Con l’odore delle pecore. Padre Gazzera, nuovo vescovo coadiutore di Bangassou

Repubblica centrafricana. Bambini vestiti a festa per la messa. Foto Aurelio Gazzera
Centrafrica
Enrico Casale

Lui è un innamorato del Paese. Ma la nomina a vescovo non se l’aspettava. La crisi storica in Centrafrica colloca questo Stato in fondo a tutte le classifiche di sviluppo. La ricetta, per padre Aurelio, è investire nell’educazione dei  giovani. Per un futuro di pace.

Un missionario in prima linea. Un sacerdote che ha vissuto gran parte della sua vita in uno dei Paesi più instabili al mondo. Aurelio Gazzera, religioso dell’ordine dei Carmelitani e oggi vescovo di Bangassou, è uno di quei «pastori con l’odore delle sue pecore addosso», che piacciono tanto a papa Francesco. A testimoniarlo è la sua stessa biografia. Nato a Cuneo, ha lasciato ben presto la provincia Granda per entrare giovanissimo nel seminario minore dei Carmelitani scalzi di Arenzano. Già nella sua formazione di sacerdote (sarà ordinato nel 1989) trascorre un anno nella delegazione carmelitana centrafricana. Ma è dal 1992 che il suo destino si lega più strettamente al Centrafrica dove ricopre diversi incarichi: assistente al seminario minore della missione Yole (1992-1994), direttore del primo ciclo del medesimo seminario minore (1994-2003) e poi parroco di San Michele di Bozoum (2003-2020) e superiore della delegazione dei carmelitani scalzi (2014-2020).

Dal 2003 diventa responsabile della Caritas di Bouar e, dal 2020, è membro della comunità di Baoro, incaricato dei cristiani dei villaggi della savana e direttore della scuola meccanica di Baoro.

La «fiera» di Bozoum

A Bozoum crea un evento unico per tutto il Paese: la fiera agricola. «Vengo dalla provincia di Cuneo, una terra contadina, e in Africa ho incontrato contadini – spiega padre Aurelio -. Qui coltivano manioca, fagioli, arachidi in piccoli campi. Si tratta di un’agricoltura di sussistenza che permette di raccogliere il minimo per la sopravvivenza delle famiglie. Esistono però coltivazioni più estese di riso. Ed è un elemento positivo perché il riso ha un buon mercato, si vende bene e può garantire entrate alle famiglie di coltivatori». E proprio per creare un mercato, padre Aurelio nel 2004 si inventa, insieme a Secours Catholique (Caritas francese), la fiera. Una iniziativa che, da allora, si è ripetuta ogni anno, nonostante le difficoltà che il Paese stava attraversando.

«Nel 2024 – osserva padre Aurelio -, la fiera agricola e pastorale di Bozoum si è tenuta dal 26 al 28 gennaio. Siamo arrivati alla 19a edizione. La fiera è un unicum in Rca: non c’è niente di simile in tutto il Centrafrica. È uno spazio di esposizione e vendita di prodotti agricoli, cui partecipano le cooperative della regione. I più lontani sono venuti da Ngaundaye, Ndim e Bocaranga: regioni molto toccate dalle violenze. Ed abbiamo voluto a tutti i costi aiutarli a venire».

La fiera è un’occasione per vendere e acquistare prodotti agricoli, macchinari e sementi. Il giro d’affari di quest’anno è di 80 milioni di franchi cfa (120mila euro). «È una cifra considerevole – continua padre Aurelio -, in un Paese dove il reddito pro capite è intorno ai 400 euro annui».

Repubblica centrafricana. Fedeli durante una messa a Bema, Bangassou. Foto Aurelio Gazzera

Socialità e dialogo

«La fiera non è solo un evento commerciale. Gli stand sono una festa di colori e di sorrisi. Il lavoro di tanti mesi trova qui la bellezza dei prodotti, la gioia di esporre (e di mostrare l’aspetto positivo dell’agricoltura) e la soddisfazione di vendere tanto in poco tempo.

