Conferenza cooperazione:
non c’è pace senza sviluppo
Nei giorni 23 e 24 di giugno scorsi, si è svolta a Roma la seconda Conferenza nazionale della cooperazione. Appuntamento fissato per legge, la due giorni ha restituito un’immagine della cooperazione e dei suoi attori profondamente cambiata dagli eventi epocali degli ultimi tre anni.
Pace, persone, prosperità, pianeta e partnership: sono le cinque P dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, quella che contiene gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Cinque parole chiave che hanno dato il nome ad altrettante tavole rotonde di Coopera, la seconda Conferenza nazionale della cooperazione allo sviluppo, che si è svolta a Roma lo scorso giugno@.
La precedente Coopera si era tenuta nel gennaio del 2018 e, facendo un confronto anche solo superficiale fra i programmi, alcune differenza saltano all’occhio: tre anni e mezzo fa, la comunità della cooperazione aveva dato grande risalto al dibattito sulla collaborazione con il settore privato, sulla comunicazione e sulla migrazione, mentre aveva parlato meno di pace e di clima@.
Quest’anno, anche se il tema della migrazione è rimasto centrale – anche per via della recente aggressione russa all’Ucraina e dei cinque milioni di profughi che ha causato -, si è parlato molto di più di pace, di ambiente e di crisi climatica, mentre la collaborazione con il mondo profit è stata trattata come elemento che integra la cooperazione.
L’impressione è che, se Coopera 2018@ sottolineava l’importanza della cooperazione in sè – forse per tentare di arginare l’ostilità verso l’aiuto allo sviluppo alimentata dal clima politico dell’epoca -, la conferenza di quest’anno abbia insistito piuttosto sull’argomento che da soli non ci si salva, come la crisi climatica, la pandemia e la guerra in Ucraina stanno dimostrando.
La sensazione di un mondo interconnesso in modo non reversibile e di un’urgenza non rimandabile è emersa in modo più potente rispetto al 2018 e ha ripreso forza il dibattito sull’impegno ad aumentare la percentuale di Pil da destinare alla cooperazione, per portarlo dall’attuale 0,28% allo 0,70% richiesto dalle Nazioni Unite già cinquant’anni fa, come ha ricordato la portavoce della campagna 070 e presidente della Focsiv, Ivana Borsotto@.
Pace@
La prima tavola rotonda della Conferenza è iniziata con un omaggio all’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso nel febbraio del 2021 insieme al carabiniere della scorta, Vittorio Iacovacci, e all’autista del convoglio, Mustapha Milambo, in un agguato nei pressi di Goma, Repubblica democratica del Congo.
La viceministra Marina Sereni ha sottolineato il legame fra intervento umanitario e sviluppo nelle emergenze e nei conflitti. «Dobbiamo avere un’ottica di medio periodo», ha detto Sereni, «e indirizzare gli aiuti in modo da portare assistenza alla popolazione, ma anche rafforzarne la resilienza».
Stimolo, questo, subito raccolto da Fatima Gailani, negoziatrice di pace ed ex presidente della Mezzaluna rossa afghana, che si è fatta portavoce del timore della popolazione afghana che la comunità internazionale abbandoni il paese per ostilità verso l’attuale regime dei talebani, al quale gli aiuti danno sollievo. «È una scelta difficile, ma fatela pensando ai 35 milioni di persone che non sopravviverebbero un solo giorno senza quegli aiuti».
La Ong Emergency, ha poi affermato la sua presidente Rossella Miccio, non solo non ha abbandonato il paese, ma ha ampliato la sua presenza, introducendo fra l’altro una scuola di specializzazione per medici nella quale il 20% degli studenti è costituito da ragazze. L’anno scorso il mondo ha sborsato 2.113 miliardi in spese militari, ha ricordato Miccio, e solo 175 miliardi in aiuti allo sviluppo. Raggiungere lo 0,70% del Pil in cooperazione è davvero «l’obiettivo minimo», e per farlo occorre una volontà politica chiara che scelga questa strada e la porti avanti con la collaborazione di tutti.
L’Africa, ha poi spiegato il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, è il continente con più conflitti e con il maggior numero di paesi nei quali la democrazia regredisce: si registrano infatti numerosi colpi di stato e l’espandersi del jihadismo, che nella provincia mozambicana di Cabo Delgado ha già provocato 850mila sfollati. Chiederci a che cosa serve la cooperazione, ha detto Impagliazzo, equivale a chiedersi a che cosa serve l’Italia.
