Orsola e Marianna

Italia
A cura di Sergio Frassetto

Marianna Cafasso, sorella di San Giuseppe Cafasso e mamma del beato Allamano.

A Roma, dal 22 al 26 giugno si è svolto il Convegno mondiale della Famiglia. Si è giunti al decimo appuntamento imperniato, quest’anno, sul tema: «L’amore familiare: vocazione e via di santità». Papa Francesco ritorna sovente sul tema della famiglia, rimarcando i tratti fondamentali che fanno una famiglia felice: «Quello che ci è chiesto è di riconoscere quanto è bello, vero e buono formare una famiglia, essere famiglia oggi; quanto è indispensabile questo per la vita del mondo, per il futuro dell’umanità».

Prendendo lo spunto dal tema della santità e della famiglia, ci potremmo chiedere come sono riuscite varie famiglie di Castelnuovo d’Asti, nel 1800, a diventare autentiche fucine di santità, dando vita a ben quattro santi canonizzati (Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco, Domenico Savio e Giuseppe Allamano). Qual è stato il loro segreto? Non potendo qui offrire una risposta adeguata mi soffermo brevemente su due madri, Orsola e Marianna, madre e figlia, diventate poi, la prima, madre di san Giuseppe Cafasso e la seconda, del beato Giuseppe Allamano.

Nate a Castelnuovo d’Asti, hanno vissuto la loro infanzia in famiglie semplici di estrazione contadina, sono diventate madri dedite pienamente al sostentamento familiare e all’educazione cristiana della loro numerosa prole, senza trascurare un’attenzione speciale per le persone bisognose del circondario. Entrambe hanno perso presto il marito e senza esitazione hanno saputo prendere in mano le redini della propria azienda agricola, il cui reddito serviva al sostentamento della famiglia. Educatrici sagge, hanno saputo seminare in famiglia i germi di quelle virtù civiche e cristiane che si sarebbero riscontreranno copiose nella vita dei loro figli «celebri». Verso i poveri, sempre numerosi anche nei borghi di campagna, Orsola e la figlia Marianna nutrivano venerazione ed esercitavano cura e amore. C’era sempre una scodella di minestra per chi bussava alla loro porta e i figli, a turno, gliela portavano imparando così ad avere rispetto e considerazione per gli indigenti. Non c’era nascita, malattia o morte nelle famiglie del borgo di Castelnuovo che non vedessero la loro presenza e offerta di aiuto. La nipote, Pia Clotilde Allamano, descrive la casa di Marianna come «ospitale ed elemosiniera».

Cosa dire della formazione cristiana offerta ai figli attraverso il loro esempio e il buon consiglio? Animatrice efficace della confraternita dell’Addolorata, Orsola Cafasso ha avuto un impatto non indifferente sulle donne del paese. Nelle loro famiglie i momenti giornalieri di preghiera non mancavano mai. Il rapporto con la parrocchia era sempre attivo e costante.

Così in Castelnuovo nascevano e crescevano i santi.

padre Piero Trabucco


Giuseppe Allamano si racconta

Per comprendere la personalità umana e spirituale di Giuseppe Allamano, così semplice, serena e concreta, si deve necessariamente partire dall’ambiente che lo vide nascere e crescere: la famiglia, prima di tutto e, in particolare, la mamma Marianna, sorella di S. Giuseppe Cafasso.

La mamma, rimasta vedova ancora giovane quando stava per nascere l’ultimo figlio, dovette prendere in mano con determinazione le sorti della famiglia sia come sostentamento che come educazione dei figli.

Di lei hanno detto: «Mai che mandasse via un povero o non l’alloggiasse. Quando una donna povera dava alla luce un bimbo, ella si offriva a preparare gran parte del corredino; così pure si recava dagli ammalati e li aiutava in tutti i modi».

«Quando poi si portava il Viatico a qualcuno era lei che si recava a vedere se tutto era in ordine nella casa per ricevere Nostro Signore». Ecco il suggerimento del parroco ai figli: «Dovreste baciare la terra dove passa vostra madre».

«La mia buona mamma»

Alla mamma, che da anziana era diventata cieca e sorda, l’Allamano era legato da tenerissimo affetto. Diceva: «Non tocca a me fare un elogio di mia madre…». «Io facevo il suo interprete nella confessione quando mi trovavo a casa; sembra impossibile: aveva due occhi di paradiso, eppure non vedeva e non sentiva; ed io mi spiegavo facendo segni sulla mano, e c’intendevamo benissimo». «Certe volte la mia buona mamma mi diceva: “Io sono vecchia, tutti gli altri mi dimenticheranno, ma tu mai, dici Messa tutti i giorni, pregherai poi per me”. Difatti nella S. Messa c’è sempre un posto per lei».

