«L’esercito del Burkina Faso ha utilizzato armi sofisticate e di precisione per sparare su assembramenti di civili. Tra agosto e novembre scorsi, in tre raid eseguiti da droni forniti dalla Turchia, sono stati attaccati due mercati e un funerale, con il risultato di oltre 60 civili morti e decine di feriti». La denuncia, ben documentata e verificata è di Human rights watch (Hrw), l’organizzazione per la difesa dei diritti umani con base a New York.
Con un rapporto uscito il 25 gennaio, Hrw descrive i particolari di questi eventi, accaduti il 3 agosto a Bouro (attacco al mercato settimanale di zona frequentato da centinaia di persone), il 21 settembre a Bidi (missili su un funerale) e il 18 novembre nei pressi di Boulkuessi, villaggio del Mali vicino alla frontiera del Burkina (mercato di zona). Hrw ha condotto inchieste basandosi su testimonianze di persone presenti, foto e video inviati dai siti degli attacchi, foto satellitari. I testimoni raccontano di decine di corpi straziati dopo la caduta dei missili. Queste aree, tutte nel Nord del Paese, sono controllate da gruppi armati jihadisti del Gsim (Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani), legato ad Al Qaeda, i cui uomini si spostano normalmente in moto. Alcuni di loro erano presenti nei mercati, e hanno poi organizzato i primi soccorsi.
Hrw insiste sul fatto che: «L’uso di droni con bombe ad alta precisione a guida laser, fa pensare che i due mercati e il funerale fossero gli obiettivi prescelti».
Quindi: «Gli attacchi […] hanno violato le leggi di guerra che proibiscono operazioni che non fanno distinzione tra obiettivi civili e militari, e costituiscono dei crimini di guerra apparenti». L’organizzazione chiede quindi al governo del Burkina Faso di operare inchieste indipendenti, imparziali e trasparenti per ognuno dei casi, portare in tribunale i responsabili e indennizzare le vittime.
La propaganda della giunta militare, sui media controllati, descrive questi eventi, come attacchi con i droni a forze jihadiste, senza alcuna menzione alle vittime civili.
Una guerra che continua
Il governo putschista di Ibrahim Traoré è al potere dal 30 settembre 2022, in seguito a un golpe ai danni della precedente giunta militare, al potere dal 24 gennaio dello stesso anno.
La guerra in corso in Burkina Faso tra esercito e gruppi armati è iniziata nel 2016 dopo i primi attacchi dei miliziani jihadisti. Nell’ultimo periodo Hrw ha documentato gravi abusi perpetrati dalle forze di sicurezza e dalle milizie pro governative. Si tratta di esecuzioni sommarie, tortura e sparizioni forzate. I gruppi islamisti sono pure responsabili di distruzioni, saccheggi, esecuzioni e rapimenti. Secondo l’Africa Center for strategic studies, la violenza e l’instabilità sono aumentate dopo i due colpi di stato del 2022.
All’inizio, la narrazione antifrancese e anticolonialista in generale, aveva fatto accogliere favorevolmente il golpe da larghe fasce di popolazione, soprattutto giovane.
Sparizioni politiche
Oggi, rapimenti di uomini politici, alti graduati dell’esercito o di chiunque abbia espresso dissenso nei confronti della giunta guidata da Ibrahim Traoré, sono all’ordine del giorno.
L’ultimo, in ordine di tempo, è avvenuto la sera del 24 gennaio, quando l’avvocato Guy Hervé Kam (già portavoce del gruppo Le balais citoyen e attuale coordinatore del movimento politico Sens), è stato fermato e fatto sparire da uomini senza identificazioni, al suo arrivo all’aeroporto di Ouagadougou. L’avvocato Kam aveva criticato, in una intervista al quotidiano burkinabè Le Pays, la mancanza di legalità nel paese.
Il presidente dell’Ordine degli avvocati, dopo una rapida indagine, ha scoperto che Kam è detenuto nei locali della polizia della capitale. Ha quindi protestato tramite un comunicato ufficiale, mentre una petizione per la liberazione dell’attivista è stata lanciata.
Un cittadino burkinabè ci ha dato la sua visione sulla situazione attuale: «Tutti vivono nella paura. Ma potrebbe finire male, ovvero del sangue potrebbe scorrere. La popolazione inizia a essere esausta e vuole liberarsi. Non si può più dire nulla. Ad esempio sul costo della vita: tutto aumenta senza ragione ma il primo ministro proibisce che lo si dica. Stiamo anche contribuendo allo sforzo di guerra: a tutti è prelevato l’1% del salario, a partire dal primo gennaio».
Oltre a questo, il 28 gennaio, i governi di Burkina Faso, Mali e Niger hanno dichiarato di uscire dall’organizzazione economica regionale, la Cedeao, il che comporterà problematiche di tipo doganale, di transito di merci e persone. Per questo, per tre paesi, senza sbocco sul mare, che si devono appoggiare ai paesi costieri per qualsiasi tipo di commercio, la decisione potrebbe avere un effetto boomerang.
Marco Bello