Più vita di Missione
Gent.mo direttore,
sono un vostro abbonato da lungo tempo, e sempre ricevo copia della rivista con piacere.
Avendo fatto parte in passato di Africa Oggi, un gruppo che organizza campi di lavoro in «terra di missione», ho conosciuto tanti eccezionali missionari della Consolata, la cui dedizione, spirituale e pratica per migliorare il mondo in cui venivano catapultati, è stato esempio per me e per tanti altri che vi hanno conosciuto. Posso ricordare padre Oscar Goapper (anche medico nell’ospedale di Neisu), padre Salutaris Massawe (anche giornalista in Tanzania), padre Igino Lumetti (quante opere in Tanzania), padre Felice Prinelli (quante opere in Colombia ed Ecuador), tra i tanti purtroppo già tornati alla casa del Padre, ma tanti altri ancora in attività che stanno operando in Africa, Asia, Sud America ed Europa.
Ho conosciuto anche altri padri di altri ordini (Monfortani, Pime, Salesiani, etc) e anche Comboniani, come padre Kizito Sesana.
Una grande testimonianza missionaria, ma quante ce ne sono così in Imc che potrebbero essere rese note nella rivista, sia di cari padri non più tra noi che di tanti attualmente in attività?
Trovo sempre meno testimonianze di vita vissuta nella rivista MC (spesso solo in qualche trafiletto nelle ultime pagine), e molto più, certo apprezzabile, giornalismo che racconta i vari paesi del mondo. Ecco, perdonatemi la richiesta, ma secondo me sarebbe bello vi fosse molto più spazio dei racconti della vita di missione, come forse era alle origini quando era l’allegato a raccogliere i racconti dei missionari.
Sempre ringraziando per le vostre opere e con affetto.
Buona continuazione della vostra missione, in particolare al nuovo superiore padre Lengarin e al giovane e bravo cardinale Marengo in Asia.
Carlo
20/08/2023
Grazie dello stimolo che ci dai, caro amico di tanti missionari. Il tuo è davvero anche il nostro desiderio, e infatti è quello che stiamo facendo. In ogni numero diamo spazio a qualche missionario, ma non è scontato che riusciamo a convincere i missionari a raccontarsi per la rivista. Ci sono alcuni che comunicano molto, ma spesso si limitano a scrivere al loro ristretto gruppo di amici, favoriti in questo dai social, ma si sentono imbarazzati a condividere anche con un pubblico più vasto.
Rilancio quindi la tua provocazione ai nostri missionari, invitandoli a sentirsi di casa anche con i lettori di MC raccontando la loro vita missionaria.
Onorificenza pontificia a padre Sandro Faedi
Papa Francesco ha voluto riconoscere e distinguere padre Sandro Faedi, missionario della Consolata nativo di Gambettola (Cesena), con la decorazione «Pro Ecclesia et Pontifice». La cerimonia di consegna della medaglia d’onore al missionario (nella foto, al centro padre Sandro Faedi e a sinistra il vescovo di Tete monsignor Diamantino Antunes) si è svolta domenica 13 agosto a Zóbuè, nella diocesi di Tete, Mozambico, in occasione del pellegrinaggio diocesano al santuario dell’Immacolata Concezione.
L’atto di consegna della pergamena e della medaglia è stato presieduto da monsignor Suman Paul Anthony, incaricato d’affari della Nunziatura apostolica in Mozambico. Si tratta della più importante onorificenza che la Chiesa cattolica conferisce a sacerdoti e laici che si distinguono per la loro fedeltà e il loro servizio alla Chiesa.
Monsignor Diamantino Antunes, vescovo di Tete, ha presentato la vita e l’opera dell’insignito, che ha dato la sua vita alla missione in Venezuela prima, e in Mozambico poi, in particolare nella diocesi di Inhambane e nella diocesi di Tete.
Padre Sandro Faedi è stato ordinato sacerdote a Gambettola nel 1972. Dopo il primo ministero missionario durato 24 anni in Venezuela, dal 1998 svolge la sua missione in Mozambico: prima nella diocesi di Inhambane e, dal 2013, nella diocesi di Tete, dove è stato parroco della parrocchia di San Giuseppe, amministratore apostolico tra il 2017 e il 2019, e attualmente parroco della parrocchia di San Daniele Comboni, economo diocesano e responsabile della Caritas diocesana.
La dedizione alla missione, il suo instancabile impegno nell’evangelizzazione, nella promozione umana, nella liturgia e nella promozione delle vocazioni locali sono stati i motivi che hanno spinto il Santo Padre a concedergli l’onorificenza «Pro Ecclesia et Pontifice».
Da «Corriere Cesenate»
18/08/2023
Perché partire, perché restare
Stimatissimo Marco Bello,
ho letto il suo editoriale su Missioni Consolata di Agosto 2023, «perché partire, perché restare». È proprio il nocciolo della questione. Si cita la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: «Ogni individuo ha il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare al proprio paese». Questi principi universali sono entrati abbastanza nelle leggi e nei costumi delle nazioni occidentali, ma su otto miliardi di abitanti della Terra, noi rappresentiamo sì e no un miliardo, mentre nella maggior parte del mondo restano bei principi, neppure troppo convincenti.
