Abramo, l’amico di Dio

Maria Mfariji shrine. Marsabit, Kenya - Abramo. Il sacrificio di Isacco - AfMC / Gigi Anataloni
Angelo Fracchia

Abramo viene chiamato l’amico di Dio (Gc 2,23), perché esempio di relazione ideale con il Signore. È considerato tale da ebrei, cristiani e islamici.

C’è chi dice, probabilmente senza allontanarsi dal vero, che non sia mai davvero esistito e che la figura di Abramo sia un’«invenzione», basata su antiche tradizioni riguardanti qualche personaggio lontano nella storia, per porre, all’inizio della Genesi, un’introduzione alle vicende di Giacobbe allo scopo di indicare da subito l’atteggiamento giusto nel rapporto con Dio.

Noi qui, però, non vogliamo fare i lettori super critici e saccenti, ma lasciarci coinvolgere dal racconto, come desiderava chi ha scritto questi testi.

L’inizio di un ascolto

«Esci dalla tua terra, dalla casa di tuo padre, e vai verso un luogo che io ti indicherò» (Gen 12,1). Abbiamo tutti in mente questa chiamata che, soprattutto nella tradizione cristiana, si considera spesso il passaggio centrale per capire la figura di Abramo, visto come un uomo che segue esclusivamente la vocazione divina: lasciare tutto, e seguire Dio.

Una lettura più attenta del testo biblico ci offre però un quadro più complesso e, forse, anche più interessante.

Abramo, come suo padre Terach, è di Ur dei Caldei, nel Sud della Mesopotamia. In Gen 11,31 si dice che lascia, sì, quella terra, ma non suo padre. In effetti, la lascia insieme a lui, ai suoi ordini. È Terach a prendere figlio, nuora e nipote (Lot) per andare nella terra di Canaan, che sarà poi quella che Dio indicherà ad Abramo. Sul cammino, la piccola comitiva si ferma per qualche tempo a Carran, nel Nord della Mesopotamia, più o meno a metà strada, e lì Terach muore. È a questo punto che arriva la chiamata divina ad Abramo. Abramo inizia il suo viaggio semplicemente ubbidendo al padre (come in quella società era previsto facesse, tanto più che non aveva figli propri), ma poi si interrompe a un certo punto per la morte dello stesso. Che cosa fare ora? Nulla dice che Terach avesse condiviso che cosa sperava di trovare in Canaan, e Abramo, suo figlio primogenito ed erede, si trova ora responsabile di una moglie e un nipote. Tornerà indietro con il proprio gregge o proseguirà? In base a che cosa?

Ecco la svolta: Abramo si pone in rapporto con qualcuno che non è suo padre defunto e non è una garanzia mondana. Si mette in relazione e si fida di Qualcuno che, pur non offrendogli prove, gli chiede di affidargli la sua vita con la semplice promessa che non lo abbandonerà.

A 75 anni (Gen 12,4), Abramo ascolta una parola che non gli promette vittoria e bottino, ma di diventare una benedizione per gli altri, e di trasformarsi (lui, vecchio e con una moglie vecchia e sterile) in una grande nazione. Un pazzo illuso, potremmo dire. Ma Abramo parte. Anzi, diciamo che riparte, o prosegue, perché nulla, esteriormente, è cambiato nel suo viaggio, se non che la comitiva ha una persona in meno, che è morta. Eppure, dentro tutto è diverso.

Un arrivo che è inizio

Quando Abramo arriva nella terra di Canaan, questa ovviamente non è vuota (Gen 12,6), né lui si trova immediatamente trasformato in un popolo. Eppure, in questa terra che non è sua, senza nulla che gli confermi di aver fatto bene ad ascoltare la voce di Dio, Abramo gli innalza un altare, come ringraziamento, segno di dedizione e luogo di incontro (Gen 12,7), come farà altre volte in seguito.

Lungo il racconto, la promessa divina si fa sempre più precisa:

  •   dapprima parla di fare di Abramo una grande nazione e un nome benedetto (12,1-2);
  • poi Dio garantisce che sta parlando della terra che Abramo vede davanti a sé, e che sarà offerta ai suoi discendenti (12,7-8);
  • quindi promette che quella discendenza sarà numerosa come la polvere della terra ed erediterà tutto ciò che si vede (13,14-17);
  • più avanti, che la discendenza di Abramo sarà numerosa come le stelle del cielo (15,4-5);
  • e vivrà in un territorio dai confini precisi che andranno ben oltre ciò che un essere umano può vedere solo con lo sguardo  (15,18-21);
  •   e poi che addirittura Abramo sarà capostipite non solo di un popolo ma di «una moltitudine di popoli», che abiterà proprio lì in Canaan e vivrà per sempre in comunione con Dio (17,4-8).