Qui non c’è differenza tra cristiani o musulmani, tra persone di diverse etnie. C’è uno splendido clima di amicizia e di confronto».

La guerra e papa Francesco

La Repubblica Centrafricana è un Paese senza sbocco sul mare che, da anni, lotta contro conflitti e instabilità. La nazione è stata scossa da molte guerre civili e colpi di stato, causando una crisi umanitaria che ha colpito milioni di persone. Il conflitto più recente è iniziato nel 2012, quando una coalizione di gruppi ribelli conosciuta come Seleka ha rovesciato il governo del presidente François Bozizé. La Seleka, composta principalmente da musulmani, ha iniziato a prendere di mira le comunità cristiane, tra le quali sono nate in risposta le milizie note come «anti balaka».

Il conflitto è stato caratterizzato da violenza diffusa, violazioni dei diritti umani e lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone.

Nel 2015, papa Francesco ha aperto la Porta Santa della Cattedrale di Bangui, la capitale centrafricana, dando il via all’anno Santo. «Bangui diviene la capitale spirituale del mondo – ha detto Francesco -. In questa terra sofferente sono rappresentate tutte le sofferenze del mondo. Per Bangui, per tutti i Paesi che soffrono la guerra, chiediamo la pace: tutti insieme chiediamo amore e pace». E ha poi aggiunto: «A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace».

La visita di papa Francesco e l’apertura della Porta Santa a Bangui avevano fatto sperare in una svolta, ma le tensioni sono continuate.

Gruppi di ribelli oggi controllano quasi i due terzi del territorio nazionale, mentre le risorse naturali (legname, oro, uranio, ecc.) hanno attirato le attenzioni di numerose potenze straniere. «A pagare questa situazione di incertezza è la popolazione civile che vive nel terrore che si possano ripetere le tensioni e, con esse, possano tornare violenze, saccheggi, distruzioni – spiega padre Aurelio. Gli ultimi dodici anni sono stati terribili per il Centrafrica e le persone non vogliono rivivere quello stato di devastazione e timore continui. Qui da noi le autorità sono già fuggite in zone più sicure. La popolazione si sente abbandonata».

Il Paese è tra i più poveri al mondo, con alti livelli di insicurezza alimentare, malnutrizione e malattie. Il conflitto ha interrotto la produzione agricola e il commercio, portando a un forte aumento dei prezzi dei generi alimentari e della fame diffusa. «Il governo centrale non è in grado di sostenere l’economia – continua padre Aurelio -. Manca la sicurezza, mancano le infrastrutture. Ricche piantagioni di caffè, tabacco e pepe sono state abbandonate perché è impossibile portare i prodotti sui mercati. I contadini sono così costretti a vivere con quel poco che coltivano vicino a casa».

Aurelio vescovo in Rca

padre Aurelio con monsingnor Juan Josè Aguirre, in visita in Spagna.. Foto Aurelio Gazzera

Il 23 febbraio scorso padre Aurelio è stato nominato vescovo coadiutore di Bangassou da papa Francesco. Una notizia che lo ha sorpreso. «Più leggo e studio, e più mi sento piccolo e incapace, e non all’altezza – ha scritto in una lettera inviata al vescovo di Cuneo-Fossano, diocesi da cui proviene -. Il ministero episcopale è un affare serio! […] Ho accettato per amore di Dio. E mi vengono alla mente le parole tra Gesù e Pietro, dopo la Risurrezione: “Gli disse per la terza volta: Simone di Giovanni, mi ami? Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo. Gli rispose Gesù: Pasci le mie pecorelle (Gv. 21,17)”. Ho accettato per amore della Chiesa. L’anello che il vescovo porta, è segno di questa fedeltà. Dalla Chiesa ho ricevuto tutto: la Fede, la Speranza, la Carità».