Temo che neppure i paesi occidentali riusciranno a mettere in pratica le buone intenzioni messe negli statuti dell’Onu dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale.
Un po’ ci sono riusciti i paesi scandinavi, ma con poca popolazione e tante risorse ed ora qualche scricchiolio pure lì. Grandi paesi come Francia e Inghilterra, hanno evidenti problemi di integrazione.
L’Europa per sopravvivere al calo della popolazione e all’invecchiamento, ha certo bisogno di milioni di immigrati nei prossimi decenni, ma è una transizione difficile e forse non riuscirà a mantenere i suoi buoni propositi sui diritti umani. Si dovranno dire dei sì con generosità, ma pure dei no dolorosi.
Noi italiani abbiamo portato intelligenza e lavoro in America, ma pure la mafia e i sistemi mafiosi. Lo stesso vale qui, possiamo importare pure leggi e costumi tribali, come il delitto d’onore che da poco abbiamo abolito. I nostri cari principi dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese hanno ancora senso nel mondo che c’è e che verrà? Oppure il miglior governo possibile è quello cinese dove uno dice a tutti cosa fare, cosa pensare, dove andare? È una provocazione, ma il nostro modo di vivere, la nostra libertà, lo stato di diritto di cui abbiamo beneficiato qui negli ultimi 75 anni, sarà ancora possibile per le prossime generazioni?
Don Silvano Cuffolo,
Santuario di Oropa, 20/08/2023
Caro don Silvano,
ho riletto i suoi commenti e le sue «provocazioni».
In molte cose concordo. La questione sulla quale non possiamo però fare passi indietro sono i diritti umani. Sono stati codificati nella Dichiarazione universale, che non considero un mero «statuto» o «codice» dell’Onu. Penso sia stato un passaggio fondamentale fatto dall’umanità, il riconoscere i diritti universali appunto. Una volta riconosciuti, occorre fare di tutto affinché vengano rispettati. Ma questo non è un fatto automatico e per nulla semplice. E per questo motivo in tutto il mondo ci sono persone, e associazioni, che lottano e rischiano la vita affinché questi diritti, codificati e riconosciuti, siano rispettati. Io ho vissuto in Africa e ad Haiti, e sono ben consapevole che in gran parte del pianeta sia molto difficile farli rispettare o, comunque, siamo indietro. Ma non per questo dobbiamo abdicare. Dobbiamo tendere a un mondo migliore. Per noi, ma soprattutto, per le prossimi generazioni (come lei domanda).
Un saluto fraterno,
Marco Bello
Quanto alle migrazioni, da una parte noi qui siamo tentati da una politica migratoria che sia funzionale ai nostri bisogni, visto che abbiamo necessità di badanti, contadini, operai e quanto altro permetta al nostro sistema produttivo e al nostro welfare di continuare a funzionare. Logico sarebbe quindi avere una immigrazione selettiva che permetta l’entrata solo di quelle persone che rispondono a tali bisogni.
Dall’altra, noi continuiamo ad alimentare un sistema di rapina delle risorse dei paesi del Sud del mondo al quale è funzionale l’instabilità politica, la deforestazione con tutte le sue conseguenze per i popoli indigeni e l’ambiente, lo sfruttamento schiavista della manodopera, il sostegno a regimi dittatoriali e tante altre cose simili.
Il tutto aggravato dalla crisi climatica.
Da ultimo non va dimenticato il bombardamento mediatico che da anni sta facendo un lavaggio di cervello anche nei paesi più poveri dove i social e la televisione (dominate dai nostri network) alimentano un’immagine idealizzata e falsa del nostro mondo come il paese del bengodi.
Fermare l’emigrazione è storicamente impossibile. Per alcuni questa è una minaccia che mette a rischio cultura, identità e valori della nostra società, in realtà può diventare anche l’occasione per un mondo più unito e fraterno, dove la diversità non faccia paura ma diventi stimolo per crescere insieme.
In fondo, non è questo il sogno della missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli quando li ha mandati a essere annunciatori e costruttori di pace, andando in tutti gli angoli del mondo per invitare tutti al grande banchetto preparato dal Padre?
Gigi Anataloni
Perplessità
Caro Marco,
forse ricorderà lo scambio di battute quando cercammo – vanamente – di aiutare Haiti: anche se a volte le nostre ideologie non coincidono, le cose da fare ci trovavano in pieno accordo.
La rivista di cui lei è redattore, è diventata ricca di interesse, con inediti ed oggettivi rapporti su importanti paesi e popoli per lo più ignorati. In tal modo, colma una grave lacuna di informazione, è un vero, prezioso servizio alla verità.