Questo elenco non esaurisce tutte le promesse e benedizioni divine ad Abramo raccolte nella Genesi, ma è già sufficiente per farci stupire del fatto che, davanti a tante promesse e al fatto che finora lui non abbia nulla in mano, Abramo si fida comunque di Dio.

Questa sua fiducia si ripercuote anche intorno a lui. Quando in Canaan le greggi sue e del nipote Lot sembrano essere troppe per la terra che hanno a disposizione, Abramo lo invita a dividersi. La scelta di come dividere il territorio spetterebbe al capo della comitiva, che lascia però decidere al nipote, il quale prende per sé la parte migliore (Gen 13).

I lettori potrebbero pensare che Abramo sia semplicemente un debole o un pavido, ma, subito dopo (Gen 14), una spedizione di cinque re assale Sodoma, dove Lot si è insediato, e porta via in bottino anche lui con la sua famiglia. A quel punto Abramo insegue e sconfigge i cinque re, chiedendo semplicemente la liberazione dei prigionieri.

Poiché vive nella fiducia verso Dio, non si affanna a garantirsi protezioni o garanzie terrene.

 

Perché amico

All’inizio ricordavamo come nella lettera di Giacomo si presenti Abramo non tanto come servo fedele e ubbidiente di Dio, ma come chi entra in una relazione distesa, affettuosa, di amicizia con il Signore. Ci sono almeno tre episodi che confermano di questa relazione alla pari.

I tre viandanti

Molto noto è quello in cui Abramo accoglie nella sua tenda tre viandanti, che poi sembrano diventare uno e si svelano come presenza divina (Gen 18). Abramo, senza una terra e senza discendenza, accoglie con serenità e generosità i tre passanti, in un mondo in cui non c’erano leggi che proteggessero chi non era del posto. E dopo quel gesto di dono, che viene seguito dalla promessa (nuovamente!) di un figlio, Dio e Abramo fanno due passi fino ad affacciarsi sulla profonda valle del Giordano, in fondo alla quale contemplano Sodoma. E Dio si trova a non poter nascondere ad Abramo ciò che ha intenzione di fare: distruggere Sodoma per i suoi peccati (18,17-19). Questa confidenza mostra un atteggiamento intimo di Dio nei confronti di Abramo. Dio non è un padrone, sia pure generoso e benevolo, ma un amico che, in coscienza, non può nascondere dei segreti al proprio amico.

Il figlio della schiava

Un altro passaggio è quello nel quale diventa protagonista anche Sara, la moglie di Abramo (Gen 16). A fronte della costante promessa di una discendenza, è lei ad avere l’idea di far concepire un figlio di Abramo alla sua schiava. Il figlio di una schiava nasce schiavo, ma se venisse adottato dalla padrona (con quel gesto antico e simbolico di parto sulle sue ginocchia), sarebbe libero e potrebbe ereditare i beni del padre. L’atteggiamento di Sara e Abramo nei confronti di Dio è quello non dei creditori che pretendono dal debitore ciò che questi ha promesso, ma degli amici che cercano di venire incontro alla promessa fatta dall’amico, di rendergli la vita più facile, facendo ricorso anche a una certa dose di automortificazione (Sara accetta di essere esclusa dalla promessa) e di inventiva.
Quando, poco dopo (17,18), Abramo, a colloquio con Dio, invocherà: «Possa almeno vivere Ismaele davanti a te!», di fatto pone il figlio della schiava Agar davanti a Dio, quasi a chiedergli: «È questo il figlio di cui parlavi, no?».

E la risposta di Dio è dolce e tenera: «Certo, benedirò anche lui, ma se ti ho promesso un figlio, l’ho promesso a te e a Sara». La promessa divina guarda ad altro, ma Dio non può non contemplare con commozione e un sorriso il tentativo (maldestro) di Abramo e Sara di semplificargli la vita, come tra amici.

L’alleanza

Un altro brano è per noi di comprensione più difficile, più solenne e mistico (Gen 15). Dio invita Abramo a predisporre una scena cruenta, con tre animali divisi a metà. A noi non dice nulla, ma i primi lettori del testo comprendevano bene di che cosa si trattasse: quando si concludeva un contratto, il più forte si impegnava a rispettarlo, mentre il più debole era esposto alla vendetta del primo, se non lo avesse mantenuto. Quando due contraenti si reputavano alla pari, si appellavano, come garante, a qualcuno di superiore. Quando a stringere un’alleanza alla pari erano due re, che non potevano rimandare a nessuno superiore a loro, seguendo un antico rituale hittita, squartavano degli animali e ci passavano in mezzo, mano nella mano: simbolicamente invocavano che chi avesse tradito l’alleanza finisse squartato come quegli animali.

