Oulx. Morsel allaccia le stringhe delle scarpe, si butta la giacca sulla spalla e si siede a cavalcioni di una panca, insieme ad altri due ragazzi sudanesi come lui, partiti da Kartoum in direzione Parigi oltre un mese fa.
Morsel ha sedici anni, così come il suo amico Majob, mentre Abubakl ne ha appena compiuti diciassette. Seduti nel piazzale davanti al rifugio Massi che da anni fornisce un letto, un pasto caldo, cure mediche e orientamento legale ai migranti in transito verso la frontiera del Monginevro, suonano la chitarra e ridono guardando un video su Youtube. Poi diventano seri, attivano il Gps dello smartphone e studiano qual è il sentiero migliore per attraversare la frontiera sulla montagna che divide Claviere, ultimo comune italiano (in provincia di Torino), da Briançon, primo comune francese.
La sera prima avevano già provato, ma la Police aux Frontières li ha visti, fermati e respinti in Italia, come fa con il 99% delle persone che provano a oltrepassare l’invisibile linea di frontiera, senza un documento valido per transitare in Unione europea. Durante il fermo e le ore trascorse in alcuni container alle spalle della caserma di frontiera condivisa da francesi e italiani, i ragazzi si sono resi conto di avere qualcosa in comune oltre alle origini. Tutti e tre minorenni, sono stati respinti dalla gendarmerie in Italia come se fossero maggiorenni.
Nonostante la Corte di Giustizia dell’Unione europea, dietro ricorso di varie associazioni tra cui Avocats pour la défense des droits des étrangers, abbia dichiarato illegali i respingimenti attuati dalla Francia, in quanto contravverrebbero alla direttiva europea sui rimpatri, la gendarmerie rimanda indietro senza troppi ripensamenti tutti i migranti che riesce a intercettare al confine, in montagna o sull’autobus che da Torino attraversa il valico del Frejus. Si tratta di adulti, richiedenti asilo, donne incinte, genitori con bambini piccoli, ma anche minori non accompagnati, la maggior parte dei quali è stata registrata con un’età maggiore di quella effettiva in Eurodac, il database europeo contenente le impronte digitali di coloro che richiedono asilo politico e delle persone fermate mentre varcano irregolarmente una frontiera esterna dell’Unione Europea.
«Ho detto ai poliziotti francesi che ho 16 anni, ma loro mi hanno risposto che dal controllo delle impronte digitali che mi hanno preso a Messina viene fuori che ho 23 anni», spiega arrabbiato Morsel. Stessa cosa è successa Abubakl e Majob che, al loro arrivo in barca da Sfax, Tunisia, sono stati registrati rispettivamente a Catania e Lampedusa come due diciannovenni.
Mentre Morsel racconta la sua storia, altri ragazzi si avvicinano. Comincia a tradurre dall’inglese all’arabo e viceversa. Chiede loro l’età e se sono stati registrati con la data di nascita corretta in Italia. Tutti scuotono la testa. Poi indica due ragazzi e ci dice: «A lui hanno cambiato la data di nascita a Lampedusa e a lui a Catania. Non ti ascoltano, anche se dici che sei minorenne».
La secchiata d’acqua fredda arriva proprio quando la gendarmerie ferma i ragazzi all’uscita dei confini italiani. In quel caso, i funzionari francesi non fanno che certificare l’età attribuita in Italia, per cui li respingono come maggiorenni, contravvenendo al diritto del minore di essere accolto e protetto secondo la Convenzione sui diritti del fanciullo.
E mentre l’Italia tuona contro i cosiddetti falsi minori con l’approvazione il 5 ottobre da parte del Consiglio dei ministri del decreto 133 che prova a screditare la presunzione di minore età, richiedendo accertamenti antropometrici o sanitari, in caso di dubbio, nell’invisibilità istituzionale cresce il fenomeno dei falsi adulti.
«Il 90% dei minorenni che visitiamo in ambulatorio è stato registrato come maggiorenne a Lampedusa – spiega Federica Tarenghi, coordinatrice delle attività mediche per Medici per i Diritti Umani e Rainbow for Africa a Oulx -. Ogni giorno si presentano davanti all’ambulatorio del rifugio Massi 20-30 ragazzi in questa situazione. È un fenomeno sistemico che stiamo denunciando da tempo e che comporta che i ragazzi vengano respinti sulla frontiera francese come adulti, invece di essere protetti e accolti in forza della loro minore età».
Stessa cosa è stata segnalata da Diaconia Valdese e Danish Refugee Council che al Massi offre orientamento legale alle persone in transito: «In Francia le persone che si dichiarano minorenni avrebbero diritto a una nuova identificazione – spiega Lucia Pizzuti operatrice legale delle due organizzazioni -. Tuttavia la polizia francese non fa che confermare l’identificazione erronea fatta in Italia e quindi li respinge. Spesso dico ai ragazzi di provare a farsi mandare i documenti anagrafici dai propri familiari, ma mi rendo conto che per loro non sia facile».
Ed effettivamente non è scontato risalire al proprio certificato di nascita soprattutto per chi nasce, ad esempio, in un villaggio in Darfur o in una piccola comunità rurale del Niger. Inoltre, la maggior parte dei minori registrati come adulti non ha interesse a richiedere una rivalutazione del proprio caso in Italia, perché questo significherebbe fermarsi in un paese di transito e dilatare il tempo che li separa dalla propria meta finale spesso in Francia o in Gran Bretagna.
Anche se è difficile dimostrarlo con documenti alla mano, il disallineamento tra l’età reale del minore migrante e quella registrata per mano dei funzionari dei diversi centri di prima accoglienza è un fenomeno esistente, a detta dei ragazzi incontrati sulle frontiere in uscita dall’Italia e degli operatori medici e legali delle associazioni che ne vedono passare a decine ogni giorno.
Lo stesso fenomeno è stato registrato anche a Ventimiglia così come abbiamo scritto in precedenza (Refus d’entrée e A qualsiasi costo).
«L’Italia si libera dei minori e dell’obbligo di inserirli nelle strutture a essi dedicate – spiega Gianfranco Schiavone, ex presidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione e presidente del Consorzio italiano di solidarietà -. Si tratta di un’elusione generalizzata della legge. È come se i minori stranieri non accompagnati non ci fossero».
E di fatto è così. Morsel, Abubakl e Majob non esistono. Almeno non con i loro 16 e 17 anni. Esistono come maggiorenni, con un’identità appiccicatagli da qualche funzionario dello stato italiano.
È sera al rifugio Massi quando i tre ragazzi decidono di mettersi in cammino a piedi verso Claviere. Se fossero minori potrebbero prendere un bus e presentarsi in frontiera francese per chiedere protezione internazionale, ma non è così. Dovranno scalare una montagna di notte e di nascosto, provando a non scivolare.
Alle spalle lasciano il rifugio con i suoi operatori e volontari, una piccola umanità operosa che nelle ultime settimane ha sfamato, vestito e dato un letto per dormire quotidianamente a circa 150 persone, con picchi di 300 persone al giorno.
«Registration in Italy was a big lie (la registrazione in Italia è una bugia). Quella persona di 23 anni non sono io», dice Morsel mentre si frega le mani per il freddo, seduto su una panchina di Claviere verso le 10 di sera, poco prima di provare a superare la frontiera dal lato più irto della montagna.
Simona Carnino