In Argentina, il secondo turno delle elezioni presidenziali (19 novembre) ha sancito il trionfo di Javier Milei, il cinquantaseienne candidato de La Libertad Avanza, economista iperliberista, personaggio stravagante cui una larga maggioranza di argentini ha affidato le sorti del paese. Un paese allo sbando con un’inflazione al 140 per cento e 18,5 milioni di poveri (su 46 milioni di abitanti) di cui 4,3 milioni indigenti (proiezione su dati ufficiali dell’Instituto nacional de estadística y censos, Indec).
Abbiamo raccolto un paio di opinioni subito dopo il clamoroso risultato elettorale. Padre Luigi Inverardi, per molti anni missionario nel paese latinoamericano, si dice sorpreso della vittoria di Milei, ma giustifica gli argentini che lo hanno votato visto il disastro compiuto dal candidato presidenziale Sergio Massa, ministro dell’economia uscente. «La prima cosa da fare – aggiunge il missionario – è controllare l’inflazione e sanare l’economia. L’adozione del dollaro è una misura improponibile, ma la spesa pubblica si può ridurre perché ci sono troppi argentini che vivono di sussidi senza lavorare».
Padre José Auletta, 47 anni in Argentina, ci risponde di buon mattino da Yuto, provincia di Jujuy, nell’estremo nord ovest del paese. «Sia lo sfidante Massa che il vincitore Milei erano il peggio. Il popolo argentino ha votato spinto da un desiderio di cambiamento, ma soprattutto dalla rabbia. Oggi l’Argentina deve affrontare un impoverimento che è strutturale e una corruzione che è altrettanto».
Al Congresso nazionale (il parlamento) partito di Milei è minoranza: al Senato avrà 7 membri su 72, alla Camera 38 su 257. «E nessuno – aggiunge Auletta – dei 24 governatori delle province argentine. Milei ha vinto anche per aver gridato contro “la casta”. Quella stessa casta con cui dovrà però arrivare ad accordi per poter governare».
Quanto alla Chiesa argentina, il clima non è dei migliori. Dopo le accuse (tra cui comunista e rappresentante del maligno) e le offese di Milei a papa Francesco in più circostanze, in chiusura di campagna elettorale Alberto Benegas Lynch, economista e mentore del nuovo presidente, aveva proposto di «rompere le relazioni diplomatiche con il Vaticano». Gli aveva risposto (con classe) José María Di Paola detto Pepe, uno dei più noti curas villeros, i preti che vivono nelle villas miserias, le baraccopoli argentine. Il sacerdote sta preparando una campagna per invitare il papa a visitare il suo paese. Sotto lo slogan: «Vení Francisco, el pueblo te espera» (Vieni Francesco, la gente ti aspetta).
Lo scorso ottobre, durante una lunga intervista concessa alla direttrice dell’agenzia argentina Télam, il papa aveva parlato dell’Argentina senza mai nominare Milei, ma facendovi riferimenti piuttosto espliciti. «Ho molta paura – aveva confessato – dei pifferai magici di Hamelin perché sono incantatori di serpenti. Se fossero incantatori di serpenti li lascerei, ma sono incantatori di persone… e finiscono per affogarle. Persone che credono di poter uscire dalla crisi ballando al suono del flauto, con redentori fatti da un giorno all’altro. […] Le grandi dittature nascono da un flauto, da un’illusione, da un fascino del momento. E poi diciamo “che peccato, stiamo annegando tutti”».
Il neoeletto Milei è un pifferaio magico? Aspettiamo per vedere come metterà mano ai problemi del paese che lo ha eletto. Come sempre, una cosa sono le parole dette in libertà durante le campagne elettorali, un’altra è la realtà quotidiana. E quella argentina è una realtà da brividi.
Paolo Moiola