Kenya. Una terra estrema

Reportage dal grande Nord

El Molo Bay, Loyangallani, Lago turkana. Foto Anna Pozzi.
Kenya
Anna Pozzi

L’area del lago Turkana è una zona isolata, nella quale il clima la fa da padrone. Non piove mai, anche
quando in altre zone si verificano alluvioni. È difficile procurarsi medicine e il cibo scarseggia sempre più. Anche andare a scuola è un’impresa. Eppure la gente non rinuncia a lottare.

«Qui i bambini non sanno che cos’è la pioggia. Perché non l’hanno mai vista!». Padre Mark Gitonga, missionario della Consolata a Loyangalani, sulle rive del lago Turkana, parla spesso per immagini. Immagini che, in questa terra estrema e affascinante del nord del Kenya, sono più efficaci di tante parole. Come «pioggia», appunto, «che per noi è solo un vocabolo nel dizionario».

Non la vedono da anni a Loyangalani, sulla sponda est di quello che è il lago desertico più grande al mondo: un vasto e luccicante specchio d’acqua, adagiato nella parte settentrionale della Great Rift valley – la più larga, lunga e cospicua frattura della crosta terrestre -, battuto dal vento e circondato dal nulla.

Il lago Turkana si trova in una delle regioni più inospitali del Paese: vaste distese di rocce laviche e sabbia, punteggiate qua e là da solitarie acacie. Qui, dove le temperature superano spesso i 50 gradi, si intrecciano e a volte si scontrano le vite di varie comunità di allevatori nomadi – in particolare Turkana, Samburu e Rendille – che, a causa della prolungata siccità, hanno perso circa l’80% del bestiame. Mentre gli El molo, che sono considerati la più piccola etnia dell’Africa e vivono in due villaggi lungo le rive del lago, cercano faticosamente di sopravvivere di pesca, nonostante le difficoltà sempre più grandi dovute ai cambiamenti climatici. Cambiamenti che sono all’origine anche di fenomeni estremi come, in altre zone del Paese, le devastanti inondazioni di fine ottobre e inizio novembre. Senza che qui scendesse una goccia di pioggia.

El Molo Bay, Loyangallani, Lago Turkana. Foto Anna Pozzi.

Isolati

«In questo momento siamo completamente isolati», racconta padre Mark a fine novembre. Insieme al diacono congolese Jacques Lwanzo garantisce una piccola presenza missionaria in quello che è un luogo simbolo per i Missionari della Consolata, che arrivarono fin qui oltre settant’anni fa sulla via verso l’Etiopia. Ancora oggi, padre Mark – che vive qui stabilmente dal 2019 – accompagna la piccola comunità cristiana, composta da circa cinquemila fedeli sparsi su un territorio vastissimo, e realizza molte iniziative in campo sanitario e soprattutto educativo, per provare a stare accanto alla gente delle contee Samburu e Marsabit e a dare un’opportunità di istruzione ai bambini che ne rappresentano il futuro. «Per qualche settimana sarà difficile muoversi – conferma il missionario -: l’acqua proveniente dalle montagne e l’esondazione di alcuni fiumi hanno provocato molti allagamenti e reso impraticabili le vie di comunicazione. Già in situazione normale le strade sono in cattive condizioni e alcune piste non sono percorribili a causa dell’insicurezza provocata dagli scontri tra comunità». Questi conflitti sono ulteriormente aumentati negli ultimi anni proprio a causa della grave emergenza provocata dalla siccità con conseguente perdita del bestiame, aumento dei prezzi e una crisi umanitaria senza precedenti.

Innalzamento delle acque. El Molo Bay, Loyangallani, Lago Turkana. Foto Anna Pozzi.

Uno strano fenomeno

Ad aggravare la situazione, si è aggiunto un altro fenomeno complesso e ancora non completamente indagato dagli scienziati che riguarda direttamente il lago Turkana, le cui acque si stanno rapidamente innalzando, nonostante la mancanza di piogge. Pare sia legato non solo ai cambiamenti climatici, ma anche alle sorgenti sotterranee e ai movimenti delle placche tettoniche che provocano un analogo innalzamento di altri laghi della Rift Valley. A questo fenomeno si legano anche alterazioni della salinità del lago con riflessi sulle specie animali e vegetali che ci vivono, e anche sulla vita della gente.

Uno dei due villaggi degli El molo, ad esempio, quello di Tumkende, si ritrova oggi diviso in due: una parte sulla riva e un’altra che, a causa dell’inalzamento dell’acqua, è diventata un’isola. Anche la scuola e la chiesa sono minacciate: «Abbiamo già dovuto ricostruire la cucina e alcune aule, mentre ormai non si riesce più a entrare in chiesa perché l’acqua è arrivata sino alla porta», ci dice padre Mark, mentre ci mostra alcuni vecchi edifici che emergono appena dal lago.