Abramo viene chiamato ad allestire quel quadro, e quindi a pensarsi in un’alleanza alla pari con Dio. Al momento di sigillarla, però, non sa come procedere, finché un torpore non lo blocca, e ode promesse di fatica e schiavitù, ma anche di ricchezza e libertà per i suoi discendenti, e vede passare in mezzo agli animali «un braciere fumante e una fiaccola ardente» (15,17): Dio si impegna in un’alleanza e si offre alla condanna di essere squartato nel caso in cui non la dovesse rispettare. Allo stesso tempo, però, evita ad Abramo di passare a sua volta in mezzo alle due metà di animali, lo protegge (lui e i suoi discendenti) dalle conseguenze di un eventuale futura trasgressione del patto.

Un vero amico, che si espone in prima persona ma non vuole neppure concedere il rischio di male per gli altri.

Maria Mfariji shrine. Marsabit, Kenya – Abramo, icontra i tre alle quercia di Mamre – AfMC / Gigi Anataloni

Il dono definitivo

Il figlio promesso arriva quando Abramo ha cento anni (Gen 21,5). Isacco viene, però, chiesto in dono da Dio, capace di calcare la mano in modo apparentemente crudele sulla richiesta: «Prendi tuo figlio (sì, quello promesso e atteso da tanto tempo), il tuo unico figlio (non ci sono piani di riserva), che ami (non è un figlio ribelle, non sopportato: Abramo gli vuole bene), Isacco (chiamato per nome, non più solo il ruolo) e offrilo in olocausto» (Gen 22,2).

Se per la tradizione cristiana il cuore della chiamata di Abramo è l’iniziale invito a uscire dalla sua terra, per il mondo ebraico è invece questo brano. Se è impegnativo lasciare il quasi niente che si ha, in vista di una promessa più grande, molto più difficile è accettare di rinunciare a ciò che si è desiderato per tutta la vita e alla fine è arrivato.

Conosciamo la storia: Abramo si mette in movimento, inganna il figlio e si accinge a sacrificarlo finché viene fermato da Dio appena in tempo.

Può sembrarci un Dio improvvisamente crudele, ma non dimentichiamoci che il mondo antico riflette e insegna attraverso i racconti. Davvero Abramo avrà predisposto il sacrificio del figlio? Per gli antichi bastava che si fosse posto il problema se restituirlo a Dio qualora glielo avesse chiesto. Abramo continua a confidare fino in fondo nella promessa, senza attaccarsi a ciò che gli è stato donato come se fosse irrinunciabile, sapendo che è la relazione con Dio a garantirgli tutto ciò che gli serve. Dio non chiede il sacrificio della vita umana, e non chiede che si doni a lui ciò che si ama: sarà lui a farlo, con il Figlio suo, sulla croce, compiendo quel dono di sé assoluto, totale e sovrumano che all’uomo non può e non vuole chiedere.

Con una scelta feroce tra i tanti episodi che interessano Abramo (molto di più avremmo potuto riprendere e spiegare), ecco dispiegata davanti a noi un’esperienza umana ideale, fatta di relazione alla pari con Dio, di fiducia, di scambi e aiuto.

Ciò che la Bibbia ci dice è che il Dio di cui ci parla è fatto così, non cerca servi, ma amici con cui conversare, sorridere, vivere. «Non vi chiamo servi, ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,15). Il primo, fondamentale uomo che vive in relazione con lui non ubbidisce a leggi ma si pone semplicemente nell’incontro, senza filtri né paure.

Angelo Fracchia
(Camminatori 01 – continua)

Maria Mfariji shrine. Marsabit, Kenya – Abramo, esci dalla tua terra – AfMC / Gigi Anataloni

2023, Un cammino nuovo

Per due anni abbiamo camminato insieme al popolo ebraico lungo le strade del deserto, nei sentieri dell’Esodo.

Quasi a prendere respiro da un percorso compatto e impegnativo, vogliamo dedicare il 2023 a respiri più brevi, ma speriamo non meno corroboranti. Incontreremo dieci personaggi del Primo Testamento, alcuni più noti, altri meno, ma tutti significativi per la loro esperienza ed esempio di fede, perché facciano da modello a noi che viviamo in un contesto completamente diverso.

Come ogni occasione in cui leggiamo la Bibbia, lo scopo non è tanto di imparare qualcosa su un mondo antico e lontano, ma di scoprire pillole di divina umanità utili al nostro cammino quotidiano di oggi.

A.F.

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Angelo Fracchia

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