L’evangelista Giovanni ci dice che a Gerusalemme c’era una piscina dove si radunavano tanti malati. Si credeva, infatti, che la sua acqua potesse compiere guarigioni miracolose. Il primo che vi si fosse immerso quando l’acqua prendeva ad agitarsi, sarebbe stato guarito.
Già guardando questo quadretto, potremmo fare qualche considerazione. Intanto, non siamo nella crema della società: storpi e zoppi non possono entrare nel tempio, e non hanno solitamente corpi da copertina… Gesù si trova qui, non alle terme o in palestra, tra i rifiutati della società civile e religiosa.
Sapendo già quello che sta per accadere, potremmo essere tentati di domandarci per quale motivo Gesù guarirà uno solo tra tanti malati. E poi, ancora, perché Gesù si scomoda se lì c’è già l’acqua che guarisce? Il malato, prima o poi ce la farà a immergersi per primo.
Ma intanto concentriamoci su Gesù che, arrivato alla piscina, si guarda intorno, e vede. Chi ama le persone, non potrà che amarne qualcuna, quelle che vede e incontra. È la prima obiezione che si muove a chi si sforza di alleviare le sofferenze altrui: «Non puoi farlo per tutti». Gesù pare pensare che però è sempre meglio farlo almeno per qualcuno. Lo sguardo di Gesù, lo sguardo di Dio, è quello di chi vede che cosa ha davanti, e non se ne tira fuori, si lascia coinvolgere. Anche se questo significa rassegnarsi a non raggiungere, contemporaneamente, tutti.
La prima reazione (Gv 5,9-18)
Come reagiremmo di fronte a una guarigione inattesa? Come reagiamo davanti ai salvataggi dei migranti nel Mediterraneo? L’umanità rimane simile a sé stessa, chi si mette in gioco è come se costituisse una implicita provocazione o rimprovero per chi avrebbe potuto fare e non ha fatto.
E uno dei modi per lasciarsene disturbare meno è trovare delle obiezioni: «Non avrebbe dovuto». Le obiezioni più solide, poi, sembrano essere quelle che hanno ragioni legali, meglio ancora se la legge viene da Dio.
Gesù ha guarito di sabato! E allora la prima reazione di alcuni di fronte a un paralitico che non solo cammina, ma si porta in giro la propria misera brandina, è di fargli notare che sta svolgendo un lavoro proibito in quel giorno.
Essi non vedono la persona, la sua situazione, la sua gioia e vita capace di esprimersi ora appieno, ma solo il caso legale. E siccome il guarito spiega che cosa gli è successo, il nuovo e più importante bersaglio diventa Gesù, che inizia a essere perseguitato (v. 16).
Gesù viene quindi interrogato, e lui risponde sostenendo di fare semplicemente ciò che fa il Padre. Gesù si conferma immagine di Dio, testimone affidabile del cuore del Padre, di ciò che Dio pensa e prova. Quel creatore che potevamo conoscere nella sua legge, nelle testimonianze antiche, scende nelle vie polverose e tra le malattie che sono tipiche del nostro vivere.
Ma di fronte a questa rivelazione, quella di un cuore di Dio che si commuove per le sofferenze dei suoi figli, la reazione è una feroce difesa delle regole che pure dovrebbero parlare di Dio. Davanti a un uomo che «si mette alla pari con Dio» (v. 18) ci si poteva stupire, di certo anche interrogare e mantenersi scettici, provare a vagliare e capire. Ma ai Giudei non succede niente di tutto questo: «Cercavano di ucciderlo» (v. 18). L’incontro con l’umanità, che stimola e risana, va semplicemente rimosso.
Destino di vita (Gv 5,26-30)
Quando si leggono brani biblici, come quando si segue un romanzo o un film, sarebbe opportuno andare secondo l’ordine pensato da chi ha scritto, in quanto esso veicola un senso preciso. Per una volta, però, anticipiamo la lettura di alcuni versetti per poi tornare indietro, perché questo aiuta a capire meglio. Partiamo, infatti, da ciò che per noi è forse più facile da comprendere.
Come capita spesso nel Vangelo di Giovanni, e in misura sempre maggiore andando avanti con la lettura, Gesù prende spunto da episodi di vita per ragionarci sopra e approfondirne il senso.
Di fronte alle contestazioni dei suoi oppositori, scandalizzati dal fatto che si «mettesse alla pari con Dio», Gesù ribadisce che quella è la sua condizione. Anzi, insiste sul fatto di fare precisamente ciò che fa il Padre. E il cuore dell’attività del Padre, e quindi anche del Figlio, è dare la vita.
Dio vuole la vita, una vita piena, e già questo non era scontato per gli interlocutori di Gesù. Potevamo trovarci di fronte a un Dio tiranno capriccioso che gode nel farci soffrire. Invece no, l’intenzione ultima del creatore è che chiunque lo incontri viva, e viva bene.
Per questo anche Gesù, che condivide lo stesso cuore del Padre, vuole che chi lo incontra viva, e viva bene.
E siccome tutta la nostra esistenza si gioca sul rischio di una morte che incombe su di noi sempre (nelle malattie, nei limiti, persino nelle incomprensioni…) e che si fa inevitabile e definitiva alla fine della vita, Gesù mostra il volto di un Dio che ama la vita umana tanto da portarla a una risurrezione alla fine dei tempi. Altrimenti la promessa di vita sarebbe soltanto provvisoria e quindi illusoria.
E poiché, però, la risurrezione non è un semplice esito «naturale» della vita umana, bensì un dono ricevuto da Dio nel momento in cui la storia, lasciata libera di esprimere anche tutto il proprio male, non poteva più aggiungere niente a ciò che aveva fatto (dopo aver ucciso e fatto dimenticare una persona, non si può più aggravarne la sorte), anch’essa non sarà semplicemente un neutrale ritorno alla vita, ma un sottoporsi a un giudizio.