Per le popolazioni, inoltre, è diventato ancora più difficile pescare, perché occorre allontanarsi sempre di più dalla riva per trovare il pesce. E se gli El molo, che sono tradizionalmente dediti alla pesca, riescono ad avventurarsi in acque più profonde, i Turkana, che sono fieri pastori e si sono avvicinati al lago solo perché hanno perso il bestiame, rischiano spesso la vita. Nessuno di loro, infatti, sa nuotare e per pescare usano esili zattere costruite con qualche tronco di palma, nonostante il forte vento e le onde spesso alte.

È una terra estrema in tutti i sensi quella del Turkana: una terra dove vita e morte si sfiorano continuamente. «La situazione umanitaria è catastrofica – ribadisce padre Mark -. Essere malnutriti è diventata la normalità per donne e bambini. E gli uomini non stanno molto meglio». In effetti, si fatica a capire come la gente riesca a sopravvivere. A maggior ragione ora che le alluvioni hanno distrutto quel poco che rimaneva loro a disposizione. Secondo le agenzie dell’Onu, «le inondazioni hanno danneggiato terreni agricoli, bestiame e attività commerciali, mettendo in pericolo i mezzi di sussistenza nelle aree nordorientali già colpite da siccità prolungata. I bisogni prioritari sono ripari, cibo, acqua e servizi di primo soccorso».

El Molo Bay, Loyangallani, Lago Turkana. Foto Anna Pozzi.

Emergenza diffusa

L’emergenza riguarda non solo alcune zone del Turkana, ma anche le contee di Isiolo, Mandera, Marsabit, quella di Garissa più a sud est e quelle di Lamu e Mombasa verso la costa. Anche i due grandi campi profughi di Dadaab (contea di Garissa) e di Kakuma (contea di Turkana) – entrambi con oltre 270mila persone – sono stati colpiti e hanno registrato morti e feriti. Migliaia di persone già sradicate dalle loro terre sono di nuovo in fuga. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), «quasi 25mila persone nel campo di Dadaab sono state interessati dalle inondazioni e molte hanno cercato rifugio nelle scuole e nelle comunità vicine. Alcuni rifugiati hanno aperto le loro case per ospitare i nuovi sfollati, riducendo molte famiglie a una condizione di sovraffollamento. Le strade allagate hanno ostacolato gli spostamenti, rendendo particolarmente difficile l’accesso ai servizi per i più vulnerabili, tra cui le donne incinte che devono raggiungere gli ospedali. Nel campo di Kakuma, un centinaio di famiglie sono state costrette a spostarsi in aree più sicure a causa della massiccia erosione del suolo provocata dalle piogge».

Tutto ciò ha causato anche una situazione igienico-sanitaria molto preoccupante: «Centinaia di latrine sono state danneggiate, mettendo le persone a rischio di malattie infettive, tra cui il colera». Queste inondazioni fanno seguito alla più lunga e grave siccità mai registrata, il cui impatto è ancora drammatico in tutto il Corno d’Africa, dove più di 23 milioni di persone già soffrivano la fame e più di 5 milioni di bambini erano gravemente malnutriti, secondo il World food programme (Wfp).

Malnutrizione. El Molo Bay, Loyangallani, Lago Turkana. Foto Anna Pozzi.

Cibo e medicine

Per la gente del Nord Kenya convivere con la mancanza di cibo è diventata la quotidianità ormai da diversi anni. A pochi chilometri da Loyangalani, alcune operatrici sanitarie provano a distribuire degli alimenti terapeutici per i bambini più piccoli. Sono loro a spostarsi da una comunità all’altra, perché la gente non riesce neppure a recarsi nei pochi dispensari presenti nei centri più grossi, come Loyangalani, appunto, o Moite più a nord. Oppure non ha nemmeno pochi spiccioli per pagare le medicine. Sempre che queste siano disponibili.

Un’infermiera consegna alcune bustine di cibo energetico a un bimbo di sei anni che pesa solo sei chili. Sua madre sembra pure lei una bambina, anche se porta le tradizionali collane e gli orecchini che la identificano come donna sposata. «Quando tornano nelle capanne, ne mangiano anche le mamme – ci fa notare l’infermiera -, ma che cosa possiamo fare? Pure loro non hanno niente…». Non c’è cibo e non ci sono medicine. «Da diversi mesi il governo non manda nulla», mentre padre Mark fa quello che può per rifornire almeno il dispensario della parrocchia, ma i pazienti sono pochissimi perché quasi nessuno è in grado di pagare cure e medicinali, per quanto costino cifre irrisorie. Se poi qualcuno sta veramente male, deve recarsi a Marsabit, a più di cinque ore di viaggio su piste dissestate, con una sorta di ambulanza che quasi nessuno può permettersi. E che comunque adesso non potrebbe muoversi a causa degli allagamenti con piste trasformate in fanghiglia.

Scuola. El Molo Bay, Loyangallani, Lago Turkana. Foto Anna Pozzi.

