Noi e Voi, dialogo lettori e missionari


Più vita di Missione

Gent.mo direttore,
sono un vostro abbonato da lungo tempo, e sempre ricevo copia della rivista con piacere.

Avendo fatto parte in passato di Africa Oggi, un gruppo che organizza campi di lavoro in «terra di missione», ho conosciuto tanti eccezionali missionari della Consolata, la cui dedizione, spirituale e pratica per migliorare il mondo in cui venivano catapultati, è stato esempio per me e per tanti altri che vi hanno conosciuto. Posso ricordare padre Oscar Goapper (anche medico nell’ospedale di Neisu), padre Salutaris Massawe (anche giornalista in Tanzania), padre Igino Lumetti (quante opere in Tanzania), padre Felice Prinelli (quante opere in Colombia ed Ecuador), tra i tanti purtroppo già tornati alla casa del Padre, ma tanti altri ancora in attività che stanno operando in Africa, Asia, Sud America ed Europa.

Ho conosciuto anche altri padri di altri ordini (Monfortani, Pime, Salesiani, etc) e anche Comboniani, come padre Kizito Sesana.

Una grande testimonianza missionaria, ma quante ce ne sono così in Imc che potrebbero essere rese note nella rivista, sia di cari padri non più tra noi che di tanti attualmente in attività?

Trovo sempre meno testimonianze di vita vissuta nella rivista MC (spesso solo in qualche trafiletto nelle ultime pagine), e molto più, certo apprezzabile, giornalismo che racconta i vari paesi del mondo. Ecco, perdonatemi la richiesta, ma secondo me sarebbe bello vi fosse molto più spazio dei racconti della vita di missione, come forse era alle origini quando era l’allegato a raccogliere i racconti dei missionari.

Sempre ringraziando per le vostre opere e con affetto.

Buona continuazione della vostra missione, in particolare al nuovo superiore padre Lengarin e al giovane e bravo cardinale Marengo in Asia.

Carlo
20/08/2023

Grazie dello stimolo che ci dai, caro amico di tanti missionari. Il tuo è davvero anche il nostro desiderio, e infatti è quello che stiamo facendo. In ogni numero diamo spazio a qualche missionario, ma non è scontato che riusciamo a convincere i missionari a raccontarsi per la rivista. Ci sono alcuni che comunicano molto, ma spesso si limitano a scrivere al loro ristretto gruppo di amici, favoriti in questo dai social, ma si sentono imbarazzati a condividere anche con un pubblico più vasto.

Rilancio quindi la tua provocazione ai nostri missionari, invitandoli a sentirsi di casa anche con i lettori di MC raccontando la loro vita missionaria.

Onorificenza pontificia a padre Sandro Faedi

Papa Francesco ha voluto riconoscere e distinguere padre Sandro Faedi, missionario della Consolata nativo di Gambettola (Cesena), con la decorazione «Pro Ecclesia et Pontifice». La cerimonia di consegna della medaglia d’onore al missionario (nella foto, al centro padre Sandro Faedi e a sinistra il vescovo di Tete monsignor Diamantino Antunes) si è svolta domenica 13 agosto a Zóbuè, nella diocesi di Tete, Mozambico, in occasione del pellegrinaggio diocesano al santuario dell’Immacolata Concezione.

L’atto di consegna della pergamena e della medaglia è stato presieduto da monsignor Suman Paul Anthony, incaricato d’affari della Nunziatura apostolica in Mozambico. Si tratta della più importante onorificenza che la Chiesa cattolica conferisce a sacerdoti e laici che si distinguono per la loro fedeltà e il loro servizio alla Chiesa.

Monsignor Diamantino Antunes, vescovo di Tete, ha presentato la vita e l’opera dell’insignito, che ha dato la sua vita alla missione in Venezuela prima, e in Mozambico poi, in particolare nella diocesi di Inhambane e nella diocesi di Tete.

Padre Sandro Faedi è stato ordinato sacerdote a Gambettola nel 1972. Dopo il primo ministero missionario durato 24 anni in Venezuela, dal 1998 svolge la sua missione in Mozambico: prima nella diocesi di Inhambane e, dal 2013, nella diocesi di Tete, dove è stato parroco della parrocchia di San Giuseppe, amministratore apostolico tra il 2017 e il 2019, e attualmente parroco della parrocchia di San Daniele Comboni, economo diocesano e responsabile della Caritas diocesana.

La dedizione alla missione, il suo instancabile impegno nell’evangelizzazione, nella promozione umana, nella liturgia e nella promozione delle vocazioni locali sono stati i motivi che hanno spinto il Santo Padre a concedergli l’onorificenza «Pro Ecclesia et Pontifice».

Da «Corriere Cesenate»
18/08/2023


Perché partire, perché restare

Stimatissimo Marco Bello,
ho letto il suo editoriale su Missioni Consolata di Agosto 2023, «perché partire, perché restare». È proprio il nocciolo della questione. Si cita la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: «Ogni individuo ha il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare al proprio paese». Questi principi universali sono entrati abbastanza nelle leggi e nei costumi delle nazioni occidentali, ma su otto miliardi di abitanti della Terra, noi rappresentiamo sì e no un miliardo, mentre nella maggior parte del mondo restano bei principi, neppure troppo convincenti.

Temo che neppure i paesi occidentali riusciranno a mettere in pratica le buone intenzioni messe negli statuti dell’Onu dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale.

Un po’ ci sono riusciti i paesi scandinavi, ma con poca popolazione e tante risorse ed ora qualche scricchiolio pure lì. Grandi paesi come Francia e Inghilterra, hanno evidenti problemi di integrazione.

