Somalia. Sognando la normalità

Reportage da una Mogadiscio blindata

Somalia
Enrico Casale

Uno Stato debole ma che c’è, e ha promesso di sconfiggere i fondamentalisti entro un anno. Occorre rilanciare l’economia piegata da tre decadi di guerra. Forse questo sarà un anno di svolta. Intanto cresce l’influenza della Turchia. E l’Italia che fa?

I fucili mitragliatori a tracolla pronti a essere utilizzati. Addosso elmetti e giubbotti antiproiettili in kevlar. Gli sguardi sempre puntati intorno, verso possibili minacce. Gli agenti della scorta sono all’erta. Hanno l’adrenalina al massimo anche se, per loro, questa è una missione come un’altra in una delle città più pericolose del mondo: Mogadiscio, la capitale della Somalia. Sono una decina sul pick-up che ci precede. Un’altra ventina sui due mezzi che ci seguono. Tra noi e loro il fuoristrada del comandante della scorta, un sudafricano alto due metri e massiccio come una roccia. «Qualsiasi cosa succeda – dice prima di partire -, non scendete dal fuoristrada se non ve lo ordino io. E, una volta a terra, continuate a seguire le mie indicazioni». Questo è quanto attende un europeo che voglia lasciare il compound dell’aeroporto di Mogadiscio per avventurarsi in città.

Lo scalo, costruito dagli italiani e ristrutturato dai turchi, è una sorta di città fortezza dove c’è di tutto: alberghi, negozi, aziende. La struttura è protetta da mura solide sormontate da chilometri di filo spinato. Rinunciare alla scorta è impossibile: militari, contractors o uomini di compagnie di sicurezza devono accompagnare qualsiasi convoglio sia all’interno dell’aeroporto sia all’esterno.

Appena fuori dall’hotel, troviamo un primo posto di blocco con sbarre, gestito da soldati ugandesi armati con Ak-47. Poi un altro, sempre composto da soldati ugandesi. A fianco delle sbarre un mezzo dell’Unione africana simile agli Iveco Lince in dotazione delle forze armate italiane. Più avanti un altro blocco. Questa volta la colonna è costretta, da una fila di jersey in cemento a rallentare drasticamente e a fare una serpentina. Si entra in città.

African Union Mission to Somalia (AMISOM) soldiers carry the wreckage of a vehicle at the scene of suicide bombing that targeted AMISOM forces in Mogadishu, Somalia, on November 11, 2021. (Photo by AFP)

Mogadiscio è viva

L’immagine che avevamo prima di arrivarci era quella di una metropoli spaventata, chiusa in sé, con poco traffico e poca gente. Invece le strade sono piene di uomini, donne, animali (soprattutto capre e asini). Ai bordi, piccoli mercati, negozi, locali affollati. C’è un continuo viavai di piccoli taxi apecar. Mogadiscio è viva. C’è fermento.

Certo le strade sono malridotte, sporche (anzi, sporchissime), il traffico è caotico, ma non è una metropoli spenta. Nell’aria, però, c’è una tensione palpabile. Ogni volta che il nostro convoglio rallenta o si ferma, gli uomini della scorta saltano giù dai mezzi e controllano intorno. Raggiunta la nostra meta, un’altra scena di guerra. Tutti gli uomini della scorta saltano giù dai mezzi e bloccano la via. La nostra jeep entra nel compound e, solo dopo che i nostri uomini hanno accertato che le condizioni sono buone, possiamo scendere.

La portiera del mezzo pesa moltissimo. Si fa fatica ad aprirla, la blindatura è consistente. Dopo una breve sosta, dobbiamo andare verso un’altra meta.

Passiamo il Km4, rotonda già teatro di attentati di al-Shabaab. Poco più in là. Due camion ostacolano la strada. Li superiamo. Poi, uno, due, tre colpi di arma da fuoco. La colonna prosegue, ma arriva l’ordine: «Rientrare!». Più avanti, ci viene detto, c’è una manifestazione di studenti. La polizia ha sparato per disperdere i manifestanti. La colonna fa dietro front. Ci aspettano ancora i posti di blocco. Rientriamo nella nostra bolla di sicurezza.

