Padre Luca Bovio ha compiuto il suo settimo viaggio in Ucraina tra il 23 e il 28 luglio 2023. Partito da Kiełpin, in Polonia, ha toccato le città di Lutsk, Lubieszów, Kiev e Cherson (Fedorivka). Ecco la cronaca giorno per giorno.
Lutsk
23/07/2023. Questo viaggio si svolge nel cuore dell’estate e inizia con una prima tappa nella città di Lutsk, la prima che si incontra entrando dalla frontiera più a nord dalla Polonia.
Questa città, come del resto la regione chiamata Volyn, è la zona più lontana dal fronte. Per questo motivo più di 100mila rifugiati hanno trovato accoglienza qui.
I problemi non mancano, considerando che la zona è economicamente povera. Nella regione si trovano decine di villaggi medio piccoli abitati prevalentemente da contadini.
In questo territorio, fortemente influenzato dalla vicina Polonia, sono avvenuti scontri molto crudeli alla fine delle Seconda guerra mondiale.
La presenza dei cristiani cattolici è bassa. Più numerosi sono gli ortodossi. Quasi ogni nostro viaggio è iniziato da qui perché e la strada più diretta per entrare nel paese arrivando dalla Polonia.
Andiamo a conoscere il vescovo, mons. Vitalii Skomarovs’kyj. Qui la chiesa locale è impegnata nell’aiutare i rifugiati.
Lubieszów
24/07/2023. Di buon mattino ci mettiamo in viaggio insieme a don Paolo, il vicario del vescovo, in direzione nord, verso Lubieszów, a 130 km da Lutsk.
Lubieszow è una cittadina di circa 10mila abitanti posta a soli venti km dal confine con la Bielorussia. Lo scopo di questo breve passaggio è quello di visitare una chiesa e il convento adiacente che il vescovo vorrebbe dare al nostro Istituto, per una possibile futura presenza di lavoro missionario.
La chiesa dedicata ai santi Cirillo e Metodio fu costruita dai Cappuccini nel XVIII secolo. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l’inizio dell’occupazione russa, i frati dovettero abbandonare tutto e il convento divenne la stazione della polizia locale. La chiesa una palestra.
Dopo la caduta del muro di Berlino e il ritorno della democrazia in Ucraina, nel 1992, il complesso fu restituito alla diocesi locale. La comunità cattolica è oggi formata da circa trenta fedeli che la domenica partecipano alla santa Messa presieduta da un parroco polacco che vive a 60 km da qui.
L’intero edificio ha bisogno di importanti lavori di manutenzione, già iniziati con il cambio del tetto. Vedremo se in futuro il discernimento che faremo con i superiori ci porterà forse un giorno a lavorare in questo luogo.
Dopo questa breve visita, ci dirigiamo verso Kiev, che raggiungiamo con circa sei ore di viaggio per alloggiare in Nunziatura e riprendere il viaggio il giorno successivo in direzione di Cherson.
La sera faccio una passeggiata nel centro della città per sgranchire le gambe dopo le lunghe ore di viaggio e per gustare le bellissime chiese e palazzi illuminati.
Cherson
25/07/2023. La distanza che separa Kiev da Cherson è di quasi 600 km passando per la strada più diretta e sicura. Il GPS la mostra chiusa, ma in realtà è percorribile. Il viaggio ci regala dei paesaggi suggestivi. La giornata calda e soleggiata fa brillare intensamente le sconfinate distese di coltivazioni di girasoli che spesso incontriamo.
Sono abbastanza numerosi i grandi camion che viaggiano in direzione sud carichi di cereali e frumento per essere imbarcati nelle gigantesche navi cargo nel grande porto di Odessa e, da lì, partire per tutto il mondo.
Purtroppo, i magazzini portuali sono diventati ultimamente obiettivi sensibili e spesso sono stati colpiti causando la perdita di tonnellate di prodotti.
Anche il mancato accordo sul grano contribuisce a far lievitare i prezzi a livello mondiale di queste materie prime così importanti per sfamare tante povere popolazioni nel mondo.
Torniamo a Cherson per la seconda volta dopo essere stati qui a marzo. La situazione non è cambiata. La città, prima occupata e poi liberata, è continuamente sotto tiro, giorno e notte. Il fiume è la linea naturale del confine.
Abbiamo con noi aiuti sanitari. In particolare, abbiamo raccolto pastiglie che disinfettano l’acqua. Il sei giugno a circa 100 km da qui in direzione nord fu fatta saltare la diga sul fiume a Kakhovka. L’esplosione della diga riversò l’acqua del bacino artificiale che travolse e allagò villaggi e città. A Cherson il parroco don Massimo ci indica le pareti delle case con il segno lasciato dall’acqua.
Sui fili della corrente sono rimaste appese delle scarpe trascinate dalla corrente.
Molte case sono state invase dall’acqua e quelle più fragili distrutte, come quella che abbiamo visitato. Il proprietario, che ci mostra ciò che rimane e che prova a salvare, è ospitato in parrocchia.
Cherson è una città disabitata. Prima del conflitto contava circa 300mila abitanti. Oggi si stima che ve ne siano tra i 20 e i 25mila.
Nella zona più lontana dal fiume al mattino ci sono pochi negozi aperti e qualche mercato. Vicino al fiume, dove abitiamo, non si vede quasi nessuno per tutto il giorno. I mezzi pubblici, dove è possibile, svolgono ancora il loro servizio. Accanto a ogni stazione dell’autobus è stato posto un bunker: nel caso di improvvise esplosioni, la gente può così trovare un rifugio.