L’Europa per sopravvivere al calo della popolazione e all’invecchiamento, ha certo bisogno di milioni di immigrati nei prossimi decenni, ma è una transizione difficile e forse non riuscirà a mantenere i suoi buoni propositi sui diritti umani. Si dovranno dire dei sì con generosità, ma pure dei no dolorosi.

Noi italiani abbiamo portato intelligenza e lavoro in America, ma pure la mafia e i sistemi mafiosi. Lo stesso vale qui, possiamo importare pure leggi e costumi tribali, come il delitto d’onore che da poco abbiamo abolito. I nostri cari principi dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese hanno ancora senso nel mondo che c’è e che verrà? Oppure il miglior governo possibile è quello cinese dove uno dice a tutti cosa fare, cosa pensare, dove andare? È una provocazione, ma il nostro modo di vivere, la nostra libertà, lo stato di diritto di cui abbiamo beneficiato qui negli ultimi 75 anni, sarà ancora possibile per le prossime generazioni?

Don Silvano Cuffolo,
Santuario di Oropa, 20/08/2023

Caro don Silvano,
ho riletto i suoi commenti e le sue «provocazioni».

In molte cose concordo. La questione sulla quale non possiamo però fare passi indietro sono i diritti umani. Sono stati codificati nella Dichiarazione universale, che non considero un mero «statuto» o «codice» dell’Onu. Penso sia stato un passaggio fondamentale fatto dall’umanità, il riconoscere i diritti universali appunto. Una volta riconosciuti, occorre fare di tutto affinché vengano rispettati. Ma questo non è un fatto automatico e per nulla semplice. E per questo motivo in tutto il mondo ci sono persone, e associazioni, che lottano e rischiano la vita affinché questi diritti, codificati e riconosciuti, siano rispettati. Io ho vissuto in Africa e ad Haiti, e sono ben consapevole che in gran parte del pianeta sia molto difficile farli rispettare o, comunque, siamo indietro. Ma non per questo dobbiamo abdicare. Dobbiamo tendere a un mondo migliore. Per noi, ma soprattutto, per le prossimi generazioni (come lei domanda).

Un saluto fraterno,

Marco Bello

Quanto alle migrazioni, da una parte noi qui siamo tentati da una politica migratoria che sia funzionale ai nostri bisogni, visto che abbiamo necessità di badanti, contadini, operai e quanto altro permetta al nostro sistema produttivo e al nostro welfare di continuare a funzionare. Logico sarebbe quindi avere una immigrazione selettiva che permetta l’entrata solo di quelle persone che rispondono a tali bisogni.

Dall’altra, noi continuiamo ad alimentare un sistema di rapina delle risorse dei paesi del Sud del mondo al quale è funzionale l’instabilità politica, la deforestazione con tutte le sue conseguenze per i popoli indigeni e l’ambiente, lo sfruttamento schiavista della manodopera, il sostegno a regimi dittatoriali e tante altre cose simili.

Il tutto aggravato dalla crisi climatica.

Da ultimo non va dimenticato il bombardamento mediatico che da anni sta facendo un lavaggio di cervello anche nei paesi più poveri dove i social e la televisione (dominate dai nostri network)  alimentano un’immagine idealizzata e falsa del nostro mondo come il paese del bengodi.

Fermare l’emigrazione è storicamente impossibile. Per alcuni questa è una minaccia che mette a rischio cultura, identità e valori della nostra società, in realtà può diventare anche l’occasione per un mondo più unito e fraterno, dove la diversità non faccia paura ma diventi stimolo per crescere insieme.

In fondo, non è questo il sogno della missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli quando li ha mandati a essere annunciatori e costruttori di pace, andando in tutti gli angoli del mondo per invitare tutti al grande banchetto preparato dal Padre?

Gigi Anataloni


Perplessità

Caro Marco,
forse ricorderà lo scambio di battute quando cercammo – vanamente – di aiutare Haiti: anche se a volte le nostre ideologie non coincidono, le cose da fare ci trovavano in pieno accordo.

La rivista di cui lei è redattore, è diventata ricca di interesse, con inediti ed oggettivi rapporti su importanti paesi e popoli per lo più ignorati. In tal modo, colma una grave lacuna di informazione, è un vero, prezioso servizio alla verità.

Tuttavia, nel numero di luglio (dossier Riflessioni sulla guerra) mi dispiace trovare un rapporto su di un tema drammatico come quello degli sfollati a causa di guerre, rapporto che liquida le cause di alcuni – gravissimi – conflitti, con semplici battute a danno dei cattivi americani, Nato ecc., come se tutto fosse stato così semplice.

I lettori cui la rivista è destinata meritano qualcosa di più, anche alla luce dei drammi cui stiamo assistendo oggi. Con viva cordialità (e incoraggiamento),

Lorenzo Rossi di Montelera
07/08/2023

Caro dottor Rossi di Montelera,
la ringrazio molto per essere nostro lettore e ancora di più per averci mandato il suo commento.

Ricordo i nostri incontri su Haiti, nella speranza di fare qualcosa di utile. Paese amato, che adesso versa in una situazione sempre peggiore. Sta diventando ancora più difficile intervenire per il bene della popolazione.

Per quanto riguarda il suo commento, capisco benissimo. Le confido che anche nell’ambito della nostra redazione c’è stato dibattito su alcune posizioni espresse dall’autrice di quel dossier. La scelta è stata poi quella di lasciare la libertà all’articolista, giornalista rinomata e nota attivista contro tutte le guerre. Quanto scritto resta un punto di vista, che può essere condivisibile o no, ma è supportato da anni di militanza e di interventi in prima persona (come si deduce anche dagli articoli).

Come MC cerchiamo di essere plurali e anche per questo abbiamo deciso pubblicare la sua lettera ed eventuali altre posizioni differenti.