«Io non ho mai saputo quello che mi piaceva o non mi piaceva – confidava l’Allamano – perché la mia buona madre, bastava che dicessi che una cosa non mi piaceva, che subito me la faceva prendere. Non mi dava altro finché non l’avessi mangiata». La sorella Orsola, secondogenita della famiglia Allamano, raccontò: «Gli altri fratelli si vedevano sul piazzale a giocare, ma Giuseppe no, mai! Le ore libere, durante le vacanze, le occupava a starsene vicino alla mamma ammalata. Tanto che questa, commossa, alle volte gli diceva: “Ma adesso va a prendere un po’ d’aria!”, ed egli: “Oh, lasciami un po’ star qui vicino a te”».

«Parlerò della mia nascita – raccontava lui stesso -. Il buon Dio, decretando di crearmi, stabilì nel tempo l’anno, il giorno in cui mi avrebbe dato l’essere, ed ogni altra circostanza. Prima dei parenti, prima ancora che fosse il mondo, Dio già pensava a me con pietà e amore. “Mi ha amato di amore eterno”. Ed eccomi nato il 21 gennaio del 1851, alle ore sei e mezzo di sera. Deo gratias!».

L’Allamano celebrava con gioia e riconoscenza l’anniversario della nascita e accettava volentieri gli auguri. Diceva: «So che quest’oggi avete pregato per me e ve ne ringrazio». Abitualmente passava il giorno del compleanno in preghiera: «Quest’oggi ho fatto il ritiro mensile, naturalmente ho ringraziato il Signore e l’ho supplicato a perdonarmi quando dovrò rendere conto di tutte le grazie che ho ricevuto. Ne avrò tanti rendiconti da rendere io, sapete! Tuttavia non mi affliggo. Ho sempre fatto la volontà di Dio, di questo non dubito; dunque, Signore, supplite voi!».

Era felice di essere stato battezzato subito, il giorno dopo la nascita: «Nacqui tanti anni fa… la sera del 21 e, verso le 10,30 del mattino dopo, fui battezzato. Sicuro, subito il giorno dopo fui battezzato. Stetti una notte sola non cristiano. Non credevo mai più di vivere tanto! Ero il più meschino di tutti; il Signore si è servito di una “ula ruta” [vaso rotto]».


 


Bisogna essere sempre allegri

Una fugace spigolatura nel vasto campo del pensiero dell’Allamano coglie un aspetto importante della sua spiritualità: la sua allegria.

Il vero carnevale

L’allegria fu la componente classica della formula «Don Bosco» per raggiungere i giovani e quanti a lui si avvicinavano. L’Allamano amava il santo dei giovani, ma se ne allontanò per il «rumore» che trovava all’oratorio. Soleva dire che «il bene non fa rumore e il rumore fa poco bene». Senza dubbio, il silenzio fu un pilastro del «metodo preventivo» di Don Bosco. La «buona notte» che augurava alla sera ai giovani prima del riposo ebbe anche momenti di profezia, che fecero storia. I santi con la «S» maiuscola si differenziano, ma non si contraddicono.

L’Allamano diceva: «In tempo di carnevale abbiamo fatto penitenza. Ora, a Pasqua, facciamo carnevale. La festa di Pasqua è una festa goduta fin da ragazzi, è una festa che va al cuore». Quanto all’allegria, interrogava i giovani in Casa Madre: «Sapete perché san Francesco di Sales operò tanto bene? Perché era sempre affabile, dolce, allegro». Ancora: «Sapete perché Nostro Signore attirava tanto i fanciulli? Perché era sempre affabile». E notava: «L’allegria attira alla virtù e, talora, convince a consacrarsi a Dio».

Allegri, ma non sguaiati

Precisando il proprio pensiero, l’Allamano spiegava: «L’allegria non deve essere mai smodata; essa non consiste nella dissipazione, nel far rumore, nel gridare forte, né nel mettere sossopra la casa. Bisogna parlare, sorridere, ma tutto con modestia, con moderazione. Il riso sguaiato non va: bisogna pensare che siamo sempre alla presenza di Dio. Il Signore ci dice: “State allegri”, ma se ce lo vedessimo innanzi, rideremmo forse sguaiatamente? L’allegria smodata è stoltezza, quella vera è virtù: state attenti che non degeneri!».

«L’allegrezza non è un male – diceva ancora – ma un bene. Non si è mai troppo allegri. Dobbiamo essere allegri tutti i giorni, tutto l’anno». Citando la sacra Scrittura, sottolineava: «Il Signore ama chi dà lietamente (cfr. 2Cor 9,7). Anche san Paolo lo afferma: “State allegri nel Signore”. E come se non bastasse dirlo una volta, lo ripete: “State allegri nel Signore” (Fil 4,4)».