Tuttavia, nel numero di luglio (dossier Riflessioni sulla guerra) mi dispiace trovare un rapporto su di un tema drammatico come quello degli sfollati a causa di guerre, rapporto che liquida le cause di alcuni – gravissimi – conflitti, con semplici battute a danno dei cattivi americani, Nato ecc., come se tutto fosse stato così semplice.
I lettori cui la rivista è destinata meritano qualcosa di più, anche alla luce dei drammi cui stiamo assistendo oggi. Con viva cordialità (e incoraggiamento),
Lorenzo Rossi di Montelera
07/08/2023
Caro dottor Rossi di Montelera,
la ringrazio molto per essere nostro lettore e ancora di più per averci mandato il suo commento.
Ricordo i nostri incontri su Haiti, nella speranza di fare qualcosa di utile. Paese amato, che adesso versa in una situazione sempre peggiore. Sta diventando ancora più difficile intervenire per il bene della popolazione.
Per quanto riguarda il suo commento, capisco benissimo. Le confido che anche nell’ambito della nostra redazione c’è stato dibattito su alcune posizioni espresse dall’autrice di quel dossier. La scelta è stata poi quella di lasciare la libertà all’articolista, giornalista rinomata e nota attivista contro tutte le guerre. Quanto scritto resta un punto di vista, che può essere condivisibile o no, ma è supportato da anni di militanza e di interventi in prima persona (come si deduce anche dagli articoli).
Come MC cerchiamo di essere plurali e anche per questo abbiamo deciso pubblicare la sua lettera ed eventuali altre posizioni differenti.
Marco Bello
I martiri di Chapotera
Concluso il processo di beatificazione
Il 12 agosto, presso il Santuario diocesano di Zobuè, diocesi di Tete, si è svolta la cerimonia di conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei Servi di Dio padri João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira, martiri di Chapotera.
La documentazione di 1.500 pagine raccolta dal gennaio 2022 al giugno 2023, è stata consegnata in scatole sigillate al responsabile della Nunziatura apostolica in Mozambico, mons. Paul Anthony, che lo invierà al Dicastero per le cause dei santi a Roma.
I due Servi di Dio sono stati buoni pastori, hanno sofferto con il loro popolo, hanno sempre cercato la pace e la riconciliazione. Hanno messo le loro qualità umane e spirituali al servizio di Dio e degli uomini, vivendo il loro ideale missionario. Sono stati assassinati il 30 ottobre 1985 nei pressi della residenza missionaria di Chapotera, missione di Lifidzi, in Angonia, nel contesto della guerra civile che ha devastato il Mozambico divenuto teatro di atrocità e violenze commesse sia dai guerriglieri della Renamo che da quelli che sostenevano il regime marxista-leninista della Frelimo. I loro corpi sono stati ritrovati il 4 novembre e sono stati sepolti nel cimitero di Vila Ulongwe lo stesso giorno.
Padre João de Deus Gonçalves Kamtedza, mozambicano, è nato ad Angonia, nella provincia di Tete (Mozambico), l’8 marzo 1930. Entrato nel seminario dei Gesuiti nel 1948, ha professato i voti religiosi nel 1953 a Braga (Portogallo). È stato ordinato sacerdote il 15 agosto 1964. Si è dedicato con tutto il cuore alla missionarietà del suo popolo, prima e per molti anni nella missione di Msaladzi, poi nella missione di Fonte Boa e a Satémwa. Era un uomo dinamico, intelligente, saggio, accogliente, impavido, gioioso, comunicativo e un grande apostolo. Amava il suo popolo, la sua cultura e la sua lingua. Alla fine del 1983 è stato trasferito a Chapotera per evangelizzare e assistere pastoralmente le missioni di Lifidzi e Chabwalo.
Padre Sílvio Alves Moreira è nato a Rio Meão-Vila da Feira (Portogallo) il 16 aprile 1941. Entrato nel seminario dei Gesuiti nel 1952, ha professato i voti religiosi nel 1959. Ha studiato teologia all’Università cattolica di Lisbona tra il 1968 e il 1972. È stato ordinato sacerdote a Covilhã (Portogallo) il 30 luglio 1972. Ha iniziato il suo lavoro missionario nella diocesi di Tete, presso il Seminario di Zobuè e successivamente nella parrocchia di Matundo. Nel 1981 è stato trasferito a Maputo, e ha lavorato principalmente nella parrocchia di Amparo, a Matola. Nel settembre 1984 è tornato nella diocesi di Tete, assegnato a Satemwa, missione di Fonte Boa, e poi a Chapotera, missione di Lifidzi. Don Sílvio era un uomo libero, intelligente, coraggioso e intraprendente, che viveva con entusiasmo e gioia le fatiche e i rischi che la vita missionaria comporta.
Alla cerimonia che ha concluso la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione hanno partecipato molte centinaia di cattolici provenienti da tutte le parrocchie della diocesi di Tete che hanno preso parte al pellegrinaggio diocesano a Zobuè.
† Diamantino Guapo Antunes Imc, vescovo di Tete