Marco Bello


Conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei martiri di Chapotera, diocesi di Tete – Dopo la raccolta di tutte le testimonianze, compresa la documentazione d’archivio, è stato preparato un dossier ben documentato sulla vita e il martirio dei due Servi di Dio, di 1.500 pagine, che è stato consegnato dal Vescovo di Tete in scatole sigillate al responsabile della Nunziatura Apostolica in Mozambico, Mons. Paul Anthony, che lo invierà al Dicastero per le Cause dei Santi a Roma.

I martiri di Chapotera
Concluso il processo di beatificazione

Il 12 agosto, presso il Santuario diocesano di Zobuè, diocesi di Tete, si è svolta la cerimonia di conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei Servi di Dio padri João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira, martiri di Chapotera.

La documentazione di 1.500 pagine raccolta dal gennaio 2022 al giugno 2023, è stata consegnata in scatole sigillate al responsabile della Nunziatura apostolica in Mozambico, mons. Paul Anthony, che lo invierà al Dicastero per le cause dei santi a Roma.

I due Servi di Dio sono stati buoni pastori, hanno sofferto con il loro popolo, hanno sempre cercato la pace e la riconciliazione. Hanno messo le loro qualità umane e spirituali al servizio di Dio e degli uomini, vivendo il loro ideale missionario. Sono stati assassinati il 30 ottobre 1985 nei pressi della residenza missionaria di Chapotera, missione di Lifidzi, in Angonia, nel contesto della guerra civile che ha devastato il Mozambico divenuto teatro di atrocità e violenze commesse sia dai guerriglieri della Renamo che da quelli che sostenevano il regime marxista-leninista della Frelimo. I loro corpi sono stati ritrovati il 4 novembre e sono stati sepolti nel cimitero di Vila Ulongwe lo stesso giorno.

Padre João de Deus Gonçalves Kamtedza, mozambicano, è nato ad Angonia, nella provincia di Tete (Mozambico), l’8 marzo 1930. Entrato nel seminario dei Gesuiti nel 1948, ha professato i voti religiosi nel 1953 a Braga (Portogallo). È stato ordinato sacerdote il 15 agosto 1964. Si è dedicato con tutto il cuore alla missionarietà del suo popolo, prima e per molti anni nella missione di Msaladzi, poi nella missione di Fonte Boa e a Satémwa. Era un uomo dinamico, intelligente, saggio, accogliente, impavido, gioioso, comunicativo e un grande apostolo. Amava il suo popolo, la sua cultura e la sua lingua. Alla fine del 1983 è stato trasferito a Chapotera per evangelizzare e assistere pastoralmente le missioni di Lifidzi e Chabwalo.

Padre Sílvio Alves Moreira è nato a Rio Meão-Vila da Feira (Portogallo) il 16 aprile 1941. Entrato nel seminario dei Gesuiti nel 1952, ha professato i voti religiosi nel 1959. Ha studiato teologia all’Università cattolica di Lisbona tra il 1968 e il 1972. È stato ordinato sacerdote a Covilhã (Portogallo) il 30 luglio 1972. Ha iniziato il suo lavoro missionario nella diocesi di Tete, presso il Seminario di Zobuè e successivamente nella parrocchia di Matundo. Nel 1981 è stato trasferito a Maputo, e ha lavorato principalmente nella parrocchia di Amparo, a Matola. Nel settembre 1984 è tornato nella diocesi di Tete, assegnato a Satemwa, missione di Fonte Boa, e poi a Chapotera, missione di Lifidzi. Don Sílvio era un uomo libero, intelligente, coraggioso e intraprendente, che viveva con entusiasmo e gioia le fatiche e i rischi che la vita missionaria comporta.

Alla cerimonia che ha concluso la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione hanno partecipato molte centinaia di cattolici provenienti da tutte le parrocchie della diocesi di Tete che hanno preso parte al pellegrinaggio diocesano a Zobuè.

† Diamantino Guapo Antunes Imc, vescovo di Tete

Conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei martiri di Chapotera, diocesi di Tete




Ucraina. Angeli della gioia


Carissimi tutti
Un caro saluto a pochi giorni dal ritorno dell’ultimo viaggio fatto in Ucraina. Si è trattato di un viaggio breve di soli tre giorni dal 29 settembre al 1° ottobre, in compagnia di don Leszek e di Rika. L’obiettivo è stato quello di fare le riprese alle attività di suor Vittoria, impegnata in un progetto che da tempo organizza, chiamato Gli angeli della gioia.

La registrazione del video è la parte conclusiva di un progetto più grande, iniziato questa estate con la collaborazione del gruppo Eskenosen e Humane vitae, che si pone l’obiettivo di mostrare al mondo scolastico italiano (e non solo) storie di vita illustrative di come i bambini ucraini vivono la realtà della guerra.

La prima parte è stata registrata questa estate in Polonia, incontrando bambini che o si sono trasferiti temporaneamente nel paese oppure presenti brevemente per fare qualche giorno di vacanza. La seconda parte del video l’abbiamo realizzata durante questo viaggio andando ad incontrare i bambini sul luogo.

Suor Vittoria è una giovane suora ucraina che con l’aiuto di volontari organizza delle vere e proprie feste nei villaggi più dispersi del paese, con l’obiettivo di regalare un momento di gioia a bambini spesso provati duramente dalla guerra. I bambini a cui rivolge l’invito sono o abitanti di villaggi sperduti oppure bambini che provengono dal fronte e che in questi villaggi trovano riparo.

Per poter fare questo tipo di incontri è necessario essere riconosciuti dal governo locale, sempre attento a controllare le iniziative interne del paese. Suor Vittoria appartiene a una organizzazione cristiana riconosciuta dallo stato.