(Photo by Hassan Ali ELMI / AFP)

Sconfiggere al-Shabaab

La Somalia vive ancora nell’insicurezza. Nonostante il governo guidato dal presidente Hassan Sheikh Mohamud, sostenuto da Usa, Unione africana, Unione europea e Turchia, abbia lanciato un’offensiva a tutto campo contro al-Shabaab, le milizie fondamentaliste legate ad al-Qaeda hanno ancora molte basi nell’entroterra. Covi dai quali lanciano continuamente attacchi contro le istituzioni e le caserme federali.

«Nell’arco di un anno – ha detto il capo dello Stato – sconfiggeremo gli islamisti». Un ottimismo forse eccessivo, ma al quale la popolazione vuole dare credito. «Il nostro presidente ha detto che al-Shabaab sarà sconfitto nell’arco di un anno. Io penso che ce ne vorranno almeno due per eliminare le milizie fondamentaliste». Non ha dubbi Jamila, giovane insegnante somala. Secondo lei il destino della filiale locale di al-Qaeda è segnato.

Al-Shabaab arruola giovani poveri, non istruiti, con nessuna formazione professionale né lavoro. Al-Shabaab ha promesso loro una vita migliore e loro ci vedono un’opportunità.

Sono ragazzi vittime di anni in cui la Somalia era uno Stato senza autorità, senza legge, senza servizi per la popolazione. «Oggi – continua Jamila – le cose stanno cambiando. Lo Stato c’è, anche se è debole. Le scuole hanno riaperto. I ragazzi e le ragazze possono studiare. Persone istruite e con un lavoro non hanno interesse ad aderire a una formazione estremista che offre, ora lo sappiamo, un’unica prospettiva, quella della morte, della violenza e della distruzione».

I militari hanno ottenuto numerosi successi sul campo. La vera incognita è se riusciranno da soli a respingere l’offensiva di al-Shabaab. Le forze Atmis (African union transition mission in Somalia, è la missione dell’Unione africana che ha sostituito la precedente, Amison nell’aprile 2022, ndr) hanno infatti annunciato che, gradualmente, si ritireranno lasciando la sicurezza interamente in mano ai somali. «Gli attentati, anche nella capitale, sono sempre dietro l’angolo – conclude l’insegnante -. Il futuro però è segnato. I fondamentalisti saranno sconfitti nei fatti e noi potremo tornare a essere un Paese normale che si gioca il suo futuro sui binari della pace e dello sviluppo. A partire dai giovani».

Sicurezza ed economia

Se la sicurezza è una priorità del governo somalo, il rilancio dell’economia è altrettanto fondamentale. Più di trent’anni di guerra civile hanno messo al tappeto un sistema economico già fragile. Eppure le risorse per il rilancio non mancano. Il Paese può contare su un mare pescoso, su un allevamento di animali (cammelli soprattutto) molto forte, su risorse naturali (petrolio), terreni fertili (vicino ai principali corsi dei fiumi).

Il 2023 potrebbe poi essere un anno di svolta per la Somalia anche per il riconoscimento internazionale della ristrutturazione del suo debito estero. «La Somalia potrà tornare sul mercato internazionale per ottenere fondi – osserva Ygor Scarcia, responsabile a Mogadiscio di Unido (agenzia Onu per lo sviluppo industriale -. Si tratta di un segno importante per l’intero Paese. Mogadiscio dovrà però essere capace di investire questi fondi secondo priorità precise evitando gli errori del passato. Un passaggio nel quale la Somalia dovrà dimostrare serietà e nel quale la comunità internazionale dovrà accompagnare le autorità locali».

(Photo by Hassan Ali Elmi / AFP)

Presenza turca

A lavorare attivamente in Somalia c’è la Turchia. Ankara ha scommesso sul Paese quando era ancora quasi interamente in mano ad al-Shabaab.

Era il 19 agosto 2011, in pieno Ramadan, quando Recep Tayyp Erdogan atterrava nella capitale somala, accompagnato da moglie e figlia, dai suoi ministri e dalle loro famiglie, portando con sé una parte dei 250 milioni di dollari raccolti in Turchia da privati cittadini a sostegno dell’appello contro la carestia.

Un gesto che fece scalpore e fu seguito da altre azioni di soft power come la concessione di borse di studio, la possibilità offerta ai giovani somali di studiare in università turche, aiuti alle regioni più svantaggiate economicamente, ecc.

