Giuseppe Allamano santo
La vostra santità deve essere speciale, anche eroica e,
all’occasione, straordinaria da fare miracoli.
Ci vuole santità, grande santità.
(Giuseppe Allamano)
È arrivato il giorno tanto atteso, che i nostri cuori aspettavano da tempo: Giuseppe Allamano sarà canonizzato da papa Francesco. L’iter per il riconoscimento del miracolo in favore di Sorino Yanomami si è concluso e ora attendiamo solo la celebrazione di questo evento così luminoso per la nostra famiglia Consolata, il prossimo 20 ottobre, Giornata missionaria mondiale!
Il Bollettino della Santa Sede del 23 maggio scorso annunciava che: «Durante l’udienza
concessa a sua eminenza reverendissima il signor cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle cause dei santi, il Sommo Pontefice ha autorizzato il medesimo Dicastero a promulgare i decreti riguardanti il miracolo attribuito all’intercessione del beato Giuseppe Allamano, sacerdote fondatore dell’Istituto delle missioni della Consolata; nato a Castelnuovo Don Bosco (Italia) il 21 gennaio 1851 e morto a Torino (Italia) il 16 febbraio 1926».
Il beato Giuseppe Allamano, nostro padre fondatore, colui che ci ha dato lo spirito consolatino, è sempre stato una luce per noi. Al termine della vita scrisse con sicurezza: «Mi consola che cercai sempre di fare la volontà di Dio» (Lettera ai missionari e missionarie, 1° ottobre 1923); ecco il suo cammino di santità!
E a noi, suoi figli e figlie, indica che il primo fine dei nostri Istituti è la santificazione dei suoi membri, santità che illumina anche il cammino della vita laicale. Il padre fondatore sempre insisteva: «Prima santi e poi missionari».
Ora che anche la Chiesa lo riconosce proclamandolo santo, questa luce si diffonde in tutti i luoghi, e diventa sempre più un faro per noi, sulle strade della missione.
Ringraziamo il Signore per questo dono fatto a noi e alla Chiesa. Questo tempo benedetto sia un’occasione per sentirlo sempre più «padre» e godere della sua presenza viva in mezzo a noi.
suor Lucia Bortolomasi, Mc, Superiora generale
padre James Bhola Lengarin, Imc, Superiore generale
Murang’a 2 – prima parte
Dall’uno al tre marzo 1904, a soli due anni dal loro arrivo in Kenya, i primi missionari della Consolata si riunirono nella missione di Murang’a per discutere del loro lavoro di evangelizzazione. I missionari e le missionarie della Consolata hanno celebrato quell’episodio con un evento intitolato: Murang’a 2. Monsignor Giovanni Crippa, missionario della Consolata, vescovo di Ilheùs, in Brasile, storico di formazione, ha spiegato le premesse che hanno determinato quell’incontro dei missionari e gli effetti che ha generato nella pratica della loro azione evangelizzatrice.
Giuseppe Allamano disse che quando era in seminario gli era sorta la vocazione missionaria, ma i problemi di salute glielo impedirono e fu sconsigliato dal padre spirituale, per cui ha voluto la fondazione dell’Istituto come il suo modo di realizzare la missione. Non potendolo fare direttamente lo ha fatto indirettamente dando ai sacerdoti del clero piemontese, che desideravano andare in missione, la possibilità di partire. Il fondatore, quindi, si è messo in un piano secondario rispetto alla missione; lui aiutava ma i veri protagonisti della missione erano coloro che sarebbero partiti e che l’avrebbero realizzata.
L’Allamano, inoltre, osservava che il clero della diocesi era numeroso e che molti giovani sacerdoti avrebbero potuto fare un servizio alla missione. Da questa constatazione si capisce che egli pensava di fondare un istituto a servizio del suo clero.
