Un nuovo pacchetto di riforme in materia di migrazioni è stato approvato dal Parlamento europeo. In teoria vuole superare gli accordi di Dublino, in pratica non garantisce nessun aiuto ai paesi di prima accoglienza e potenzia i sistemi di esternalizzazione delle frontiere e dei respingimenti.
Il Parlamento europeo, a due mesi dalle prossime elezioni, ha approvato il nuovo «Patto su migrazione e asilo». Definito da molti come una misura storica, comprende una serie di regolamenti volti a riformare e uniformare le procedure con cui i paesi europei gestiscono i flussi migratori. Ci sono però diversi punti critici che potrebbero mettere in pericolo i diritti dei migranti.
Il dibattito si è sviluppato soprattutto intorno a due questioni fondamentali. Il primo grande tema riguarda la volontà di riformare gli accordi di Dublino per cui l’accoglienza dei migranti è responsabilità dei paesi di primo arrivo. Questo crea un grosso carico sulle spalle dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, primo fra tutti l’Italia. Il nuovo Patto propone un meccanismo che vorrebbe superare questa disparità ma che, in realtà, risolve ben poco. Con l’applicazione delle nuove regole i paesi europei sarebbero apparentemente obbligati a partecipare agli sforzi dei paesi di primo approdo definiti «sotto pressione»: potranno scegliere se accogliere una parte dei migranti oppure pagare una quota economica ad un fondo comune. Non c’è quindi nessun vero obbligo alla redistribuzione delle persone accolte.
La quota che i paesi dovranno versare per ogni mancato ricollocamento potrà essere utilizzata dall’Unione per sostenere i paesi europei sotto pressione ma anche per finanziare accordi con paesi terzi volti al contenimento delle partenze. Accordi come quelli già in atto con Libia e Tunisia che, finanziate dall’Unione europea, bloccano con la forza quanti più migranti possibili. Questo rientra in un processo di esternalizzazione delle frontiere che l’Ue porta avanti ormai da anni con lo scopo di scaricare le responsabilità dei flussi migratori su paesi terzi, facendo finta di non sapere che in questi paesi gli standard sui diritti umani sono molto più bassi e che il contenimento delle partenze si traduce spesso in atroci violenze.
Un altro punto centrale, e molto criticato, di questo patto è l’istituzione di procedure accelerate per l’esame delle richieste di asilo, che oggi richiedono diversi mesi se non anni. Con la riforma tutte le persone che arrivano da paesi ritenuti «sicuri», criterio spesso fondato su basi più politiche che fattuali, o che comunque hanno un tasso di accettazione delle richieste di asilo inferiore al 20% potranno avere risposta in massimo 12 settimane. In questo modo sarà ancora più difficile, se non impossibile, valutare la reale motivazione per cui una persona ha deciso di lasciare il proprio Paese, e il processo sommario e superficiale con cui il suo futuro sarà deciso si baserà esclusivamente sullo Stato di origine ignorando la sua storia personale. Non si avrà così il tempo di valutare se nella specifica regione interna in cui vive c’è l’influenza di gruppi criminali o terroristici, o se il suo orientamento sessuale o politico la costringono a subire vessazioni che mettono in pericolo la sua incolumità.
Il nuovo Patto comprende tante altre riforme, volte a uniformare e spesso irrigidire i processi di accoglienza, il tutto nell’ottica di un progetto definito da molti «fortezza europa» in cui i confini dell’Unione appaiono sempre più alti e sicuri. I reali risultati a cui porteranno le nuove regole saranno evidenti solo con il tempo, ma nell’attesa di poterli giudicare è utile ricordare che questo approccio portato avanti ormai da diversi anni non ha mai ottenuto i risultati sperati di ridurre i flussi migratori, le rotte si sono via via adattate, diventando solo più pericolose per le vite che le percorrono.
Mattia Gisola