Persone@
Il panel sul tema Persone ha messo al centro la migrazione, con l’intervento della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese che ha ricordato l’accordo raggiunto al Consiglio affari interni dell’Unione Europea lo scorso 10 giugno: su 28 paesi presenti al Consiglio, 18 paesi membri e tre dei quattro cosiddetti associati (cioè non membri Ue ma aderenti al trattato di Schengen) hanno deciso di aderire al meccanismo per il ricollocamento dei migranti, introducendo così accanto al principio di responsabilità anche il principio di solidarietà fra stati europei, con un impegno ad aiutare i paesi di primo ingresso come l’Italia.
Sul nesso fra accoglienza e integrazione si è invece soffermato padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli: «Non dobbiamo pensare all’accoglienza solo in termini di spazio, di quante persone possiamo accogliere», ha spiegato il gesuita, «dobbiamo vederla come la faccia di una medaglia di cui l’altra faccia è l’integrazione». Per la legge attuale, ad esempio, i richiedenti asilo non possono accedere a corsi di formazione professionale. Eppure i dati ci dicono che la loro permanenza in Italia dura anni e allora varrebbe la pena pensarli da subito come nuovi residenti.
La seconda parte della tavola rotonda ha affrontato temi sanitari legati alla pandemia e all’aumento delle diseguaglianze che questa ha causato, ma anche problemi noti da tempo, come l’antibiotico-resistenza che ha reso inefficaci un’ampia fascia di antimicrobici. È fondamentale investire in vaccini e tecnologie, ha precisato la direttrice del Centro della regione Toscana per la salute globale, Maria José Caldés Pinilla: nel Sud del mondo la popolazione vaccinata è fra il 16 e il 20% e questo è preoccupante. Ma è altrettanto fondamentale investire per rafforzare i sistemi sanitari pubblici nel mondo, affinché possano non solo rispondere a future pandemie, ma anche garantire alle donne un parto sicuro.
Pianeta, Prosperità, Partnership
La tavola rotonda sulla Prosperità ha visto la partecipazione del ministro dell’Economia e delle finanze Daniele Franco e, fra gli altri, l’intervento di suor Alessandra Smerilli, religiosa salesiana a capo del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale della Santa Sede@. A causa degli stravolgimenti degli ultimi anni, ha detto suor Alessandra, alcuni dogmi economici sono crollati e modelli alternativi di sviluppo considerati prima un po’ esotici ora non appaiono più come tali. Citando l’economista britannica Kate Raworth, suor Smerilli ha parlato dell’economia della ciambella@: «Finora abbiamo pensato che tutto può essere rappresentato da un grafico su assi cartesiani dove “buono” è ciò che va verso destra e verso l’alto. Immaginiamo invece il sistema economico come un grafico a forma di ciambella, nel cui buco stanno tutti coloro che non si vedono garantiti nemmeno i diritti fondamentali, mentre fuori dalla ciambella stanno quanti vivono senza rispettare i limiti del pianeta. Una finanza per lo sviluppo dovrebbe avere il compito di aiutarci a rimanere tutti dentro quei limiti», ha concluso suor Alessandra, cioè nello spazio delimitato dalla ciambella.
Quanto al panel sul Pianeta@, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha sottolineato che è indispensabile rimuovere le diseguaglianze globali perché la transizione ecologica abbia successo e che «la sobrietà è la forma più sofisticata di resilienza». Francesco La Camera, presidente dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), ha poi affermato che la crisi attuale dovuta alla guerra in Ucraina avrà nel breve periodo un effetto negativo sulla transizione energetica, per via del ricorso temporaneo a fonti tradizionali per produrre elettricità; tuttavia, nel medio-lungo periodo la crisi potrebbe determinare addirittura un’accelerazione della transizione. Per i paesi che hanno bisogno di trovare alternative al gas russo, infatti, passare al carbone nell’immediato è un modo per non vincolarsi ad altri fornitori di gas firmando con questi contratti a lungo termine, il rispetto dei quali poi allungherebbe i tempi per il definitivo passaggio alle fonti di energia pulita.
L’ultima tavola rotonda sulla Partnership@ ha riguardato la costruzione dei partenariati multi-attore per lo sviluppo sostenibile e ha visto fra gli altri l’intervento in collegamento di Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia-Romagna. Schlein ha raccontato di aver partecipato in giugno all’incontro dei 70 direttori nazionali della federazione di Ong ActionAid e di averli visti convergere su un punto: «Serve partecipazione per fare partenariati solidi, ma bisogna soprattutto mettere le fasce più deboli delle nostre popolazioni in condizioni di partecipare».
