Un anno di guerra. Un conflitto civile senza quartiere che vede opposti l’esercito guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan ai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) che fanno capo a Mohammed Hamdan Dagalo detto «Hemetti».
Il Sudan ha vissuto mesi di scontri, violenze, fughe. Le fazioni in guerra avevano originariamente stretto un’alleanza dopo la rivoluzione che nel 2019 ha portato alla caduta del dittatore sudanese Omar al-Bashir. Avevano promesso una transizione verso la democrazia, ma invece hanno rovesciato il governo civile di transizione con un secondo colpo di stato nel 2021. Gli ex alleati si sono poi divisi sui piani per una nuova transizione e sull’integrazione del gruppo ribelle Rsf nell’esercito regolare.
Dal 15 aprile 2023, l’esercito sudanese e la Rsf sono impegnati in una lotta di potere su chi potrà gestire una nazione ricca di risorse che si trova in un crocevia vitale tra Nordafrica, Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso. Alle loro spalle alleati internazionali. Arabia Saudita, Egitto e Iran sostengono l’esercito sudanese, mentre gli Emirati arabi uniti sono accusati di sostenere il leader ribelle Hemetti. Anche la Russia ? presente. I suoi mercenari sono allineati con la Rsf. Gli Stati Uniti la accusano di armare la milizia in cambio di oro di contrabbando. Gli esperti affermano che parte di queste ricchezze vengono poi impiegate per finanziare la guerra di Mosca in Ucraina.
Intanto il conflitto ha causato una grave crisi umanitaria. In un anno di scontri sono morte 14mila persone e, secondo dati Onu, 8,6 milioni di sudanesi hanno lasciato la propria casa per cercare rifugio in zone sicure, 1,8 milioni delle quali hanno trovato ospitalità all’estero. Nell’ultimo anno, 16mila rifugiati sudanesi si sono registrati all’Unhcr in Libia altri 6.500 in Tunisia. La Libia e la Tunisia sono punti di partenza per chi cerca di proseguire verso l’Europa. L’anno scorso in Italia sono stati registrati quasi seimila arrivi di sudanesi, contro i mille del 2022. I rifugiati sudanesi in Europa sono relativamente nuovi e i loro viaggi differiscono da quelli di popolazioni di rifugiati più consolidate provenienti dal Corno d’Africa, che spesso hanno legami familiari e di parentela in Europa. Questo, sottolinea Unhcr, li rende più suscettibili allo sfruttamento e agli abusi.
Uno studio condotto dalla stessa Unhcr ha individuato nelle aggressioni fisiche (30%), in sistemi fiscali illegali (24%) ed estorsioni (22%) le motivazioni principali che hanno spinto la gente a fuggire.
Chi invece non cerca rifugio in Europa, fugge nella Repubblica Centrafricana, in Ciad, Egitto, Etiopia e Sud Sudan. Quest’ultimo accoglie il maggior numero di persone, compresi migliaia di rimpatriati sud sudanesi, grandi flussi hanno investito anche il Ciad e l’Egitto. L’arrivo di migliaia di persone ogni giorno in aree di confine remote e insicure, mette a dura prova le scarse strutture e la logistica per portare gli aiuti per fornire un minimo sostegno agli arrivati.
Alla crisi degli sfollati si aggiunge quella delle strutture del Paese. Le scuole sono chiuse da un anno e meno di un terzo degli ospedali del Sudan è ancora attivo: le strutture funzionanti si occupano principalmente di curare i feriti di guerra. I blackout elettrici e le interruzioni della rete internet sono frequenti, l’accesso a medicine e beni di prima necessità è complesso ovunque. Le Nazioni Unite hanno chiesto un intervento urgente per scongiurare quella che può diventare la più grave crisi umanitaria degli ultimi anni.
Enrico Casale