Dio, infatti, restituendo la vita potrebbe limitarsi a riportare la storia indietro, mettendoci in un circolo da cui non riusciremmo più a uscire. Oppure, nel risuscitare, Dio può offrirci un’esistenza secondo i nostri sogni più autentici, confermando la nostra tensione al bene e alla vita, alcuni atteggiamenti, alcune scelte. Nel venire alla vita definitiva, alcuni si troveranno quindi confermati nei loro desideri, per loro quella risurrezione sarà di vita, mentre per altri sarà di condanna. Il criterio di valutazione di questo processo sarà la storia di Gesù, uomo e Dio pieno, così che sarà anche lui il giudice, colui che farà da discrimine tra i buoni e i cattivi, e lo farà semplicemente rispecchiando l’intenzione del Padre.
Il giudice Gesù, essere umano capace di compassione e di vedere l’umanità all’opera, pare qui concentrarsi semplicemente sull’amore della vita umana. Chi ama la vita come Dio, verrebbe da dire, non può che trovarsi dalla stessa parte di Gesù, di chi sarà risorto.
Solo nel futuro? (Gv 5,19-25)
«So che risorgerà nell’ultimo giorno» (Gv 11,24), dice Marta a Gesù parlando del fratello Lazzaro morto da quattro giorni. Quella fiducia nella risurrezione alla fine della storia, pur nota e relativamente diffusa, non era condivisa da tutti i credenti al tempo di Gesù. Aveva senso, quindi, per Giovanni, ribadirlo.
Prima di questa frase di Marta, però, l’evangelista spiega l’amore divino per la vita degli uomini parlando di una risurrezione presente: «Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole» (v. 21).
La risurrezione che noi potremmo dare per scontata riguardo al futuro (anche se non ci pensiamo molto) è una realtà già oggi. Già adesso risorgiamo.
Potremmo dirlo così: ora sappiamo che la nostra vita è nelle mani di un Padre che la vuole tutelare. Egli se ne prenderà cura fino alla fine. Anzi, oltre la fine, aggiunge Giovanni in un passo di cui noi abbiamo anticipato la lettura (cioè, ai vv. 26-30).
Perché la morte non è solo quella della vita biologica. Muore, pur restando in vita, anche chi non vede un senso nelle cose che fa e nel suo impegno e fatica, chi si sente abbandonato e solo e destinato all’oblio. Anche su questo Gesù e il Padre intervengono, sanando e offrendo la possibilità di credere che la mia vita sia significativa, utile, e destinata a restare.
Dopo duemila anni di cristianesimo, siamo «abituati» alla promessa della risurrezione, ma quella prospettata dopo la nostra morte ha senso a partire dalla nostra «risurrezione» quotidiana, dalla nostra percezione che per Dio ciò che noi viviamo sia prezioso: «I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime» (Sal 55,9).
C’è chi ha discusso se Gesù avesse parlato solo della risurrezione futura o anche di quella attuale, interrogandosi se per caso qualcuno abbia aggiunto ai suoi detti un aspetto che per lui non c’era. È però chiaro che la risurrezione futura e quella attuale si danno in sintonia, l’una non solo non esclude l’altra, ma in qualche modo la esige perché la vita sia autentica.
Se dovessi elemosinare un po’ di vita e felicità in questo tempo sapendo che tutto sarà cancellato dalla morte, come potrei goderne appieno? Al contrario, se dovessi aspettarmi gioia e vita piena solo nell’aldilà, cosa vivrei a fare?
Il discorso che Giovanni mette in bocca a Gesù, nella sua apparente ripetizione ci dice esattamente che i due aspetti si danno insieme, e stanno ugualmente a cuore a Gesù e al Padre.
Il desiderio del Padre
Il discorso di Gesù prosegue (da Gv 5,31) insistendo sul fatto che lui e il Padre dicono la stessa cosa, e che è Dio stesso a dargli testimonianza. Da una parte questa è una pretesa da dimostrare: che, cioè, il Dio dell’Antico Testamento sia coerente con Gesù. Dall’altra e insieme, però, è un invito a leggere la Bibbia con lo sguardo di Gesù: non è forse vero che tutto, in quegli strani, incoerenti, a volte fastidiosi libri, parla dell’amore di Dio per la vita e della sua intenzione di tutelarla?
Il messaggio del Vangelo di Giovanni è questo: Gesù si mostra una persona amante della vita, di quella vera, autentica, concreta, che quindi è anche fatta di scelte (perché vedere proprio quel malato? Perché guarire lui?), precisamente perché è situata nella storia, come siamo noi. Ma Gesù, amando la vita, perché manifesta in modo trasparente il volto di Dio, che è innanzi tutto un innamorato dell’esistenza.
E anzi, si mostra amante di una vita che si esprime soprattutto nelle relazioni. Ecco perché Gesù parla di testimonianza, che comporta di suo le relazioni personali, in quanto nessuno può testimoniare su qualcuno che non conosce.
Ecco perché Gesù interviene a liberare una persona da un male che le impedisce di entrare in relazione non solo con le altre persone, ma persino con Dio, in quanto come paralitico non poteva entrare nel tempio.
Ed è qui l’ultima suggestione del brano che abbiamo provato a leggere: l’impossibilità di accedere a Dio non è un impedimento, perché sarà il Padre stesso a trovare le strade per farsi incontrare da coloro che al tempio non possono entrare.
Angelo Fracchia
(Il Volto del Padre 06-continua)