Chiara Giovetti
Italia in Africa
Il XII Convegno SpeRA
Lo scorso maggio, nei giorni 26 e 27, si è svolto in modalità ibrida – in parte online e in parte in presenza al ministero degli Affari esteri e della Cooperazione interazionale, Maeci – il convegno Italia e Africa@.
Organizzatore ne è stato il consorzio SpeRA, un coordinamento che riunisce diverse associazioni di volontariato attive nella cooperazione in Africa e che ha l’obiettivo di favorire la collaborazione e lo scambio di informazioni fra organizzazioni impegnate nel Continente@.
Le due giornate di tavole rotonde hanno permesso il confronto tra una ventina di partecipanti appartenenti a quattro articolazioni della società: l’università, la chiesta missionaria, l’imprenditoria e il volontariato, inteso quest’ultimo – nelle parole del direttore centrale per l’Africa subsahariana al Maeci, ambasciatore Giuseppe Mistretta – come cooperazione spontanea, cioè non istituzionale.
A rappresentare la chiesa missionaria sono stati i tre interventi di suor Paola Moggi, direttrice di «Combonifem», la rivista del Centro di comunicazione delle Suore missionarie comboniane, di padre Matteo Pettinari, missionario della Consolata in Costa d’Avorio e di chi scrive, in qualità di responsabile dell’ufficio progetti di Missioni Consolata Onlus e collaboratrice di MC.
La sessione del 26 maggio mattina ha affrontato il tema dei progetti e delle opere italiane nei paesi africani. In questo contesto, la chiesa missionaria ha presentato tre iniziative: una scuola nella contea di Foya, Nord Ovest della Liberia, illustrata con un video inviato da padre Lorenzo Snider, missionario della Società delle missioni africane (Sma) responsabile della scuola; il progetto educativo delle Suore missionarie comboniane a Butembo, Nord Kivu, Rd Congo, presentato nel video inviato dalla superiora regionale suor Cinzia Trotta; il Consolata hospital Ikonda, descritto attraverso il video ufficiale visualizzabile online sul sito dell’ospedale@.
Il 26 pomeriggio il convegno ha affrontato il tema «La società civile e religiosa italiana: processi di integrazione in Africa», mentre la mattina del 27 è stata dedicata alle sinergie per la salute globale, o «OneHealth», ossia «un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse» e «sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema sono legate indissolubilmente»@.
La sessione finale del pomeriggio del 27, dedicata agli interventi istituzionali e alla sintesi dei lavori, ha visto l’emergere di un dibattito in corso da tempo nel mondo del volontariato: per molte piccole associazioni è impossibile operare gli adeguamenti – principalmente tecnici, di personale e di bilancio – necessari per essere riconosciute come attori della cooperazione istituzionale. Nonostante questo, con grande impegno e spesso sopportando costi anche notevoli, svolgono numerose attività in Africa e nel mondo, sono a tutti gli effetti una parte della cooperazione dell’Italia e vorrebbero vedere riconosciuto dalle istituzioni il loro ruolo.
La risposta delle istituzioni – affidata alla viceministra degli Esteri Marina Sereni – è stata di voler certamente valorizzare il mondo delle piccole associazioni e della cooperazione spontanea, ma di volerlo e doverlo fare nel contesto indicato dalla legge 125/2014 sulla cooperazione, a sua volta frutto di un adeguamento legislativo alle modalità di cooperazione adottate dagli altri paesi europei. Se non possiamo costringere nessuno a adattarsi a un modello unico, ha detto la viceministra riferendosi al modello della cooperazione istituzionale, non possiamo nemmeno pensare che questo modello si adatti alle piccole organizzazioni. L’Italia è sottoposta alla valutazione dell’Ocse-Dac, il comitato di controllo sull’aiuto pubblico allo sviluppo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, e certe procedure che per le piccole associazioni appaiono come rigidità sono tuttavia necessarie per rispettare gli impegni che l’Italia ha preso a livello internazionale.
È legittimo e giusto, ha concluso, che la piccola organizzazione non si iscriva al Registro del Terzo settore, non abbia la forza di partecipare ai bandi, non voglia stare all’interno di regole rigide, così come è giusto che questo tipo di volontariato venga riconosciuto e valorizzato sia dalla rete diplomatica italiana che dalla cooperazione istituzionale, in modi che volontariato e istituzioni devono cercare di definire insieme.
Chi.Gio.