L’esplorazione del territorio
L’8 maggio 1902 avvenne la partenza dei primi quattro missionari: padre Tommaso Gays (28), padre Filippo Perlo (26), fratel Luigi Falda (21), fratel Celeste Lusso (18).
Padre Filippo Perlo cominciò una perlustrazione sistematica del territorio per vedere tutte le località dove si sarebbe potuta aprire una stazione missionaria con questo criterio: presenza della ferrovia, distanza dalla stazione principale di Limuru, nella regione del Kikuyu alle falde del monte Kenya, a non più di una giornata di cammino una dall’altra. L’intento era di occupare la zona.
La grandezza di padre Perlo è stata di aver inventato una metodologia missionaria.
Il numero elevato di stazioni e le edificazioni necessarie richiedevano un gruppo consistente di personale e grandi capitali. Ciò che Perlo non aveva. Allora fece sì che fossero i missionari ad andare verso la gente. La cosa più importante non era la struttura della missione ma il contatto con la popolazione locale. Le sue missioni erano baracche di fango e terra battuta, piccolissime, sufficienti per poter dormire una notte. Quelli che dovevano essere grandi erano i magazzini per stipare il materiale proveniente dall’Italia.
Alla fine del 1902 le missioni erano: Limuru (procura), Tuthu (2), Murang’a, Tetu (che diventerà la missione di Nyeri). Non più una sola missione importante, ma piccole missioni. Alla fine del 1903 si potevano contare sette stazioni di missione (l’ultima: Gekondi), una segheria (Tuthu), una fattoria (Tetu-Nyeri) e un collegio dei catechisti (Limuru).
A febbraio del 1904 arrivò il quarto gruppo di missionari dall’Italia, quello che portava anche padre Barlassina (tre padri, due fratelli coadiutori e 12 suore). Tale sistemazione aveva richiesto un ingente sforzo di lavoro materiale, che costituiva un contributo solo indiretto all’evangelizzazione mediante contatti saltuari e occasionali con la popolazione.
L’inizio del 1904 segnò una pausa relativa nell’opera di costruzione. In questo clima maturò l’idea di un incontro di tutti i sacerdoti per un corso di esercizi spirituali e una serie di conferenze in cui tracciare le linee orientative comuni di una metodologia missionaria.
Lavorare era sì essenziale, ma bisognava farlo insieme per salvaguardare l’unità di prospettive e azione che l’Allamano desiderava. Il fondatore, ancor prima della realizzazione delle conferenze, considerò questa iniziativa «ottima cosa e necessaria d’ora in poi ogni anno e, secondo la possibilità, anche più frequente».
Le conferenze di Murang’a
Tutti i missionari della Consolata, sacerdoti e fratelli, si incontrarono a Murang’a dal 1 al 3 marzo del 1904: il mattino era dedicato alla meditazione e preghiera, il pomeriggio alle conferenze.
L’esperienza fu valutata positivamente dai missionari in quanto poterono rinsaldare i legami di fraternità, ricaricarsi spiritualmente e ricevere orientamenti pratici.
Le conclusioni furono inviate a Torino e, in attesa dell’approvazione dell’Allamano, una copia venne inviata a tutte le stazioni di missione.
Il 6 maggio ricevettero l’approvazione dell’Allamano: «Approvo tutte le conclusioni senza eccezione, e desidero che si eseguiscano in ogni loro parte».
Quanto in esse veniva proposto era frutto dell’esperienza già collaudata nella vita quotidiana dei missionari. Dal confronto tra la missione vissuta, i principi appresi in Italia e i metodi sperimentati da altri missionari, il gruppo di «principianti» del Kikuyu sviluppò un proprio metodo di evangelizzazione. Essi avvertirono che la via della conversione dei Kikuyu era assai più lunga di quanto potesse apparire in Italia e compresero che i buoni rapporti con gli indigeni e le autorità locali erano solo la premessa di un lavoro a lunga scadenza.
monsignor Giovanni Crippa
(Vedi dossier su MC 10/2022)