Le scuole

Sul fronte istruzione le cose non vanno meglio. La missione cattolica gestisce otto scuole con circa 800 studenti. Il governo dovrebbe pagare gli insegnanti, ma sono pochissimi quelli a carico del sistema pubblico. Per tutti gli altri ci devono pensare i genitori o la parrocchia, con l’aiuto di qualche Ong. «In questa regione – fa notare padre Mark – circa il 90% delle persone scolarizzate lo deve ai missionari della Consolata che sono stati qui». Anche lui ha particolarmente a cuore il tema dell’istruzione, come strumento prioritario per «pensare a migliorare globalmente la situazione e le condizioni di vita delle popolazioni locali».

Per il momento, però, la situazione è alquanto precaria: «Da mesi il governo non ci manda il cibo per la mensa», si lamenta Teresalba Sintiyan, direttrice delle scuole elementari cattoliche di Loyangalani. «Istruzione e salute sono le grandi sfide di questo territorio e riguardano innanzitutto le bambine e donne che continuano a essere discriminate e marginalizzate. Non hanno voce, non vengono mandate a scuola e sono forzate a sposarsi giovanissime. La crisi climatica, poi, ha aggravato la situazione e accresciuto i conflitti intercomunitari».

È d’accordo padre Mark: «Quella dell’educazione è la grande sfida e la grande soluzione – dice convinto -. Ed è quello che mi tiene qui». Per questo non risparmia energie per garantire un’istruzione al maggior numero possibile di bambini e bambine.

Le strutture, a volte, sono molto rudimentali, piccole capannucce fatte di rami e paglia, mentre nei centri più grandi, come Loyangalani e Moite, sono in muratura e spesso prevedono anche uno studentato per permettere a quelli che vengono da lontano di poter frequentare le lezioni. «Purtroppo ancora oggi molte famiglie non mandano i bambini a scuola perché non ne capiscono l’importanza. Se lo fanno, a volte, è solo perché possano avere almeno una tazza di porridge al giorno».

A Moite, tutti devono contribuire alla cucina portando un po’ di quel bene preziosissimo che è l’acqua. Non appena albeggia, file di bambini si recano nel greto disseccato di un fiume, dove alcune ragazzine un po’ più grandi scavano nella sabbia finché non trovano un po’ d’acqua. Con alcune tazze riempiono pazientemente le piccole taniche degli alunni che le depositano nella cucina con il fuoco a terra prima di recarsi in classe.

Dall’inizio dello scorso anno, il cibo è fornito dall’Associazione Papa Giovanni XXIII, che ha avviato proprio qui e in due villaggi vicini un progetto di sostegno nutrizionale per i piccoli allievi.

El Molo Bay, Loyangallani, Lago Turkana. Foto Anna Pozzi.

Teresa

«Stiamo combattendo con le poche forze e le poche risorse che abbiamo per risollevarci», ci dice Teresa Lopowar Etapar, che è la prima e unica donna laureata di questo villaggio grazie ai missionari. Teresa, che è veterinaria, ha deciso di mettere i suoi studi e le sue competenze a servizio della sua comunità. Un esempio e uno stimolo importanti per tanti giovani del posto. Non sono molti, infatti, quelli che tornano da queste parti una volta che sono partiti per altre regioni del Kenya. Lei però, come altri che i missionari hanno fatto studiare, ha voluto rimettersi in gioco qui, per il bene della sua gente.

Attualmente, il missionario sostiene altri 150 studenti in diverse scuole superiori del Kenya, grazie all’ospitalità di tante famiglie locali e al sostegno dei benefattori italiani, che purtroppo, però, si è molto ridotto dopo la pandemia di Covid-19.

«L’insicurezza alimentare è gravissima – ci fa notare Teresa -. Molta gente, nel suo cuore, vorrebbe tornare a dedicarsi alla pastorizia e alla vita che ha sempre fatto. Le comunità hanno chiesto alle autorità della contea di risarcirle del bestiame morto a causa della siccità, ma per ora hanno ricevuto solo promesse».

Qui, sul lago Turkana – come un po’ ovunque in Kenya – ci sono molto malcontento e molta disillusione rispetto alla classe politica locale e nazionale. Tante promesse, appunto, e pochissimi fatti concreti. Tutto il Paese è afflitto da una grave crisi economica acuita dall’innalzamento dei prezzi. Una situazione che ha un impatto ancora più drammatico in regioni poverissime, isolate e abbandonate come quelle del nord.

Lo scorso 25 novembre, il presidente William Ruto ha voluto dare un segno di solidarietà alle popolazioni del lago, recandosi personalmente a Loyangalani in occasione del tradizionale Festival culturale che si è svolto nonostante le difficoltà logistiche. Il presidente, arrivato in elicottero, ha lanciato un piano d’azione (2023-2027) per contrastare il cambiamento climatico con la partecipazione delle comunità locali, piegate da una crisi senza precedenti. Ma poi è volato via. E molti temono che, con lui, si siano involate anche le sue promesse.

Anna Pozzi

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