A riflettori spenti


Pierpaolo Mittica è un fotogiornalista conosciuto a livello internazionale. Il centro del suo lavoro è il racconto della vita di chi ha subito guerre o catastrofi. Ciò che accade alle persone quando l’attenzione dell’informazione cala. In Bosnia come in Ucraina.

Fotografo umanista: Pierpaolo Mittica, classe 1971, non potrebbe essere definito diversamente. Conosciuto e premiato a livello internazionale, le sue fotografie sono state esposte in Europa, Stati Uniti e Cina e pubblicate dai più importanti periodici in Italia e all’estero1.

I suoi documentari trasmessi da Prime video, Al Jazeera e Discovery Channel, solo per citare alcune delle piattaforme più note.

Eppure, il successo non ha scalfito l’umanità e l’attenzione che Pierpaolo dedica a ogni storia.

Lo intervisto poco dopo il suo rientro dall’Ucraina dove si è recato a distanza di diversi mesi dallo scoppio della guerra. Ha aspettato ad andarci, perché quello che interessa a lui non sono sangue e pallottole, ma ciò che resta, le piccole storie dimenticate dai grandi media.

Polaroid e Neorealismo

Ha solo dodici anni Pierpaolo quando lo zio, Alfredo Fasan, fotografo professionista, gli regala una Polaroid e lo inizia ai segreti della camera oscura. Subito capisce che la narrazione attraverso le immagini è qualcosa di potente, e se ne innamora.

A diciotto anni si reca a Spilimbergo e fa da assistente a Giuliano Borghesan, uno dei maestri della fotografia italiana che negli anni Cinquanta scrisse con la luce pagine memorabili del Neorealismo in Friuli.

Pierpaolo che spazia dal ritratto alla fotografia di viaggio, sempre mantenendo alta l’attenzione sulle persone.

Sono le persone, infatti, le loro storie, la loro cultura, ad attrarre lo sguardo del giovane fotografo, specialmente le vite dimenticate, quelle ai margini.

La Bosnia: ciò che resta

È il 1998 quando Pierpaolo decide di documentare le conseguenze della guerra dei Balcani.

Il fotografo parte per Sarajevo perché gli sembra impossibile che il conflitto, così vicino a casa sua, sia già dimenticato.

Va in Bosnia con due idee molto chiare sul suo lavoro: la prima è che la guerra guerreggiata non fa per lui. Non vuole raccontare il sangue, il dolore dei soldati feriti, il lutto per i compagni morti, lo strazio delle armi e della violenza.

In fondo, un soldato che muore sul campo fa il proprio lavoro, come un giornalista di guerra, un umanitario, o qualsiasi figura legata allo sporco affare che sono i conflitti in armi.

La seconda idea chiara, forse ancora più importante, è quella di voler raccontare chi è sopravvissuto e deve sopravvivere in un paese dove non ci sono più Stato, leggi, rispetto per la vita.

Pierpaolo vuole raccogliere ciò che resta quando si è perso tutto, le piccole storie, quelle che si tende a dimenticare o a nascondere. E racconterà l’alienazione delle persone di fronte al loro presente, al futuro, e rispetto al loro passato. E la coscienza sporca dell’Europa che ha permesso per troppi anni genocidi e pulizie etniche.

India in bianco e nero

Dopo la guerra dei Balcani, Pierpaolo, spinto dalla voglia di incontrare un luogo dell’anima, decide di partire per l’India.

Il Paese lo colpisce più forte del previsto, nel bene e nel male. Si rende presto conto che l’impatto emotivo non è mai calcolabile, esistono cose, infatti, che non si possono capire senza viverle in prima persona.

Racconta Varanasi e le città legate a culti spirituali profondi, le tradizioni, le baraccopoli, le fogne a cielo aperto, gli odori terribili che si mescolano agli incensi votivi. L’olfatto, in India, viene temprato per sempre. E poi la vista: caos, disordine, densità di persone, cose e colori. E suoni ovunque.

I sensi vengono coinvolti totalmente, e Pierpaolo comprende che l’unico modo per non farsi distrarre da tutta quella realtà è l’uso del bianco e nero. Eliminando una parte di sollecitazioni, può toccare l’anima di quel mondo straordinario.

Chernobyl: il veleno invisibile

È nel 2002 che il lavoro di Pierpaolo incontra una realtà che non abbandonerà mai: quella di Chernobyl e dell’Ucraina.

Non è per lui una realtà sconosciuta, ma l’incontra in modo particolare durante una cena con amici, dove conosce Ivana Rizzo, presidente di un’associazione che aiuta i bambini vittime dell’esplosione della centrale nucleare avvenuta nel 1986: i piccoli vengono portati in Italia durante le vacanze perché possano allontanarsi per un periodo dalle zone contaminate.

Pierpaolo ascolta Ivana parlare di villaggi contaminati ma ancora abitati, sia in Bielorussia che in Ucraina, e di una seconda zona di esclusione oltre i 30 km di raggio attorno alla centrale. Decide così di partire per vedere con i propri occhi. Ben presto comprende che quel poco che sapeva era solo la punta di un iceberg sporco e profondissimo.

