Dieci anni di Isis/Daesh. Che non è morto

 

Sono passati dieci anni da quando l’Isis issò la bandiera nera sulla città di Mosul, in Iraq, attirando l’attenzione di tutto il mondo. Era il 10 giugno del 2014 quando il gruppo terroristico dichiarava l’istituzione di un califfato introducendo la legge islamica nei territori occupati.

I cristiani furono costretti a scegliere: lasciare la città, pagare l’esosa tassa di protezione o vedere la confisca delle loro proprietà.

Qualche giorno dopo le porte delle case dei cristiani vennero segnate con la lettera «n» in arabo, «marchiati» perché «nazareni», ovvero seguaci di Gesù. Fu la premessa di quella grande fuga, avvenuta nella notte tra il 6 e il 7 agosto dello stesso anno, di circa 120mila persone dalla Piana di Ninive in direzione del più sicuro Kurdistan, dove si stabilirono soprattutto nel quartiere di Ankawa a Erbil.
Fuggirono con ogni mezzo a disposizione, la maggior parte a piedi, portando con loro soltanto quanto avevano indosso.

A distanza di dieci anni, solo una minoranza di loro è tornata, nonostante il messaggio di incoraggiamento, lanciato proprio a Mosul, da papa Francesco nel suo storico viaggio in Iraq del 2021 (vedi Luca Lorusso, Papa Francesco in Iraq. Sui fiumi di Babilonia, MC aprile 2021).

Sembra un secolo fa. Oggi il mondo è alle prese con nuove emergenze, tra le quali un conflitto nel cuore dell’Europa e la guerra in Medio Oriente. Eppure l’Isis, che ha dovuto abbandonare il sogno della fondazione di un sedicente Stato islamico tra Iraq e Siria, continua a esistere, a fare stragi, a mietere vittime. Accade soprattutto in alcune zone dell’Africa, troppo spesso lontane dai riflettori, con cellule locali che rispondono a quella stessa filosofia del fondamentalismo islamista. Si contano sempre più adepti anche nel Sud Est asiatico, soprattutto nelle Filippine, in Indonesia e Malaysia.

Non solo: il recente attacco terroristico al Crocus City Hall di Mosca, costato la vita a oltre 140 persone, è stato rivendicato proprio dall’Isis.

I jihadisti hanno minacciato anche gli Europei di calcio che si giocano in questi giorni in Germania. Un arresto di un presunto fiancheggiatore dell’Isis è stato eseguito dalla polizia federale tedesca qualche settimana prima dell’inizio del campionato.
Le immagini delle tante stragi che si sono consumate negli anni scorsi anche nelle grandi città europee, potrebbero quindi non essere solo un ricordo del passato.

Cellule dormienti, dunque, ma non troppo. È recente la creazione di un notiziario nell’ambito di un nuovo programma multimediale lanciato dal Daesh governato dall’intelligenza artificiale. I video, pubblicati settimanalmente, sono realizzati per assomigliare a un qualsiasi telegiornale e forniscono informazioni sulle «attività» dello Stato islamico nel mondo. «Per l’Isis, l’intelligenza artificiale è un punto di svolta», ha affermato Rita Katz, cofondatrice del Site intelligence group. «Sarà un modo rapido per diffondere e parlare dei loro attacchi sanguinosi in ogni angolo del mondo».

L’Isis dunque «non è morto», come sottolinea la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre. E se i cristiani sono stati in Iraq e Siria il «target» privilegiato del gruppo terrorista, non si può dimenticare che sotto attacco sono state, e sono tuttora, anche le altre minoranze religiose come quella degli yazidi. Nei loro confronti è stato perpetrato un vero e proprio «genocidio», l’ultimo riconosciuto dalle Nazioni Unite. Quasi tremila donne e ragazze sono state rapite, hanno subito stupri e altre forme di violenza sessuale e molte sono ancora disperse. I ragazzi sono stati separati dalle loro famiglie e reclutati con la forza nell’Isis. «Molti bambini yazidi sono ancora sfollati dalle loro comunità. Molti vivono in ambienti non sicuri», sottolineava un rapporto di Save the children due anni fa.

Questi dieci anni sono stati costellati anche dagli eccidi contro i musulmani, soprattutto sciiti. Una carneficina che ha visto saltare in aria moschee a Mosul in Iraq, a Shiraz in Iran, a Kunduz in Afghanistan. Ogni volta si è presentato lo stesso scenario con decine di morti e feriti e i luoghi di preghiera ridotti in macerie.

Oggi l’Isis sembra si stia riorganizzando. Secondo i dati diffusi dal responsabile dell’antiterrorismo delle Nazioni Unite, Vladimir Voronkov, ad agosto 2022 si contavano almeno 10mila miliziani ancora operativi tra Siria e Iraq. Ma è l’Africa la nuova centrale delle cellule terroristiche che, pur portando altri nomi, sono affiliate, o comunque si ispirano, al Daesh. Le sigle sono diverse ma i metodi sono gli stessi: eccidi, stupri, rapimenti, case bruciate, dalla Repubblica democratica del Congo al Kenya, dal Mozambico all’Uganda. Tutto questo nell’apparente affanno di una comunità internazionale alle prese con quella «terza guerra mondiale a pezzi» di cui da anni, profeticamente, parla Papa Francesco.

Manuela Tulli