Alla Turchia si sono aperte le porte della Somalia. Le aziende di Ankara hanno ristrutturato l’aeroporto e il porto di Mogadiscio. Molti nuovi quartieri della capitale sono stati ricostruiti da imprese edili turche.

E l’Italia? L’ex potenza coloniale quale ruolo può avere nel rilancio della Somalia? «L’Italia – ha detto Hamza Abdi Barre, premier somalo, intervenuto al forum Somalia economic conference che si è svolto Mogadiscio il 30 e il 31 maggio – in passato ha sostenuto l’agricoltura somala e ha permesso al nostro Paese di godere di maggiore sicurezza alimentare. L’Italia deve continuare su questa strada per garantire stabilità e sviluppo».

Il governo somalo spera che l’Italia diventi il principale investitore nel Paese. «Stiamo lavorando per garantire stabilità e sicurezza combattendo al-Shabaab – ha osservato -. Questa conferenza può e deve essere un punto di partenza per rafforzare i legami tra i nostri Paesi».

Gli ha fatto eco Abdirizak Osman Giurile, consigliere del presidente somalo per la democratizzazione e il buon governo e incaricato di sostenere il capo dello Stato nelle relazioni con il nostro paese. «Il rapporto con l’Italia – ha detto all’agenzia InfoMundi – negli ultimi trent’anni ha avuto alti e bassi. Ora non va male. L’incontro dei vertici italiani e somali a febbraio a Roma è stato un momento importante».

Il funzionario ha però lamentato uno scarso impegno economico italiano. «Uno stanziamento di 20 milioni è troppo basso. Lo ha riconosciuto lo stesso ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. L’Italia deve fare di più e sostenerci nei settori di punta della nostra economia».

Anche sotto il profilo culturale i somali chiedono un maggiore intervento italiano. «Chiediamo – ha sottolineato ancora Giurile – che l’Italia riattivi e riattualizzi l’accordo del 1973 che prevedeva un sostegno economico importante per aiutare la nostra università, finanziando gli stipendi dei professori e le attrezzature per le facoltà. Il Governo di Roma ha detto che lo farà. Stiamo aspettando».

Phil Moore/IRIN

L’Italia tornerà?

Da parte italiana c’è stata un’apertura. Alberto Vecchi, ambasciatore d’Italia in Somalia, ha dichiarato sempre all’agenzia InfoMundi: «Questa conferenza è il frutto di un impegno che il presidente somalo ha preso nel corso della sua visita a Roma. Sono felice che siamo riusciti a dare seguito a quell’impegno. La Somalia ha relazioni speciali con il nostro Paese che affondano le radici nella storia, e che sono proseguite nel tempo».

Il paese africano, secondo il diplomatico, è unico per la sua posizione particolare e per le sue grandi risorse naturali: «Vogliamo contribuire a dare alla Somalia la possibilità di sfruttare queste risorse e diventare un importante punto di riferimento per la regione».

«L’Italia ci ha lasciato, perché? Perché da trent’anni non investe più da noi? I legami antichi sono spariti?», così parla un vecchio professore somalo che insegna italiano all’università di Mogadiscio. Nelle sue parole c’è il rimpianto per una vecchia amicizia che c’era un tempo e che oggi sembra appannata.

«Ve ne siete andati – osserva – e ora il vostro posto è stato preso da altri. I turchi soprattutto. In Somalia c’erano molte imprese italiane, ma adesso è tabula rasa. Non c’è più nulla. Eppure le opportunità ci sono. La comunità somala in Italia è grande e può fare da ponte tra le due nazioni. L’amore per l’Italia non è svanito».

Se gli si fa notare che la Somalia è un Paese instabile in cui molte regioni sono ancora sotto il giogo dei fondamentalisti islamici, lui risponde duro: «I turchi sono venuti qui nel periodo peggiore. Non c’era sicurezza, né possibilità economica. Ma loro c’erano, voi siete spariti. Tornerete? Me lo auguro. La nostra storia è la vostra e viceversa. Non possiamo dimenticarlo».

Enrico Casale

Somalia’s President Hassan Sheikh Mohamud (Photo by Hassan Ali Elmi / AFP)
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Enrico Casale
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