È curioso vederla indossare abbigliamento di colore militare (proprio dell’organizzazione) insieme a due grandi ali che le spuntano dalla schiena insieme ad una aureola sopra la testa. Lei appartiene alla Congregazione delle suore degli angeli e ha deciso di intitolare questi incontri – che avvengano sempre in luoghi diversi – l’Angelo della gioia. Incontrandola non sfugge a nessuno il suo sorriso e l’energia che trasmette.

Il primo passo che compie è quello di individuare un villaggio e di mettersi in contatto con il sindaco oppure con gli insegnanti. Poi si individuano le famiglie a cui rivolgere l’invito. Ci incontriamo in piccolo villaggio vicino a Zytmozier, una città a circa 150 km da Kiev.

Stabilito il giorno, nei locali della scuola del villaggio i volontari con suor Vittoria arrivano di buon mattino, organizzando la scenografia e addobbando la sala rendendola festosa e colorata. I bambini ricevono un invito scritto col loro nome all’entrata della scuola: tutto è pronto per dare inizio alla festa.

I bambini vengono presentati per nome e ricevono l’aureola dell’angelo che indosseranno tutto il tempo. L’età dei bambini varia a seconda dei villaggi, tra i 5 e i 14 anni. La festa trascorre tra canti e balli di gruppo che coinvolgono tutti, anche le mamme presenti. E’ una gioia contagiosa quella che si respira, una gioia che solo questi bambini riescono a trasmettere.

I bambini ricevono dello zucchero filato e dei dolci ben preparati. I volontari ci confidano che ha volte hanno incontrato bambini affamati non solo di dolci… per questo hanno deciso di offrire anche qualcosa di più sostanzioso. È facile immaginare le condizioni familiari di alcuni. A volte lo si capisce soltanto dal modo in cui sono vestiti.

Ad un certo momento i bambini sono invitati a firmare una bandiera del loro paese. Questa bandiera viene poi consegnata ai papà o ai parenti che si trovano sul fronte a combattere. Sono loro i loro angeli custodi che li difendono. La festa si conclude con la consegna dei regali. Ognuno riceve un simpatico peluche a ricordo di questa giornata, anche se è facile immaginare che il vero ricordo sarà la gioia che hanno vissuto in queste ore.

Alla fine della festa ci viene segnalata una famiglia di quel villaggio. La mamma accudisce, in una casa modesta di campagna, ben 12 figli. La figlia maggiore, che vive insieme alla madre, ha già sei figli… lasciamo a loro vestiti e cibo per bambini e veniamo ricompensati per questo con del miele di loro produzione.

Sulla via del ritorno, percorrendo una strada di campagna sterrata con pietre appuntite, riusciamo a bucare ben due pneumatici consecutivamente. Per fortuna i volontari sono ancora con noi e ci aiutano a risolvere la difficoltà, dei veri e propri angeli custodi. Cosi possiamo già il giorno successivo agevolmente ritornare a Varsavia. La registrazione dell’incontro e l’intervista a suor Vittoria le ha fatte un cameraman professionista giunto da Kiev. L’intero video tra breve sarà pronto e ve lo manderemo.

Luca Bovio

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Ventimiglia. A qualsiasi costo

 

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha denunciato, dietro ricorso di varie associazioni tra cui Avocats pour la défense des droits des étrangers (Adde), la forma in cui vengono svolti i respingimenti dalla Francia che contravverrebbe la direttiva europea sui rimpatri. In teoria, un cittadino irregolare dovrebbe beneficiare di un certo tempo per lasciare volontariamente il territorio, invece di essere allontanato in maniera forzata come avviene adesso.

Al mattino, le persone fermate e identificate dagli agenti francesi vengono espulse e, camminando attraverso il ponte San Luigi, arrivano alla frontiera italiana che ne notifica l’espulsione e le lascia andare. Da lì si torna a Ventimiglia a piedi, o con un bus di linea.

Da Grimaldi, ultima frazione di Ventimiglia arroccata sul mare, è possibile intercettare il passo della Morte, un cammino di tre ore che, tra sentieri mal segnalati, sterpaglie, rovi e salite che si riescono a fare solo con l’aiuto di una corda, permette di superare la frontiera in montagna. Il passo è pericoloso. Basta mettere un piede fuori sentiero per scivolare in dirupi, soprattutto se si percorre di notte o con la pioggia. Si scende tra le prime ville di Mentone per poi arrivare al centro. Spesso la gendarmerie controlla la strada e capita che, dopo una camminata estenuante, le persone vengano fermate su questa rotta e respinte in Italia.

Ventimiglia. Giovani migranti parlano davanti alla Caritas. (Foto Simona Carnino).

«I controlli in frontiera non fanno che aumentare i rischi e i costi in termini di vite umane ed economici. Non c’è decreto, non c’è gendarme che possa fermare le persone. La gente passa anche a costo della vita. A volte arrivano da noi persone con traumi provocati nel tentativo di superare la frontiera in montagna o in autostrada», spiega Serena Regazzoni, referente area immigrazione di Caritas Intemelia.

La militarizzazione e le politiche securitarie, che in Francia si manifestano nei respingimenti e in Italia in proclami di apertura di nuovi centri di permanenza per il rimpatrio, si scontrano con le motivazioni delle persone che spesso sono più forti e le spingono a viaggiare a qualsiasi costo.

Ad umanizzare la frontiera ci pensano organizzazioni come la Caritas, la Diaconia valdese e volontari che forniscono vestiti, cibo, cure mediche, orientamento legale, ascolto e, a volte, amicizia. Una piccola umanità laboriosa, che si sostituisce all’assenza della politica locale nelle attività di accoglienza.

Ventimiglia. Distribuzione di pasti alla Caritas Intemelia. (Foto Simona Carnino).