Le zone contaminate, infatti, sono abitate, e i cittadini non sanno nulla dell’effetto delle radiazioni a lungo termine.

Il popolo si fida del governo e così coltiva, alleva, utilizza terre che provocano effetti disastrosi sulla salute: infarti del miocardio, malformazioni, tumori.

Il 70% dei bambini nati dopo l’esplosione della centrale è destinato a morire fra i trenta e i quarant’anni.

Pierpaolo si concentra sulle zone di esclusione. Va a Radinka, un villaggio situato a 300 metri oltre il margine della zona di esclusione di Chernobyl, nell’oblast’ di Kiev, a 50 km dal confine con la Bielorussia. Incontra lo scienziato bielorusso Yuriy Bandazhevsky che da anni studia le conseguenze della contaminazione sui bambini residenti a Radinka e nella provincia di Ivankov e combatte, per far conoscere la verità, contro le autorità locali, internazionali e la lobby atomica.

Oggi l’80% degli oltre 3.700 bambini esaminati residenti in quelle terre ha turbe del ritmo cardiaco in relazione diretta con la quantità di cesio incorporata. Inoltre, il 30% presenta una contaminazione interna da cesio 137 sopra i 50 Bq/kg (Becquerel al chilogrammo), livello che provoca diverse patologie.

Da questo progetto lungo di versi anni, deriverà un altro lavoro del fotografo su Kiev, città che al tempo dell’incidente nucleare aveva ospitato molti sfollati dalla zona coinvolta.

Ucraina: seconda famiglia

È il 24 febbraio del 2022: la Russia invade l’Ucraina alle 4 del mattino. Pierpaolo vorrebbe partire subito, ma non è possibile: Chernobyl è occupata dai russi e, anche quando viene liberata, i permessi per entrare e documentarla non arrivano.

Lui non vuole raccontare i soldati, l’occupazione, le morti: ancora una volta il suo sguardo è rivolto al popolo che subisce le conseguenze della guerra.

Questa volta però, a differenza della Bosnia, per Pierpaolo la storia si svolge nella sua seconda casa. Le persone con cui ha condiviso anni di lavoro per raccontare disastri, censure, dolore, dimenticanza, ora sono di nuovo in pericolo.

I permessi arrivano nel novembre 2022, e il fotografo parte con Alessandro Tesei, il videomaker con cui lavora da anni.

L’idea è di arrivare a Kiev e poi spostarsi, permessi permettendo, a Chernobyl. Ma subito i due si rendono conto che Kiev, come le cittadine limitrofe, racconta storie che non trovano voce e ascolto.

L’inverno è freddo, si arriva a meno venti gradi, e le persone si preparano ad affrontarlo senza elettricità e riscaldamento, avvolti dalla neve e dalla paura.

Pierpaolo si muove, dunque, raccontando le persone che provano a sopravvivere. Si fa strada tra le case e i palazzi divelti dalle bombe, ascolta e racconta le vite quotidiane senza cercare la foto d’effetto. Allo stesso tempo vuole comprendere le reali motivazioni dell’attacco russo: pensa che la Nato e il sentirsi minacciati siano una scusa di Putin per prendersi territori che offrono molte opportunità. Da anni infatti, Russia e Cina si contendono l’Africa, e uno sbocco sul mare rende questo continente più raggiungibile. Accesso al mare e accesso alla quinta riserva di gas più grande al mondo, quella del Donbass, sono motivazioni più che valide, più della minaccia della Nato.

Il timore di Pierpaolo, oggi, è che la guerra si incancrenisca, continuando a fare vittime fra una popolazione già allo stremo.

Il senso del fotogiornalismo

Passione, amore, empatia, modestia: per fare il lavoro più bello del mondo non c’è la ricetta perfetta, ma questi quattro elementi non devono mancare.

Pierpaolo parla dei sacrifici necessari per raccontare le vite degli altri, ma anche della bellezza delle esperienze che si fanno.

Accanto ai progetti raccontati finora, dal 2002 Pierpaolo ne porta avanti un altro intitolato Living Toxic, un lavoro a lungo termine che si propone di raccontare tutti i tipi di inquinamento che stanno mettendo in pericolo l’ambiente. Da Chernobyl a Fukushima, dall’incidente nucleare di Mayak fino all’estrazione di carbone in Cina. Sempre con l’obiettivo di sensibilizzare e far comprendere con un linguaggio semplice ciò che rischiamo di perdere, perché, come dice il fotografo, «stiamo distruggendo la nostra casa, esserne consapevoli è il primo passo per attuare un cambiamento».

Valentina Tamborra

Questo slideshow richiede JavaScript.

Note

1- Tra le testate che hanno pubblicato foto di Pierpaolo Mittica: l’Espresso, la Repubblica, il Corriere della Sera, Days Japan International, Asahi Shinbum, The Telegraph, The Guardian, Sueddeutsche Zeitung, Der Spiegel, De Zeit, Wired USA, Asian Geo, China Newsweek, National Geographic.