Citando il poverello d’Assisi, annotava: «Guai se san Francesco vedeva un suo frate non allegro! Il Signore vuole che siamo allegri sempre, anche… dormendo: come i bambini, che dormono con aria sorridente». Concludendo, diceva con un po’ d’arguzia: «Non addormentatevi mai col broncio, ma con pensieri di santa letizia».

Frutto della sua esperienza di uomo di Dio, affermava: «Se si vuole fare del bene, bisogna essere sempre allegri. Quanti ci osservano possano dire: “guardate questi missionari: hanno lasciato casa, parenti, tutto, eppure sono sempre allegri”: il prossimo ne resta edificato ed è attratto alla virtù».

La casa dell’allegrezza

«Non voglio che questa casa – si riferiva alla Casa Madre – sia malinconica, ma che sia la casa dell’allegrezza. In Africa, se non vi saprete vincere, se non saprete frenare i malumori, i disappunti inevitabili, farete solo del male, del male… Questa è la casa dell’allegrezza, perciò non si deve mai fare il “muso” [broncio]. Fare il muso è segno che o non si sta bene, o che si hanno pene spirituali. Taluni, però, che si dicono disposti a faticare, a vivere, a morire da missionari, se il Signore manda loro un maluccio, si abbattono. Bisogna avere pazienza e, poco alla volta, passerà. Con la malattia o senza la malattia, il Signore ci farà morire quando piace a lui.

A me piacciono quelli che stanno sempre nella volontà di Dio, che trovano la loro sicurezza nelle mani di Dio e tirano diritto. Avanti così. Vi voglio sempre allegri. Qui bisogna stare bene di anima e di corpo. Talvolta non vi vedo tanto allegri, e invece io desidero che in questa comunità si conservi e si accresca sempre più lo spirito di scioltezza, di allegrezza. Conosco comunità religiose che hanno una pietà amabile: tutti i membri sono tranquilli in se stessi e danno agli altri questo spirito, che è precisamente lo spirito che voglio in questa casa: sempre in gioia, sempre con facce allegre».

Il mite sorriso del padre

Le fotografie dell’Allamano che più ci sono care sono quelle che lo ritraggono con il volto atteggiato a sorriso mite, pacificante. Dicono di lui più di quanto potrebbe dirci un libro.

Ho conosciuto confratelli come i padri Giuseppe Bonaudo, Vladimiro Bazzacco, Domenico Feyles, che incontrarono il fondatore fin da piccoli, nel nostro seminario minore. Tutti lo ricordavano e me lo descrivevano vividamente, magari ad occhi lucidi, presi da quel mite sorriso del padre, dallo sguardo che ti leggeva fino in fondo, senza condizionarti. Ciascuno si sentiva amato come un beniamino. Tutti mi hanno ripetuto che, anche se ormai anziani, lo ricordavano con riconoscenza e nostalgia e continuavano a volergli quel grande bene che li aveva resi perseveranti e sereni fino a tarda età. Mi dico: a questa scuola voglio trarne profitto.

padre Giuseppe Mina

Giuseppe Allamano è stato per i suoi missionari e missionarie un padre, nel senso più profondo e bello. Molti libri hanno raccolto le sue parole paterne, tramandando la sua saggezza e testimoniando il suo affetto verso i suoi figli. Nella raccolta delle «Conferenze» alle suore (raccolte tra il 1913 e il 1925), c’è una particolarità che impreziosisce il suo ritratto: alcune sorelle, particolarmente abili e veloci nel prendere nota, oltre a registrare le sue parole, hanno annotato i suoi atteggiamenti, con semplici espressioni messe tra parentesi.

«Sorride»: questa è la nota più ricorrente nel descrivere gli atteggiamenti del fondatore; del resto il sorriso è uno degli elementi più cari della sua persona, testimoniati anche nelle fotografie e nelle deposizioni.

suor Stefania Raspo

Terracotta raffigurante l’Annunciazione custodita nella casa del beato Allamano a Castelnuovo (At)

La maternità spirituale di Maria

Durante la novena della Consolata, festa che si celebra il 20 giugno di ogni anno, alcuni
missionari e alcune missionarie si sono alternati all’ambone nell’offrire una riflessione sulla relazione del beato Allamano con la Madonna. Padre Giuseppe Ronco ha affrontato il tema della maternità spirituale di Maria.

Sotto la croce Maria diventa madre

Il fondamento biblico della maternità spirituale di Maria si trova nel cap. 19 di san Giovanni che descrive Maria sotto la croce: «Donna ecco tuo figlio, figlio ecco tua Madre». L’esegesi sottolinea come questo brano non sia un semplice racconto di un fatto capitato alla fine della vita di Gesù, ma sia una vera rivelazione. È volontà esplicita di Gesù che sua madre diventi madre spirituale di tutti i discepoli e quindi di tutta la Chiesa.

