Nonviolenza da Oscar
«Coda. I segni sul cuore» e «The Guilty», Il colpevole
Una ragazza, figlia di genitori sordi, scopre di avere un talento nel canto. Un poliziotto danese si lascia coinvolgere in un caso che non dovrebbe seguire. Due film diversi tra loro, ma accomunati dall’ascolto attivo dei protagonisti che affrontano i conflitti cambiando se stessi e le relazioni attorno a loro.
Coda. I segni sul cuore
A volte vincono. Sì, a volte – raramente – i film nonviolenti arrivano ai vertici del riconoscimento mondiale.
È stato così per Coda. I segni sul cuore che ha vinto tre Oscar nel 2022: il più ambito, quello per il miglior film, quello per l’attore non protagonista, Troy Kotsur, e quello per la migliore sceneggiatura non originale.
Coda è il remake statunitense di un film francese del 2014, La famiglia Bélier, una pellicola talmente bella che al Centro studi Sereno Regis, dove ci occupiamo di educazione alla pace, lo usiamo spesso nei nostri corsi.
Tra l’altro, Coda è passato come film fuori concorso anche all’edizione 2021 del Tff (Torino film festival, ndr) ed è uno dei film segnalati dal premio «Gli occhiali di Gandhi», il premio del Centro studi Sereno Regis, in collaborazione con il Tff, alla cinematografia nonviolenta.
È una storia che esemplifica in modo semplice, ma non superficiale, come un conflitto si può risolvere in modo nonviolento.
La trama è semplice: la diciassettenne Ruby, figlia di due persone sorde (c.o.d.a., dall’inglese child of deaf adults, figlia di adulti sordi), scopre di avere un talento nel canto. Inizia a prendere lezioni, finché il suo maestro le propone di continuare gli studi trasferendosi in un’altra città.
Il film racconta come Ruby riesca nel compito di accompagnare i genitori, impossibilitati a riconoscere la sua dote, a mettersi nei suoi panni, coinvolgendoli, rassicurandoli, e mettendosi a sua volta nei loro panni, cosa che rappresenta una delle lezioni basilari della nonviolenza: riconoscere i bisogni dell’altro, il quale non è un avversario, ma una persona con cui trovare il giusto modo di relazionarsi.
Le scene fondamentali che illustrano in modo magistrale la soluzione nonviolenta del conflitto sono tre.
La prima è quella nella quale emerge il problema ed esplode il conflitto: il desiderio della ragazza di trasferirsi si scontra con la contrarietà dei genitori, i quali, con la partenza della figlia che li aiuta nella loro azienda a conduzione famigliare, perderebbero un valido aiuto.
La seconda è la rappresentazione delle difficoltà oggettive dei genitori nel comprendere il talento della figlia (qui il regista mette anche il pubblico nella condizione di capire lo stato d’animo dei genitori). La terza è quella della soluzione finale del conflitto: la ragazza riesce a rendere partecipi i genitori della sua performance usando la lingua dei segni (uno dei motivi per cui è stato fatto il remake statunitense del film francese: la lingua dei segni europea è diversa da quella Usa).
Il film della regista Sian Heder si differenzia dall’originale francese di Éric Lartigau, per il fatto che i ruoli di persone sorde sono stati interpretati da attori effettivamente sordi, a cominciare da Marlee Matlin, che vinse l’oscar come migliore attrice per Figli di un dio minore del 1986.
Andatelo a vedere e, se possibile, guardate anche La famiglia Bélier: un confronto che vi riserverà delle belle sorprese.
D.C.
Il colpevole (The Guilty)
«Il colpevole (The Guilty)» è un thriller del 2018, terzo film del danese Gustav Möller.
Si potrebbe definire un film claustrofobico, incredibilmente ambientato in sole due stanze. Eppure ha una forte e determinante componente nonviolenta. Vediamo perché.
Asgar è un agente di polizia di Copenaghen, temporaneamente demansionato, per un motivo che scopriremo più avanti, al servizio di risposta alle chiamate di emergenza. È il classico lavoro da 112: smistare le telefonate. Una noia.
Un giorno, però, riceve la chiamata di una giovane donna che dichiara di essere stata rapita dall’ex marito, e Asgar decide di oltrepassare i limiti professionali prendendosi segretamente carico dell’investigazione e mettendosi in gioco per salvare la donna.
Svolgere un’indagine esclusivamente al telefono, però, è pericoloso, e il protagonista deve confrontarsi con un inaspettato ribaltamento della situazione.
Spesso, fare supposizioni partendo da poche informazioni, può portare a commettere gravi errori, anche se si hanno le migliori intenzioni.
Ciò che appare un limite del film, cioè la messa in scena in sole due stanze, amplifica la tensione, spingendo a entrare nello spazio emotivo dei protagonisti.
Il regista lancia una vera e propria sfida allo spettatore, cercando di emozionarlo con il semplice riferimento a «ciò che accade fuori». Una sfida indubbiamente vinta.
Così come è vinta la sfida della sostenibilità ambientale della produzione: niente sparatorie, niente auto incendiate, niente palazzi che crollano.
«Il colpevole», il cui titolo originale è Den Skyldige, merita di essere visto non solo perché è un thriller emozionante e magnetico, ma anche perché offre spunti di riflessione sulla nonviolenza.
La grande empatia di Asgar nell’aiutare la donna al telefono, a prescindere dai suoi doveri, ne è un esempio. Il protagonista va contro l’etica professionale per salvare una persona sconosciuta, facendosi coinvolgere dalla sua vicenda e mettendoci tutto il suo impegno.
Inoltre, è interessante notare come il dialogo sia l’unico strumento utilizzato per risolvere il conflitto e, in una situazione estrema, per salvare una vita.
Non solo. Il dialogo diventa cura e diventa perdono, per sé e per gli altri: mettendosi nei panni della donna, nel suo dramma, il poliziotto trova il coraggio di affrontare le proprie responsabilità (il motivo – che non sveliamo – per il quale è stato «messo a riposo» in ufficio) e, in definitiva, di perdonarsi.
Un chiaro esempio di come la relazione profonda tra esseri viventi, il vero ascolto, partecipe e responsabile, siano le basi fondanti di un percorso di risoluzione nonviolenta dei conflitti.
Giorgia Bettuzzi e Dario Cambiano