A Ventimiglia ci sono circa 17 posti letto per donne e famiglie in accoglienza diffusa della Caritas e uno rifugio di circa 12 posti per minori gestito da Diaconia e Save the Children. Gli altri dormono nei sottopassaggi o lungo il fiume Roya dove, tra acquitrini e sporcizia, scabbia, infezioni e punture di insetti sono all’ordine del giorno.

c’è sempre qualcuno che ce la fa, nonostante l’aumento dei controlli.

Come Hamza che, nel suo ultimo messaggio di mercoledì notte, scrive: «Sono arrivato. Thanks God». «E cosa farai ora?», gli chiediamo. «Mi riposo perché son troppo stanco. Poi cercherò un lavoro. Sono un barbiere».

Simona Carnino

(prima puntata al https://www.rivistamissioniconsolata.it/2023/10/02/ventimiglia-refus-dentree/)

Hamza mostra le ferite alle mani che si è fatto durante gli attraversamenti. (Foto Simona Carnino).




Brasile-Italia – «Così soffice… così verde…»

Soft & green è l’attrattivo titolo sotto il quale una delle principali aziende italiane di produzione di carta per uso igienico e domestico presenta il proprio piano per la sostenibilità. L’azienda ha scelto di appoggiare una serie di iniziative di educazione e comunicazione ambientale sia a livello nazionale (tra cui il «Pianeta Terra Festival», che si tiene a Lucca dal 2022) che internazionale, come quella che la vede impegnata in un progetto di conservazione ambientale e sviluppo socioeconomico in un’area «a ridosso» della foresta amazzonica. Il nome del progetto, Together we plant the future (Insieme piantiamo il futuro), ricalca lo slogan dell’azienda partner, leader in America Latina della produzione di carta e cellulosa.

L’obiettivo è ambizioso: «Creare corridoi di biodiversità tra aree di foresta intatte a cavallo tra gli stati brasiliani di Pará e Maranhão», in cui la percentuale della cosiddetta floresta em pé (foresta in piedi, ovvero sopravvissuta) è rispettivamente del 23% e del 20%, e «contribuire a togliere dalla povertà circa 200mila persone entro il 2030 grazie a progetti di generazione di reddito».

Per le loro proprietà, le bacche dell’acai sono considerate tra i frutti più pregiati dell’Amazzonia brasiliana. (Foto Bermix Studio – Unsplash)

In Brasile, le Ong ambientaliste si schierano su due fronti opposti, ovvero tra chi si associa ad un’azienda entrata nel gotha della finanza verde per il contributo al sequestro di carbonio tramite piantagioni monocolturali di eucalipto (di cui, però, resta ancora da valutare l’effettiva efficacia) e chi non esita a tacciarla di greenwashing (adottare pratiche green più di facciata che di sostanza).

Le «quebradeiras» (spaccatrici) del cocco «babaçu» (un particolare cocco dalle piccole dimensioni). (Foto da Carta Capital)

Le comunità locali – indigene, quilombolas (nome con cui, in Brasile, si definiscono i discendenti degli schiavi), di piccoli agricoltori o raccoglitori e raccoglitrici dei frutti della foresta interessate dall’espansione delle coltivazioni tradizionali nelle loro terre (cocco babaçu, acai, buriti, bacuri, castanha) sono, invece, unanimi nel collegare il nome del colosso brasiliano a una serie di violazioni dei loro diritti: dalla contaminazione dei corsi d’acqua con pesticidi al prosciugamento delle sorgenti, dalla costruzione di strade senza consultazione previa, fino all’esproprio vero e proprio.

Di fatto, il processo di acquisizione fondiaria da parte dell’azienda viene da lontano e presenta molte ombre. Già nel lontano 1985, nel sud est del Maranhão, l’impresa aveva acquistato piantagioni di eucalipto da una succursale della compagnia mineraria Vale do Rio Doce con l’intento di fornire combustibile vegetale all’industria siderurgica come parte del programma Grande Carajás [1]. Grazie a concessioni statali e prestiti bancari, nel corso degli anni ’90 l’azienda brasiliana si estende verso ovest, fino al confine con il Pará, dove, nel 2008, rileva circa 80mila ettari di terra già piantata a eucalipto da un’altra succursale della compagnia per installare una nuova fabbrica di cellulosa a Imperatriz. Fino a qualche tempo, la città vantava il titolo di «porta dell’Amazzonia», vista la sua ubicazione nella regione dove il cerrado (un habitat costituito di praterie e alberi da frutto nativi) cede il posto alla foresta.

Un processo così rapido ed esteso di concentrazione fondiaria – si stima che ora l’impresa possegga migliaia di ettari nello stato – ha fatto sospettare che dietro atti di compravendita apparentemente regolari tra privati, ci sia in realtà l’accaparramento di terre pubbliche o appartenenti alle comunità locali che si sono viste sottrarre, con la frode o con la forza, gli spazi di produzione a cui è intimamente legata la loro sopravvivenza come identità culturali collettive.

Non sappiamo quanto l’omologa azienda italiana che promuove iniziative di ampio respiro educativo e culturale sia a conoscenza delle controversie che pesano sul partner oltreoceano, né quanto gli organizzatori di tali iniziative abbiano interesse a ricostruire le «relazioni pericolose» dei loro sponsor.

L’invito è, dunque, a vigilare su un settore come quello della finanza verde che cresce a dismisura – la Banca mondiale stima che beneficerà di finanziamenti per 30 trilioni di dollari entro il 2030 -, di pari passo però con fenomeni come quelli in atto nell’Amazzonia brasiliana dove l’espansione delle monocolture spinge sempre più le popolazioni tradizionali a riversarsi nelle periferie delle città tra le più violente del Paese (nel 2018 Imperatriz figurava tra le 50 città più violente del Brasile). Qui si trovano costrette a contendersi impieghi precari con le classi urbane più svantaggiate o a dipendere dai sussidi elargiti dai loro stessi carnefici.

