Una pluralità di sguardi al femminile
Una raccolta di interventi di donne su come far uscire dall’angolo il ruolo femminile nella società. Uno sguardo sulla deriva securitaria e punitiva della nostra democrazia. Un racconto laicale e femminile di missione ad gentes e di famiglia multiculturale tra Kenya e Italia.
Adesso tocca a noi
Mentre scrivo, in Iran le proteste durano già da qualche settimana. Iniziate dopo la morte, il 16 settembre scorso, di Mahsa Amini, una ragazza arrestata dalla «polizia morale» perché non portava correttamente il velo, ancora non si fermano.
Secondo l’Iran human rights, a inizio novembre, sono già morte 277 persone, tra cui 40 minori.
Al grido di «donna, vita, libertà», nel mondo si sono moltiplicate le manifestazioni a sostegno della contestazione.
Mi sembra quindi doveroso segnalare un’uscita recente per Edizioni Terrasanta: Adesso tocca a noi. Donne, leadership e altri misfatti. A curarlo è Chiara Tintori, politologa e saggista che ha svolto attività di ricerca e di docenza in varie università italiane. Fino al 2018 ha lavorato nella redazione della rivista «Aggiornamenti Sociali».
L’Italia non è l’Iran, certo, però anche qui, da anni, il ruolo della donna continua a essere marginale nei processi decisionali.
Adesso tocca a noi non è un libro rivendicativo sulla parità tra uomo e donna, ma porta la testimonianza di donne che, là dove sono, stanno provando a fare la differenza. Quella stessa differenza che, quando è assente, frena lo sviluppo sociale, politico ed economico del paese.
Le voci femminili di questo libro (da Susanna Camusso a Letizia Moratti, da Maura Gangitano a Cristina Simonelli) ci ricordano che riconoscere alle donne ciò che meritano, sulla base di competenze e talenti, è una questione di dignità che riguarda non solo il valore delle persone, ma anche la dimensione etica e culturale della nostra società.
Difficilmente il nostro ritardo verrà colmato dal fatto che oggi il presidente del Consiglio dei ministri in Italia è una donna, se non crescerà la consapevolezza che il «pinkwashing» dietro il quale spesso ci nascondiamo rivela debolezza culturale.
Per comprendere meglio le radici di quanto sta capitando nella regione persiana può essere utile recuperare un libro del 2016, edito da Bompiani: Finché non saremo liberi, del premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, la prima donna musulmana a riceverlo. Con il suo impegno da avvocato per i diritti umani, difendendo soprattutto le donne e i bambini dal brutale regime iraniano, ha ispirato una generazione intera. Per questo il governo ha cercato di ostacolarla, ha intercettato le sue telefonate, ha messo sotto sorveglianza il suo ufficio, l’ha fatta pedinare, ha minacciato lei e i suoi cari con metodi violenti.
Nel libro ripercorre non solo la sua vicenda personale, ma la contestualizza rendendo comprensibile ai nostri occhi la follia alla quale stiamo assistendo in questi giorni.
Il malinteso della vittima
Guardando la questione femminile da un altro punto di vista, segnalo Il malinteso della vittima. Una lettura femminista della cultura punitiva, uscito in settembre per Edizioni Gruppo Abele e scritto dalla sociologa e filosofa del diritto Tamar Pitch.
Il libro è una critica serrata alla deriva securitaria della società che trasforma tutte le persone, e le donne in particolare, in potenziali vittime.
«Il termine “sicurezza” – spiega l’autrice – si è spogliato, ormai da parecchi anni, delle caratteristiche sociali cui era legato (lavoro, salute, diritti): oggi ci si sente al sicuro con condizioni che ci proteggono individualmente dal rischio di diventare “vittime” di comportamenti dannosi. Da qui l’assunto che tutte e tutti siamo vittime potenziali; quindi fenomeni sociali complessi vengono governati con il codice penale e, di fatto, si criminalizza la povertà, la marginalità sociale, l’immigrazione. Ma com’è successo tutto questo? E soprattutto, com’è successo che a questa deriva securitaria aderiscano “movimenti politici il cui obiettivo è la libertà dallo sfruttamento, dall’oppressione, dalla violenza dei gruppi di cui si fanno portavoce? Perché, in particolare, questo succede in un movimento come quello femminista, che è ri-nato (in Italia, ma non solo) contro la rappresentanza (ognuna parla per sé, a partire da sé), nel contesto delle spinte antiautoritarie degli anni Sessanta?”».
Senza frontiere
L’ultima segnalazione riguarda il volume Senza frontiere. Diario di una missionaria laica in Kenya. Arriva dall’Editrice Ave e porta la firma di Patrizia Manzone, originaria di Monforte d’Alba (Cn), classe 1979. Laureata in Scienze religiose e attiva nella pastorale giovanile e missionaria della diocesi di Alba, nel 2008 è inviata come laica missionaria a Marsabit, diocesi nel Nord del Kenya, legata fin dagli anni Sessanta a quella di Alba.
Trascorre quattordici anni in terra keniana, durante i quali si sposa con Michael, farmacista a Nairobi. Nel 2022, con il marito keniano e i tre figli, intraprende una nuova missione, in Italia, come «Famiglia missionaria a km 0» nella parrocchia di Cherasco, sempre nel cuneese.
«Ricordo il giorno in cui, incontrando il mio viceparroco in oratorio, gli dissi: “A diciotto anni andrò in Africa!” – racconta Patrizia Manzone -. Lui mi chiese stupito: “Per fare cosa?”. Sono rimasta in silenzio: io volevo solo “stare”. Ma stare per fare cosa? Niente di eccezionale, le stesse cose che faccio qui. “Essere cristiana con loro, tra loro”, mi viene da rispondere adesso. Vivere il più vicino possibile alla gente del posto, consapevole che io non sarò mai un’africana (perché ho sempre una garanzia, una casa, una famiglia, un ospedale europei dove posso tornare), e continuare a imparare da loro la libertà e la semplicità dei figli di Dio e dare quello che sono».
In un’intervista a «La Stampa» di qualche tempo fa raccontava: «In questi anni di permanenza in Kenya, abbiamo cercato di aprire gli occhi, abbandonando la nostra zona “comfort” che ci fa sentire giusti, sicuri e protetti, per metterci in ascolto di culture e modi di vivere diversi dal nostro […]. Alla base […] il concetto di scambio, per mettere a frutto le capacità della persona e non un’assistenza caritativa a senso unico, che intrappola e rende dipendenti».
Un piccolo semplice manifesto per un mondo migliore. Dall’Iran fino al Kenya, passando da casa nostra.
Sante Altizio