Padre Aurelio ha accettato anche per amore del Centrafrica: «È un Paese “non facile” (qui usa un eufemismo, nda). Sono 33 anni che il Signore mi ha fatto la grazia di viverci. Non ho ancora capito tutto. Anzi. Ma lo amo, come amo la diocesi di Bangassou che mi è affidata, data in sposa. Momenti di gioia, momenti di dolore. Un mosaico di bellezza e di sofferenza, di semplicità e di complicazioni. Di volti, di sorrisi, di bambini, di giovani e di adulti».

Una zona complessa

La diocesi di Bangassou si trova in una regione molto difficile, scossa ancora da forti tensioni. «Dopo il referendum costituzionale (del 30 luglio 2023, ndr) – continua padre Aurelio -, a livello centrale si è affermata un po’ di stabilità. Nel Nord Ovest e nel Sud Est, anche se i combattimenti si sono fatti un po’ più radi, le tensioni non sono scomparse.

Nella mia diocesi ci sono due aree particolarmente rischiose: una è Bakouma, nei pressi di un importante sito di uranio, dove a inizio aprile sono state uccise decine di persone; l’altra è Mboki, attaccata e occupata dai ribelli e dove si sono registrati scontri con gli anti balaka Azande a Ni Kpi Be.

Queste tensioni hanno profonde conseguenze sulla popolazione. Non parlo solo dei problemi economici. Adulti e bambini vivono nella costante paura di attacchi e massacri. Lo stress legato a questi fatti è alto e incide anche sulla psiche delle persone».

Repubblica centrafricana. una classe della scuola primaria di Nyakari (Bangassou). Foto Aurelio Gazzera

Russi e cinesi

In tutto il Centrafrica è molto forte la presenza straniera. Esaurita l’influenza francese, ex potenza coloniale, hanno preso gradualmente spazio i russi e i cinesi. Entrambi hanno una forte presenza nel Paese. Pechino è più discreta ed è interessata soprattutto alla gestione e allo sfruttamento (spesso selvaggio) delle risorse naturali (legno, oro, uranio, ecc.). Mosca invece ha una presenza più evidente soprattutto in campo militare. Di fronte alla crescente insicurezza, il presidente centrafricano Faustin-Archange Touadéra ha offerto ai russi ampie concessioni sulle miniere in cambio della protezione militare dei mercenari di Mosca. «La loro presenza è molto evidente – osserva padre Aurelio -. Nel Paese si vedono un po’ ovunque sia tecnici sia militari russi. Non si nascondono e conducono politiche e alleanze locali che, spesso, non sono allineate alle strategie del governo centrafricano».

Secondo padre Aurelio, «bisogna disarmare i cuori e le mani. E poi questo è un Paese che ha bisogno di infrastrutture, di sviluppo. Invece non si vede nessun impegno. Le strade sono sempre più disastrate, nella capitale stessa. Se si pensa che per percorrere 750 chilometri ci vogliono un paio di settimane in macchina, nella stagione secca, vuol dire che la carenza è grande. Ci vorrebbe un impegno più serio, non tanto da parte della comunità internazionale quanto dalle autorità locali». Padre Aurelio, però, è ottimista. «Lavoriamo molto attraverso l’educazione dei giovani. Siamo convinti che è proprio attraverso la formazione delle nuove generazioni che si può costruire un futuro migliore. È un cammino lungo, ne siamo convinti, ma è l’unica strada per cambiare davvero, nel profondo».

I fedeli sono molto legati alla Chiesa cattolica. La devozione è forte. «Come Chiesa cattolica – conclude padre Aurelio – cerchiamo di stare sempre a fianco delle persone, di essere presenti e di condividere le loro sofferenze. La Chiesa cattolica lavora per incoraggiare tutti i tentativi di soluzione pacifica dei conflitti e per portare una parola di speranza in un Paese che pare avere perso la fiducia nel futuro».

Enrico Casale

Repubblica centrafricana. Strada nella diocesi di Bangassou. Foto Aurelio Gazzera

Archivio

Marco Bello, Centrafrica, Regioni contro la guerra, MC aosto 2022

 

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