Silvia Zaccaria, antropologa

In tempi di emergenza ambientale, la pratica del «greenwashing» è sempre più diffusa. (Illustrazione da iconaclima.it)

[1] Il programma «Gran Carajàs» è tristemente noto per aver portato sull’orlo del genocidio il popolo Awà Guajà le cui terre sono state attraversate da una strada e dalla linea ferroviaria omonima. Recentemente la Vale S.A., nome della compagnia dopo la privatizzazione, si è aggiudicata il titolo di peggiore multinazionale del mondo (cfr. Vale remporte le Public Eye Awards, le prix accordé à la pire entreprise du monde / Habitants des Amériques / Nouvelles / Home – International Alliance of Inhabitants).




Ventimiglia. Refus d’entreé

Ventimiglia. Hamza Alami, 17 anni del Marocco, è seduto nel dehor del bar Anthony di fronte alla stazione di Ventimiglia. È appena arrivato con un treno da Torino insieme a un amico. Scorrono gli orari del treno sul cellulare e ogni tanto danno uno sguardo al grande orologio della stazione. Poi provano ad avvicinarsi all’ingresso presidiato da un’agente della polizia e due militari dell’esercito italiano che controllano i documenti. Con fare preoccupato si allontanano e si siedono su un muretto, in attesa del momento propizio per attraversare il confine in treno, così come decine di altre persone migranti sedute tra i bar e i gradini della stazione. Hamza sa che, per arrivare in Francia, la sua meta definitiva, mancano solamente 17 minuti di treno e 3,50 euro di biglietto. Troppo poco per desistere ora. Soprattutto se alle spalle si ha un viaggio di oltre un mese. Partiti da Fez, in Marocco, il 17 agosto, con il loro passaporto hanno viaggiato in aereo fino in Turchia. Da lì è iniziata la risalita lungo la rotta balcanica, attraverso la Bulgaria, Serbia, Ungheria, Austria per poi arrivare in Friuli da cui hanno preso diversi treni fino a Ventimiglia. Una via inusuale in questo periodo in cui la maggioranza di persone, principalmente di origine sudanese, eritrea, e dell’Africa francofona, arriva nella città ligure dalla rotta del Mediterraneo centrale via Lampedusa.

«Abbiamo camminato notte e giorno per un mese. Siamo esausti e feriti. Passando la frontiera tra Bulgaria e Serbia mi sono squarciato la mano con il filo spinato. Ora siamo determinati a passare e ci proveremo in tutti i modi anche se sappiamo che la gendarmerie è ovunque e proverà a respingerci in Italia», spiega Hamza, prima di tornare verso la stazione e salire sul primo treno per Mentone, dopo averci dato il suo numero di WhatsApp. «Vi farò sapere se arrivo dall’altra parte», dice con sorriso convinto.

Ventimiglia. Ragazzi appena respinti dalla polizia francese, già passati sul lato italiano. Foto Simona Carnino

E la gendarmerie effettivamente c’è, più agguerrita che mai. Durante la sua visita a Mentone del 13 settembre scorso, il primo ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, aveva annunciato una chiusura pressoché totale della frontiera con Ventimiglia, in seguito all’aumento esponenziale degli arrivi a Lampedusa nei mesi di agosto e settembre.

«Abbiamo visto in queste ore un maggior dispiegamento delle forze francesi sulla linea ferroviaria e sui valichi di frontiera di ponte San Luigi e ponte San Ludovico. Inoltre, sono stati impiegati reparti dell’esercito per intercettare i migranti sui sentieri di montagna sulla parte della frontiera della val Roja verso Sospel e Breil, cosa che non avevamo mai visto» spiega Jacopo Colomba, project manager di We World che, insieme a Diaconia Valdese, fornisce orientamento legale ai migranti a Ventimiglia.

La Francia, che ha sospeso gli accordi di Schengen e ripristinato le frontiere interne dal 2015 dopo l’attentato del Bataclan, ufficialmente per ragioni di sicurezza, ufficiosamente per limitare l’accesso dei migranti, in realtà è da otto anni che prova a respingere tutti, anche i minorenni, che, secondo la Convenzione di Ginevra, hanno il diritto di essere presi in carico in qualsiasi paese di arrivo.

In queste ore però i controlli sono a tappeto, e se fino a giugno si verificavano circa 80 respingimenti quotidiani, secondo il recente report «Vietato passare» di Medici senza Frontiere, ora vengono «rimbalzate» a Ventimiglia tra le 100 e le 150 persone ogni giorno. La gendarmerie ferma qualsiasi auto in arrivo dall’Italia. Controlla gli abitacoli e ne apre i bagagliai. Alla frontiera marina di San Ludovico sono presenti decine di mezzi e verrà costruito un nuovo centro di identificazione, oltre a quello esistente alla frontiera di San Luigi. Il punto più inespugnabile però è la ferrovia. La stazione di Menton Garavan, prima fermata dopo Ventimiglia, è un posto di blocco quasi invalicabile. La gran maggioranza dei treni provenienti dall’Italia vengono setacciati in lungo e in largo da circa sette agenti della gendarmerie. Seduti in stazione, aspettano il treno, si mettono i guanti e il gilet antiproiettile ed entrano. Dopo pochi minuti, ne escono con tutti coloro che non hanno i documenti.

