India. Meno Modi, più laicità
Narendra Modi è stato ridimensionato. Il leader induista con ambizioni di autocrate ha vinto ma non stravinto le elezioni indiane. Salito al potere nel 2014, questo sarà il suo terzo mandato come primo ministro, ma il suo partito, il nazionalista Bharatiya janata party (Bjp), ha ottenuto molti meno seggi del previsto: 240 (63 in meno delle precedenti consultazioni), insufficienti per governare il paese in autonomia. Dovrà farlo in accordo con i partiti dell’Alleanza democratica nazionale di cui il Bjp è parte.
In prospettiva, una buona notizia e non la sola. Ce n’è una di carattere generale: il paese asiatico, il più popoloso del mondo (in luogo della vicina Cina), ha retto l’urto di elezioni extra large (lunghe 44 giorni e con la bellezza di 640 milioni di votanti) dimostrando di essere una democrazia, anche se fragile. La seconda buona notizia è internazionale: l’India ha mostrato al Sud globale (di cui è uno dei leader) che la strada corretta non è quella indicata da Mosca e Pechino.
Viste le tante variabili in gioco, è difficile dire con certezza perché Modi abbia perso per strada molti voti e seggi rispetto al 2019. Probabilmente hanno avuto un peso sia la sua deriva confessionale sia i problemi sociali ed economici di una parte della popolazione indiana.
Per quanto concerne la religione, nei suoi dieci anni di potere Modi ha spinto sempre più per un rafforzamento dell’identità induista (quasi un miliardo di persone) a scapito delle minoranze, in particolare di quella musulmana (200 milioni) e di quella cristiana (30 milioni), spesso fatte oggetto di violenza (con linciaggi e incendi).
Lo scorso gennaio, il primo ministro ha deciso di recarsi a Ayodhya, nello stato dell’Uttar Pradesh, a inaugurare un tempio indù (Ram Mandir, dedicato a Rama, una delle principali divinità dell’induismo) costruito sulle rovine della moschea Babri Masjid, distrutta nel 1992 da fanatici induisti. Inoltre, in una recente intervista televisiva, il leader del Bjp è arrivato ad affermare: «Paramatma (il dio della teologia induista, ndr) mi ha scelto e mi ha mandato per uno scopo». Con ciò cancellando il confine tra stato laico e stato confessionale.
Con riferimento alla condizione socioeconomica degli indiani, i dati sono oggetto di controversia. Secondo i report governativi, la povertà si è infatti ridotta a un modesto 11 per cento con una caduta di ben 18 punti percentuali rispetto al periodo pre Modi (2013-’14). Questo significa che, negli ultimi nove anni, quasi 250 milioni di persone sono usciti dalla povertà (cosiddetta «multidimensionale» perché considera 12 parametri, dal tipo di nutrizione al conto bancario). Per converso, l’India si colloca al 111.esimo posto su un totale di 125 paesi nell’Indice globale della fame (Global hunger index, Ghi) del 2023. Il governo di Nuova Delhi contesta però questa classificazione.
Pur con meno potere, Narendra Modi si appresta a guidare il Paese per altri cinque anni. Di sicuro, l’India rimarrà centrale nel complicato scenario geopolitico del mondo odierno.
Paolo Moiola