Già nel primo pomeriggio le strade dell’intera città si svuotano e i mezzi si fermano. Dalle nove di sera alle cinque del mattino c’è il coprifuoco. Durante la notte c’è il divieto di accendere la luce nei piani più alti dei palazzi. Sono tuttavia molto poche le persone che abitano su quei piani ritenuti troppo pericolosi.
26/07/2023. La mattina visitiamo l’ospedale pediatrico della città accompagnati dalla dottoressa responsabile. Ci racconta che prima della guerra qui nascevano annualmente circa 1.500 bambini. Oggi 20, 22 al mese.
Arriviamo poco dopo la nascita di un bambino. Tutte le attività dell’ospedale sono state trasferite al piano terreno.
Il quarto piano è stato colpito da un razzo. Lo visitiamo rapidamente arrivando fino al balcone più alto dell’edificio da cui si vede la città.
Facciamo diverse foto ma ci viene chiesto di non pubblicarle perché c’è il divieto di salire fino lassù.
La sala parto è una semplice stanza con l’occorrente. A fianco un’altra stanza attrezzata dell’essenziale: è la sala operatoria.
Ci affacciamo durante un intervento in corso.
Scendiamo nelle cantine dove si trovano i locali più sicuri. Qui ci sono delle brandine con i sacchi a pelo. Durante gli allarmi questo è il luogo di riparo. A fianco si sta lavorando per organizzare una vera sala operatoria.
All’esterno dell’ospedale vediamo un grande generatore di corrente ancora imballato, arrivato come dono umanitario. La dottoressa ci racconta che sarebbe molto utile, ma purtroppo non ci sono i cavi di collegamento. Ci impegniamo a interessarci della cosa per attivare la macchina.
La parrocchia del Sacro Cuore, dove abitiamo, è uno dei pochi centri di distribuzione di aiuti agli abitanti. Il giorno precedente al nostro arrivo è stata organizzata la distribuzione. Circa mille persone hanno ricevuto cibo.
Questa distribuzione è rischiosa. Ogni assembramento costituisce un potenziale obiettivo. È sufficiente che questa informazione arrivi dalla parte opposta del fiume e si potrebbero avere conseguenze gravi. Per questo motivo il giorno e l’ora della distribuzione non sono mai gli stessi.
In questo momento gli aiuti arrivano abbastanza regolarmente. Senza di essi sarebbe difficile sfamare i cittadini.
Oltre a quella della parrocchia in città è stata aperta anche una mensa organizzata dai Domenicani che, pur non vivendo qui, assicurano il cibo e ciò che occorre per la distribuzione. Ogni giorno vengono preparati mille pasti. Si possono consumare sul posto oppure una rete di volontari li consegna nelle case.
Anche la parrocchia greco cattolica della città, guidata dai padri Basiliani, è impegnata nella distribuzione degli aiuti.
Fedorivka
Nel pomeriggio di questa intensa giornata ci rechiamo in un villaggio fuori città, Fedorivka, a poche decine di chilometri a nord di Cherson.
Fedorivka è uno dei tanti villaggi colpiti dall’inondazione avvenuta a causa della distruzione della diga. Per arrivare qui occorre passare diversi check point dei militari.
Ne vediamo alcuni passare su una macchina. Hanno appena abbattuto un drone, e i resti caduti lontano sono ancora visibili e fumanti nei campi.
Siamo accolti nel villaggio dal responsabile con la sua moglie.
Portiamo un generatore di corrente perché qui gli abitanti hanno mediamente solo due ore di elettricità al giorno, un tempo insufficiente per tenere carichi i telefonini. Il generatore sarà messo a disposizione nella chiesetta del villaggio.
Siamo accompagnati a visitare l’abitato. Ci raccontano che l’acqua dell’inondazione, qui è rimasta per quasi tre settimane, perché il terreno è pianeggiante e quindi non favorisce il deflusso.
Molte case e fienili sono stati trascinati via insieme agli animali. Sacchi di cereali custoditi nei magazzini sono marciti. Chi è rimasto prova ora salvare il salvabile.
In questi villaggi è ancora vietato bere l’acqua dai pozzi a causa dell’inquinamento delle falde.
In tutti i campi attorno al villaggio persiste un cattivo odore di marciume. Per questo si cercano alternative come autopompe (una purtroppo si è guastata), acqua in bottiglia, pastiglie disinfettanti.
Portiamo del cibo a una coppia di anziani. La signora che ci accompagna ci racconta che durante il tempo dell’occupazione nella loro casa furono nascosti sei soldati ucraini in fuga. Quando arrivarono le forze speciali russe che li cercavano, la signora li nascose in un locale e diede loro il rosario dicendo: «Che ci crediate o no, usatelo!». I russi chiesero dei soldati. La signora disse che non li aveva visti e quelli se ne andarono. Allontanatisi i soldati russi, quelli ucraini poterono scappare a piedi fino a Mikolajow.
Tornati in città, trascorriamo la serata in parrocchia dopo aver fatto una breve passeggiata nei dintorni. Il quartiere è deserto e per tutta la notte si intensificano i colpi che spesso ci svegliavano insieme al suono delle sirene.
27-28/07/2023. Il viaggio di ritorno lo facciamo senza difficoltà, coprendo la lunga distanza che ci separa da casa in due giorni. Anche il passaggio della frontiera avviene con poche ore di attesa.
Come dopo ogni viaggio, anche questa volta ritorniamo con tanti ricordi. Abbiamo la consapevolezza che il conflitto sarà ancora lungo e per questo ci sentiamo sfidati, insieme a tante persone vicine a noi, a non stancarci nel portare consolazione e pace.
padre Luca Bovio