Ventimiglia. Ragazzi minorenni (un 14enne) respinti dalla polizia francese, ma registrati come maggiorenni a Lampedusa. Foto Simona Carnino

Lo sa bene Isaac. Si copre la testa con il cappuccio della felpa e si stringe nelle spalle seduto sul muretto sul lato italiano della frontiera di ponte San Luigi. Guarda il mare e pensa al da farsi insieme ad altri ragazzi che, come lui, sono stati fermati sul treno e respinti dalla Paf, la polizia di frontiera francese.

fine prima puntata, continua)

di Simona Carnino

Ventimiglia, passo della morte, via alternativa al treno per raggiungere Menton, in Francia. Foto Simona Carnino




Presentazione della rivista di ottobre

Editoriale

Il Sinodo: da evento a processo

Una riflessione delle riviste missionarie italiane (Fesmi) in occasione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che si svolge a Roma dal 4 al 29 ottobre e che ha per tema: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione». […]

Dossier

Foto di gruppo dei due capitoli generali IMC e MdC con il cardinal Parolin

In un cambiamento d’epoca. I capitoli generali della famiglia Consolata

Tra l’8 maggio e il 24 giugno si sono tenuti i due capitoli generali dei missionari e delle missionarie della Consolata. Le due assemblee hanno avuto anche una due giorni in comune, il 3 e 4 giugno, durante la quale hanno partecipato in collegamento online anche diversi laici missionari della Consolata, che completano la famiglia Allamaniana.

Il capitolo generale si tiene ogni sei anni. È un’assemblea della durata di circa un mese, durante il quale i delegati o le delegate degli istituti, provenienti da tutto il mondo, si riuniscono e condividono riflessioni, bilanci e programmi. Infine, l’assemblea dei capitolari elegge i nuovi consiglieri, il (o la) generale e il (o la) vice generale, che saranno le guide dei rispettivi istituti fino al 2029.

In questo periodo storico di cambiamenti rapidi e profondi, pensiamo che i prossimi sei anni saranno fondamentali per i due istituti fondati da Giuseppe Allamano. Abbiamo dunque ritenuto importante raccontare in un dossier, senza pretese di essere esaustivi, le linee principali emerse dai lavori. […]

Articoli

In Venezuela. Foto Yuri Cortez / AFP.

La Russia in America Latina:
Le mosse dello zar

La presenza di Mosca nei paesi latinoamericani è mutata nel corso degli anni: da estemporanea (con i flussi migratori) è diventata politica ed economica. In tempi recenti, ha amplificato la sua influenza tramite i suoi canali informativi (Rt e Sputnik). Dopo l’aggressione all’Ucraina, cos’è cambiato? E come sono le relazioni con la Cina, alleata a livello politico ma concorrente in America Latina? […]

Foto Piero Battisti.

Accade nelle Langhe:
Le vigne del riscatto

Colline, vigneti, borghi, panorami, cantine. Dal 2014, le Langhe sono patrimonio dell’Unesco. Sono bellezza, lavoro, denaro, fama. Nel caso (unico) dell’«Accademia della vigna», nata esattamente un anno fa, possono significare anche buone pratiche e sostenibilità sociale, riscatto e integrazione.

Il giovane Ousmane viene dalla Guinea Conakry. Ha trovato finalmente un lavoro stabile, e ogni mattina inforca la sua bicicletta e raggiunge l’azienda agricola Mirafiore, dove è stato assunto in qualità di operaio di vigna. […]

Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole:
Piccoli soldati crescono

Le scuole italiane aprono le porte alle Forze armate. La società civile si organizza per reclamare la priorità del valore della pace e della nonviolenza come colonna portante del percorso formativo dei minori. L’Osservatorio, nato solo pochi mesi fa, raccoglie e diffonde informazioni su questa pericolosa deriva.

Pochi giorni prima della chiusura delle scuole, il 5 giugno scorso, 200 studenti di Messina, di età compresa tra i 9 e i 16 anni, hanno partecipato alla festa dell’Arma dei Carabinieri nella locale base della Marina militare. […]

Reportage da una Mogadiscio blindata:
Sognando la normalità

Uno stato debole ma che c’è, e ha promesso di sconfiggere i fondamentalisti entro un anno. Occorre rilanciare l’economia piegata da tre decadi di guerra. Forse questo sarà un anno di svolta. Intanto cresce l’influenza della Turchia. E l’Italia che fa?

I fucili mitragliatori a tracolla pronti a essere utilizzati. Addosso elmetti e giubbotti antiproiettili in kevlar. Gli sguardi sempre puntati intorno, verso possibili minacce. Gli agenti della scorta sono all’erta. […]

Porta Palatina, Torino. Foto Alice Mandracci.

Il progetto Migrantour:
«Oggi vi accompagniamo noi»

A Torino, migranti di diversi paesi sono diventati «accompagnatori interculturali» nella città che li ha accolti. Gli obiettivi sono importanti: promuovere la coesione sociale e la convivenza, valorizzare il pluralismo culturale e il dialogo interreligioso. Il successo del progetto è stato tale che oggi viene proposto in altre città italiane ed europee.

L’altro giorno stavo andando a fare la spesa a Porta Palazzo, quando all’angolo tra piazza della Repubblica e via Milano mi sono imbattuto in una comitiva di turisti. Francesi? No. Tedeschi? Nemmeno. Americani? Neanche. Giapponesi? Neppure. Si trattava di turisti ancora più esotici. […]

Rubriche

Noi e Voi

Più vita di missione

Trovo sempre meno testimonianze di vita vissuta nella rivista MC (spesso solo in qualche trafiletto nelle ultime pagine), e molto più, certo apprezzabile, giornalismo che racconta i vari paesi del mondo. Ecco, perdonatemi la richiesta, ma secondo me sarebbe bello vi fosse molto più spazio dei racconti della vita di missione, come forse era alle origini quando era l’allegato a raccogliere i racconti dei missionari. […]