Questo significa che per Maria l’avvenimento del Calvario non era semplicemente il dramma di una madre che vede soffrire e morire il proprio figlio, ma il compimento di una missione. Ella era entrata nella prospettiva della missione redentrice di Cristo.

Il modo di esercitare la sua maternità spirituale lo troviamo ben descritto nel Vangelo, in modo particolare nel cap. II di Giovanni: «le nozze di Cana», dove due aspetti sono importanti.

Anzitutto la funzione materna di Maria attenta ai bisogni dell’uomo e della donna in caso di necessità. La mancanza di vino fa vedere Maria attenta ai bisogni dell’umanità. Nel secondo aspetto la vediamo anche come discepola e come tale invita gli altri discepoli a fare quello che Gesù vuole: «Fate quello che vi dirà».

Il testo greco dice letteralmente: «Non hanno vino» e il senso è che Maria si rivolge a Gesù dicendogli: «Non ti accorgi che questa umanità va alla malora? Non ha vino, non ha il tuo vino, non ha l’alleanza, non ha la gioia?». «Bisogna che tu dia il vino nuovo dello sposalizio».

Il magistero della Chiesa

La dottrina ufficiale della maternità di Maria è formulata nel cap. 61 della Lumen Gentium, dove il Concilio fa vedere che Maria ci è madre nell’ordine della grazia, cioè ha partecipato con Cristo, ha cooperato all’opera di salvezza operata dal Signore. E lo ha fatto per restaurare la vita soprannaturale delle anime.

Anche il magistero ne ha parlato abbondantemente. Se il Concilio di Efeso nel 431 aveva proclamato Maria «Madre di Dio», Paolo VI ha proclamato Maria «Madre della Chiesa», ponendo come base biblica Maria sotto la croce. È lì che Maria diventa la madre della Chiesa, la madre di tutti i fedeli. Importante è anche l’esortazione apostolica «Signum Magnum» del 1967 dove si dice che «la maternità di Maria è una consolantissima verità che per libero beneplacito del sapientissimo Iddio fa parte integrante dell’umana salvezza. Essa, perciò deve essere ritenuta per fede “Madre di tutti i cristiani”».

Sullo stesso tema è intervenuto papa Giovanni Paolo II, in modo particolare nell’enciclica «Redemptoris Mater» dove presenta Maria madre spirituale nello Spirito Santo. Si tratta di un altro aspetto che si aggiunge a quelli citati.

L’Allamano e la maternità di Maria

L’Allamano ha parlato della maternità spirituale di Maria molte volte e con insistenza. A questo tema ha dedicato il secondo giorno della novena scritta da lui per il santuario della Consolata. Dice così: «Maria è nostra madre poiché come tale ci fu data da Gesù sul Calvario, quando pendente dalla croce voltò lo sguardo a lei e al discepolo e li affidò l’uno all’altra: “ecco tua madre, ecco tuo figlio”». E conclude: «Prega questa buona madre per ottenerti un cuore di figlio, per non essere ingrato e meritare i salutari e consolanti effetti del suo cuore…».

La seconda volta in cui ha parlato di Maria nostra madre nello Spirito lo ha fatto ispirandosi alla dottrina del Cafasso e vedendo in lei la perfezione pratica della vita portata da Cristo. La vedeva, cioè, come un modello di vita perfetta.

Il terzo aspetto in cui il fondatore considerava Maria è quello di madre che lui qualificava col titolo di «tenerissima». Aveva perso sua madre in giovane età ed era stato un grande dolore non partecipare ai funerali, anzi, venendo a sapere della sua morte giorni e giorni dopo… fu per lui una grande sofferenza. E a questa sofferenza supplì la maternità spirituale di Maria. Prese Maria con sé durante tutto il percorso di rettorato al santuario della Consolata. Non solo, ma la consegnò anche ai suoi missionari, affinché diffondessero in tutto il mondo la gloria di Maria tra le genti, da cui nacque quel lemma che è proprio dell’Istituto: «Et annuntiabunt gloriam meam gentibus» (Annunceranno la mia gloria alle genti).

padre Giuseppe Ronco

Padre Ronco ha concluso esortando a rivolgersi alla Madonna come nostra madre con la preghiera di sant’Alfonso Maria de Liguori che lo stesso fondatore proponeva:
«O Maria, non mi proibite di potervi chiamare “madre mia”».

La seconda grande preghiera dedicata alla maternità spirituale di Maria è l’invocazione del «Monstra te esse matrem» che troviamo nell’Ave Maris Stella. È un’invocazione che chiede alla Madonna: «Fammi vedere in modo concreto come tu sei la mia mamma».

 

 

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