonostante Soave oggi sia nel Mato Grosso.
Raccontare le donne
Chiediamo a Viviana in che modo le storie di Neide e delle altre donne parlano del patriarcato e della teologia femminista della liberazione.
«Per quanto riguarda la riflessione sul patriarcato, ad esempio, l’attenzione di Neide alla storia locale è un elemento fondamentale. Io, ad esempio, sono di Venegono Inferiore, un paesino nel quale da qualche anno si stanno riscoprendo alcune storie di streghe locali. Queste rappresentano un’occasione per riflettere non solo su come le donne sono escluse, ma anche su come vengono raccontate. Le ricerche storiche hanno mostrato che esse, dopo essere state sfruttate da alcuni signori locali, a un certo punto sono state accusate di stregoneria per interessi politici.
La riscoperta della storia locale sotto questo profilo è un insegnamento che Neide e le altre mi hanno lasciato».
Oltre al modo in cui le donne sono raccontate, per Viviana è importante riflettere anche sul modo in cui le donne sono escluse dal racconto della storia. «Anche nella Bibbia succede qualcosa di simile. Se io non vedo raccontate altre donne come me nella Bibbia e nella storia, penso di essere sbagliata a volere stare in questa storia. Ed è facile farmi sentire sbagliata se oggi decido di avere un ruolo, perché in qualche modo mi viene detto che io, in quanto donna, un ruolo non ce l’ho.
La cosa rilevante, secondo me, del lavoro fatto da persone come Neide, è la volontà di portare alla luce il ruolo delle donne, e di dirlo ad altre, oltre all’impegno diretto nella Chiesa, nei movimenti, nella politica».
La teologia femminista è stata il contesto ecclesiale nel quale le esperienze di Neide e delle altre hanno trovato casa. La lettura della Bibbia sperimentata nelle comunità ecclesiali di base, a volte condotte da coppie, altre volte da donne, è stata uno degli strumenti di emancipazione. In questo senso, ci dice Viviana, le storie di queste donne parlano della teologia femminista.
Stare con gli oppressi
Nel suo libro, Viviana Premazzi dedica uno spazio molto ampio, i primi tre capitoli, ad approfondire cosa è la teologia della liberazione e la sua declinazione femminista. Domandiamo all’autrice di darci qualche indicazione sintetica. «L’idea di fondo – risponde – è che una persona non è povera per colpa sua, ma perché vive una situazione di oppressione. Allora l’obiettivo della Chiesa è quello di aiutare questa persona a liberarsi. Riprende l’immagine della liberazione del popolo ebraico dall’Egitto sotto la guida di Mosè.
Il passaggio fatto dalla teologia femminista è questo: la condizione di sfruttamento socio economico non è la stessa per gli uomini e per le donne, così come la teologia indigenista afferma che l’oppressione subita dai popoli nativi ha i suoi caratteri specifici, la teologia nera parla della condizione degli afrodiscendenti, e così via.
La domanda che queste teologie suscitano è: “Da dove deriva la mia situazione di oppressione socio economica, o di genere? Come attuare la liberazione?”».
Gli strumenti sono, oltre alla riflessione teologica, quello della lettura della Parola e quello della comunità. «Dalla teologia della liberazione nascono le comunità ecclesiali di base: la teologia non è una cosa che si fa da soli, ma assieme, e partendo dal basso, come accadeva alle prime comunità cristiane. Partendo dal suo popolo, la Chiesa si deve domandare: “Stiamo con i potenti o con i poveri?”».
Comunità ecclesiali di base
Viviana ci racconta che il titolo del suo libro ricalca quello delle linee guida per la diocesi di Lages consegnate alla curia nel 2005 dalla rete delle Cebs dopo un processo partecipativo. «Quando hanno presentato queste linee guida intitolate “Per una società e una Chiesa senza esclusioni”, la curia voleva togliere il termine “Chiesa”. Ma le comunità hanno insistito perché il cammino dell’inclusione anche nella Chiesa è ancora lungo.
Il primo nucleo delle comunità sono le famiglie, cioè il luogo delle relazioni affettive. In quelle zone in Brasile la maggior parte delle famiglie sono composte da donne sole con i figli, quindi i gruppi di famiglie sono spesso gruppi di donne.
La leadership è a rotazione, e ciascuno porta il suo talento. Le decisioni vengono prese in modo partecipativo. Nelle Cebs esiste anche la decima, un’autotassazione per sostenere, oltre alle attività ecclesiali, anche le persone bisognose all’interno della comunità».
Retroutopia
Il libro di Viviana Premazzi è composto da cinque capitoli: i primi tre sulla teologia della liberazione, il quarto, sulla diocesi di Lages al tempo del viaggio dell’autrice, il quinto su alcune figure di donne.
La teologa Maria Soave Buscemi, nella prefazione, parla del testo di Premazzi prima paventando il rischio che esso proponga una «retrotopia» – il racconto di qualcosa di bello, ma morto -, poi parlando di «retroutopia» – il racconto di un passato che può far scorgere nel presente simili segni di liberazione -.
«Anche io inizialmente avevo paura che il libro fosse retrotopia – conclude l’autrice -: cioè il racconto di una cosa bella, ma appartenente al passato, finita nella forma in cui l’avevo conosciuta. Un bel ricordo.
Però è fondamentale continuare a riflettere. Guardare indietro serve per sognare e pianificare qualcosa per l’oggi e il futuro. Anche per riconoscere le stesse cose che adesso magari hanno altre forme e non sono ancora state riconosciute.
Quello che racconto nel libro, che ha una collocazione spazio temporale precisa, non è un unicum. Esiste da altre parti. E dobbiamo parlarne».
Luca Lorusso