Onorificenza pontificia a padre Sandro Faedi

Papa Francesco ha voluto riconoscere e distinguere padre Sandro Faedi, missionario della Consolata nativo di Gambettola (Cesena), con la decorazione «Pro Ecclesia et Pontifice». La cerimonia di consegna della medaglia d’onore al missionario (nella foto, al centro padre Sandro Faedi e a sinistra il vescovo di Tete monsignor Diamantino Antunes) si è svolta domenica 13 agosto a Zóbuè, nella diocesi di Tete, Mozambico, in occasione del pellegrinaggio diocesano al santuario dell’Immacolata Concezione. […]

Perché partire, perché restare

Stimatissimo Marco Bello, ho letto il suo editoriale su Missioni Consolata di Agosto 2023, «perché partire, perché restare». È proprio il nocciolo della questione. […]

Perplessità

Caro Marco, forse ricorderà lo scambio di battute quando cercammo – vanamente – di aiutare Haiti: anche se a volte le nostre ideologie non coincidono, le cose da fare ci trovavano in pieno accordo. […]

Economia

L’avidità si paga

Nel 1987, il «giorno del sorpasso» (overshoot day) arrivò il 19 dicembre. Nel 2023 è stato lo scorso 2 agosto. Da tempo sappiamo che, con gli attuali livelli di consumo, una Terra non basta. Oggi la scelta non è soltanto tra sviluppo «sostenibile» e «insostenibile», ma anche tra sviluppo «egoistico» e «altruistico».

Se non bastassero la siccità in pieno inverno e le alluvioni, gli allagamenti e le bombe d’acqua dell’estate, ci sono i calcoli matematici a confermarci la gravità degli squilibri ambientali che l’uomo ha creato.

Un metodo di calcolo utilizzato è l’overshoot day, alla lettera il «giorno del sorpasso», che ci indica il giorno dell’anno in cui la nostra avidità supera la capacità di rigenerazione del pianeta. È la data in cui i nostri consumi smettono di basarsi sulla capacità riproduttiva della terra e avvengono a spese del capitale naturale. Come chi avendo finito la legna da ardere decide di scaldarsi buttando nel caminetto pezzi di travicelli tolti dal tetto. Lì per lì ha la sensazione che tutto tenga, ma alla fine si ritrova senza legna e senza tetto. […]

Camminatori

Osea, profetizzare con la vita

Ci sono alcuni artisti dei quali diciamo che fanno arte con la loro stessa vita, con le loro scelte, con il loro stile personale. Succede anche nel mondo biblico che alcuni profeti annuncino il volto di Dio con le proprie azioni. Lo fanno Geremia ed Ezechiele, che a volte si mettono a fare gesti strani, enigmatici, per introdurre le loro predicazioni. Ma, secoli prima di loro, succede in modo straordinario e sconvolgente anche a un altro profeta, forse meno noto ma che affascinerà molto i redattori biblici. […]

Cooperando

Argentina, contro le diseguaglianze

Il Paese, al voto per l’elezione del presidente della Repubblica il 22 di questo mese, conta diverse realtà di missione fra le più vivaci dell’America Latina. I progetti, in corso o in via di formulazione, dei Missionari della Consolata hanno tutti un tratto in comune: la lotta alle diseguaglianze.

l 22 ottobre gli argentini andranno a votare per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. È probabile che ci sarà un secondo turno, il 19 novembre, se nessuno dei candidati avrà ottenuto il 45% dei voti oppure almeno il 40% e dieci punti di scarto rispetto alla forza politica che arriverà seconda. […]

I Perdenti

Rosario Livatino: sub tutela Dei

Da qualche mese sta girando in tutta Italia una bella mostra, presentata per la prima volta al Meeting di Rimini nell’estate del 2022, con il titolo «Sub tutela Dei. Il giudice Rosario Livatino».

Chi è questo giovane giudice, morto il 21 settembre 1990 sotto i colpi della mafia siciliana? E perché è stato beatificato – primo giudice nella storia della Chiesa – il 9 maggio 2021?

Ecco qualche breve cenno sulla vita e sul pensiero di una figura che merita di essere conosciuta sempre di più, non solo come beato, ma anche come professionista. […]

Amico

Perderci e ritrovarci

Sono qui di fronte a te. Dopo una notte di lavoro lunga e infruttuosa. Ora è l’alba, e tu ti sei presentato alla mia fame per offrirmi un buon cibo preparato da te (Gv 21). Ricordo di noi due. Ti avevo cercato per molto tempo senza trovarti, e, quando tu mi hai trovato, ho scoperto che anche tu mi cercavi. Da sempre.

Ricordo di avere più volte rischiato di perderti, e che tu mi perdessi. Di avere sentito che, perdendo te, avrei perso anche me. Paura di rimanere senza un nome da pronunciare, senza un volto che chiamasse il mio nome.

Non ti ho mai perso fino a quella sera, quando mi hai detto: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi» (Gv 13,36). Quando ti ho chiesto di tenermi con te e di poter morire per te, e di perdermi per te, e tu non hai voluto.

Librarsi

Con la resistenza civile

Dentro un conflitto cruento o contro un regime oppressivo, cosa funziona di più? La resistenza armata o quella civile? Al di là delle valutazioni morali, studiare quali azioni sono più efficaci e catalogarle e raccontarle, come ha fatto l’autrice del libro di questo mese, può offrire una risposta semplice e logica.

«La nonviolenza è una bella idea, però funziona solo in alcuni casi. Se tutti fossimo nonviolenti, il mondo sarebbe più giusto e pacifico, ma non è così, e sin tanto che esisteranno aggressori, prepotenti, tiranni, dovremo attrezzarci per combatterli con le loro stesse armi».

«In una democrazia, la resistenza civile è da preferire, ma nelle autocrazie, dove il popolo viene represso da un governo dispotico, non raggiunge risultati». […]